tag:blogger.com,1999:blog-64646113219866050232024-02-19T04:41:02.691+01:00Anoressia: after darkQuesta è la lotta di una ragazza che ci è passata e che sa cosa significa, che sa che l'anoressia è un’arma a doppio taglio che all’inizio può sembrare la soluzione a tutti i problemi ma che, alla lunga, è Il Problema. E’ difficile uscirne, meglio non entrarci, ma ci se ne accorge sempre troppo tardi. Poi si può piangere, si può gridare a squarciagola, ma non serve a niente. Non esistono i miracoli. La forza per restare in piedi dobbiamo trovarla da sole. E qui possiamo farlo insieme.Veggiehttp://www.blogger.com/profile/11990381810503033018noreply@blogger.comBlogger467125tag:blogger.com,1999:blog-6464611321986605023.post-78098085762054691622015-03-13T00:46:00.000+01:002015-03-13T00:50:50.243+01:00Buongiorno ragazze, vorrei aprire questo post raccontandovi una storia. Una storia che inizia con una serie di commenti anonimi vicendevolmente rispondenti lasciati ai miei ultimi post, continua con una lunga sequela di fantasiose ipotesi, e culminata ieri con una lettera altrettanto anonima dai toni piuttosto aggressivi che è stata spedita all’indirizzo dei miei genitori, i quali hanno prontamente provveduto a girarmela, trattandosi ovviamente di un qualcosa che riguarda prettamente me stessa.<br />
<br />
Il fil rouge di questa storia è rappresentato dal fatto che tanto i numerosi commenti anonimi scritti a più voci, quanto le immaginose teorie campate in aria, quanto la letterina non firmata sono tutte opera di uno stesso individuo che, per semplicità, chiameremo casualmente Tiziano.<br />
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Mi chiederete come faccio a saperlo.<br />
La spiegazione è in effetti di una banalità estrema: vedete, questo blog è dotato di un tracciatore. Un tracciatore è un sito che permette, tramite l’incorporazione di un pezzo di codice HTML, di monitorare tutta l’attività che viene condotta su un blog, e dunque di scandagliare ogni singolo host che anche solo per sbaglio entra nel mio sito. Pertanto, vi propongo alcuni screenshot che ho realizzato sul tracciatore stesso.<br />
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhPr6Hb-v1rBzMLiS9JvIooy-oao-nErRoFYxvuIxH6cc0NDrIFRu2N92QXFltpnPbpS9VBU19zSGGeTfvoWGflVzMYCXiIQvh_AGLtiIKlCxrHZmnNu52qIgPT2fTa7p4trkhlcOafnKv0/s1600/Screenshot1.JPG" imageanchor="1"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhPr6Hb-v1rBzMLiS9JvIooy-oao-nErRoFYxvuIxH6cc0NDrIFRu2N92QXFltpnPbpS9VBU19zSGGeTfvoWGflVzMYCXiIQvh_AGLtiIKlCxrHZmnNu52qIgPT2fTa7p4trkhlcOafnKv0/s320/Screenshot1.JPG" /></a>
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjarV295UhOxytljyIjXCnYEY2COCJJFTX4bzaZB0QBP-D62SRuFoU8QjpNIG0F7ayVysf_GY06fMfHo-9682yaDCGPhQ1s2f-NNwIu0BX9_qxsMHGYPhuaQV_i0ogPeh8oe4hq87ldmqvm/s1600/Screenshot2.JPG" imageanchor="1"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjarV295UhOxytljyIjXCnYEY2COCJJFTX4bzaZB0QBP-D62SRuFoU8QjpNIG0F7ayVysf_GY06fMfHo-9682yaDCGPhQ1s2f-NNwIu0BX9_qxsMHGYPhuaQV_i0ogPeh8oe4hq87ldmqvm/s320/Screenshot2.JPG" /></a>
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjesTtNyVQF-nv3Ur5SiA_KKJ7H4kCS8Yi0Jk8fLlGbR6-tyj_FrwAgOWJmjMfyberUZastlX5TNmjapsIKrQglYNZwNZjHcg2-5sxNMD2mUcvAL3VlwmtzqYiok3BxRPJAg01X5ldOpRgv/s1600/Screenshot3.JPG" imageanchor="1"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjesTtNyVQF-nv3Ur5SiA_KKJ7H4kCS8Yi0Jk8fLlGbR6-tyj_FrwAgOWJmjMfyberUZastlX5TNmjapsIKrQglYNZwNZjHcg2-5sxNMD2mUcvAL3VlwmtzqYiok3BxRPJAg01X5ldOpRgv/s320/Screenshot3.JPG" /></a><br />
(Sono solo alcuni perché, dato il numero complessivo di visite realizzate – 1520! come potete vedere dal primo – se ce li mettevo tutti non si finiva più…)<br />
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Dunque, dato che la lettera anonima recapitata ai miei genitori da parte di Tiziano aveva il timbro postale di Milano, e che soltanto nell’ultima settimana un host locato in estrema prossimità di Milano ha compiuto la bellezza di 1520 visite al mio blog, fare 2 + 2 è stato semplice.<br />
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Chiudo questa prima parte del post dando a Tiziano una piccola delusione: il tuo tanto desiderato “effetto sorpresa” è morto sul nascere, dal momento che hai segnalato ai miei genitori l’esistenza di questo mio blog, che loro già conoscevano da anni.<br />
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Okay, detto questo, facciamo un passo indietro nella storia di cui a inizio post, e torniamo alla famigerata lettera che Tiziano ha inviato ai miei genitori. Quando i miei genitori mi hanno riferito quello che era successo, la prima domanda che mi è balzata in mente è stata: com’è possibile risalire al loro indirizzo fisico partendo dal mio blog?<br />
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Data la constatazione di questo dato di fatto, il mio primo impulso sul momento è stato quello di dire: okay, elimino il blog. Poi però ci ho pensato su e mi sono accorta che comportandomi in questo modo non avrei fatto altro che darla vinta a Tiziano. Partendo dal presupposto che un’opera diffamatoria mira essenzialmente a dare contro senza alcuno scopo né reale obiettivo, se mi fossi piegata avrei meramente fatto il suo gioco. Se avessi eliminato il blog, lui avrebbe vinto ed io avrei perso. Dunque, mi sono detta, no: il blog rimane tal quale, e scrivo un post in cui lo svelo, perché non esiste colpo che io non restituisca, e dieci volte più forte.<br />
<br />
E poi mi sono accorta di una cosa: che mi stava sfuggendo il punto. Perché questa non è una delle mie gare di karate, dove chi picchia più duro sale sul gradino più alto del podio, e che perde torna a mettere e a togliere la cera. Anche perché, una persona che si fa scudo dell’anonimato, inventa più persone che dialogano tra di loro nei commenti perché nessuno se lo fila di striscio, e arriva persino a scrivere una lettera inopportuna ai miei genitori pur di non parlare direttamente con me, è un perdente a priori. Mentre una persona che cerca di aiutare chi è in difficoltà, che si tratti di una difficoltà legata al DCA o meno, è una vincente a prescindere. Ma questa non è neanche una gara: questa è la vita. Questa è la vita, e io ho avuto una <b>fortuna con la C maiuscola</b>. Su Internet gira gente di tutti i tipi, questo è innegabile. Gira gente positiva e negativa. Io ho avuto la fortuna sfacciata d’incappare sì in uno di questi ultimi, ma in una persona negativa basilarmente innocua: una lettera anonima finisce nel cestino della raccolta differenziata, carta per la busta, organico per il contenuto. Ma se la persona in questione fosse stata pericolosa? Perché ce ne sono. Se la persona in questione avesse inviato una bomba, anziché una lettera? E se, trovato l’indirizzo, si fosse piazzato davanti casa per danneggiare i miei familiari?<br />
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In conclusione: io non so come da questo mio blog sia possibile risalire all’indirizzo fisico dei miei genitori, e neanche m’interessa saperlo. So solo che la mia famiglia, (così come i miei amici), rappresenta l’insieme di persone a cui tengo di più. E se il fatto di tenere un blog – per quanto questo blog sia indubbiamente d’aiuto a millemila ragazze, come più e più volte mi avete detto, e come mi hanno confermato molte associazioni che si occupano di DCA regalandomi l’onore e l’orgoglio di linkare il mio blog sui propri siti – deve anche sono ventilare alla lontana l’ipotesi di poter mettere in qualche modo a rischio le persone che amo… il gioco non vale la candela. Perché nella mia vita la priorità sono io, e il mio mondo. E tutte le persone che posso aiutare, pur con tutto il mio bene, non valgono la mia famiglia, i miei amici, i miei colleghi, le persone che amo. Il mio primo dovere è quello di proteggere e di prendermi cura delle persone cui voglio bene: e se l’esistenza di questo blog contribuisce invece anche solo a teorizzare la possibilità che qualcuno possa fargli del male, allora non c’è blog che tenga… perché la mia priorità è la mia famiglia, insieme a tutte le persone che amo.<br />
<br />
Questo non significa in alcun modo, ovviamente, che adesso schioccate le dita e io sparisco. Eh no, non sarà così semplice liberarsi di me. Anche perché siamo una squadra, e squadra che vince non si cambia. Significa solo che, per tutelare la mia famiglia da possibili eventuali futuri malintenzionati, non sarò più fisicamente su questa piattaforma blogger. Ma mi troverete sempre su YouTube e su Twitter, a disposizione per ogni vostro M.P., e naturalmente a disposizione di tutte le associazioni che si occupano di DCA (delle quali mi sento di citare in particolare <a href="http://minutrodivitalilla.blogspot.it/">MiNutroDiVita</a> – contattatemi pure per ogni necessità! Potete contare su di me.) per portare la mia testimonianza, il mio aiuto, il mio sostegno, il mio supporto, la mia partecipazione alle iniziative, per chiunque stia lottando contro l’anoressia.<br />
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Perché la vostra lotta quotidiana è la mia lotta. Perché non mi sono liberata dall’anoressia, è ancora lì, ma adesso sta in un angolino della mia mente a guardare, spettatrice immusonita, una vita ed un corpo che non è in alcun modo più in grado di tangere né di controllare. Perché la mia vita adesso appartiene solo a me stessa: la mia famiglia, i miei amici, i miei colleghi, il mio karate, la mia professione, i miei hobby, insomma, tutto quello che con fatica sono riuscita a riconquistarmi, ma che ne è valsa infinitamente la pena perché è tutto ciò che rende la mia vita una vita di qualità. Caro anonimo, pensavi che per vincere bastasse fingere? Hai perso tempo a credere quello che non è. Ed è per questo, semplicemente, che ho vinto: perché ora come ora non vorrei essere nessun altro al mondo che me stessa. Ed è tutto qui. La miglior vendetta non è vendicarsi: la miglior vendetta è stare bene.<br />
<br />
Che è quello che auguro a ciascuna di voi, ragazze, di tutto cuore. Perché è l’unica, l’unica cosa che conta.<br />
<br />
Vi amo di bene.<br />
Prima. Ora. Sempre.<br />
<br />
<b>Veggie
</b>Veggiehttp://www.blogger.com/profile/11990381810503033018noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-6464611321986605023.post-17508821400068050712015-03-06T09:32:00.000+01:002015-03-06T09:32:46.515+01:00Chiunque abbia l'anoressia ha solo paura d'ingrassare? Possiamo incolpare la società occidentale?Una cosa che trovo divertente dell’aver posto un tracciante sul mio blog, è vedere quali parole conducono le persone al mio angolo virtuale; l’altra faccia della medaglia è ovviamente rappresentata dal fatto che non posso interagire direttamente con queste persone. Questo post rappresenta dunque, per lo meno in parte, un tentativo di rispondere ad una delle più comuni domande che indirizza le persone verso il mio blog. Domande frequenti sono varianti delle seguenti: “le modelle troppo magre causano l’anoressia?”, “relazione tra anoressia e immagini di modelle eccessivamente magre”, “le foto delle modelle nei giornali causano l’anoressia?”, “anoressia e ragazze che vogliono essere come le modelle”, “il ruolo della società nell’anoressia”, “pensieri dei medici su come le modelle magre causano l’anoressia”, “la società e l’eccessiva magrezza sono da incolpare per l’anoressia?”.
Ecco, questo è il punto.<br />
<br />
Ho già affrontato questa tematica in diversi post, <a href="http://anoressiabulimiaafterdark.blogspot.it/2015/01/lesposizione-alle-foto-di-modelle.html">l’ultimo di questi</a> era quello in cui disquisivo su alcuni Case Report che si occupavano dei DCA in donne non vedenti, ma già in passato avevo parlato di come l’idea – ovvero il luogo comune – che va per la maggiore tra la gente sia quello che la società occidentale promuove un’ideale di magrezza che causa l’anoressia e che le ragazze con questa malattia hanno paura d’ingrassare.<br />
<br />
Questo luogo comune, insieme all’idea che i DCA <i>non esistano</i> nei paesi non-occidentali (o che compaiano solo quando essi risentano dell’influenza dei mass media occidentali), come è emerso anche dal commento che <b>Rosa</b> ha lasciato al mio post precedente, è spesso accettato come fosse un dato di fatto.<br />
<br />
Rieger e i suoi colleghi, in un loro <a href="http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/11429983">studio</a>, hanno cercato di esaminare se questi luoghi comuni fossero effettivamente fondati o meno. Più nello specifico, il loro obiettivo era quello di:
<i>“Esaminare in maniera critica 2 luoghi comuni sulla correlazione tra società, peso e anoressia: 1) che la preoccupazione per il proprio fisico è una specifica manifestazione occidentale contemporanea della malattia e 2) che la diffusione della cultura occidentale è responsabile dello sviluppo dell’anoressia nei Paesi non-occidentali. [Per condurre] una review della letteratura empirica e teoretica sugli aspetti culturali dell’anoressia nervosa e sulle cartelle cliniche di 14 donne asiatiche trattate per DCA a Sydney, in Australia.”</i> (mia traduzione)<br />
<br />
In sostanza, questi ricercatori sostengono che è il desiderio <i>di perdere peso come forma di controllo</i> piuttosto che la paura <i>di prendere peso</i> a rappresentare una caratteristica distintiva dell’anoressia, e che l’interazione della cultura occidentale nei paesi non-occidentali non è la sola, e men che meno la principale, causa di anoressia, ma semmai tutt’al più una delle millemila concause che stanno alla base di una malattia notoriamente multifattoriale.<br />
<br />
Il loro non è un articolo di primo piano né una review omnicomprensiva, ma credo che sia comunque una review che dà molto da pensare, e che tira fuori degli aspetti veramente convincenti ed importanti.<br />
<br />
Per come stanno le cose ad oggi, una diagnosi formale di anoressia nervosa, usando il DSM, richiede che le pazienti presentino:<br />
<br />
• “intensa paura di acquistare peso o di diventare grassi, anche quando si è sottopeso.” e<br />
• “Alterazione del modo in cui il soggetto vive il peso o la forma del corpo, o eccessiva influenza del peso e della forma del corpo sui livelli di autostima, o rifiuto di ammettere la gravità della attuale condizione di sottopeso”
Il criterio del peso (“al di sotto dell'85% rispetto a quanto previsto”) e l’assenza di mestruazioni (amenorrea) sono altrettanto controversi (ne ho già discusso in passato in altri post, quindi evito di ripetermi).<br />
<br />
Questi criteri sarebbero dovuti cambiare nell’ultima edizione del DSM, e nella fattispecie il criterio dell’amenorrea avrebbe dovuto essere eliminato… in realtà, però, leggendo il DSM-V si vede che detti criteri sono rimasti per lo più invariati:<br />
<br />
• “Intensa paura di aumentare di peso o di ingrassare, o comportamento persistente che interferisce con l’aumento di peso, nonostante un peso significativamente basso.”<br />
• “Anomalia nel modo in cui è percepito il peso o la forma del proprio corpo; inappropriata influenza del peso o della forma del corpo sulla propria autostima, o persistente perdita della capacità di valutare la gravità della attuale perdita di peso.”<br />
<br />
In sostanza, Rieger e i suoi colleghi valutano se questi criteri siano validi (Non esattamente, in effetti, perché quest’articolo è stato pubblicato nel 2001, dunque prima della revisione della corrente edizione del DSM, ma francamente penso che i redattori del DSM avrebbero tratto grosso beneficio dal leggere questo articolo).<br />
<br />
Com’era già chiaro dal 1995, quando uno psichiatra inglese, Gerald Russell, scrisse:
<i> </i><br />
<i>“Può darsi che si stia avvicinando il momento in cui sarà opportuno rivedere i nostri criteri diagnostici per l’anoressia nervosa, perché credo ci sia una falsa precisione nella formulazione attuale.” </i>(mia traduzione)<br />
<br />
Tra l’altro, Russell è stato il primo a pubblicare una descrizione della bulimia nervosa (e, sì, il “Segno di Russell” ha proprio preso il nome da lui).
<b> </b><br />
<br />
<i><b>Natura delle preoccupazioni per il peso nell’anoressia</b> </i><br />
<br />
Studi cross-culturali suggeriscono che la preoccupazione per il peso è minore nelle pazienti non-occidentali rispetto a quelle occidentali. Per esempio, in uno studio di 70 pazienti cinesi di Hong Kong, meno della metà riportavano preoccupazione per il proprio peso durante la fase più acuta della malattia. Tuttavia, queste donne attribuivano la loro perdita di peso ad inappetenza, epigastralgie o dolori addominali, il che suggerisce che la diagnosi di anoressia nervosa poteva essere del tutto inappropriata: una perdita di peso legata a perdita di appetito (nota bene: nel gergo medico l’ “inappetenza” si traduce con “anoressia” – ma NON “anoressia nervosa”!!) è piuttosto un segno di depressione – non di anoressia nervosa.<br />
<br />
Rieger suggerisce che quello che è <i>estremamente comune</i> (universale?) nei casi di anoressia nervosa (<i>“ciò che la distingue da ogni altra condizione patologica”</i>) è la natura egosintonica del disturbo. Più specificatamente, il fatto che “<i>la magrezza estrema non è percepita dalle pazienti come un reale problema: per quanto consapevoli che potrebbero averne dei danni di salute, continuano comunque a perseguirla perché questo le fa stare bene e le fa sentire come se avessero tutto sotto controllo</i>”.<br />
<br />
Rieger quota la descrizione di una paziente fatta da Charles Lasègue nel lontano 1873:<br />
“<i>[…] soprattutto, lo stato di quiete, potrei quasi dire uno stato di appagamento davvero patologico. Non solo [la paziente] non mostrava alcun interesse nel farsi curare, ma era sostanzialmente soddisfatta della sua condizione, pur comprendendo i potenziali rischi per la sua salute. Comparando questo stato di soddisfazione con l’ostinazione a proseguire un percorso patologico, non credo che arriverò molto lontano. Comparando invece tutto questo con le altre forme di anoressia, non posso che osservare quale enorme divario vi sia. […]</i>” (mia traduzione)<br />
<br />
Nota a margine: la parola “magrezza” <b>NON</b> è contemplata nella prima descrizione dell’anoressia nervosa da parte di Lasègue.<br />
<br />
Un’altra interessante paziente la troviamo in uno studio condotto da Ciseaux nel 1980:
“<i>[…] è come se [la paziente] non capisse cosa significa prendersi cura della propria salute. Sostiene che più dimagrisce, o comunque si mantiene magra, meglio si sente […] orgogliosa delle proprie capacità di controllo […] come se la restrizione alimentare fosse diventata la cosa più importante che abbia mai fatto nella sua vita. […]</i>” (mia traduzione)<br />
<br />
Rieger evidenzia altri esempi di pazienti che non contemplano affatto la paura di prendere peso od ingrassare:<br />
“<i>[…] la restrizione alimentare dà un senso di grande potere, le pazienti provano la sensazione soddisfacente di avere tutto sotto controllo, e questo serve a perpetrare la patologia e a mantenerne la natura egosintonica. […]</i>” (mia traduzione)<br />
<br />
Insomma, quello che si evince è che, nelle varie pazienti, la restrizione alimentare e la correlata conseguente perdita di peso viene vissuta come fortemente egosintonica.<br />
<br />
Rieger conclude la prima parte dello studio citando Russell: <br />
“<i>La paura di prendere peso sembra essere piuttosto una conseguenza, che non una caratteristica in sé, dell’anoressia nervosa, e non è comunque presente in tutte le pazienti. Quello che invece è costante ed immutabile in tutte le pazienti è il fatto che<b> la natura della patologia è fortemente egosintonica, che è guidata dalla percezione di una sensazione di controllo, e che questo controllo esteso alla propria alimentazione e al proprio corpo permette alle pazienti di venire a capo dei propri conflitti interiori tacitandoli e illudendosi così di averli risolti.</b></i>” (mia traduzione)<br />
<br />
<i><b>Natura delle preoccupazioni per il peso nell’anoressia in Paesi non-occidentali. </b></i><br />
<br />
È stato – e tuttora purtroppo è – luogo comune sui DCA il credere che esistano solo nel mondo occidentale, e che la loro comparsa nelle minoranze di immigrati sia legata all’influenza della cultura e dei mass media occidentali: l’internalizzazione di un ideale di magrezza. Alcuni ricercatori avevano provato ad attribuire la differente prevalenza dei DCA nei vari Paesi non-occidentali al diverso “livello di occidentalizzazione” di suddetti Paesi.<br />
<br />
Questo tentativo di attribuzione, ovviamente, non tiene conto dei casi di anoressia che comunque si sono verificati ben prima che il modello di magrezza fosse quello dominante nella società. Quel che è certo è che, quando William Gull e Charles Lasègue descrivevano casi di anoressia, <i>la parola “magrezza” non viene MAI menzionata</i>.<br />
<br />
Ad oggi esistono studi che mirano a dimostrare che esiste una correlazione tra modelli proposti dalla civiltà occidentale, preoccupazione per la propria fisicità, e DCA, e allo stesso tempo esistono altrettanti studi che mirano a dimostrate che detta correlazione è inesistente.<br />
<br />
Per esempio, uno studio rivela che nelle ragazze asiatiche emigrate in Inghilterra, la restrizione alimentare era correlate a valori <i>tradizionali </i>(e NON occidentali) (Hill & Bhatti, 1995). Questa conclusione è supportata da un ulteriore studio condotto da Mumford e i suoi colleghi nel 1991, che rileva la medesima correlazione. Hoek ed i suoi colleghi, in uno studio del 1998, rivelano che la prevalenza dell’anoressia nella popolazione generale di un’isola caraibica era la medesima dei Paesi occidentali, e uno studio di Apter et al. nel 1994 mostra che in un gruppo di villaggi musulmani le donne mostravano le medesime psicopatologie alimentari di pazienti occidentali affette da anoressia.<br />
<br />
Fare studi cross-culturali è, tuttavia, molto difficile: innanzitutto, i test e gli strumenti utilizzati per valutare le pazienti in un Paese, sono applicabili, adeguati e rilevanti per pazienti di un altro Paese? E mentre tali problemi metodologici possono spiegare i risultati contraddittori ottenuti, Rieger suggerisce che questo “<b><i>può essere dovuto ad una possibilità raramente presa in considerazione: che a prescindere dalla provenienza geografica, l’anoressia può rappresentare comunque una strategia di coping che viene messa in atto a prescindere da tutto</i></b>.”<br />
<br />
Gli autori hanno preso in esame anche le cartelle cliniche di 14 pazienti asiatiche affette da anoressia e bulimia, trattate a Sydney, in Australia. Tutte le pazienti riferivano di aver vissuto la restrizione alimentare come egosintonica, ma solo alcune di esse riferivano di aver paura di riprendere peso/ingrassare. Pur non mostrando particolare paura nei confronti del riprendere peso, alcune delle pazienti si rifiutavano di prendere in considerazione la gravità clinica della loro condizione di sottopeso.<br />
<br />
Parlando della mia <i>esperienza personale</i> (quanto di <b>meno</b> scientifico possa esserci, insomma…), effettivamente io non ho mai avuto paura di riprendere peso, ed ero anche consapevole del fatto che il mio regime di restrizione alimentare era insalubre ed avrebbe potuto recare danni alla mia salute: tuttavia avevo talmente tanto bisogno di sentirmi in controllo, che le preoccupazioni sulla salute scivolavano in secondo piano. Non mi interessava il peso in sé (tant’è che non mi sono mai pesata, nemmeno nella fase più acuta dell’anoressia), anzi, avrei preferito poter continuare a restringere l’alimentazione pur mantenendo costate il mio peso (cosa impossibile, ovviamente) affinchè nessuno se ne accorgesse e io potessi continuare a restringere l’alimentazione per sentire il senso di controllo che mi trasmetteva. Infatti non m’interessava il perdere peso, mi interessava solo il meccanismo della restrizione alimentare perché mi faceva percepire questo (illusorio) senso di controllo: l’anoressia era una strategia di coping strettamente connessa al mio patologico bisogno di controllare ogni singolo ambito della mia vita. Difatti nel momento in cui, durante il mio percorso di ricovero, sono arrivata a comprendere a pieno questo (inizialmente ne avevo una consapevolezza molto parziale), seguire l’ "equilibrio alimentare" è diventato relativamente semplice.<br />
<br />
Tornando allo studio in questione, Rieger e i suoi colleghi lanciano anche dei suggerimenti per studi futuri miranti a valutare la validità dei loro assunti. In sostanza, dicono che i futuri studi dovrebbero essere più esplorativi e aperti alle più svariate interpretazioni. Dicono che dovrebbero andare oltre i soliti test per DCA standardizzati nei Paesi occidentali, e affrontare la tematica con meno pregiudizi lasciando aperto il campo a tutte le ipotesi possibili: valutare per esempio se anche nei Paesi non-occidentali ci siano degli ideali di magrezza su basi culturali o religiose o tradizionali, perché affezionarsi ad ipotesi sbagliate può in definitiva limitare la comprensione dell’anoressia, per cui è importante esaminare criticamente ogni possibile ipotesi.<br />
<br />
Per come la vedo io, la domanda centrale è: <b>qual è la caratteristica distintiva dell’anoressia?</b> E’ la paura di prendere peso, e dunque chi non ha questa paura rappresenta un caso “atipico” di anoressia, o è l’ampiamente applicabile criterio dell’egosintonico desiderio di restringere l’alimentazione? Io voto a favore dell’egosintonia: ritengo che l’egosintonica natura della patologia sia ciò che veramente definisce l’anoressia. E, egosintonicamente parlando, suppongo anche di aver ragione.<br />
<br />
Se mi rifaccio alla mia esperienza, infatti, io non volevo affatto dimagrire (ero magra già in partenza), anche perché questo comprometteva le mie prestazioni sportive, però volevo restringere l’alimentazione perché mi faceva sentire in controllo. A suo modo, mi faceva stare bene. E io volevo sentirmi in quel modo. Secondo me, queste sono ragioni profondamente egosintoniche, anche perchè non m’interessava il peso in sé.<br />
<br />
<b>E voi, ragazze, cosa ne pensate? Qual è stata la vostra esperienza? Quale pensate sia il ruolo della paura di riprendere peso nell’anoressia? E dell’egosintonia? Se vi va, scrivetelo nei commenti!</b>
Veggiehttp://www.blogger.com/profile/11990381810503033018noreply@blogger.com14tag:blogger.com,1999:blog-6464611321986605023.post-6940434312256184452015-02-27T00:33:00.000+01:002015-02-27T00:38:33.613+01:00"ED Awareness Week"... per chi?Non so se lo sapete o meno, ma negli Stati Uniti d’America questa è la cosiddetta “ED Awareness Week” (tradotto letteralmente: “Settimana di Consapevolezza sui DCA”).<br />
Così come noi in Italia abbiamo la giornata del fiocchetto lilla, negli U.S.A. “<i>ben</i>” 7 giorni all’anno vengono spesi per i DCA.<br />
In questa settimana, bazzicando i più noti siti Internet americani (come quello del <a href="http://www.nationaleatingdisorders.org/">NEDA</a>, dell’<a href="http://www.anad.org/">ANAD</a>, dell’<a href="http://www.eatingdisorderscoalition.org/">EDC</a>, del <a href="http://www.nedic.ca/">NEDIC</a>, giusto per farvi alcuni esempi) in cui si parla di DCA, ho notato come numerose iniziative siano state messe in atto per (cito testualmente, pur traducendo) “<i>implementare la consapevolezza in merito ai DCA</i>”<br />
<br />
Tuttavia, pur vedendo quanto si siano dati da fare, mi è comunque sorta spontanea una domanda: <b><i>ma a chi è destinata, veramente, la “ED Awareness Week”? Per chi viene fatta? </i></b><br />
<br />
È per la gente che non ha mai vissuto sulla propria pelle un DCA? È per i familiari di chi ha un DCA? È per suscitare l’interesse dei mass media? È per le persone affette da DCA?... Insomma, chi è il target di questa settimana di consapevolezza sui DCA?<br />
E in cosa esattamente spera di rendere la gente consapevole?<br />
Che esistono persone che hanno un disturbo alimentare? A-ha. Embè?<br />
<br />
Forse uno degli obiettivi è quello di spiegare che i DCA non sono meramente malattie adolescenziali, ma possono colpire persone di qualsiasi età. Oppure che i DCA non colpiscono soltanto le donne, ma si possono ammalare anche gli uomini. Okay, è bene che la gente venga a sapere questo genere di cose, ma poi... cosa?<br />
<br />
Forse la “ED Awareness Week” vuol essere un modo per spingere le persone che hanno un DCA a chiedere aiuto? Sarebbe molto positivo, questo. Ma se andate a dare uno sguardo a come questo aspetto viene presentato in molti di questi siti (tra cui quelli che ho citato prima), vedrete che si tratta per lo più di un fare pubblicità a cliniche private e a psicoterapeuti, che ci guadagnerebbero non poco se un maggior numero di persone affette da DCA si rivolgessero a loro. Bè? E una cosa del genere, a chi dovrebbe essere d’aiuto?<br />
<br />
Non che sia una male cercare di spronare le persone che hanno un DCA a rivolgersi a professionisti competenti per farsi affiancare nel loro percorso di ricovero, altro ci mancherebbe: io stessa sono la prima a dire che a mio parere è indispensabile essere seguiti da dietista e psicoterapeuta per poter combattere efficacemente contro l’anoressia. Tuttavia, il modo in cui la cosa viene presentata su quei siti mi appare molto buonista, e quindi mi sembra che ci sia del torbido: mi pare che l’interesse serpeggiante, subliminale, sia molto più quello di far guadagnare cliniche e psicoterapeuti, che non quello di aiutare chi ha un DCA.<br />
<br />
E dunque, tornando alla domanda di partenza: a chi serve questa settimana? Vuole forse essere una sorta di “ogni cosa per chiunque”? Stile “La Festa Della Mamma” o “San Valentino”? Perchè questa è un po’ l’impressione che a me scaturisce.<br />
O è forse una cosa del tipo “DCA Pride”?<br />
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Insomma, come dovrebbero reagire di fronte a tutto questo le persone che hanno effettivamente l’anoressia/la bulimia/il binge/un DCAnas? Perché la maggior parte delle persone affette da DCA afferisce proprio a questi siti (io stessa talvolta lo faccio, peraltro), per cui quali pensieri una cosa del genere può suscitare? Qual è il messaggio che alle persone con un DCA dovrebbe arrivare? “Tesoro, sei malata, fatti curare!”? Forse potrebbe anche spingere alcune persone in quella direzione, ma ho il sospetto che non sia così probabile come potrebbe sembrare.<br />
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Non so, forse è solo una mia impressione, ma tutto ciò che è riferito a questa “ED Awareness Week” mi sembra, come dire… molto monodirezionale, nonché molto cheerleaderesco (Go, ragazze, go! Ricoveratevi in clinica, go!).<br />
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Al di là di questo aspetto di “pubblicità” delle varie strutture di ricovero e dei vari psicoterapeuti, non mi sembra ci sia poi tanto altro. Anzi, in diversi siti ho visto, con mio grande disappunto, il fiorire di numerosi luoghi tanto comuni quanto assolutamente falsi sui DCA. Non viene spiegato praticamente niente di approfondito sulle dinamiche mentali di chi ha un disturbo alimentare, c’è solo una passiva raccolta di cliché che chiunque potrebbe leggere su un qualsiasi articolo di “<i>Donna Moderna</i>” o di “<i>Grazia</i>”: MAMMAMIA LE DONNE ODIANO IL LORO CORPO! Due domande: qual è la sensibilizzazione in questo? E che cosa mai questo ha realmente a vedere con i DCA?<br />
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Uno dei problemi, secondo me, è che anche questi grandi siti statunitensi che si occupano di DCA non comunicano abbastanza tra di loro: basti vedere di fatto che nella maggior parte di essi non ci sono neanche i link per afferire ad altri siti simili nei contenuti. Io credo che se ci fosse una maggior comunicazione, e una maggiore voglia di far luce sulla vera natura dei DCA, lavorando di squadra si otterrebbero risultati nettamente migliori. Perché anziché rivangare sempre i soliti luoghi comuni non vengono proposti articoli più dettagliati che vanno ad esplorare aspetti come il bisogno di controllo, l’autostima, le problematiche di compliance, le comorbidità, e via dicendo? Forse sarebbero tematiche più difficili da affrontare, più impegnative, più controverse e meno sensazionalistiche rispetto al mettersi a gridare che l’anoressia è causata dalla società che vuole solo donne magre, però credo che alla lunga i risultati conseguiti sarebbero migliori.
<b> </b><br />
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<b>E voi cose ne pensate? Chi pensate siano i veri destinatari della “ED Awareness Week”? A cosa pensate dovrebbe mirare una campagna di sensibilizzazione sui DCA? E come credete si potrebbe agire per cambiare le stato attuale delle cose?</b>Veggiehttp://www.blogger.com/profile/11990381810503033018noreply@blogger.com28tag:blogger.com,1999:blog-6464611321986605023.post-81419889080732314862015-02-20T18:54:00.002+01:002015-02-20T19:00:51.674+01:00Istamina e AnoressiaImmagino che ad alcune di voi, nella propria vita, sia capitato di assumere degli antistaminici – farmaci che bloccano la degranulazione dei mastociti e l’azione dell’istamina (per esempio: Zirtec, Aerius, Atarax, Trimeton, Cetirizina) – generalmente per bloccare i sintomi di una qualche allergia. Sebbene l’istamina sia fondamentalmente nota per il suo ruolo nella risposta immunitaria, ha anche altre importanti funzioni nel sistema nervoso centrale.<br />
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Nel nostro cervello, in rilascio di istamina è importante per l’arousal (ecco perché assumere antistamici ci rende sonnolenti), nonché è impilicato nel regolare l’appetito, la percezione del gusto, l’apprendimento, la memoria, i comportamenti aggressivi, la motivazione e le emozioni (tra le altre cose). (<a href="http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/18814859">Yoshizawa et al.</a>, 2009) Alterazioni nel rilascio di istamina nel cervello sono implicate in una vasta gamma di patologie, tra cui la schizofrenia (<a href="http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/15695063">Iwabuchi et al.</a>, 2005), la depressione (<a href="http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/15255990">Kano et al.</a>, 2004), e la sclerosi multipla.<br />
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In ogni caso, dato che il mio blog è centrato sui disturbi alimentari, il mio obiettivo è quello di parlare del ruolo dell’istamina nel controllo dell’appetito. Come Yoshizawa e i suoi colleghi hanno visto dai loro studi:<br />
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• Un incremento dei livelli di istamina corrisponde ad un decremeno dell’appetito.<br />
• Bloccare la secrezione di istamina viceversa aumenta l’appetito<br />
• L’attività istaminergica è incrementata dall’assunzioni di cibo dopo un lungo periodo di restrizione alimentare.<br />
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In buona sostanza, da questo studio emerge che c’è una relazione di proporzionalità inversa tra attività istaminergica e appetito: un’elevata attività istaminergica sopprime l’appetito e quindi riduce l’assunzione di cibo, mentre una bassa attività istaminergica aumenta l’appetito. Gli effetti dell’istamina sull’alimentazione sono mediati dai recettori istaminergici di tipo H1.
Lo studio in questione sottolinea peraltro il fatto che l’attività istaminergica è molto più spiccata nelle donne che non negli uomini, in particolare proprio per quel che riguarda i recettori istaminergici H1, poiché è stato dimostrato che le donne possiedono una più elevata densità di recettori H1.<br />
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A partire da queste considerazioni, gli autori di questo studio hanno volute valutare se il sistema istaminergico era alterato nelle donne affette di anoressia, rispetto a donne (ed uomini) non affetti da questa malattia, utilizzando la PET (Tomografia ad Emissione di Positroni), e focalizzandosi proprio sui recettori di tipo H1. Gli autori hanno ipotizzato che perturbazioni dell’attività istaminergica in pazienti affette da anoressia potessero essere in qualche modo correlate alle anomalie del comportamento alimentare o alle emozioni negative provate.<br />
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<b>Un rapido flash sulla neurotrasmissione (istaminergica) </b><br />
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<span style="font-size: x-small;">[Se ne sapete già di neurobiologia, saltate pure questa parte che, peraltro, è molto semplificata per venire incontro alle esigenze di lettrici anche molto giovani. Non me ne vogliano gli specialisti per le inevitabili inesattezze.] </span><br />
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I neuroni comunicano tra di loro rilasciando delle sostanze chimiche chiamate neurotrasmettitori (per esempio: istamina, serotonina, dopamina, etc…). Queste sostanze chimiche esercitano la loro azione legandosi a specifici recettori presenti sulle cellule-bersaglio (i recettori sono schizzinosi: non legano ogni qualsiasi molecola gli capiti a tiro, ma soltanto alcune specifiche molecole che gli sono complementari. La realizzazione di questo legame piò avere molteplici effetti sulle cellule. Per esempio, può rendere queste cellule più o meno favorevoli a partecipare alla comunicazione neuronale con le altre cellule, oppure può attivare/disattivare l’espressione di determinati geni nella cellula (tra le molteplici altre cose…). Esistono 4 recettori per l’istamina, con molta fantasia chiamati H1, H2, H3 e H4, che sono coinvolti in diversi processi e attività (<a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Recettore_dell%27istamina">leggete qui</a>)<br />
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Quando i medici parlano di variazioni dell’attività istaminergica nel cervello (o dell’attività serotoninergica, dopaminergica, etc…), possono fare riferimento a molteplici cose differenti, che interessano l’intero sistema nervoso. Per esempio, variazioni nella densità dei recettori per l’istamina su una membrana cellulare, variazioni nel metabolismo dell’istamina, variazioni della velocità con cui l’istamina si lega ai propri recettori, comporta un cambiamento della quantità e della frequenza di rilascio dell’istamina e può influenzare l’intera attività istaminergica. Queste variazioni a loro volta possono influenzare le nostre risposte biologiche, psicologiche e comportamentali. Nel caso dell’istamina, nel più semplice degli esempi, questo può significare variazioni della durata e dell’entità dei sintomi di un’allergia.<br />
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<b>Lo studio in questione</b><br />
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Per valutare l’attività istaminergica nel cervello, gli autori dello studio hanno utilizzato il radionuclide [(11)C]Doxepina. I radionuclidi sono dei farmaci marcati radioattivamente “che si possono legare ad un recettore, trasportatore, enzima, od un qualsiasi sito d’interesse. Misurare la velocità e l’entità del legame fornisce informazioni sul numero di siti di legame, e la loro affinità ed accessibilità.” (<a href="http://dwb4.unl.edu/Chem/CHEM869Z/CHEM869ZLinks/www.curvefit.com/introduction9e.htm">Fonte</a>)<br />
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Gli studi condotti con la PET frequentemente misurano una cosa chiamata <a href="http://en.wikipedia.org/wiki/Binding_potential">“potenziale di legame”</a>. Il potenziale di legame fornisce una misura combinata della densità dei recettori (in questo caso nella fattispecie, la densità dei recettori H1 che sono capaci di legare il radionuiclide) e l’affinità del radionuclide per questi recettori. In questo studio, gli autori verificano il potenziale di legame della [(11)C]Doxepina per studiare i recettori H1.<br />
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Ora, io non m’intendo particolarmente di studi con la PET, quindi non so se questa sia la prassi comune, ma penso sia abbastanza interessante il fatto che gli autori tengano conto del ciclo mestruale delle donne partecipanti allo studio: tutte le scansioni PET sono state eseguite 1 settimana dopo l’ultima mestruazione.<br />
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<b>Partecipanti allo studio </b><br />
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Le partecipanti allo studio erano 12 donne affette da anoressia sottotipo 1, 12 donne senza alcun tipo di DCA, e 11 uomini senza alcun tipo di DCA. L’età media dei partecipanti allo studio era di circa 20 anni. Le donne affette da anoressia erano malate in media da circa 5,2 anni (range: 3 – 9 anni), ed avevano un B.M.I. medio di 14,7 (vs il B.M.I. medio del gruppo di controllo che era circa 20,35).<br />
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<b>Le scoperte principali </b><br />
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Confermando studi condotti in precedenza, gli autori hanno scoperto che il potenziale di legame della [(11)C]Doxepina era maggiore nelle donne affette da anoressia rispetto al gruppo delle donne di controllo soprattutto in 2 regioni: il nucleo lenticolare sinistro, e la parte destra dell’amigdala. In generale, non c’era una singola regione in cui il potenziale di legame delle donne affette da anoressia fosse inferiore rispetto a quello del gruppo di controllo.<br />
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Contrariamente a quanto avevano ipotizzato i ricercatori, invece, non vi era alcuna correlazione positiva tra il potenziale di legame della [(11)C]Doxepina e la gravità/durata del DCA. Ovvero: a prescindere dalla fase del DCA in cui si trovava una donna, non c’era un incremento del potenziale di legame (in altre parole: il potenziale di legame era simile a quello di donne e uomini senza DCA).<br />
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<b>Cosa significa tutto questo? </b><br />
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Come ho detto prima, le donne hanno una densità di recettori H1 maggiore rispetto a quella degli uomini. Gli autori suggeriscono che forse questa differenza gioca un ruolo nell’incrementare la vulnerabilità delle donne rispetto all’anoressia, che può essere associata con l’attività istaminergica nel sistema nervoso centrale.<br />
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<b>Come la penso io </b><br />
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L’ipotesi fatta dagli autori dello studio è interessante, ma è bene tenere a mente che in realtà non sappiamo niente rispetto a quale sia l’effettivo ruolo dell’istamina nello sviluppare l’anoressia, ammesso e non concesso che ne abbia effettivamente uno.<br />
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Anche la scoperta che il potenziale di legame è maggiore nei nuclei lenticolari (regione del cervello importante per la regolazione dei movimenti fini, tra le altre cose) e nell’amigdala (il cosiddetto “centro delle emozioni” del cervello) è un qualcosa di interessante. Tuttavia, dal momento che lo studio è unitario e non ci sono stati altri studi miranti a verificare la medesima cosa, non sappiamo se il dato è veritiero o se si tratta semplicemente di una coincidenza.<br />
<br />
Per come la vedo io, inoltre, le alterazioni della neurotrasmissione istaminergica<i> sono conseguenza, e NON causa</i> dell’anoressia, o per meglio dire dell’ipoalimentazione, per cui secondo me non è che l’istamina in sé gioca un ruolo nello sviluppo dell’anoressia, è l’anoressia, con la sua restrizione alimentare, che va ad alterare la secrezione di istamina.<br />
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Vi faccio inoltre notare che questo studio è stato condotto su pazienti che erano nel pieno della malattia, ma non è stato replicato al migliorare delle loro condizioni psicofisiche, quindi non sappiamo se e cosa sarebbe cambiato una volta che quelle donne fossero state meglio. Per cui, lo studio in questione mi sembra anche un po’ incompleto.<br />
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<b>Limitazioni dello studio </b><br />
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Secondo me questo studio presenta inoltre delle notevoli limitazioni, tra cui:<br />
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• un piccolo campione di partecipanti (sono ragionevolmente sicura che questo sia dovuto a motivi economici: la PET è un esame molto costoso) che non può rendere statisticamente significativo lo studio<br />
• comparazione tra molte differenti aree del cervello (il che aumenta il rischio di commettere certi errori statistici)<br />
• incapacità di dimostrare che le variazioni dell’attività istaminergica siano causa o (come credo io) conseguenza dell’anoressia<br />
• incapacità di dire se le differenze nel potenziale di legame siano dovute a cambiamenti della densità o dell’affinità recettoriale (presente la definizione? Il potenziale di legame è un compendio tra le 2 cose…)<br />
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<b>Le mie conclusioni </b><br />
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Come saprete soprattutto se leggete il mio blog da un po’ di tempo, io sono molto favorevole ad ogni qualsiasi genere di studi che possano essere condotti sull’anoressia, per cercare di sviscerare un po’ più a fondo questa malattia. Tuttavia, in questo caso storco un po’ il naso: lo studio è figo, ma non conclude un granché. Gli autori lanciano l’idea che le persone affette da anoressia abbiano una più elevata densità di recettori H1 in diverse regioni del cervello, ma questo input dovrebbe essere approfondito massivamente. Se quanto è venuto fuori è vero, occorrerebbe allora valutare la relazione e i cambiamenti tra pazienti affette da anoressia e gruppo di controllo senza DCA, per capire se questi cambiamenti sono dovuti all’anoressia o meno: valutare cioè se si tratta della causa o dell’effetto.<br />
<br />
Il cervello umano è straordinariamente complesso, i DCA sono altrettanto straordinariamente complessi, e i modi che abbiamo finora per studiarli sono generalmente scadenti. La ricerca dovrebbe avere un’importanza preliminare, così come la nostra generale comprensione della neurobiologia dei DCA. Ma la situazione è MOLTO complessa, studiare i DCA è MOLTO arduo, e avere un’interpretazione unitaria data la molteplicità di persone affette è pressoché impossibile.<br />
<br />
<i>Postilla: </i><b>Non</b> sono un medico di diagnostica nucleare, per cui quello che so in merito alla PET è necessariamente limitato. Ergo, se ne sapete più di me, o se trovate degli errori in quello che ho scritto in questo post, o conoscete altri studi di questo tipo, fatemelo notare senza problemi! <b>E, naturalmente, se vi va ditemi come la pensate… mi farebbe molto piacere.</b>Veggiehttp://www.blogger.com/profile/11990381810503033018noreply@blogger.com19tag:blogger.com,1999:blog-6464611321986605023.post-55555162838854634762015-02-13T15:39:00.002+01:002015-02-13T15:49:27.134+01:00Tenete duro e mirate beneCome potete vedere dai commenti del post precedente, ieri mi è stato lasciato un commento in anonimo da una ragazza che si definisce Pro Ana. Mi riferisco a questo commento:<br />
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<i>“Qsto post è veramente noioso, così come trovo molto noioso tutto in generale di qsto blog. Tu dici ke combatti l’anoressia e pensi ke fai la cosa giusta, ma allora come te lo spieghi ke non ti legge quasi nessuno? I tuoi post hanno circa 15 commenti l’uno (a volte comprese le tue risp) e ci sono anke persone ke nn approvano, io invece ho un blog pro ana e ti assicuro ke di solito ci sono almeno una quarantina di commenti a post come minimo, e ti assicuro ke le altre sono daccordo con me, anke se tu disprezzi qllo ke facciamo. Tu dici ke le cose come il D.A. o i consigli per nn mangiare o quelli x vomitare sono kavolate, ma guarda caso il post con i consigli x vomitare è qllo + gettonato sul mio blog, quindi forse nn è tutta qsta kavolata come dici. Quindi, se tu pensi ke hai ragione e ke noi pro ana abbiamo torto, come spieghi ke io ho + consensi di te? Come spieghi ke ci sono molto più blog pro ana ke nn blog come il tuo? Come spieghi ke il mio blog viene letto e commentato molto + del tuo? …Forse xkè nn hai tutta la ragione ke credi.”</i><br />
<br />
Ora, non so come la pensiate voi, ma a me pare abbastanza evidente che si tratti di una palese provocazione. E di fronte alle provocazioni, in genere, si aprono 2 scuole di pensiero: da una parte c’è chi suggerisce di ignorarle di sana pianta affinché la persona provocatrice si cuocia da sola nel suo brodo, dall’altra c’è chi dice di rispondere al fuoco col fuoco per non lasciare la provocazione impunita e tenere testa a quella persona facendole abbassare la cresta. Non nego che ambedue le possibilità abbiano un senso logico, e non nego che, quando ho finito di leggere quel commento, avevo già deciso quale delle 2 strade imboccare. Tuttavia, mentre stavo per partire per la mia tangente, mi è tornata in mente una cosa: mi è tornato in mente quando, durante il mio primo periodo di tirocinio in Pronto Soccorso, quando il Dr. Tommaso B. era ancora il mio tutor, c’era un’infermiera che era veramente intollerabile. Innumerevoli volte sono stata sul punto di produrmi in sclerate magistrali di fronte a suddetta infermiera, ed altrettante volte Tommaso mi ha fermata semplicemente dicendomi: “Vincila in gentilezza”. Ecco, queste sue parole mi sono tornate in mente anche ieri, quando ho letto il commento in questione. Mi tornano in mente anche adesso, ed io mi fido al 100% di Tommaso. Per cui, ecco quello che voglio fare: vincere in gentilezza. Non voglio ignorare la provocazione come niente fosse, perché dedico risposte a chiunque commenti sul mio blog, favorevolmente o meno. Ma non voglio neanche ribattere alla provocazione con altra provocazione, perché mi sembra un comportamento infantile e fine a se stesso, che mi pone allo stesso – infimo – livello di chi ha lasciato un commento del genere. Però, voglio vincere in gentilezza: ecco perché voglio dare a questo commento marcatamente provocatorio una risposta seria.<br />
<span style="font-size: x-small;">(Don’t worry, ragazze, l’ironia non mancherà comunque…) </span><br />
<br />
E dunque, mia cara anonima Pro Ana, eccomi qua a rispondere al tuo commento.<br />
Mi chiedi perché il tuo blog attira più lettrici rispetto al mio, e perché ottieni molti più consensi di me.
Per poter rispondere, a te e alle mie <i>scarsissime</i> lettrici, a questa domanda, ho bisogno di un esempio.
Vi ricordate il Caso Stamina? Davide Vannoni propagandava un metodo di cura per la malattie neurodegenerative, che diceva essere basato sulla conversione delle cellule staminali mesenchimali in neuroni. Il caso è arrivato (dopo tanto, troppo tempo) ad un processo, che ha concluso che questo psicologo della comunicazione, che tanto si vantava del suo metodo miracoloso che avrebbe salvato vite umane – ma che si rifiutava di pubblicare, nota bene – era in realtà un mero truffatore. Prima di arrivare a questa sentenza, tuttavia, c’è stato un lungo periodo di incertezza, con cui i mass media sono andati a nozze, e che ha visto l’opinione pubblica spaccarsi in due: soprattutto il Web era pieno di sostenitori del Metodo Stamina, mentre la contraria opinione scientifica (su una problematica medica, eh, non sulla letteratura del Rinascimento!) faceva fatica ad affermarsi, stile “siamo riprecipitati nel Medioevo”.<br />
<br />
Ecco, questo esempio ricalca perfettamente quella che è la contrapposizione tra il mio blog e i blog Pro Ana: mia cara commentatrice Pro Ana, il morivo per cui il tuo blog riceve più visualizzazioni e più consensi del mio, è meramente perché il tuo blog è ricco di pathos, di scritti sensazionalistici, di thispo allucinanti, di fantasiosi resoconti sulla tua alimentazione e sul tuo peso, mentre il mio si limita ad essere una raccolta di consigli di auto-aiuto per combattere contro l’anoressia, e un piccolo compendio di studi scientifici esposti in maniera semplificata su vari aspetti dei DCA. Detto in maniera più terra-terra: il tuo blog è pieno di BALLE ROBOANTI, mentre sul mio blog viene scritta la ben più MODESTA VERITA’.<br />
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<span style="font-size: x-small;">[A seguire, lungo pippone sul perché su Internet le balle proliferano a sfare, e sul perché la verità non ce la può fare: vi ho avvertite, siete ancora in tempo a cliccare la “X” rossa in alto a destra.] </span><br />
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Di fronte ad un commento come quello succitato, mi sono posta qualche interrogativo: perché nel Web è così difficile parlare dei DCA in modo serio, e le bufale scritte dalle Pro Ana sembrano avere un inspiegabile successo? La gente ha svenduto neuroni ultimamente, o si faceva prendere per i fondelli così facilmente anche prima? Come mai la gente si lascia abbindolare da un metodo fumoso e approssimativo come quello Stamina, o da una lista di consigli “per diventare anoressica”? Perché leggono cose del tutto aleatorie e discutibilissime, su un blog a caso scritto da una sconosciuta, e ci credono al volo? Cos’è, un incantesimo?<br />
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Okay, andiamo con ordine. E dunque, consideriamo in primis la problematica del contesto.<br />
Il contesto medico/scientifico consta di una sorta di competizione tra colleghi ricercatori, che fanno a gara a che fa per primo la migliore scoperta. In questo tipo di sfida non devi <i><b>apparire</b></i> intelligente, ma devi <i><b>esserlo veramente</b></i>, mettendo in campo argomentazioni che resistano alla prova dei fatti, poiché questi verranno incontrovertibilmente messi alla prova da tutti i tuoi colleghi. Se propagandi in maniera sensazionalistica e fumosa argomentazioni che possono essere smontate con dati di fatto, sarai destinato alla sconfitta, e potrai dire ciao-ciao alla tua carriera. Detto meccanismo serve tuttavia per far confrontare tra di loro i ricercatori, e determina una selezione naturale in cui le teorie più fallaci soccombono, mentre le teorie dimostrabili vincono.<br />
Spostiamoci adesso in altro contesto: il bar. Al bar non occorre dimostrare niente di serio: le ipotesi strillate di fronte a cappuccino e cornetto alla marmellata non sono destinate a riviste specialistiche, e non aiutano a far carriera. La competizione rappresenta dunque solo uno sfogo, un modo per gasarsi di fronte ai presenti. In una sfida da bar vince chi riesce meglio ad <i><b>apparire</b></i> intelligente, chi simula meglio conoscenze che non ha. Tragico? No, ci mancherebbe. Che importanza ha se al bar una cricca di italiani medi sputano sentenze su tematiche di cui non hanno competenze? Il nostro è un Paese libero, per cui chiunque è liberissimo di dire ogni qualsiasi cagata gli passi per la testa, perché rimane a livello di chiacchiera.<br />
<br />
In passato, i ricercatori scientifici e i frequentatori di bar rappresentavano 2 mondi a sé stanti: la caciara dei bar non si mescolava in alcun modo con un serio confronto tra varie ipotesi scientifiche destinate alla pubblicazione e alla divulgazione. Da nessun bar è mai uscita alcuna pubblicazione scritta in stampatello, con le “K” al posto del “CH” e gli errori ortografici. Poi però è arrivato Internet, che ha cambiato le carte in tavola. Il Web permette un’ampissima condivisione delle informazioni, chiunque può leggere qualsiasi cosa, chiunque può scrivere, condividere, commentare ed esprimere giudizi. Giudizi – e qui sta il problema – scritti.<br />
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Le balle, le balle scritte sui blog Pro Ana nella fattispecie, e i commenti a sostegno delle balle, sul Web sono scritti, non più orali come le ciance da bar. Di conseguenza, subiscono il fascino delle cose scritte: anche se sono emerite cazzabubbole, come una serie di consigli per vomitare o per non mangiare, hanno l’apparenza di cose serie, hanno tutto il carisma del Verbo (sì, pur essendo atea lo intendo stavolta in senso biblico: la Parola scritta). Su Internet ogni qualsiasi opinione, poiché scritta, ha la pretesa di essere seria come nel contesto scientifico, anche se la modalità espressiva è quella del bar: niente carriere da perseguire, per cui basta <b><i>apparire</i></b> intelligenti, tanto chi mai redigerà un saggio con le tue sclerate su blogger?
Quando si va nel mondo virtuale, quello che conta è vincere, riuscire ad avere l’ultima parola, e a volte anche le parolacce e le offese (spesso e volentieri coperte dall’anonimato) sono d’aiuto: se ti trovi in difficoltà e ti metti ad infamare l’altra persona, magari quella si allontana disgustata, e tu vinci. D’altronde, non stiamo mica a Stanford: questa è l’arena di Internet.<br />
<br />
Inoltre, chiunque tenga un blog Pro Ana si sente investita dall’incarico di scrivere post – e un post è come un articolo, sembra sempre ufficiale e serio – utilizzando una miriade di enfasi (MI TENGO SOTTO LE 700 KCAL AL GIORNO! SONO RIUSCITA A VOMITARE! MIA MAMMA MI CONTROLLAVA MA IO L’HO FREGATA! HO PERSO ALTRI 2 KG!) e focalizzandosi tantissimo sull’emozione. Tutto ciò dovrebbe già iniziare a far suonare un campanello d’allarme: una balla che punta sull’emotività riduce le difese del raziocinio, produce trasporto emotivo, fa perdere il lume della ragione. Un medico, un ricercatore, uno scienziato, quando lavorano, non devono emozionarsi: se cedono all’emozione, e pensano di avere tra le mani la verità senza averla testata più e più volte, potrebbero perdere nella competizione tra intelligenti e rigorosi, con tanti cari saluti alla carriera. Se io scrivo un post su come l’anoressia può svilupparsi in donne non vedenti, o sulla multifattorialità causale dell’anoressia, occorre che lo faccia citando fonti ben precise e rintracciabili, altrimenti il mio blog perde di credibilità, e tutto quello che scrivo può essere opinabile. Quando si scende nel campo dell’opinabilità, diventa giusto tutto e il contrario di tutto, per cui in tale campo chiunque venga a dirmi che l’anoressia è la malattia delle ragazzine sceme che vogliono fare le modelle potrebbe pure avere ragione. Ecco perché ho scelto di impostare il mio blog diversamente, aiutandomi con fonti scientifiche nella redazione dei miei post, anche se questo può risultare pesante o noioso.<br />
<br />
L’utente-media che razzola su un blog Pro Ana, altresì, utilizza infondate informazioni come fossero oro colato: ecco che viene coinvolta in una sorta di caccia al tesoro, in cui ci si aggrappa a quella che viene vista come la verità più gustosa, e in cui si cerca di dimostrare con ogni mezzo (diari alimentari, consigli per vomitare, lettere di Ana e di Mia, 10 comandamenti Pro Ana, etc…) che quella verità è migliore delle altre. È chiaro che in un blog del genere la verità non può vincere facile, perché non è sensazionalistica né performante, nel momento in cui ci si trova immersa in un contesto di balle emozionanti e gasanti.<br />
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Un articolo dettagliato sui ricercatori che hanno preso un premio Nobel per aver studiato i neuroni che si occupano dell’orientamento è spesso difficile e noioso, e se viene pubblicato su blogger non riceverà molti commenti, così come non riceverà molti “<i>Mi piace</i>” se pubblicato su FaceBook. Tuttavia, un articolo su 5 persone morte dopo essersi fatte il vaccino anti-influenzale, manderà tutti in fibrillazione, verrà letto millemila volte, e condiviso nonché commentato altrettante.<br />
<br />
Inoltre, i blog Pro Ana lanciano i loro post con titoli roboanti e fotografie allucinanti: ecco che la cosa funziona ancora meglio, perché c’è ancor più emozione immediata, si riesce meglio ad attirare l’attenzione, si catturano più lettrici fogate e possedute dal demonio digitale che commentano in maniera acefala e impulsiva, condividono, e danno così un’apparente autorevolezza ad ogni post.<br />
<br />
In questo modo, tutto si mescola: quando, in passato, Internet non era granché diffuso, e la divulgazione andava per la maggiore tra le aule dell’Università e i laboratori di ricerca, per le balle era difficile affermarsi: arrivavano alla frontiera e venivano fermate e perquisite. Forse il sapere era nelle mani di un numero più ridotto di persone, ma senz’altro era tutto molto più verificato. Attualmente, invece, su Internet si trova di tutto, qualsiasi cosa si voglia sapere è a portata di click, tuttavia così facendo si innesca una tipologia di competizione che porta al prevalere dei contenuti più emotivamente coinvolgenti, non di quelli effettivamente seri e verificati.<br />
L’autorevolezza (nota bene: autorevolezza – NON autorità! – che si guadagna sul campo, e NON viene imposta) che consegue al titolo di studio conseguito, e alla propria competenza professionale, su Internet conta poco e nulla, in quanto i criteri per vincere la competizione su Internet sono differenti.<br />
<br />
Un blog Pro Ana non è altro che libera divulgazione di materiale non verificato, e per di più in mano a persone non competenti, destinato a un pubblico di persone altrettanto non competenti, che alla fin fine vogliono solo essere intrattenute per cercare di dimenticare i veri problemi che hanno nella vita quotidiana ma che non riescono altresì ad affrontare: questo mix determina un successo quasi sicuro per ogni qualsiasi balla roboante. Matematico.<br />
<br />
Del resto, il successo delle balle non è proprio solo dei blog Pro Ana, ma è comune al Web più in generale, e non è eliminabile, altrimenti ci sarebbe un controllo ed una censura dei contenuti. Certo, si potrebbe comunque scegliere di selezionare i contenuti, oscurando i siti Pro Ana ed altri che propinano altrettante balle, ma in fin dei conti chiunque si dichiarerebbe contrario ad una selezione così stretta: il Web è una sorta di Isola Che Non C’è, e piace perché libero ed anarchico. Se vogliamo una totale libertà d’espressione, dobbiamo anche essere consapevoli che in essa sono comprese la disinformazione e gli strafalcioni.<br />
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Per inciso, ho letto circa un mesetto fa un articolo in cui c’era scritto che FaceBook aveva intenzione di inserire un “tasto anti-bufale”. Io non sono registrata a FaceBook, quindi non so se questa cosa sia stata resa operativa o meno ma, in ogni caso, ho i miei seri dubbi sul fatto che una trovata del genere possa funzionare. Immaginate un post scritto da una ragazza che si definisce Pro Ana che riceve delle segnalazioni come bufala: all’autrice basterà sostenere che chi l’ha segnalato non capisce il suo “stile di vita”, è invidiosa della sua magrezza ed è in combutta con quella fazione di blogger rompicoglioni che dicono di essere Pro Recovery, farà la parte della vittima, susciterà un sacco di clamore, e via dicendo. Discussioni no limits, visite per il suo blog a palla, e così le balle non avranno problemi a passare la frontiera.<br />
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In conclusione, mia cara anonima Pro Ana: è vero, il tuo blog viene più letto e commentato del mio perché delle balle scritte con pathos fanno più figura della verità semplice. Ma il numero di lettrici – ergo di commenti – niente dice in merito alla qualità, e men che meno alla veridicità e alla ragione, di ciò che viene scritto: il fatto che anche millemila persone possano credere ad un mucchio di balle, questo non le trasforma in alcun modo in verità. E se anche millemila persone affermano una cosa stupida, quella cosa non smette comunque di essere stupida.<br />
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Nella lotta per il numero di visualizzazioni del proprio blog su Internet, le balle hanno terra fertile ed artiglieria pesante. Per i partigiani della verità e della serietà scientifica, invece, c’è solo una malconcia trincea e una decina di carabine arrugginite. Rinforzi? Neanche l’ombra… Perciò, ragazze: tutte voi che leggete/commentate il mio blog, e sapete ancora distinguere il divario che corre tra questo e un blog Pro Ana… tenete duro, e mirate bene.
Veggiehttp://www.blogger.com/profile/11990381810503033018noreply@blogger.com63tag:blogger.com,1999:blog-6464611321986605023.post-26557044162851235952015-02-06T16:33:00.000+01:002015-02-06T16:40:03.181+01:00Il difficile è fare le cose semplici: La complessità dell'anoressiaChi legge il mio blog da un bel po' di tempo saprà che non ho mai scritto un post in cui elenco le cause, la natura, le esperienze e le terapie dei DCA, poichè in effetti non ho alcuna certezza a tal proposito. Tuttavia, se c'è una cosa di cui sono assolutamente sicura a proposito dei DCA è che sono delle malattie terribilmente complesse e multisfaccettate senza soluzioni univoche che possano andar bene per tutte. Per cui, ho molto apprezzato <a href="http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/22287383#_blank">questo studio scientifico</a> scritto da Michael Strober e Craig Johnson, che mira ad esplorare la complessità dei DCA e del loro trattamento terapeutico.<br />
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Per scrivere l'articolo sono stati utilizzati case report, letteratura, e l'esperienza clinica degli autori stessi, al fine di rispondere al alcune delle controversie che circondano l'anoressia ed il suo trattamento terapeutico. Di tutte le controversie esistenti su questo DCA, si sono focalizzati su 2 in particolare.<br />
<br />
<b>1 - Cause genetiche/biologiche (Malattie mentali su base biologica) dell'anoressia? </b><br />
<b>2 - Terapia familiare come migliore forma di trattamento per le pazienti adolescenti? </b><br />
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Nell'analizzare questi 2 punti, gli autori hanno posto una fondamentale premessa: concentrarsi sulle singole spiegazioni e soluzioni terapeutiche per l'anoressia, oscura la complessità di questa patologia, e di conseguenza tutto il processo e tutte le possibili soluzioni terapeutiche necessarie per trattarla in maniera efficace. Di questa complessità occorre tenere conto, perchè è fondamentale per capire che l'approccio terapeutico più adatto varia da persona a persona. Dopo aver contestualizzato ed approfondito le tematiche trattate, Stober e Johnson concludono l'articolo suggerendo dei punti di riferimento per il trattamento terapeutico dell'anoressia.
<b> </b><br />
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<b>Controversie come catalizzatori di conversazione</b><br />
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Lungi dal suggerire che le controversie che emergono in merito ai DCA in generale e all'anoressia in particolare debbano essere evitate, gli autori sottolineano che i punti di disaccordo e le discussioni in merito all'eziologia e al trattamento di queste patologie sono servite a mettere in luce aree su cui indagare per imparare qualcosa di nuovo su queste patologie.<br />
<br />
Soprattutto, gli autori sottolineano che non sono necessariamente in disaccordo con la recente focalizzazione sugli eventuali aspetti genetici/biologici dei DCA e con la psicoterapia familiare, dicono semplicemente che è necessario ampliare le vedute riducendo l'importanza di questi 2 punti, per lasciare spazio anche ad altro.<br />
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Come forse molte di voi sapranno, ultimamente sono stati avviati diversi studi che cercano di correlare la comparsa dell'anoressia all'azione di fattori genetici/biologici. Io non dico che questo sia sbagliato, però mi sembra <i>estremamente limitativo</i>: trattare l'anoressia da un punto di vista gene-centrico mi sembra possa portare, al di là di tutto, alla conclusione che una volta che si è recuperato il peso perso, la psicoterapia è inutile perchè tanto è un problema di DNA.<br />
<br />
Inoltre, poichè è noto il fatto che la psicoterapia funziona meglio quando si recupera peso, alcuni psicoterapeuti sono dell'idea che non sia opportuno iniziare il lavoro psicologico, fino a che il peso perso non è stato recuperato. Viceversa, gli autori di quest'articolo (ed io li quoto in pieno) sostengono che per fare psicoterapia non c'è bisogno di aspettare il recupero ponderale.
<b> </b><br />
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<b>Reificazione della genetica</b><br />
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Mentre nella maggior parte dei trials clinici si fa riferimento a dei gold standard presenti in ogni campo cientifico, la rilevanza dei trials randomizzati controllati e degli studi genetici può risultare, come gli autori suggeriscono, in una “reificazione” dei risultati di questi studi. Anche se vi possono essere forti evidenze a favore di un determinato tipo di trattamento, ciò non significa che quel trattamento vada bene sempre, comunque e per tutte le persone affette da anoressia.
Come Strober e Johnson fanno notare, rimangono comunque numerose questioni aperte, compresa quella del perchè uno stesso trattamento terapeutico non è ugualmente efficace su tutte le persone, e perchè non sempre la pratica clinica si basa sulle evidenze scientifiche.
<b> </b><br />
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<b>Cause genetiche/biologiche rivistate</b><br />
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Come gli autori suggeriscono, non c'è una specifica evidenza che vi sia un'ereditarietà diretta per l'anoressia. Io non sono certo una genetista nè una neurobiologa, ma effettivamente non riesco a vedere una grande connessione tra malattie genetiche ed anoressia. La maggior incidenza di casi all'interno di una stessa famiglia, la imputo a cause comportamentali piuttosto che genetiche.<br />
<br />
Gli autori dello studio danno pertanto dei suggerimenti su come la genetica potrebbe essere, ma solo trasversalmente, implicata nello sviluppo dell'anoressia:<br />
<br />
• I geni e l'ambiente che ci circonda sono correlati, tuttavia nessuno di essi singolarmente è in grado di spiegare nè di causare un DCA<br />
• Persone con una predisposizione all'anoressia possono essere esposte a particolari circostanze di vita e determinano l'espressione di quelle caratteristiche alle quali sono predisposte<br />
• La genetica e l'ambiente che ci circonda possono incidere contemporaneamente o separatamente in diversi momenti della vita di un individuo<br />
• I circuiti neuronali si plasmano e si adattano sulla base dell'ambiente che circonda il soggetto<br />
• Lo stress può essere catalizzatore di variazioni neurochimiche che modulano cambiamenti di diverse aree cerebrali e condizionano il comportamento<br />
• Uno stress ambientale porta ad iper-sensibilità delle aree cerebrali implicate nella generazione della paura, d'altro canto queste stesse strutture possono essere riportate alla norma agendo sull'ambiente stesso<br />
• Il carattere e l'ambiente in cui un individuo vive influenzano significativamente il suo comportamento<br />
<br />
La discussione degli autori in merito all'interazione tra geni ed ambiente è dettagliata e intrigante; e mi è piaciuto il fatto che fattori ambientali sia positivi che negativi siano stati indicati come possibili concause dell'anoressia, poichè troppo spesso ci si concentra solo sui fattori ambientali negativi, e si tende a tralasciare l'effetto di quelli positivi.<br />
<br />
In breve, Strober e Johnson argomentano il fatto che i medici (e le persone più in generale) debbano prendere in considerazione come minimo 3 fattori diversi per cercare di comprendere l'anoressia:<br />
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• Fattori biologici<br />
• Fattori ambientali<br />
• Personalità e contesto vitale dell'individuo<br />
<br />
Senza riuscire a comprendere questi 3 fattori, è veramente difficile trovare un trattamento efficace per l'anoressia. Come illustrano anche i casi clinici studiati in questo articolo “<i>i sintomi delle malattie psichiche non esistono in un vuoto impersonale</i>”, e far riferimento solo a spiegazioni genetico-biologiche è insufficiente a fornire soluzioni che possano essere valide per chi soffre e per i familiari.
<b> </b><br />
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<b>Esperienza, competenza e complessità</b><br />
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Un altro elemento centrale di questo articolo è la focalizzazione sull'importanza di una corretta istruzione teorico-pratica per i medici che avranno a che fare con queste patologie così complesse. Gli autori si lanciano in una disquisizione sulle strategie implicate nella determinazione dell'approccio terapeutico più appropriato per la singola persona affetta da anoressia. Sottolineano come i medici debbano diventare più consapevoli delle loro pecche nel comprendere e nel trattare l'anoressia, tanto quanto la scienza li sottende.<br />
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Le stesse pazienti ed i loro familiari devono essere informati (presumibilmente dal team terapeutico) della multifattorialità della patogenesi dell'anoressia: questo è un suggerimento che ho particolarmente apprezzato, perchè mi sembra che troppo spesso i genitori si auto-accusino della genesi dell'anoressia nelle loro figlie, quando magari il loro ruolo è più o meno marginale, e la loro comprensione sull'anoressia molto parziale.<br />
<br />
Comprendere che l'anoressia è una malattia a patogenesi multifattoriale non significa che in tutti i casi la famiglia c'entri meno di meno zero nella comparsa di questa patologia, ma significa che il suo ruolo non è così centrale come per molto tempo varie teorie psicologiche hanno detto fosse, e che dunque è necessario concentrare maggiormente il lavoro psicoterapeutico sul singolo individuo, che non sulla sua famiglia.
<b> </b><br />
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<b>Stabilire punti di riferimento</b><br />
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Ovviamente, data la grande complessità dell'anoressia, non è facile determinare dei punti di riferimento durante il corso del trattamento terapeutico.<br />
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Gli autori dell'articolo pertanto sottolineano una serie di punti da prendere in considerazione:<br />
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• Sintomi lievi che persistono nonostante tentativi terapeutici non devono essere ignorati o sottovalutati.<br />
• La salute fisica e quella mentale sono strettamente correlate: la lucidità di una ragazza affetta da anoressia, e dunque la possibilità di trarre giovamento dalla psicoterapia, aumenta in maniera direttamente proporzionale al recupero del peso perso.<br />
• Una singola strategia terapeutica applicata su un vasto numero di pazienti dà generalmente risultati insoddisfacenti, poichè ogni singola persona risponde bene ad uno specifico tipo di terapia.<br />
• L'inesperienza stessa degli psicoterapeuti, o i preconcetti che essi stessi hanno sull'anoressia possono avere effetti estremamente negativi sul percorso di ricovero di una paziente.<br />
• Più a lungo l'anoressia persiste, peggiore è il suo impatto sulla salute psicofisica delle pazienti.<br />
<br />
Mentre dei punti di riferimento possono essere utili in termini di decidere se una ragazza debba essere ricoverata in clinica o meno, e su quale tipologia di percorso terapeutico seguire, senza un team medico che abbia adeguata esperienza nel campo dei DCA e che sia in grado di comprendere quali complessi processi si giocano nell'anoressia, difficilmente un percorso di ricovero risulterà utile.<br />
<br />
Con la constatazione che i loro suggerimenti per i punti di riferimento sono una linea di massima piuttosto che soluzioni empiriche, gli autori propongono diversi scenari e punti di riferimento. Questi punti di riferimento sono per lo più centrati sul tipo di DCA, e variano sulla base dell'età e del decorso della patologia.<br />
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Non voglio annoiarvi ulteriormente mettendomi ad illustrare singolarmente i vari punti di riferimento: se siete interessate, vi raccomando caldamente di leggere l'articolo per intero.<br />
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<b>Implicazioni</b><br />
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A mio avviso, quest'articolo fa un lavoro eccellente nell'illustrare la complessità dell'anoressia. I suggerimenti dati da Strober e Johnson sottolineano quanto sia importante essere a conoscenza di questa complessità, e quanto sia altrettanto fondamentale essere ben informati, e ben coordinati nel trattamento di un DCA.<br />
<br />
Inoltre gli autori fanno anche notare come il trattamento più adatto per un DCA non sia generalizzabile, ma variabile da persona a persona, e come in momenti differenti del percorso della strada del ricovero si possa aver bisogno anche di strategie terapeutiche diverse. Inoltre, gli autori fanno notare come non tutti i medici siano ugualmente competenti nel trattare i DCA e quanto sia importante pertanto non arrendersi se si incappa in psicoterapeuti non propriamente centrati, ma continuare a cercare fino a che non si trovano persone realmente competenti ed in grado di darci una mano concretamente.<br />
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Infine, gli autori a mio parere fanno un ottimo lavoro anche nel sottolineare le incredibili battaglie che giorno dopo giorno si trova ad affrontare chi ha un DCA, ed anche i familiari. Mi piace molto vedere come questi 2 autori si prendano a cuore la tematica dell'anoressia nella sua totale complessità, e come il loro sguardo sia rivolto ad ampio raggio alle pazienti, alle famiglie, e ai terapeuti, perché è solo coordinando l'azione e lavorando come una squadra che si ottengono i risultati migliori. Veggiehttp://www.blogger.com/profile/11990381810503033018noreply@blogger.com11tag:blogger.com,1999:blog-6464611321986605023.post-21790240445504971552015-01-30T17:10:00.000+01:002015-01-30T17:21:13.190+01:00L'esposizione alle foto di modelle eccessivamente magre può causare DCA? - Anoressia e Bulimia in donne ciecheCome molte di voi sicuramente sapranno, la rivista Vouge conduce da tempo una campagna contro le modelle “troppo magre” (e “troppo giovani”). Questo potrebbe sembrare un passo nella giusta direzione, no, un grande passo nella giusta direzione, uno di quelli che merita un applauso, uno strenuo tentativo di ridurre la prevalenza dell'anoressia, giusto? La logica della stragrande maggioranza degli articoli di Vouge, implicita od esplicita che sia, sembra essere: niente più modelle magrissime = niente più ragazzine che aspirano a diventare come quelle modelle magrissime = niente più anoressia.<br />
<br />
La salute delle modelle e dei modelli è salita alla ribalta dei Mass Media da quando, negli anni passati, nel mondo della moda ci sono stati alcuni decessi di modelle che sono stati attribuiti all'anoressia. Precisato che, in realtà, non si muore propriamente di anoressia, ma semmai delle conseguenze dell'anoressia, occorre notare che Vouge ha bersagliato non solo le modelle eccessivamente magre, ma anche l'impatto che queste avrebbero potuto avere sulle giovani menti di ragazzine poste di fronte ad immagini di fisici che erano ben lontani dall'essere in salute.<br />
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I 19 editori di Vouge sparsi per tutto il mondo si sono allora organizzati per mettere in piedi un progetto mirante a proteggere l'immagine di modelle sane. Si sono trovati tutti quanti d'accordo nel “<i>non far lavorare modelle di età inferiore ai 16 anni o che sembrano visivamente malate di DCA. […] Vouge crede che la salute sia bellezza. Gli editori di Vouge vogliono che la loro rivista rifletta la loro dedizione verso la salute delle modelle che appaiono nelle loro pagine. […] Gli organizzatori delle sfilate di moda in Italia e in Spagna proibiranno di fare passerelle alle modelle che scenderanno sotto un certo valore di B.M.I.</i>”
<span style="font-size: x-small;">(mia traduzione) </span><br />
<br />
Non so voi, ma a me queste parole sembrano tanto quelle di quei predicatori di strada che incitano a gran voce la gente ad unirsi al proprio movimento religioso... ma vabbè. Però ho quantomeno alcune domande e alcune riflessioni.
<b> </b><br />
<br />
<b>Cosa significa esattamente “sembrare visivamente malate di DCA”?</b> Le persone affette da bulimia, per definizione del DSM, sono tendenzialmente normopeso o sovrappeso: il che non significa che non abbiano comunque un DCA. Per converso, essere fisicamente magre non significa necessariamente avere un DCA.<br />
<br />
<b>Avere un B.M.I. sopra o sotto un certo valore, non è un marker di “buona salute”.</b> E questo non lo dico io, ma è dimostrato in <a href="http://blogs.plos.org/obesitypanacea/2012/02/10/why-the-body-mass-index-bmi-is-a-poor-measure-of-your-health/">questo studio</a>. Per chi non avesse voglia di leggerlo, in breve, l'indice B.M.I. non ha una derivazione prettamente scientifica, e non ha alcun valore se applicato su base individuale: serve solo come misura di massima collettiva, per il singolo è opportuno considerare il Set-Point di peso corporeo individuale.
<b> </b><br />
<br />
<b>Infine, il discorso fatto da Vouge perpetua il falso luogo comune che guardare le immagini di modelle eccessivamente magre per molto tempo possa portare a sviluppare un DCA.</b> <i>Non è vero.</i> Okay, gli articoli di Vouge non lo dicono esplicitamente, però mettono sempre in relazione la comparsa di DCA nelle ragazzine particolarmente sensibili ed influenzabili con le modelle eccessivamente magre. Io non credo che guardare quelle immagini, per quanto a lungo, possa causare un DCA, altrimenti visto che quelle immagini sono sotto gli occhi di tutti, se ci fosse effettivamente una relazione di causa-effetto, chiunque avrebbe un DCA. Vedere immagini del genere può influenzate l'idea sul proprio corpo di una qualsiasi donna? È possibile. Ma da qui allo scatenare un DCA, ne corre di acqua sotto i ponti! Ergo, ribadisco che io sono dell'idea che le immagini di modelle eccessivamente magre non influenzi l'insorgenza dell'anoressia.<br />
<br />
Okay, adesso qualcuna di voi mi potrà dire: va bene, Veggie, ma queste sono solo tue riflessioni e supposizioni, che non hanno alcuna validità scientifica. Vero. Ed è per questo che oggi voglio portarvi la scientifica dimostrazione che il postulato “<i>l'anoressia è causata dalla società odierna, con la sua ossessione per la magrezza, e con la promozione di immagini di modelle eccessivamente magre</i>” è <b>FALSO</b>.<br />
<br />
Premessa su cui mi baso: <b>se fosse vero che il vedere le immagini di modelle eccessivamente magre causa l'anoressia, allora le donne cieche, soprattutto quelle cieche dalla nascita, sono immuni all'anoressia</b>.<br />
<br />
Per dimostrare la mia teoria ho raccolto alcuni case report che parlano di DCA in pazienti cieche. Sfortunatamente diversi di questi non solo molto recenti, perchè penso sarebbe stato interessante avere anche della letteratura più aggiornata. Inoltre, peso che i Mass Media non abbiano mai parlato di queste cose (sebbene non lo possa dire con assoluta certezza, poichè non ho seguito ogni qualsiasi programma televisivo relativo ai DCA). Io citerò solo alcuni di questi case report, ma considerate che ce ne sono molti altri.<br />
<br />
<b>***</b>Attenzione: Come d'abitudine nel mio blog, ho tolto dai case report di cui vi sto per parlare ogni qualsiasi dato numerico, MA alcuni dei contenuti di questi case report potrebbero comunque rappresentare un trigger, soprattutto per chi ha problemi di autolesionismo.<b>***
</b><br />
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<b>Case Report 1: Una donna 27enne cieca affetta da Anoressia Nervosa (Yager, 1986) </b><br />
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<b>Background</b><br />
"<i>Divenuta completamente cieca all'età di 2 anni, ha attraversato un'infanzia molto travagliata: è stata vittima di bullismo in ambiente scolastico, ed i suoi genitori, entrambi alcoolisti, avevano una relazione difficile. Avevano divorziato quando lei aveva 6 anni, risposati dopo 4 anni, divorziato di nuovo dopo altri 10 anni. Quando ha scoperto che il padre era infedele nei confronti della madre, ha sviluppato la convinzione che “non c'era nessuno di cui potersi fidare, neanche chi dice di volerti bene”. Uno dei suoi nonni si è suicidato, e uno zio è morto per problemi di cirrosi alcool-correlati. Sua sorella maggiore aveva periodici episodi di binge. L'altra sua sorella si era allontanata dalla famiglia appena maggiorenne, ed aveva avuto dei problemi di tossicodipendenza. </i><br />
<i>A 13 anni ha avuto il menarca e si è sviluppata fisicamente. Ha vissuto molto male lo sviluppo, ed è andata rapidamente in amenorrea per una combinazione di perdita di peso e rifiuto psicologico. </i><br />
<i>A 18 anni si è iscritta al Conservatorio allontanandosi dall'insalubre ambiente domestico, ma dopo essere stata allontanata dal Conservatorio stesso senza una ragionevole spiegazione (“a causa della sua cecità gli insegnanti non riuscivano a relazionarsi a lei”), ha avuto un crollo nervoso e sviluppato una severa depressione. Ha cominciato ad avere episodi di autolesionismo molto severi, per cui si tagliava ripetutamente, sempre nelle stesse sedi, perchè aveva maturato l'idea che le ferite dovevano rimanere sempre aperte altrimenti lei sarebbe stata “una cattiva persona”. </i><br />
<i>Durante il periodo più acuto della depressione, ha iniziato anche a perdere peso (sebbene fosse sempre stata una ragazza perfettamente normopeso, e non ne avesse dunque alcun reale bisogno), ed è stata ricoverata in ospedale quando ha raggiuto i XX chili. Negli anni successivi ha avuto altri occasionali ricoveri per tentativi di suicidio. </i><br />
<i>Allo stesso tempo, le è stata diagnosticata l'anoressia: aveva un peso molto basso e non aveva alcun interesse nel recuperare i chili persi, faceva attività fisica per diverse ore quotidianamente, la sua alimentazione era molto scarsa e costituita per lo più da frutta e verdura. </i><br />
<i>Faceva frequentemente checking, e la sua percezione di se stessa era incostante: “A volte mi sentivo magra, altre no, ed era una qualcosa che cambiava da un giorno all'altro”. Era consapevole che le sue variazioni di peso erano più che altro dovute a ritenzione/perdita di liquidi, ciò nonostante non si sentiva a suo agio con se stessa. Durante il periodo acuto dell'anoressia la depressione si era attenuata, ma persistevano episodi di autolesionismo seppure più sporadici. </i><br />
<i>È stata trattata con diversi tipi di farmaci (antidepressivi, litio, etc...) e anche con 12 sessioni di ECT, senza sortire alcun effetto concreto: era rimasta ad un peso basso, e con una forma mentis caratteristica dell'anoressia</i>."
<span style="font-size: x-small;">(mia traduzione)</span><br />
<br />
La discussione di questo case report l'ho trovata piuttosto interessante. C'è infatti un altro luogo comune secondo il quale cattivi rapporti con la propria madre, o famiglie incasinate, siano importanti fattori che possono portare allo sviluppo di un DCA (il che può essere vero in questo caso di specie, ma certamente <b>NON</b> in tutti i casi di anoressia). Nessuna discussione sui Mass media sembra tuttavia mettere in primo piano questi tipi di fattori, che implicherebbero che la continua esposizione visiva all' “ideale di magrezza” non è affatto necessaria per sviluppare l'anoressia.<br />
<br />
“<i>[...] La meticolosità con cui gestiva la sua alimentazione, l'episodio di depressione, le continue discussioni dei genitori, l'autolesionismo hanno rappresentato un background di vulnerabilità per questa ragazza. La consequenziale anoressia è emersa in un periodo in cui si sentiva completamente priva di direzione e di obiettivi – nel momento in cui la sua considerazione di sè ha raggiunto il minimo dopo essere stata espulsa dal Conservatorio; l'anoressia le ha dato un'identità nel momento in cui, persa quella di musicista in erba, ne cercava disperatamente un'altra</i>.”<span style="font-size: x-small;">
(mia traduzione) </span><br />
<br />
Il perfezionismo che questa ragazza aveva in quanto studentessa del Conservatorio, la presenza di binge in una delle sorelle, e il clima in cui è cresciuta possono essere stati inoltre fattori contribuenti allo sviluppo dell'anoressia.
<b> </b><br />
<br />
<b>Case Report 2: Rita (Vandereycken, 1986) </b><br />
<br />
<b>Background</b><br />
"<i>Rita aveva dei severi problemi di vista sin dalla nascita (miopia e nistagmo congenito con una visione a distanza di 1/20 anche dopo correzione). I suoi genitori avevano il loro bel da fare a causa del padre in trattamento psicofarmacologico continuativo per depressione cronica. Rita aveva degli ottimi risultati scolastici e veniva descritta dagli insegnanti come “una ragazza molto precisa con una grande paura di fallire”. Il suo primo ricovero ospedaliero per anoressia si è realizzato all'età di 17 anni (nel 1978). </i><br />
<i>Aveva iniziato a perdere peso durante l'anno precedente, e i genitori avevano ascritto questa perdita di peso allo stress dovuto all'ingente studio cui la ragazza si sottoponeva per conseguire i suoi ottimi voti, e sul momento non vi avevano prestato particolare attenzione. Durante le vacanze estive, l'intervento del medico di famiglia aveva permesso a Rita di recuperare il peso perso... ma, apparentemente, più che altro a causa di ripetuti episodi di binge. Con l'inizio del nuovo anno scolastico, tuttavia, aveva ricominciato a perdere peso, associandovi anche alcuni episodi di vomito autoindotto. Era diventata iperattiva, ed aveva difficoltà a dormire e a studiare. La perdita di peso l'aveva costretta ad un ricovero ospedaliero</i>." <span style="font-size: x-small;">
(mia traduzione) </span><br />
<br />
Gli autori del case report si limitano a concludere dicendo che: “<i>In questo caso, sembra che l'anoressia sia stata l'espressione di un perfezionismo nato in ambito scolastico e successivamente generalizzato e portato all'estremo</i>.” (mia traduzione)<br />
<br />
Sebbene questa conclusione mi sembri un po' misera, perchè non tiene conto di tutto il background della ragazza in questione, questo case report mette comunque in luce il fatto che dietro all'anoressia c'è ben di più del voler essere magra come le modelle. In effetti, nella pressochè totalità dei casi, non ha niente a che vedere col voler fare la modella, a differenza di ciò che il luogo comune vuol far credere.
<b> </b><br />
<br />
<b>Case Report 3: Claire (Vandereyhen, 1986) </b><br />
<br />
<b>Background</b><br />
"<i>Claire era nata cieca. Era stata una bambina tranquilla, intelligente e determinata. Tuttavia, all'età di 14 anni, senza cause apparenti, aveva iniziato a restringere l'alimentazione riportando, come in tutte le iniziative che intraprendeva, un discreto successo. Era sottopeso già in partenza, per cui la perdita di peso l'aveva portata a valori estremamente bassi. </i><br />
<i>Nel momento in cui era comparsa l'amenorrea, i suoi genitori preoccupati si erano rivolti al medico di famiglia, che aveva girato la ragazza ad uno psichiatra. Claire era stata ricoverata in una clinica specializzata, ma il ricovero non aveva sortito l'effetto desiderato perchè la ragazza non era collaborativa (si definiva “sana e a suo agio con se stessa”). La perdita di peso perciò era andata avanti fino a raggiungere XX chili, e solo in quel momento Claire aveva cominciato ad aver paura che qualcosa sarebbe potuto andare storto con quel suo corpo esilissimo.
A quel punto, era stata la ragazza stessa a richiedere un ricovero. Inizialmente aveva cercato di essere quanto più autonoma possibile, ma la sua cecità non facilitava le cose, per cui durante quel ricovero non vi furono particolari miglioramenti. </i><br />
<i>Tuttavia, grazie alla costante presenza di una psicoterapeuta che la seguiva ambulatorialmente, venne fuori che la ragazza viveva malissimo il suo handicap, per cui Claire iniziò a lavorare su come poter convivere più serenamente con la propria cecità. Man mano che faceva progressi su questo fronte, anche il quadro alimentare cominciò a migliorare. Attualmente Claire ha 19 anni, e sta continuando il suo percorso di ricovero. Sta affrontando la problematica della cecità in maniera quanto più realistica possibile, ma poichè è ancora incerta in merito all'anoressia, preferisce essere ancora seguita regolarmente dalla psicoterapeuta.</i>"
<span style="font-size: x-small;">(mia traduzione) </span><br />
<br />
Quello che mi piace della discussione di questo caso clinico è che Vandereycken afferma che:<br />
<br />
“<i>L'idea che la distorsione dell'immagine corporea e che il valore sociale della magrezza siano fattori molto importanti nella comparsa dell'anoressia, parte da premesse del tutto ingiustificate. </i><br />
<br />
<i>Innanzitutto, il fatto che il vedersi più grasse di quello che si è realmente sia un tipico e patognomonico [caratteristico di una malattia] segno dell'anoressia non è mai stato dimostrato. La dismorfofobia può essere presente in alcune ragazze affette da anoressia, ma anche in persone che non hanno alcun DCA. Inoltre ci sono donne affette da anoressia che non presentano dismorfofobia. Poichè la presenza di dismorfofobia non è costante nelle malate di anoressia, e può esserci anche in chi non ha un DCA, la distorsione dell'immagine corporea dovrebbe essere tolta dai criteri diagnostici dell'anoressia nervosa. </i><br />
<br />
<i>Inoltre c'è un altro errore che viene fatto: il considerare equiparate immagine corporea ed estimazione corporea. Tutti gli studi sperimentali che sono stat finora condotti sull'anoressia nervosa, fanno per lo più riferimento ad una percezione esterna o visiva (eserocezione) del proprio corpo o della propria fisicità, ma non tengono conto d altri importantissimi fattori quali interocezione, propriocezione e cognizione. <b>Quando una ragazza affetta da anoressia dice di “sentirsi non abbastanza magra” anche se è emaciata, stiamo parlando di un qualcosa che è molto più complesso del semplice malgiudicare la propria fisicità</b>. </i><br />
<br />
<i>Un'altra <b>falsa premessa è relativa al fatto che si considerano le alterazioni della percezione dell'immagine corporea come un fattore eziologico dell'anoressia: in realtà, questi fenomeni sono più che altro secondari, </b>come conseguenza dell'ipoalimentazione.
</i><br />
<br />
<i><b>E' ugualmente semplicistico l'assunto che l'influenza della società odierna, con la sopravvalutazione della magrezza, causa l'anoressia e la bulimia</b>: la società e la sua influenza sul singolo individuo non sono un assoluto, bensì sono ampiamente mediate dal carattere dell'individuo, dalla sua psicologia, dalle sue esperienza di vita, dal contesto in cui vive. Per cui è impossibile affermare che un determinato fattore ha lo stesso effetto su ogni qualsiasi persona, ed è di fatto impossibile predire quale sarà la sua reale incidenza sul singolo.
<b> </b></i><br />
<br />
<b><i>L'anoressia è una malattia che può essere compresa solo mediante un approccio multidisciplinare e multidimensionale. La malattia in sè è solo l'espressione finale di numerosissime strade diverse da loro, che si compongono di individuali fattori predisponenti, precipitanti e perpetuanti</i>.</b>”
<span style="font-size: x-small;">(mia traduzione) </span><br />
<br />
Io non posso che quotare in pieno tutto quanto affermato dall'autore dello studio. Sono perfettamente d'accordo sul fatto che l'eventuale dismorfofobia non è una causa bensì una possibile conseguenza dell'anoressia.<br />
<br />
Personalmente, fortunatamente non ho mai sofferto di dismorfofobia. Non mi sono mai vista grassa, e non ho mai voluto perdere peso semplicemente perchè volevo dimagrire. Però inizialmente, quando ho iniziato il mio primo percorso di ricovero, volevo conservare quella magrezza patologica semplicemente perchè mi sembrava la dimostrazione tangibile del mio controllo. Tuttavia, continuando il mio percorso, mi appariva chiaro che io non volevo stare male, volevo tornare al mio set-point di peso corporeo. Volevo poter vivere tranquillamente la mia vita. Ma per arrivare a questo dovevo lasciare che fosse la dietista a dirmi cosa e quanto mangiare, e io questo inizialmente ho faticato ad accettarlo non tanto per l'aumento di peso in sè, bensì fondamentalmente perchè questo per me indicava che non avevo più io il controllo.<br />
<br />
Tuttavia la mia percezione della mia fisicità (come sentivo il mio corpo, come mi vedevo allo specchio, l'accuratezza della mia auto-percezione) è sempre stata attendibile e fedele alla realtà. Non mi sono mai “sentita grassa”, e non ho mai voluto peculiarmente perdere peso.
<b> </b><br />
<br />
<b>Case Report 4: Cecità e Bulimia (Fernandez-Aranda, 2006)</b><br />
<br />
Questo case report è relativo a diagnosi e trattamento di un caso di bulimia nervosa in una donna spagnola 47enne cieca. Questo caso presenta come caratteristiche fondamentali l'esordio in tarda età del DCA, l'alternanza di episodi di restrizione alimentare, episodi di binge, e conseguente vomito aiuto-indotto, e gravi difficoltà ad arginare i momenti di stress. Fin dall'inizio si evince che l'immagine corporea per questa donna non era essenziale.<br />
<br />
"<i>Sin dall'età di 43 anni (età d'esordio del DCA) la paziente descriveva la presenza di episodi di abbuffate seguite da vomito auto-indotto, scatenanti ed incrementati da fattori di stress psicosociali. Inoltre la donna riferisca la costante presenza di sintomi ansiosi e depressivi. Durante gli ultimi 4 anni, a causa del DCA la paziente aveva preso più di XX chili. Prima del DCA il peso della paziente si collocava nella fascia più bassa del normopeso, e la donna non aveva mai mostrato alterazioni dell'immagine corporea nè la voglia di perdere peso</i>.”
<span style="font-size: x-small;">(mia traduzione) </span><br />
<br />
Cosa concludono Fernandez-Aranda e i suoi colleghi?<br />
<br />
“<i>In questo caso, la bulimia sembra essere una conseguenza dell'attuazione di un'inappropriata strategia di coping nei confronti dello stress, e non ha niente a che vedere con l'insoddisfazione nei confronti del proprio corpo. In effetti, nella maggior parte dei casi un DCA non è dovuto ad un problema di fisicità, ma alle difficoltà che una persona ha nel rapportarsi ai problemi della sua vita</i>.”<span style="font-size: x-small;">
(mia traduzione) </span><br />
<br />
Anche in questo, mi trovo pienamente d'accordo. Vi ricordo inoltre che, tornando a quello che dicevo di voler dimostrare ad inizio post, in tutti i casi stiamo parlando di donne cieche, che dunque non hanno la possibilità di guardarsi allo specchio e di avere quindi una percezione visiva della propria fisicità. Non potevano neanche vedere immagini di modelle particolarmente magre, o confrontarsi col fisico delle loro coetanee... eppure, hanno ugualmente sviluppato un DCA.
<b> </b><br />
<br />
<b>E voi cosa ne pensate di questi Case Report? Se vi va, fatemi sapere come la pensate nei commenti!</b>
Veggiehttp://www.blogger.com/profile/11990381810503033018noreply@blogger.com20tag:blogger.com,1999:blog-6464611321986605023.post-59676934983561596732015-01-23T15:41:00.000+01:002015-01-23T15:52:05.587+01:00(I'm NOT) All About That Bass<span style="font-size: x-small;"><b>*Attenzione:</b> Tra qualche attimo su questi computerschermi, la mia opinione condita con considerevole ironia.<b>*</b></span><br />
<br />
Conoscete la canzone “<b>All About That Bass</b>” di Meghan Trainor? La cantante dice di questo suo brano che “<i>è un inno ad apprezzare se stessi e il proprio corpo, per invitare anche le ragazze con qualche chilo di troppo a piacersi così come sono</i>” (cit. da un’intervista di Meghan Trainor).<br />
<br />
Dato che il video ufficiale di questa canzone su YouTube ha una cosa come circa 513 milioni di visualizzazioni, anch’io ci ho dato un’occhiata dato l’entusiasmo generale con il quale questo brano pare essere stato accolto. In fin dei conti, il fatto che una cosa piaccia ad un sacco di gente, non significa che sia al di sopra di ogni possibile critica.
Tuttavia, prima di sviscerare questa canzone pezzo per pezzo, nonché prima di esprimere la mia opinione al riguardo, vorrei avvertirvi che questo brano è cantato da una ragazza bianca che utilizza un falso vernacolo afro-americano che è appena un paio di gradini sotto quello di Iggy Azalea sul “non c’è modo che tu canti effettivamente così dal vivo”-ometro.
Dunque, ecco a voi la canzone e il relativo video:
<iframe allowfullscreen="" frameborder="0" height="315" src="//www.youtube.com/embed/7PCkvCPvDXk" width="560"></iframe><br />
<br />
Okay, questa canzone è molto orecchiabile, la cantante sembra una bambolina, e il video ricorda l’ “<i>Hairspray</i>” di John Waters se non fosse stato satirico e se Amber Von Tussel fosse stata graziosa. Complessivamente, è tutto molto tenero, il che spiega come mai abbia ricevuto un sacco di “<i>like</i>”. Ma se andiamo a considerare il testo, mi sembra che sorga qualche problemino. Per cui, cominciamo dalle cose più semplici, per poi spostarci su qualcosa di più serio.<br />
<br />
“<i>Because you know I’m all about that bass, ’bout that bass, no treble.</i>”<br />
<br />
No, scusa Meghan, ma di cosa stai parlando? Della tua stessa voce? Quella sì che è acuta! Del resto, una canzone fatta solo da bassi non sarebbe molto interessante né orecchiabile. E se non si dispone di un’ampia capacità di vocalizzare quando si canta una canzone di questo tipo, sarà piuttosto difficile che tu riesca a sfondare come cantante in un mondo che è tutto bassi e niente acuti.<br />
<br />
Dunque, la prima strofa si apre con:<br />
<br />
“<i>Yeah it’s pretty clear, I ain’t no size two, but I can shake it, shake it, like I’m supposed to do.</i>”<br />
<br />
Meghan ci dice che è chiaro che non indossa una taglia 2 (sarebbe la 38 italiana).<br />
<br />
Sì, okay. Forse non una taglia 2. Ma neanche una taglia forte. (A occhio e croce, direi che porta una 44 italiana). Non lasciatevi ingannare dal vestito che indossa, un modello che farebbe sembrare tarchiata anche una pallavolista: Meghan non è una ragazza grassa. L’intero concetto di donne non-grasse che cercano di attirare l’attenzione sui loro corpi non-grassi al fine di promuovere l’accettazione del proprio corpo sovrappeso/obeso è una cosa che mi sconcerta. Lo chiamerei “movimento di grassaccetazione”. Nota bene: non ho detto “movimento di accettazione dei chili di troppo” o “movimento di accettazione della propria fisicità”. Entrambe le ideologie manifestano contro lo standard culturale della “taglia perfetta” alla quale ogni individuo acquista la propria umanità. Il “movimento di grassaccettazione” insiste sul fatto che c’è una sola tipologia di “donna reale”, e che tutto quello che si discosta da ciò è meno sessualmente desiderabile per gli uomini, e quindi di minor valore.<br />
<br />
Nella zona di grassaccettazione si possono trovare donne che indossano taglie comprese tra la 42 e la 46 italiane, e che dicono che “grasso è bello”, che gli uomini non vogliono gli stecchini, che “real women have real curves” e così via. Un sacco di donne famose hanno fatto audaci affermazioni in merito alla loro taglia quando si trovavano nella zona di grassaccettazione: tra queste Jennifer Lawrence, Jennifer Lopez, e Kate Winslet prima di diventare la mamma sexy di Barbie (è un complimento, eh!). In realtà, tutte queste donne non fuoriescono affatto dai canoni dell’attrattiva sessuale, pur non potendo essere descritte come “magre”, e dalle quali ci si aspetta che rispondano in un certo modo alle domande che gli vengono rivolte in merito alle loro curve. Se si considerano donne come le succitate come sinonimo di “taglie forti”, si va a diffondere un messaggio di accettazione della propria fisicità e positività, relativo a donne che certamente non indossano una taglia 2, ma che parimenti sono ben lungi dall’essere grasse. Arrivando al punto, a me sembra che inni e slogan di questo tipo abbiano come unico scopo quello di far accettare meglio il proprio corpo a donne che pensano di essere grasse, ma che in realtà non lo sono, ricordando loro costantemente che poiché non indossano una taglia 2, allora dovrebbero sentirsi grasse. Un paradosso nel paradosso, insomma.<br />
<br />
La canzone prosegue dicendo: “<i>But I can shake it shake it, like I’m supposed to do</i>”, e questo lo trovo disturbante sotto due differenti punti di vista. Innanzitutto, quello che la gente si aspetta è che noi sculettiamo? Dunque dovremmo sculettare sempre e comunque? Perché nessuno me l’ha mai detto? Se non sculetto la mia laurea conta di meno? In secondo luogo: le ragazze che indossano una taglia 2 non sono in grado di sculettare? Che taglia indossa Shakira? No, perché a me sembra piuttosto piccoletta, ma direi che sa sculettare in maniera eccelsa…<br />
<br />
“<i>'Cause I got that boom boom that all the boys chase, and all the right junk in all the right places.</i>”<br />
<br />
Ha tutto al posto giusto, ragazzi! Meghan Trainor è la nuova Mary Sue! Vi do questa notizia in esclusiva, eh!<br />
<br />
Una delle principali tematiche di questa canzone è che le donne che hanno una corporatura non-magra e delle belle curve sono quelle che gli uomini preferiscono. Ora, ammesso e non concesso che questo sia vero, e poniamo pure che lo sia, se questa canzone ha l’obiettivo di promuovere la positività nei confronti della propria fisicità <i>quale che sia</i>, perché andare poi a definire una specifica tipologia corporea indicandola come la più desiderabile? E, soprattutto, perché puntare tutto il valore e l’accettazione della fisicità di una donna su quanto gli uomini possano trovarla arrapante?<br />
<br />
“<i>I see the magazines workin’ that Photoshop: we know that shit ain’t real, c’mon now, make it stop. If you got beauty beauty, just raise ‘em up ‘cause every inch of you is perfect from the bottom to the top.</i>”<br />
<br />
Questa è l’<b>unica</b> strofa della canzone che mi piace. Sul serio. Guardate com’è perfetta. Celebra la fisicità di ogni donna, quale che sia, ed incoraggia ogni ragazza a non farsi ingannare dal fotoritocco, ma a trovare i propri punti di forza e valorizzarli. Ovvio, l’intero concetto di “bellezza” è un costrutto soggettivo, per cui questa non dovrebbe essere la prima preoccupazione di nessuna donna, perciò c’è una problematica intrinseca inerente tutte le canzoni di questo tenore. Ma per un attimo concentriamoci solo su quanto sia raro trovare una canzone pop che trasmetta un messaggio di questo tipo. Tutta la canzone avrebbe dovuto essere come questa strofa. Purtroppo è ben altro.<br />
<br />
Ho detto “<i>avrebbe dovuto essere</i>”, perché dopo questa strofa si riprecipita nel baratro con:<br />
<br />
“<i>Yeah, my mama she told me: don’t worry about your size. She says boys like a little more booty to hold at night.</i>”<br />
<br />
Di nuovo, il messaggio che viene trasmesso NON è davvero “io valgo come persona, anche se non ricalco lo standard fisico cui mi è stato detto dovrei aderire”, bensì quello che viene trasmesso è: “io valgo come persona e soprattutto valgo più di altre donne che non hanno la mia stessa fisicità, perché grazie alle mie curve appaio più attraente agli occhi maschili”.<br />
<br />
E ho detto “<i>avrebbe dovuto essere</i>” perché le parole successive della canzone dicono esattamente:<br />
<br />
“<i>You know I won’t be no stick figure silicone Barbie doll. So if that’s what you’re into then go ahead and move along.</i>”<br />
<br />
Traduzione: “Se non sei un uomo che desidera oggettificare/chiavare me molto di più rispetto a quanto non desideri oggettificare/chiavare altre donne basandosi puramente sulla fisicità, allora AH AH AH!, sarò io per prima a mandarti a quel paese.”<br />
<br />
Da quando in qua “l’accettazione della propria fisicità” è diventata, o necessita di diventare, un altro modo per stabilire scale di valore tra le persone? Se una donna si è rifatta il seno, vale di meno rispetto a una che ha il seno al naturale? Questo a me sembra semplicemente un altro modo in cui il “movimento di grassaccettazione” tenta di definire chi è e chi non è una donna “reale”. Eppure, il rifarsi il seno non è una modificazione del proprio corpo tale e quale al farsi un tatuaggio o al mettersi un piercing? E allora perché le due cose non vengono viste allo stesso modo? Ho la strana sensazione che tutto questo abbia in qualche modo a che fare con una serpeggiante misoginia di fondo. Forse perché uno degli obiettivi legati al rifarsi il seno è conformarsi ad uno specifico standard culturale? E come può questo essere differente dal tatuarsi qualcosa?<br />
<br />
Okay, era una domanda retorica. In realtà posso ben capire quale sia la differenza: anche gli uomini si fanno i tatuaggi o si mettono i piercing. La Chirurgia Plastica è generalmente vista come un modo che hanno a disposizione le donne per rendersi più sessualmente desiderabili agli occhi degli uomini (senza considerare il fatto che chi ricorre a questo tipo di chirurgia molto probabilmente ha dei problemi psicologici di non accettazione di sé, di fondo…). Persino la Chirurgia Plastica Ricostruttiva cui vengono sottoposte le donne dopo essere state operate per un tumore al seno ha in fondo questo obiettivo: anche se effettuata per il comfort personale della paziente, risponde comunque allo standard che dice che tutte le donne devono avere il seno (bene, benvenuta trans-misoginia!), il che è ciò che fa sentire a disagio la paziente innanzitutto.<br />
<br />
Giusto per mettere i puntini sulle “i”: <b>io non biasimo nessuno che ricorra alla Chirurgia Plastica per ogni qualsiasi motivo</b>, anzi, io sono dell’idea che ognuno sia liberissimo di scegliere cosa fare nella propria vita; sto solo disquisendo sul modo in cui generalmente la gente vede il mondo, e sulle aspettative culturali del seno nelle donne in questo contesto.<br />
<br />
Perciò, tenendo tutto questo bene a mente, ritornando alla posizione del “movimento di grassaccettazione” sulla Chirurgia Plastica, quello che viene affermato è che: anche se stiamo definendo il tuo valore come persona e come donna soltanto in base al tuo sex appeal, se non fai niente per renderti ancora più attraente, allora sei una stronza troietta e ti odiamo tutti.<br />
<br />
Ora, consideriamo la parte “<i>stick figure</i>” della strofa. Questo è un altro colpo basso diretto alle donne che hanno una fisicità che minaccia la loro autostima, e alle donne che possono solo accontentarsi della propria taglia se questa non corrisponde ad una “perfetta” forma corporea. È questo che sta alla base di ogni “mangia un panino” o “sembri un insetto stecco”.<br />
<br />
“<i>I’m bringing booty back, go ahead and tell them skinny bitches that no, I’m just playing, I know you think you’re fat but I’m here to tell ya every inch of you is perfect from the bottom to the top.</i>”<br />
<br />
Questa strofa racchiude in sé perfettamente tutto quello che c’è di sbagliato in questa canzone. Quello che potrebbe essere un messaggio positivo si trasforma in una sorta di pseudo-complimento assolutamente ambiguo. Sì, “ogni centimetro di te è perfetto, dalla testa ai piedi”, ma solo a certe condizioni. Starai meglio con te stessa, ma solo se donne che indossano la taglia di Meghan Trainor staranno meglio deridendo il tuo aspetto. E solo se tu presenti le medesime insicurezze in merito al tuo peso.<br />
<br />
E, dai, andiamo: dire quello che realmente pensi, facendolo poi seguire da uno “sto scherzando, eh!” (“<i>I’m just playing</i>”), è la cosa più passivo-aggressiva che esista sulla faccia della Terra. Dire “Oh, sto scherzando!” è una delle peggiori prese per i fondelli che ci siano: dà a chi parla la possibilità di dire quello che vuole, di infamare nei peggio modi, costringendo però il bersaglio dell’insulto a reagire con un sorriso perché tanto “è solo uno scherzo”.<br />
<br />
Okay, ora che ho passato in rassegna il testo della canzone, passiamo al video. È un video a tema.
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<br />
Riuscite ad indovinare di che tema si tratta? La vostra risposta è: “<i>donne di colore come oggetti di scena</i>”? Risposta esatta. Delle 4 ragazze che ballano insieme a Meghan, solo una è bianca. Meghan Trainor è spesso e volentieri affiancata da 2 donne di colore, compresa una scena in cui sembra che queste donne incoraggino entusiasticamente la sua danza, stile il video di “<b>We Can’t Stop</b>” di Miley Cyrus. Ciò non mira ad incoraggiare l’accettazione della propria fisicità e men che meno l’uguaglianza tra le donne che pure hanno strutture fisiche diverse: mira esclusivamente a far vedere quanto sia ganza Meghan Trainor.<br />
<br />
Luogo comune vuole che le donne bianche siano molto meno brave e sexy nel ballare rispetto alle donne di colore, giusto? Per cui, se delle ragazze di colore esaltano una ragazza bianca che balla, questo le fa guadagnare punti, no?! Cioè, a me questo video ricorda davvero sorprendentemente l’ “<i>Hairspray</i>” di John Waters: non posso fare a meno di associarlo all’affermazione della protagonista “Essere invitata in un posto da gente di colore! Mi fa sentire così ganza!”. Alle persone bianche piace ottenere l’approvazione delle persone di colore in un Paese multietnico come gli U.S.A. Non vogliono che la loro posizione sociale <span style="font-size: x-small;">(di superiorità (???))</span> venga messa in discussione, poiché questo li farebbe sentire profondamente a disagio.<br />
<br />
Guardate le ultime 2 immagini delle 3 che vi ho messo sopra. Consideriamo il ruolo delle “curve” in questa canzone. Il termine utilizzato dalla cantante è “<i>booty</i>” che, letteralmente, si traduce come “<i>bottino</i>”. Al di là del fatto che questa parola mi fa pensare ai pirati, consultando <a href="http://www.urbandictionary.com/">Urban Dictionary</a> ho scoperto che questa parola è utilizzata per evocare l’immagine stereotipata di una donna di colore con un sedere che fa provincia. Questa peculiarità raziale è stata utilizzata dalle persone bianche per oggettificare, fetishizzare (credo di aver appena inventato una nuova parola…) e sessualizzare le donne di colore, mentre in questa canzone una ragazza bianca la utilizza per se stessa in un contesto positivo. Quando Meghan Trainor richiama l’attenzione sulle dimensioni del proprio fondoschiena e lo chiama “<i>booty</i>”, pertanto, chi la guarda è portato a pensare a lei come ad una donna che è serena con la propria fisicità e che è una vera femminista, ma non può “restituire il bottino” perché non è mai stato utilizzato per stereotiparla.<br />
<br />
L’ultima immagine è un perfetto esempio di come la società americana vede il corpo delle donne di colore: a disposizione di chiunque voglia toccarlo e sbeffeggiarlo. In questa scena, una ragazza bianca palpa il sedere della ragazza di colore mentre sta ballando. Quest’immagine secondo me rinforza non solo l’insidioso bisogno culturale dei bianchi di controllare e sessualizzare i corpi delle ragazze di colore, ma rinforza anche il dannoso preconcetto che il corpo di una ragazza di colore è a disposizione di chiunque, senza bisogno di chiedere consenso, perché tanto “<i>le negre sono tutte troie</i>” (cit. di un noto politico italiano).<br />
<br />
Nota a margine: il fatto che tutto il video ricalchi lo stile della musica pop degli anni ’60, un genere che è stato propugnato da artisti di colore del tempo e riproposto successivamente dai bianchi, spinge verso una verità che molti artisti bianchi della musica pop non vogliono ammettere: che stanno solo facendo delle pallide imitazioni di quello che è stato creato da artisti di colore, e cercano di soffocare il lavoro di quegli artisti di colore nella speranza che nessuno se ne accorga.<br />
<br />
Okay, adesso so che in molti mi criticheranno per aver decostruito un qualcosa che sembra, di primo acchito, essere in grado di lanciare un messaggio positivo ed incoraggiante a tutte le donne. Ma in questo video e in questa canzone ci sono troppe cose che non mi vanno giù.<br />
<br />
Non mi piace la discriminazione che ci vedo nei confronti delle ragazze di colore, che vengono trattate come se fossero oggetti di scena, per promuovere uno standard di bellezza che le donne bianche vantano e da cui le donne di colore sono oppresse: mi sembra un video piuttosto razzista, anche se in modo parzialmente subliminale.<br />
<br />
Inoltre, mi sembra una vera carognata prendere delle donne che non sono grasse, e definirle come tali, cercando di attribuire loro una credibilità che non hanno, perché mi sembra una palese presa per i fondelli per quelle donne che sono realmente in sovrappeso od obese.<br />
<br />
Infine, in qualità di donna magra, mi ribello al messaggio di fondo di questo video: il fatto che ogni centimetro di noi sia perfetto, dalla testa ai piedi, è vero soltanto se una persona porta una taglia che sia almeno una 42? Perché dalla canzone parrebbe che il concetto non si applicasse alle “<i>skinny bitches</i>”, alle “<i>stick figures</i>”, o alle donne che non hanno “<i>a little more booty to hold at night</i>”. Come può Meghan dire della sua canzone che è “body positive” (cit.) se non include ogni qualsiasi tipo di fisicità? Nel momento in cui donne curvy chiedono rispetto, ma non lo danno nei confronti di chi è magra, mi sembra una significativa forma di ipocrisia. Quando le donne curvy proclamano che “le donne vere hanno vere curve” o che “gli uomini preferiscono la carne, le ossa sono per i cani”, a me queste non sembrano affatto dichiarazioni di persone che si accettano e che amano quello che vedono nello specchio. Una ragazza che veramente è a suo agio con la propria fisicità, è consapevole che ogni qualsiasi struttura fisica, peso, o taglia indossata non rende una donna meno “reale” né meno meritevole di rispetto. Una ragazza veramente confidente col suo corpo apprezza la bellezza in ogni qualsiasi forma e taglia, e non ha bisogno di insultare donne che sono fisicamente più magre di lei per sentirsi più a suo agio con se stessa.<br />
<br />
<b>E voi cosa ne pensate di questa canzone e di questo video? Se vi va, fatemelo sapere nei commenti!</b><br />
<br />
<b>P.S.=</b> Dato il mio vissuto di anoressia, mi sono posta il dubbio se la mia opinione su questo video potesse essere eccessivamente di parte poiché influenzata da detto background. Allora l’altroieri ho acchiappato mio fratello Mark (sì, si chiama come il creatore di FaceBook… ma purtroppo non è lui… sarei un filino più ricca, se lo fosse, e non mi starei a preoccupare della penuria lavorativa…) che era passato da casa mia a farmi una visita (ehm, no, in realtà voleva che gli rispiegassi una cosa che non aveva capito…) e gli ho fatto vedere il video in questione, chiedendogli cosa ne pensasse. La sua risposta è stata: “Perché questo cesso a pedali con quell’osceno fiocco da uovo di Pasqua si atteggia come una strafiga, quando è palese che non arriva neanche a leccare il culo per sbaglio alla mora, che viene invece trattata come se fosse una cretinetta, facendole quasi rompere la schiena per sollevare quel gay obeso? Secondo me è tutta invidia! La caldaia con la parrucca si è circondata di ragazze che fisicamente le somigliano, per umiliare quella che invece è diversa… ma cercare di buttare giù l’avversario è l’ultima risorsa dei perdenti”.
Ecco cosa pensa il maschio italiano medio. Alla faccia tua, Meghan: non so quale messaggio alla fin fine volessi lanciare (ammesso e non concesso che l’obiettivo non fosse solo quello di fare soldi a palate facendo leva su un argomento delicato come l’accettazione di sè), ma mi pare che in ogni caso tu abbia toppato di brutto. Veggiehttp://www.blogger.com/profile/11990381810503033018noreply@blogger.com20tag:blogger.com,1999:blog-6464611321986605023.post-10571956135399118522015-01-16T16:55:00.000+01:002015-01-16T16:57:06.852+01:00Video - Riempire la vitaPer la serie “meglio tardi che mai”, sono finalmente riuscita a trovare il tempo per realizzare il video di cui parlavo lo scorso Ottobre (meglio tardi che mai – appunto) ispirato all’infographic di <a href="http://iride-christiane91.blogspot.it/">Christiane</a>.<br />
<br />
Il video in cui avete risposto alla domanda: <b>qual è la cosa che più vi aiuta nella vostra quotidianità a combattere contro l’anoressia/la bulimia/il DCAnas? </b>Il risultato? Potete vederlo qua sotto!
<iframe allowfullscreen="" frameborder="0" height="315" src="//www.youtube.com/embed/McBwI4xDWzU" width="420"></iframe><br />
<br />
(Click <a href="http://youtu.be/McBwI4xDWzU">QUI</a> se volete vederlo direttamente su YouTube)<br />
<br />
Spero che vi piaccia…<br />
<br />
Intanto, un <b>GRAZIE </b>enorme alle ragazze che hanno collaborato: grazie a <a href="http://dialoghiincucina.com/">Lauretti81</a>, Stella, Lexy, Connie, Micaela, Fairy, <a href="http://iride-christiane91.blogspot.it/">Christiane</a>, Fede, Andy, Vale, Wolfie, <a href="https://twitter.com/NothingButUsual">Jonny</a>, Charlie. Questo video è quello che è solo ed esclusivamente per merito vostro.<br />
<br />
Come soundtrack del video ho scelto la canzone “<i>Fed Up (IRS)</i>”. Ho optato per questo brano perché quando l’ho sentito ho pensato che, se avessi l’anoressia di fronte a me, quelle della canzone sono proprio le parole che le griderei in faccia, con tutta la mia rabbia… e la mia voglia di rivalsa.<br />
<br />
<span style="font-size: x-small;">[Mia traduzione del brano per chi non masticasse molto l’Inglese: </span><br />
<span style="font-size: x-small;">Il Lunedì uccide, il Martedì fa schifo, come sempre, ecco che la mia settimana è iniziata. Qualcuno mi fermi, il paracadute non funziona… <b>sono incazzata. </b>Mi giro e mi rigiro, ma la mia vita è bloccata nell’impasse. Aspetto, ma niente sembra cambiare.
<i> </i></span><br />
<span style="font-size: x-small;"><i>RIT:</i> <b>Vieni ed affrontami, guardami, ora tocca a te pagarla, e lo farai. </b>Ti sei finta mia amica, ma mi hai piegata alla tua volontà, più e più volte, e ancora. (Di nuovo?). </span><br />
<span style="font-size: x-small;">Ultime notizie: la mia testa sta esplodendo. Chi pulirà il casino? <b>Salto sulla mia automobile: posso investirti… sono incazzata</b>. Circoli viziosi, la mia vita è bloccata nell’impasse. Aspetto, ma ancora non cambia niente.
<i> </i></span><br />
<span style="font-size: x-small;"><i>RIT:</i> Vieni ed affrontami… </span><br />
<span style="font-size: x-small;">Per favore, <b>dammi un attimo di pausa, che posso fare? Sì, penso che dovrei eliminarti dalla mia vita.</b>
<i> </i></span><br />
<span style="font-size: x-small;"><i>RIT:</i> <b>Vieni ed affrontami</b>… </span><br />
<span style="font-size: x-small;">…<b>Fottuta merdaccia.</b>]
</span>Veggiehttp://www.blogger.com/profile/11990381810503033018noreply@blogger.com8tag:blogger.com,1999:blog-6464611321986605023.post-21457100012152299482015-01-09T14:33:00.000+01:002015-01-09T14:35:34.014+01:00"Mi sento come se desiderassi che il mio DCA peggiori..."Nei commenti del post precedente, una commentatrice anonima ha scritto:
<i> </i><br />
<br />
<i>“Mi sento come se desiderassi che il mio DCA peggiori, così da poter essere ricoverata. È un pensiero strano, vero?”</i><br />
<br />
Vorrei perciò scrivere il post odierno in risposta a questa domanda.<br />
<br />
Cara Anonima, non lo definirei un pensiero proprio “strano”, poiché credo che diverse altre persone con un DCA possano averne avuto uno simile (come confermano anche, nei commenti al post precedente, un'altra commentatrice anonima, <a href="http://iride-christiane91.blogspot.it/">Christiane</a> e Ilaria). Casomai è un pensiero patologico, questo sì, nel senso che è un pensiero indotto dalla malattia, dal DCA stesso: e proprio per questo, nel contesto della malattia, non è un pensiero affatto strano.<br />
<br />
Ti voglio lanciare però una provocazione rivolgendoti questa domanda a mia volta: <i><b>PERCHE’</b> desideri che il tuo DCA peggiori a tal punto da necessitare di un ricovero? </i><br />
<br />
È perché desideri che la tua malattia venga legittimata con un’etichetta diagnostica medica?<br />
È perché ti sembra che ora come ora nessuna delle persone che ti sta intorno si renda conto di quanto stai male?<br />
È perché nessuno ti sta aiutando e supportando in maniera adeguata?<br />
È perché senti di non riuscire ad esprimere il tuo malessere?<br />
È perché pensi di non essere abbastanza malata?<br />
È perché credi di meritarti solo il peggio?<br />
<br />
Potrei andare avanti per molto, ma mi fermo qui perché credo che tu abbia afferrato il senso di quello che voglio dirti.
Cerca di comprendere <b>PERCHE’</b> ti sembra di aver bisogno che il tuo DCA peggiori a tal punto da necessitare un ricovero, dopodiché pensa a <b>COME</b> puoi ottenere le medesime cose <b>SENZA</b> dover essere ospedalizzata.<br />
<br />
Per esempio, se hai bisogno di supporto/aiuto per tener testa al tuo DCA, e ti sembra che in questo momento non riesci ad ottenerlo, valuta la possibilità di dire esplicitamente alle persone che ti circondano come ti senti dentro, a prescindere alla tua fisicità, e quale tipo di aiuto/supporto avresti bisogno di ricevere da parte loro. Parla loro di come ti senti, e lascia che ti aiutino e che ci siano per te.<br />
<br />
So che per chi non ha mai vissuto un DCA sulla propria pelle, e avanza per stereotipi, può essere difficile comprendere la gravità di un qualsiasi disturbo alimentare se non vede uno scheletro ambulante… ma tu, che stai vivendo un DCA sulla tua pelle in questo momento, non hai alcun bisogno di diventare uno scheletro ambulante per sapere che stai male. Tu stai male, è palese, lo sai già: ed è per questo che necessiti di tutto l’aiuto e il supporto possibile, completamente a prescindere dall’esteriorità. Perché la sofferenza di un DCA non può certo essere quantificata: men che meno in chili.<br />
<br />
Ogni qualsiasi DCA, in tempi più o meno lunghi, porta al medesimo outcome se non viene adeguatamente trattato:<i> il decesso.</i> Per cui, quello che stai attraversando, a prescindere da ciò che il tuo corpo può dimostrare, è reale, ed è serio, e necessita di cure adeguate. Non ti far infinocchiare dai pensieri che la malattia ti mette in testa, e corri ai ripari prima di peggiorare ulteriormente, sia fisicamente che mentalmente, la situazione: chiedi aiuto a persone professionalmente competenti, perché è quello che ti può far stare meglio, e che può permetterti di vivere una vita di qualità, allontanandoti sempre di più dalla malattia.<br />
<br />
Ricordati che ciò che àncora alla malattia, a prescindere dalla fisicità, è il non avere fiducia nelle proprie capacità di cambiare la situazione, il piangersi addosso, il darsi per vinte, lo scuotere la testa e rafforzare così l’unica fede spontanea che l’anoressia conosca, quella tanto fatalistica quanto comoda del “tanto nulla cambierà”. Il combattere contro l’anoressia si nutre proprio della consapevolezza che tu puoi cambiare tutto quello che adesso ti fa stare male, e che per fare questo non hai bisogno di arrivare ad alcun estremo, anzi: meno hai toccato il fondo, prima inizi a combattere, maggiori saranno le tue possibilità di successo.<br />
<br />
Ti faccio un enorme in bocca al lupo.
Veggiehttp://www.blogger.com/profile/11990381810503033018noreply@blogger.com14tag:blogger.com,1999:blog-6464611321986605023.post-3327831107672024582015-01-02T20:52:00.002+01:002015-01-02T20:58:35.827+01:00Quando i medici fanno peggio che meglioSe avete un DCA, vi sarà capitato quasi sicuramente di avere a che fare con psicoterapeuti con cui vi siete trovate male, o di aver cessato di seguire una psicoterapia in conseguenza del comportamento che determinati psicoterapeuti hanno tenuto nei vostri confronti.<br />
<br />
Anch'io ci sono passata, molteplici volte: giusto per fare un esempio, quando ho terminato il mio quarto ricovero in una clinica specializzata per il trattamento dei DCA, la psicoterapeuta che mi aveva seguito durante i mesi di ricovero si era rifiutata di continuare a seguirmi come esterna, perchè secondo lei ero pronta per andare avanti da sola (probabilmente perchè avevo un elevato livello di consapevolezza della malattia, e forti capacità di autocontrollo ed autoimposizione). Ma io mi sentivo tutt'altro che pronta, e dunque mi ero cercata un'altra psicoterapeuta, che fortunatamente aveva compreso che l'anoressia era un problema per me ancora molto presente, sebbene non rientrassi più strettamente nei criteri diagnostici del DSM per questa patologia. (Okay, poi successivamente ho mollato anche questa psicoterapeuta... così come molte altre psicoterapeute successive... ma questa è un'altra storia.)<br />
<br />
<b>Atteggiamenti come quello tenuto dalla psicologa della clinica, ad ogni modo, urtano le pazienti. Le urtano <i>un sacco</i>. </b><br />
<br />
Da qui mi sono posta una domanda: ma cosa pensano gli psicoterapeuti quando si relazionano ad una persona che ha un DCA?
Per rispondere a questa domanda ho trovato ciò che hanno pubblicato Thompson-Brenner e i suoi colleghi, che consiste in una review di tutti gli studi pubblicati a proposito di come il personale sanitario reagisce quando si relaziona con persone che hanno un DCA. Sono stati trovati 20 di questi studi, condotti tra il 1984 e il 2010. Il sommario della loro analisi rivela:<br />
<br />
<i>“Le reazioni negative del personale sanitario nei confronti di chi ha un DCA, riflettono tipicamente frustrazione, sfiducia, mancanza di competenze e preoccupazione. I medici inesperti sono quelli che più frequentemente hanno un comportamento negativo nei confronti di chi ha un DCA piuttosto che nei confronti di altri pazienti. Viceversa, i medici che lavorano da molti anni nel campo dei DCA non vanno incontro ad altrettante reazioni negative nei confronti delle pazienti con un DCA. I tirocinanti spesso affermano di sentirti scarsamente competenti nel trattare persone affette da DCA. […] La maggior parte di questi medici sostiene che le reazioni negative di chi ha un DCA nei loro confronti siano dovute ad una mancanza di miglioramenti, ad una personalità patologica, e a pregiudizi che queste pazienti hanno nei confronti della stigmatizzazione, delle convinzioni, dell'inesperienza, del sesso del medico stesso.”</i><br />
<span style="font-size: x-small;">(mia traduzione) </span><br />
<br />
Questo è un rapido sunto di ciò che Thompson-Brenner e suoi colleghi hanno estrapolato:<br />
<br />
<b><i>Flash su studi condotti su personale sanitario e tirocinanti hanno rivelato: </i></b><br />
• I medici che lavorano da meno di un anno e i tirocinanti hanno un comportamento peggiore nei confronti delle pazienti che hanno l'anoressia piuttosto che nei confronti delle pazienti che hanno problemi di binge.<br />
• Tirocinanti e studenti di Medicina e di Sc
ienze Infermieristiche considerano le pazienti affette da DCA molto più responsabili della propria patologia rispetto ai pazienti affetti da schizofrenia.<br />
• Il 31% dei terapeuti (psichiatri, psicologi, psicoterapeuti) preferiscono NON seguire persone che hanno un DCA.<br />
• I sentimenti più comuni che i terapeuti provano nei confronti delle pazienti con DCA comprendono rabbia, incomprensione e frustrazione.<br />
• Gli infermieri che lavorano a stretto contatto con persone malate di DCA riferiscono che le loro impressioni nei confronti di queste ragazze sono tanto più negative quanto più a lungo vi si relazionano.<br />
<br />
<i><b>Gli specialisti e gli psicoterapeuti che lavorano nel campo dei DCA da molti anni hanno feedback migliori: </b></i><br />
• I medici appartenenti a questa categoria non provano lo stesso grado di sentimenti negativi nei confronti delle pazienti con DCA, rispetto a quello provato dalle altre categorie di sanitari.<br />
• Una buona alleanza medico-paziente si riscontra nel lavoro di molti specialisti.<br />
• I sentimenti più comuni che questi terapeuti provano nei confronti delle pazienti con DCA comprendono: frustrazione, preoccupazione, noia.<br />
• Le principali difficoltà riportate dagli specialisti nel lavorare con pazienti affette da DCA: scarsa prontezza al cambiamento resistenza al cambiamento, natura controversa della patologia, chiusura.<br />
<br />
<b><i>Ricerche condotte su medici e operatori sanitari che non lavorano specificatamente nel campo dei DCA rilevano: </i></b><br />
• I medici spesso si sentono scarsamente competenti e non sufficientemente in confidenza con la malattia da interagire con persone che ce l'hanno.<br />
• Uno studio condotto nel 1990 rivela che il 54% dei medici generici si sente incompetente nel trattare con persone che hanno un DCA.<br />
• Molti medici e operatori sanitari si dichiarano interessati a saperne di più sui DCA.
<b> </b><br />
<br />
<b>Perchè i medici reagiscono in un certo modo di fronte a chi ha un DCA?</b> <br />
Thompson-Brenner e i suoi colleghi hanno cercato di identificate fattori predittivi le reazioni negative dei medici di fronte a pazienti affette da DCA.<br />
<br />
<i>“Le reazioni dei medici alle pazienti con DCA variano in funzione di: come essi percepiscono la risposta delle pazienti al loro trattamento; quanto ritengono che le pazienti siano personalmente responsabili dell'insorgenza della propria malattia; l'entità dell'esperienza che hanno nel campo dei DCA; il loro sesso (i medici uomini si relazionano peggio alle ragazze che hanno un DCA rispetto ai medici donne); le caratteristiche di personalità delle pazienti stesse (le reazioni erano peggiori con le pazienti con disordini di personalità dell'asse II).” </i><br />
<span style="font-size: x-small;">(mia traduzione) </span><br />
<br />
Cosa molto importante (e questo io ritengo sia vero per ogni qualsiasi patologia, mentale o fisica che sia):<br />
<br />
<i>“I medici che hanno una visione stereotipata, da manuale, dei DCA, e che sono convinti della veridicità di alcuni dei luoghi comuni che circolano sui DCA, sono quelli nei confronti dei quali le pazienti abbandonano più rapidamente il trattamento. Viceversa, i medici che non si fanno confondere dai cliché ma interpretano la malattia sulla base di ciò che gli viene portato dalle pazienti sono quelli con cui le pazienti stabiliscono relazioni terapeutiche più durature, e conseguono risultati migliori nell'allontanarsi dal DCA stesso. […] Dunque l'atteggiamento, le competenze, e il portare o meno luoghi comuni sono fattori che condizionano significativamente la qualità della psicoterapia con le pazienti affette da DCA.” </i><br />
<span style="font-size: x-small;">(mia trduzione) </span><br />
<br />
Leggendo questa review, c'è da tenere conto del fatto che gli studi riportati fanno riferimento a ricerche condotte in un lasso di tempo di circa 3 decadi, e che in tutto questo tempo molto è (fortunatamente) cambiato nella comprensione collettiva della natura dei DCA, e su come trattarli. Quanto degli studi condotti in passato è vero a tutt'oggi? Io non saprei dirlo – sarebbe necessario condurre nuovi studi.<br />
<br />
In alcuni studi si scoprono cose veramente deprimenti, come questa:<br />
<br />
<i>“I dati ci indicano che abbastanza comunemente i medici stigmatizzano i DCA, e si basano su molti luoghi comuni quando si relazionano con pazienti affette da queste patologie. Quando, nel 1992, è stato chiesto ad un campione di medici di prendere in considerazione l'origine della psicopatologia in pazienti affette da anoressia, schizofrenia e disturbo bipolare, molti hanno affermato di ritenere le pazienti malate di anoressia maggiormente responsabili della propria malattia rispetto alle pazienti con schizofrenia o con disturbo bipolare. Inoltre, questo studio ha dimostrato che quest'idea dei medici rimaneva invariata nonostante l'aumento degli anni d'esercizio della loro professione.” </i><br />
<span style="font-size: x-small;">(mia traduzione) </span><br />
<br />
<b>Cosa possiamo fare di fronte ad una cosa del genere? </b><br />
Penso sia palese che tutti gli operatori sanitari – medici, infermieri, terapeuti, dietisti, nutrizionisti, etc... - trarrebbero beneficio dal relazionarsi più frequentemente con persone che hanno un DCA. L'esperienza di acquisisce con la pratica, mi sembra che questo non faccia una piega. Le prime esperienze lavorative, nella fattispecie, penso siano un evento critico per enfatizzare realmente l'importanza di prendere sul serio le malattie mentali, e i DCA nella fattispecie. Secondo me, il modo migliore per ottenere questo consiste nell'educare gli studenti alla conoscenza della reale eziologia dei DCA (sebbene queste patologie siano multifattoriali, e le cause possano variare da persona a persona), su quali siano le modalità terapeutiche disponibili e quando sia meglio applicarle e su quali tipologie di persone, sul <i>perchè</i> le pazienti si comportano nel modo in cui si comportano, e su come interagire con le pazienti in maniera tale da validare il modo in cui si sentono, facendo in modo che il terapeuta diventi<i> un alleato e non un nemico</i>. Magari facendoli parlare con persone che hanno avuto un DCA ma che stanno attraversando un periodo di remissione. Per quella che è stata la mia esperienza quando sono stata una studentessa universitaria, di DCA si è parlato pochissimo, ed in maniera del tutto “da manuale”. E l'ho trovato buffo, a suo modo, perchè ci sono malattie rarissime (per esempio alcune malattie genetiche) che vengono trattate molto nello specifico, mentre i DCA che hanno una prevalenza di gran lunga superiore vengono abbastanza tralasciati.<br />
<br />
Tra l'altro, la mia opinione personale è che la maggior parte dell'educazione ai DCA dovrebbe essere condotta durante i primi 2 anni di Università, e non durante un'ipotetica scuola di specializzazione. Perchè? Perchè l'imprinting si prende durante i primi anni di studio. Quando si arriva ad un'ipotetica scuola si specializzazione, la forma mentis è già consolidata, ed è difficile modificarla. È molto più facile insegnare una cosa da zero che non ri-insegnarla quando si è già presa un'impostazione. Per cui, tutto quello che viene appreso fin dall'inizio della carriera universitaria impatterà sulla qualità delle interazioni medico-paziente. In secondo luogo, i DCA sono patologie che comportano conseguenze deleterie tanto a livello psicologico quanto a livello fisico, e talora queste ultime sono anche piuttosto gravi: dalle erosioni dentali, ai numerosi problemi gastroenterologici e cardiaci, all'amenorrea con conseguente osteoporosi e possibile infertilità. Ed è importante che I medici vengano formati tenendo conto di questo, perchè se una ragazza con un DCA viene resa oggetto di pregiudizi, preconcetti e luoghi comuni, e dunque non trattata adeguatamente, le conseguenze, anche sul piano prettamente fisico, possono essere veramente deleterie.<br />
<br />
Tutto quello che ho appena scritto, naturalmente, non vuole essere un'accusa nei confronti dei medici o della psicoterapia, anzi: <u><b>io sono dell'assoluta convinzione (anche sulla base della mia personale esperienza) che la psicoterapia sia di fondamentale importanza per riuscire a combattere adeguatamente contro l'anoressia. E, pertanto, sollecito vivamente chiunque mi legga a farsi seguire da degli specialisti, se già non lo sta facendo. </b></u>Quello che ho scritto è semplicemente per dire che, purtroppo, non tutti i medici sono uguali: ci sono alcuni psicoterapeuti che non sono granchè competenti in materia di DCA, e che dunque rischiano di fare peggio che meglio (e ne so qualcosa personalmente, ho avuto a che fare con gente così, purtroppo...). Però, a fronte di questi, ci sono anche terapeuti veramente in gamba e che sono seriamente in grado di dare una mano. Ergo, se avete avuto delle esperienze psicoterapeutiche negative, non mollate la presa: mandate a quel paese il terapeuta che non vi è stato di alcun aiuto, e continuate a cercare altre persone che invece possono veramente darvi una mano. Magari incoccerete psicoterapeuti non in grado di aiutarvi millemila volte, ma ogni volta che vi darete un'opportunità di cercare ancora... avrete almeno una possibilità che quella volta sia la volta buona. Se invece vi arrendete... sicuramente avete già perso in partenza. E non scoraggiatevi: il fatto che ci siano delle “mele marce”, non implica automaticamente in nessun modo che non esistano “mele buone”. Ce ne sono eccome, ma bisogna avere la pazienza di cercarle rovistando in ogni angolo.<br />
<br />
<b>E voi, che esperienze psicoterapeutiche avete vissuto? Siete incappate in psicoterapeuti in gamba od incapaci? Cosa pensate si potrebbe fare per migliorare la situazione? Se vi va, scrivetemelo nei commenti!</b>Veggiehttp://www.blogger.com/profile/11990381810503033018noreply@blogger.com17tag:blogger.com,1999:blog-6464611321986605023.post-6382076993349684602014-12-26T09:42:00.001+01:002014-12-26T09:58:22.922+01:00...2015, you're welcome! [2^ parte](...continua)<br />
<br />
<b>Giugno 2014.</b> <i>Soundtrack</i>: “<a href="http://www.youtube.com/watch?v=JsQCG5SEl8Q">Best Years Of Our Lives</a>”. In Giugno io ed il mio migliore amico Alex abbiamo deciso di intraprendere 2 strade completamente differenti, sia da un punto di vista professionale che personale, per cui abbiamo dovuto separarci. Abbiamo scelto di troncare, perché sapevamo bene entrambi che, se anche all’inizio avesse fatto un male boia, alla lunga sarebbe stata la scelta migliore per tutti e 2. Abituati com’eravamo a vivere come fratelli, per me è stata una separazione lacerante. Come se mi avessero staccato un braccio e una gamba. Solo che io dovevo continuare ad andare avanti, e a fare tutto quello che facevo come se niente fosse stato, ma con un braccio ed una gamba in meno. In realtà non lo so descrivere quello che ho provato, perché è come quando si dice “non ho parole” – e quando ci si accorge che non ne abbiamo veramente. Ché non è solo una frase fatta, è esattamente così. Non è che non ho parole, è che semplicemente non esistono parole per tirare fuori quello che ho dentro. Non esiste decodifica verbale di questi sentimenti. Come quando ci siamo conosciuti al 3° anno. Come adesso. Come sempre. Come per sempre. Perché posso fare tabula rasa di tutto e di tutti, ma il ricordo di tutto ciò che abbiamo vissuto insieme, le emozioni, quelle di cancellarle non c’è proprio verso. Per quanto ci provi, restano sempre lì. Più le cancello, più mi restano dentro. E ora mi tengo dentro solo il vuoto che di lui mi resta.<br />
<br />
Io lo so che alla fine i momenti difficili passeranno, e il sole tornerà a splendere. Io lo so che Alex sarà sereno, ed avrà la vita che desidera. Che sembra tanto fiera della frase fatta, ma è la verità. Lo so per certo, perché ad una persona speciale come lui non può che andare tutto bene. Sii felice, Alex, te lo ordino. Perché meriti veramente tutto il meglio, e so che lo avrai. Io? Io rimetterò insieme i cocci, ed andrò avanti, in qualche modo. Sono caduta fin troppe volte per non sapere che, in un modo o nell’altro, sono capace di rimettermi in piedi.<br />
<br />
Una lettera, un video, le mie parole inadatte. Sono tutto quello che ho, ed è tutto per te, Alex. Io sono tutta per te. E tu sei tutto per me. Non ci risentiremo né ci rivedremo mai più, ce lo siamo promessi, ma sarà così per sempre. È per questo – lo so. È per questo che L., e tutte le altre, mi hanno sempre odiata anche senza neppure conoscermi. È per questo che sono sempre state gelose di me anche se tra noi due non c’è mai stato niente. Ed è per questo che io, in fondo, non sono mai stata veramente invidiosa di loro, mai davvero gelosa. Perché avrei dovuto esserlo, del resto? Tu eri già mio. Perché è così. Sarò sempre io tua e tu mio.<br />
<br />
Lo so. Perché quando dai le cose in pasto agli altri, le cambiano, le sciupano, le immiseriscono.<br />
“Non lo diciamo mai a nessuno, promettimelo”.<br />
“Cosa? Cosa non dobbiamo dire a nessuno?”.<br />
“Il bene che ci vogliamo. Che ci vogliamo un bene così”.<br />
“Promesso”.<br />
<br />
<span style="font-size: xx-small;">(Non è amicizia, e men che meno amore. Un sentimento cui non so neanche attribuire un nome, ma più forte di entrambi. Infinitamente più forte.)
<b> </b></span><br />
<br />
<b>Luglio 2014.</b> <i>Soundtrack</i>: "<a href="https://www.youtube.com/watch?v=Wo0ofhv8_8o">Не Жалей</a>" / “<a href="https://www.youtube.com/watch?v=s3Kv1jZrPV0">Don’t regret</a>”.
Luglio è stato un mese in rincorsa. Il contraccolpo di dover affrontare la mia quotidianità senza Alex è stato particolarmente forte, ed ho risposto ammazzandomi di lavoro, e sperando che potesse essere una strategia di coping efficace. Perché avevo disperatamente bisogno di credere che sarei stata in grado di metterci sopra una pezza e andare avanti. Mi sentivo completamente persa. Peggio: senza sapere che direzione prendere, e come fare per andare avanti. Abbiamo scelto il minore dei mali, ma mi ha fatto comunque male; la consapevolezza razionale non mi ha protetta dalla tempesta emotiva. Non mi ricordo molto di Luglio, mi ricordo solo che ogni singolo giorno mi sono impegnata al massimo per non crollare. Ho lavorato come una disperata, pure coprendo turni altrui, e dalla mia maschera di medico superefficiente non è trapelato nulla. Non potevo permettermi di crollare, perché Alex non era più al mio fianco, e quindi non ci sarebbe stato nessuno a darmi una mano per ritirarmi su. E non ero sicura che ce l’avrei fatta a rialzarmi da sola. Di Luglio ricordo solo che ho cercato di non rimanerci sotto. Perché sarebbe stato un rischio che non potevo permettermi di correre. E un lusso che non potevo concedermi. Ce l’ho messa tutta per non cedere, perché sapevo che avrei fatto meglio a non cedere. Perché rimettere insieme i pezzi richiede mille volte il tempo che serve per crollare.
<b> </b><br />
<br />
<b>Agosto 2014.</b> In Agosto ho fatto il mio check-up annuale con la dietista che mi segue: il mio peso è più o meno costante da alcuni anni, e grazie all’ “equilibrio alimentare” che seguo cerco di mantenerlo tale. Perciò, allo stesso tempo, ho deciso di fare un check-up del blog, data la prossimità del suo 6° compleanno. Il mio blog, con le sue pubblicazioni settimanali, ha raggiunto i 315 lettori fissi. Sono arrivata a 125 followers su <a href="https://twitter.com/V_Titanium">Twitter</a>, e per quanto riguarda <a href="http://www.youtube.com/user/VeggieAny?feature=mhum">YouTube</a> ci sono 563 iscritti al mio canale. La mia pagina <a href="http://veggieany.deviantart.com/">DeviantArt</a>, invece, ha toccato le 2566 visualizzazioni. Penso sia natura umana che cose del genere incentivino il mio ego (non che ce ne fosse bisogno, eh, era già abbastanza sviluppato di per sé…), ma più di ogni altra cosa sono felice di essere riuscita a raggiungere così tante persone. I commenti ai post e le e-mail che ricevo da voi, da chiunque stia combattendo contro un DCA, sono per me un incentivo a continuare ad impegnarmi in quello che sto facendo. Il più grande complimento che ho ricevuto è stato quello che mi ha inviato una di voi lettrici, scrivendomi che tutte le sere cena insieme a me: le riesce più facile seguire il suo “equilibrio alimentare” se mentre mangia legge i miei post e i miei tweet, o guarda i miei video. Non sono sicura che esista qualcosa che mi si possa dire, e che possa rendermi più felice di così. Il mio blog sta qui, ragazze, e non se ne andrà da nessuna parte. E la soundtrack del mese, perciò, la dedico a voi, perché è esattamente quello che vorrei dirvi: "<a href="https://www.youtube.com/watch?v=_VChC07qdlE">Go</a>".<br />
<br />
<b>Settembre 2014.</b><i> Soundtrack</i>: “<a href="https://www.youtube.com/watch?v=EVr__5Addjw">Dangerous</a>”. In Settembre io e <a href="http://vdivaffanculoalmondo.blogspot.it/">justvicky</a> abbiamo deciso di fare una mini-vacanza, ed in pochi giorni abbiamo toccato diverse città. Sono stati dei giorni veramente stupendi per me, una parentesi in cui respirare a pieni polmoni, e avrei voluto che potessero non finire, però so che dovevano finire. Tutte le cose belle finiscono prima o poi. Ed ho il sospetto che sia proprio questo a renderle tali. Il posto che mi è piaciuto di più tra tutti quelli che abbiamo visitato? Vediamo se indovinate…
<b> </b><br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjKz7zCwahv9volrkVdsoSSg4ZRn92nknccMHBl6a7Vyb90FJVgxTa7IpdPVADod_3c5y2E3q7t82iVoT1Ym8rC7RtjYroBbU3V8-UiOmkGvaPn4ihoGRHM2uz_Z2kFvvbMauSgSU9pqFA0/s1600/Maranello.JPG" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjKz7zCwahv9volrkVdsoSSg4ZRn92nknccMHBl6a7Vyb90FJVgxTa7IpdPVADod_3c5y2E3q7t82iVoT1Ym8rC7RtjYroBbU3V8-UiOmkGvaPn4ihoGRHM2uz_Z2kFvvbMauSgSU9pqFA0/s320/Maranello.JPG" /></a></div>
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<b>Ottobre 2014.</b> <i>Soundtrack</i>: “<a href="https://www.youtube.com/watch?v=iDRjfn15TX0">Siamo Una Squadra Fortissimi</a>”. In Ottobre ho ricevuto un incarico di lavoro inaspettato: si trattava di fare da medico per una squadra di calcio locale che milita in serie D. Niente di trascendente, per carità, ma a me piace molto il calcio, e dunque sono stata veramente contenta di poter entrare a far parte del team. Tra l’altro, mi sono trovata molto bene sin da subito sia con i giocatori, sia con il fisioterapista, sia con il Mister, sia con il Presidente per cui, anche se per ora l’accordo è che il mio contratto si chiuderà ad Aprile, quando finirà la stagione sportiva, incrocio le dita nella speranza che possa essermi rinnovato per la stagione sportiva 2015-2016… e, perché no, incrocio le dita affinché questa squadra possa risalire in serie C2 (anche se, nel caso, non potrò comunque vantarmi che è stato merito mio per aver posizionato particolarmente bene un Raucocel ad un giocatore, in seguito ad un contrasto subìto quando è stata battuta una punizione…)
<b> </b><br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj20uxM8_oEZVXQ4vmaFcUTrfYC1-RH6TRslERGRf_DGBI25zTDjhefjEKYREp8vkFQywsb8UZ67b9iteWTZ4948EeAdA5D4R2hLxGcofqam1FxB4Txkg4aVkA8MTRxTxcvP9Tens3t2mDH/s1600/Sangio.JPG" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj20uxM8_oEZVXQ4vmaFcUTrfYC1-RH6TRslERGRf_DGBI25zTDjhefjEKYREp8vkFQywsb8UZ67b9iteWTZ4948EeAdA5D4R2hLxGcofqam1FxB4Txkg4aVkA8MTRxTxcvP9Tens3t2mDH/s320/Sangio.JPG" /></a></div>
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<b>Novembre 2014.</b> <i>Soundtrack</i>: “<a href="http://www.youtube.com/watch?v=4iohkcgqUDg">Down</a>”. In Novembre ho origliato una conversazione tra i miei colleghi del 118/DEA, ed ho così amabilmente scoperto quel che si dice alle mie spalle. La cosa è partita dal primario (Dr. Vittorio C.), che ha detto che poiché io non sono entrata in scuola di specializzazione, non mi avrebbe rinnovato il contratto perché (le sue testuali parole) “chi non riesce ad entrare in scuola di specializzazione è un medico mediocre, e io non voglio medici mediocri nel mio DEA”. Okay, la cosa non mi ha fatto piacere, però ne capisco la logica di fondo: un primario deve tutelare l’azienda, e chiaramente chi fa una specializzazione ha una marcia in più di chi non la fa. Quindi, da un punto di vista prettamente utilitaristico, sebbene mi faccia tutt’altro che piacere, posso anche comprendere il suo ragionamento. Almeno ho saputo in anticipo (anche se in via ufficiosa) che il contratto che ho fino alla fine dell’anno non mi sarebbe stato rinnovato, e che avrei dovuto già darmi da fare per trovare altro. La cosa peggiore è stato il sentire quello che i miei colleghi dicevano alle mie spalle, non tanto sul versante professionale (su quello non avevano niente da ridire, in effetti), quanto piuttosto su quello personale. Non dico che consideravo quelle persone degli “amici”, ci mancherebbe, so bene che l’amicizia è ben altro, però eravamo comunque in buoni rapporti, e non pensavo di essere una tale pezza da piedi ai loro occhi. Che poi: ma il coraggio di venirmele a dire in faccia, certe cose, è chiedere troppo? Io credo che ognuno sia libero di pensare tutto quello che vuole su di me come persona, nel bene e nel male, altro ci mancherebbe!, e magari c’hanno pure ragione… però, almeno l’onestà intellettuale e i coglioni di venirmelo a dire face-to-face, credo che ci vorrebbero. Troppo facile tirare fuori le cose quando io non ci sono, e poi comportarsi come se nulla fosse, con la gentilezza consueta, davanti ai miei occhi. Mi sono consolata pensando che da Gennaio non dovrò più aver a che fare con coglioni del genere.
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<b>Dicembre 2014.</b> <i>Soundtrack</i>: “<a href="http://www.youtube.com/watch?v=O5kWoSIBliE">Better Days</a>”. Ed eccomi qua, arrivata alla fine di quest’anno, chiudo il cerchio tornando ad inizio post. Non so cosa mi aspetta nel nuovo anno, e mi appresto ad affrontarlo con un misto di ansia e trepidazione. Recentemente ho letto una frase che recita: "<b><i>Tomorrow may bring pain, but it cannot steal my joy</i>.</b>"<span style="font-size: x-small;"> (“Il domani può arrecare dolore, ma non può rubare la mia gioia”.) </span>Caro 2015, hai presente il 2014? Ecco, adesso tu cerca di fare un tantino meglio, okay? Voglio trovare un po’ di gioia, e voglio fare in modo che rimanga nella mia vita. Ce la metterò tutta, sai? Perciò, 2015, meglio che stai in guardia!
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<b>P.S.=</b> Buon anno nuovo a tutte, ragazze…!
Veggiehttp://www.blogger.com/profile/11990381810503033018noreply@blogger.com18tag:blogger.com,1999:blog-6464611321986605023.post-39977044242848841322014-12-19T11:55:00.001+01:002014-12-19T14:09:12.408+01:00Goodbye 2014... [1^ parte]Quando si arriva alla fine di un anno, le persone si dividono in 2 categorie: quelle che stilano i buoni propositi per l’anno nuovo, e quelle che si voltano indietro e danno un’occhiata all’anno appena trascorso per tirare le fila.<br />
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Personalmente, se mi mettessi a redigere una lista di buoni propositi, conoscendomi so benissimo che li mancherei completamente poiché li caricherei di aspettative eccessive. Tanto più che non riuscirei mai a tenerli a mente, per cui per ricordarmeli per ben 12 mesi, dovrei scrivermeli. E dovrei poi ricordarmi dove li ho scritti. No no, niente da fare, troppo complicato per me. Ergo, appartengo decisamente alla seconda categoria.<br />
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Il 2014 è stato un anno veramente tosto per me. Un alternarsi continuo di alti e bassi, cose positive e cose negative; è stato un anno strano, agrodolce, intenso, che mi ha comunque portato a costruire un altro pezzetto di me. Anche quest’anno ho percorso un pezzo della mia strada, ed ho cercato di mantenermi in carreggiata perché sapevo che la destinazione finale sarebbe stata comunque un nuovo inizio, ed un nuovo inizio conduce a nuove esperienze, e queste esperienze conducono a nuove destinazioni… e così via.<br />
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<b>Gennaio 2014.</b> <i>Soundtrack:</i> "<a href="https://www.youtube.com/watch?v=B5a0xyqF4-k">You Can't Win</a>". Gennaio è iniziato subito male. Per la serie "Se il buongiorno si vede dal mattino...", insomma.
E' iniziato con diatribe infinite con il proprietario della casa in cui abito come affittuaria, perché si sa che insomma la crisi economica, la nuova tassazione, l'IMU, l'ICI, la TASI, il tram 14 che ha modificato l’itinerario e i nuovi cartoni animati di Spongebob, sarebbe stato opportuno che io pagassi di più. Dato il mio stipendio, pagare di più d'affitto significa rinunciare, a scelta, a: gas o luce o cibo o acqua calda (o acqua in toto). Ce n'è volute di riffe e di raffe per trovare un compromesso, non dico buono ma quantomeno accettabile.<br />
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E' proseguito con una serie di colloqui di lavoro andati uno peggio dell'altro. "Ha i capelli troppo lunghi, dottoressa, dovrebbe raccoglierli, sennò sembra sciatta". "Perché quella crocchia? Le dà un'aria troppo seriosa, meglio i capelli sciolti, fanno più informale, i pazienti si sentono meno in soggezione". "Noi cercavamo una persona che abbia un po' più di esperienza lavorativa, non qualcuno alle prime armi". "Lei è già troppo mirata sulla medicina d'urgenza, noi vorremmo qualcuno proprio appena fresco di studi per poterlo indirizzare". "Dovremmo poter lavorare con qualcuno in grado di darci continuità". "Facciamo solo contratti mensili, perché le esigenze variano". "Lei ha già fatto domanda per il lavoro XY, quindi non possiamo accettare la sua domanda per questo impiego". "Lei non ha fatto domanda per il lavoro XY, quindi non possiamo neanche accettare la sua domanda per questo impiego". Prima volta: "Se lei è il secondo pilota di un aereo, e vede che il capitano sta per fare una manovra che farà morire tutti i passeggeri, glielo dice?" "Certo che glielo dico! Diamine!" "Allora lei non è la persona giusta per noi, perché qui abbiamo bisogno di medici disposti a fidarsi ciecamente del primario senza metterlo costantemente in discussione". Seconda volta: "Se lei è il secondo pilota di un aereo, e vede che il capitano sta per fare una manovra che farà morire tutti i passeggeri, glielo dice?" "No no, il capitano è il capitano, ci mancherebbe!" "Allora lei non è la persona giusta per noi, perché qui abbiamo bisogno di medici svegli, che sanno ragionare con la propria testa". (Per inciso: qualcuno mi spiega qual è la risposta giusta a quella cazzo di domanda, allora??) Pace col cervello no, eh?!<br />
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Si è concluso con la bellezza di non una, non 2, non 3, bensì 4 multe. Un salasso, in pratica. E, indovinate un po'? Grazie anche all'affitto aumentato, non navigo certo nell'oro... Tra l'altro, tutte multe prese per la medesima infrazione, ripetuta. Perché io sono una tipina determinata, eh, quando penso di stare dalla parte della ragione, nessuno mi sposta dalla mia strada (ehm, Veggie... il termine tecnico è "essere una fava"). In ogni caso, tutta colpa delle segnaletiche stradali. Gli Autovelox indicati da dei cartelli apposti alcuni metri prima... ma dove?? La notte, poi, ma che c'è da indicare se la strada non è manco illuminata? Viviamo in un Paese ormai alla frutta, che pur di raggranellare qualche spicciolo (168 Euro a volta... spiccioli un corno!) specula su noi poveri cittadini imponendo limiti di velocità assurdamente bassi su raccordi che sembrano autostrade; siamo in un Paese che opprime i suoi cittadini, ne monitorizza la velocità degli spostamenti, li sottopone allo spietato giudizio della Polizia Municipale... accidenti!<br />
In sintesi: e i soldi per pagarle chi me li dà?<br />
Avevo pensato a 2 soluzioni: <b>1)</b> Indire una misera colletta di 5 Euro/persona tra voi lettrici del blog, il che avrebbe risolto il problema in maniera rapida ed indolore. Del resto, ci sono persone che offrono l'8 per 1000 alla Chiesa Cattolica, quindi perché non una donazione in favore dell'admin di questo blog? <b>2)</b> Alternativa meno onerosa per le singole lettrici, un po'meno rapida ed indolore, ma efficace al 100%: colpo di stato. Unire le nostre forze per sovvertire la legge, approfittandone anche per occultare le notifiche amministrative della sottoscritta. (Idea in grado peraltro di unire l'utile al dilettevole). E alla fine mi son dovuta ingegnare a trovare metodi più consoni alla società civile per pagare quelle stupidissime multe (avevo pensato infatti di andare a rubare un po' di portafogli in giro...)
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<b>Febbraio 2014.</b> <i>Soundtrack:</i> “<a href="http://www.youtube.com/watch?v=fEDJsk9z0D0">Another Day</a>” (questa è per te, Cosi) / “<a href="http://www.youtube.com/watch?v=YNSfa1IsSv8">A SimpleMotion</a>” (e questa è per me, ovviamente… mi sono trattenuta dal mettere “Timber”, visto Cosi?!). In Febbraio io e Cosi abbiamo deciso di guardare insieme le stelle. Spalla contro spalla, lo sguardo rivolto a quel rettangolo di cielo. A vedere una notte trascorrere immemore del nostro essere lì, seduti, in silenzio. Può cambiare tutto in una notte e, allo stesso tempo, non cambiare niente? Solo io e Cosi, il cielo stellato, ed era abbastanza. Ed era tutto. Basta una mansarda, un cielo punteggiato di stelle, il gioco di luci del paese tra il buio sottostante, la mancanza di desideri da esprimere anche in presenza di stelle cadenti, perché come fai ad esprimere un desiderio se ti sembra che quel momento sia già perfetto così com’è? È stato un qualcosa di indescrivibile. E non mi sento di aggiungere altre parole. Solo: indescrivibile.<br />
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Ebbene, sapete cos’avevano detto gli altri ragazzi che fanno karate insieme a noi, quando avevamo ventilato l’ipotesi di andare a guardare le stelle? Che guardare le stelle è roba da coppiette, e noi non siamo una coppia. Ma che discorso è? Anche abbracciarsi è roba da coppiette, allora, eppure io a Cosi lo abbraccio. E lui mi abbraccia. E non c’è nulla di male, perché sappiamo noi che rapporto abbiamo e dove finisce. Eppure, seguendo l’illuminata visione degli altri ragazzi del karate, abbiamo appurato che nei rapporti d’amicizia: si può limonare duro e si rimane comunque amici, si può dormire insieme e si rimane comunque amici, si può fare sesso e ancora si rimane amici, ma NON si possono guardare le stelle insieme perché è roba da coppie, e non ci sono più le mezze stagioni (questa frase è un’evergreen).<br />
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Eppure io e Cosi le stelle insieme le abbiamo guardate ugualmente, alla faccia di tutti. Abbiamo cercato di scappare, e siamo finiti inevitabilmente per tornare al punto di partenza – anche se siamo entrambi così stupidamente orgogliosi che non lo ammetteremo mai. Può passare un giorno, un mese, un anno o una vita, tutto il tempo che si vuole, e siamo di nuovo lì, come se non fosse trascorso neanche un secondo, due poli uguali di calamite che inaspettatamente non si respingono. E io penso che, diamine, gli voglio davvero bene a questo ragazzo con cui sono cresciuta, a questo ragazzo con cui ho condiviso una fetta di vita. Che sono davvero felice che ci sia stato lui a guardare le stelle con me. Che non avrebbe potuto esserci nessun altro. Perché non sarebbe stato lo stesso. Non serviva nulla di più, non servivano spiegazioni od altro, è stato di una bellezza indescrivibile. E indescrivibile, forse, lo è anche la nostra amicizia.
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<b>Marzo 2014.</b> <i>Soundtrack:</i> “<a href="http://www.youtube.com/watch?v=OecAAiWozW4">Coffee And Cigarettes</a>”. In Marzo ho ampliato la mia esperienza lavorativa alle sostituzioni di MMG (Medici di Medicina Generale... i medici di famiglia, per intendersi), ed ho scoperto che al confronto il 118 nelle giornate in cui si raccattano infartuati/shockati/incidentati/vivi per miracolo sono una vera passeggiata di salute. Negli ambulatori dei MMG ho imparato sulla mia pelle che i 3 punti-chiave che ti dicono a lezione di Semeiotica riguardo i pazienti sono assolutamente veri.<br />
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<i><b>1) I pazienti mentono.</b></i>
Durante l'ambulatorio un paziente, rispondendo alle mie domande, ha volontariamente e spudoratamente omesso alcuni dati anamnestici di non scarso rilievo per farsi prescrivere un determinato farmaco.<br />
<i><b>2) I pazienti si documentano su Internet, e arrivano dal proprio medico con un'auto-diagnosi già fatta.
</b></i>Suddetto paziente si è presentato in ambulatorio con un'auto-diagnosi, sciorinandomi tutti i sintomi inerenti quella patologia come propri, e non in virtù del fatto che avesse veramente quella malattia o che anche lui avesse studiato Medicina, o si fosse documentato su PubMed o su qualche libro di medicina interna, ma semplicemente perché aveva cercato quello che gli interessava su Wikipedia. E Wikipedia 9 volte su 10 ci azzecca.<br />
<i><b>3) I pazienti modificano autonomamente dosaggi/tempistica/modalità d'assunzione della terapia, senza dire niente al proprio medico.
</b></i>Il paziente in questione non ha scagato manco di striscio quello che gli avevo detto a proposito del farmaco, e ne ha considerevolmente abusato creando nuove posologie di sua sponte.
Morale della favola: la cosa è venuta fuori perché il paziente è tornato successivamente in ambulatorio stando peggio, è stata una botta di culo se non gli è successo nulla di veramente grave, ed io ho passato un brutto quarto d'ora.<br />
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E avanti in maniera del tutto simile per ogni singolo giorno di sostituzione, che facevo le X sui giorni del calendario aspettando con ansia la fine, proprio come quando ero una studentessa e aspettavo l'ultimo giorno di scuola con la stessa impazienza.
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<b>Aprile 2014.</b> <i>Soundtrack:</i> “<a href="https://www.youtube.com/watch?v=yJYXItns2ik">Count On Me</a>”. In Aprile, io e il Dottor Tommaso B. (che è stato il mio primissimo tutor quando ho cominciato a fare tirocinio in Pronto Soccorso ed ero ancora al 4° anno di Medicina, e che è successivamente diventato un mio caro amico) ci siamo scambiati una serie di SMS che sono quanto di più meraviglioso possa esserci, per lo meno per quello che è il mio modo di concepire il lavoro di squadra nella professione medica, laddove invece purtroppo spesso e volentieri regna incontrastata la competitività, e dove tutti farebbero di tutto per mettere i bastoni tra le ruote. <span style="font-size: xx-small;">(Click sulle immagini per ingrandire.)</span><br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgdmQ4jSqtfHtFHiTT1V-O0SunQeTbE2sukaGLxZbt7S3-UJCzDfjDCoANrs9J-hTMp0FQelFGvZJH_fYEWqMNXEQKWdxy9JXMTcyHSt_0GW5IfXHgZFS2JrQmopXsNnd3BI3qjXWj9cNWy/s1600/SMS1.jpg" imageanchor="1"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgdmQ4jSqtfHtFHiTT1V-O0SunQeTbE2sukaGLxZbt7S3-UJCzDfjDCoANrs9J-hTMp0FQelFGvZJH_fYEWqMNXEQKWdxy9JXMTcyHSt_0GW5IfXHgZFS2JrQmopXsNnd3BI3qjXWj9cNWy/s200/SMS1.jpg" /></a><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj3RCRjagFuEq9E5ClGGp9feqAx-6iX5swGBO3G-NuBu5wSvds1IlpsMy1tVXuZufM86brLV6BSzokxxlWIDAbguodhBwmwCLrQwfcbWMEphg_8x07nPr-pJl6wOJaGJucUBArqVvZopuBa/s1600/SMS2.jpg" imageanchor="1"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj3RCRjagFuEq9E5ClGGp9feqAx-6iX5swGBO3G-NuBu5wSvds1IlpsMy1tVXuZufM86brLV6BSzokxxlWIDAbguodhBwmwCLrQwfcbWMEphg_8x07nPr-pJl6wOJaGJucUBArqVvZopuBa/s200/SMS2.jpg" /></a>
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<b>Maggio 2014.</b> <i>Soundtrack:</i> “<a href="https://www.youtube.com/watch?v=jukv9Q1eR2g">Hall Of Fame</a>”. In Maggio Manuel e Dino, due dei ragazzi del karate di cui sono allenatrice, si sono classificati rispettivamente 2° e 3° nella gara di kumite (= combattimento), del torneo che si è tenuto nella città di A. Sono due ragazzi che alleno da diversi anni, e non è la prima volta che vedo Manuel salire sul podio, mentre per Dino è stata la primissima, perciò non mi era mai capitato di averli entrambi sullo stesso podio contemporaneamente. Questo per me è stato un successo sotto ogni punto di vista, che mi ha fatto capire quanto questi ragazzi sono veramente in gamba, quanto mi posso aspettare da loro, e quanto ancora possono essere in grado di fare continuando a lavorare sodo; ma è stato un successo anche personale, perché mi ha fatto capire che come allenatrice ho lavorato bene, e che devo procedere in questa direzione. È stata una bella iniezione di fiducia… oltre che una coppa d’argento e una di bronzo per i “miei” ragazzi, nonché una coppa di riconoscimento anche a me come allenatrice, e neanche tutto questo è proprio da buttare via…! <span style="font-size: x-small;">(continua...)</span><br />
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Veggiehttp://www.blogger.com/profile/11990381810503033018noreply@blogger.com13tag:blogger.com,1999:blog-6464611321986605023.post-75849683701834831942014-12-12T10:33:00.000+01:002014-12-12T10:34:24.539+01:00Affrontare il periodo natalizioUn altro Natale sta arrivando, e con esso un altro periodo festivo e, come ormai ogni anno, voglio lasciarvi alcuni suggerimenti di auto-aiuto per cercare di affrontare un po’ più serenamente questo periodo e questa giornata in particolare, nonostante la presenza del DCA. Spero che in qualche modo possano esservi utili…
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<b>1) Cercate di alimentarvi regolarmente, seguendo il vostro “equilibrio alimentare”</b>. Non saltate pasti e non digiunate per cercare di “far pari” con quello che avete mangiato, o con quello che avete in previsione di mangiare: un pranzo/cena di Natale è un singolo strappo alla regola, che l’omeostasi dell’organismo minimizzerà automaticamente. Continuate a nutrirvi in maniera regolare, senza guardare nel piatto altrui.<br />
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<b>2) Cercate di non focalizzarvi troppo sugli aspetti negativi delle feste</b> (per esempio: dover rivedere tutti i parenti, anche quelli più intollerabili, dover attirare commenti per il vostro aspetto fisico/abbigliamento/quello che mangiate/etc…), e provate invece a pensare a quello che può esserci di positivo.
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<b>3) Giocate d’anticipo</b>: fate un elenco di quelli che potrebbero essere i trigger cui potreste trovarvi di fronte a Natale, e parlatene con psichiatra/psicologo/dietista/dietologo/nutrizionista… ogni membro del team di specialisti che vi segue. Così facendo, queste persone potranno aiutarvi a prepararvi, affrontare e superare i momenti difficili cui potreste andare incontro, senza dover adottare alcuna strategia di coping propria del DCA.
<b> </b><br />
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<b>4) Elaborate un “Piano B”</b> prima di invitare qualcuno a casa vostra, o di andare a festeggiare a casa altrui. Siate consapevoli di quali sono le “uscite di emergenza”, di dove sono le persone che possono supportarvi, e di quando arriva il momento di prendervi una pausa dalla situazione che state vivendo, e chiedere aiuto.
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<b>5) Parlate con franchezza a chi vi circonda</b> di quelli che sono i vostri problemi e le vostre difficoltà alimentari, al fine di non essere oggetto di pressioni od osservazioni tutt’altro che piacevoli, e vedere così il vostro umore calare a picco. Spiegate anche quelle che sono le cose che vi danno fastidio e che preferireste gli altri evitassero di fare/dire, affinché anche chi vi sta di fronte possa avere qualche dritta su cosa fare/non fare, dire/non dire.
<b> </b><br />
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<b>6) Scegliete, in anticipo, un amico/familiare/terapeuta/qualcuno cui telefonare in caso di difficoltà</b>, quando sentite che state per cedere al DCA, o quando vi sentite sopraffatte da pensieri ed emozioni negative. Mettetevi d'accordo con questa persona nei giorni che precedono il Natale, informatela su quali potrebbero essere le vostre difficoltà, le vostre necessità, e la possibilità di ricevere una chiamata da parte vostra nel giorno di Natale.
<b> </b><br />
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<b>7) Se pensate che possa esservi di supporto</b>, o comunque utile in qualche modo, <b>fatevi aiutare da un familiare/amico</b> che sarà presente al vostro pranzo/cena di Natale, in maniera tale che questa persona possa rappresentare una sorta di “check point sulla realtà dei fatti” in merito all'alimentazione. Una persona che possa aiutarvi con le dosi del cibo, che possa riempirvi il piatto con quantità adeguate prima che lo faccia qualcun altro magari in maniera impropria, o che comunque sia in grado di dirvi se state restringendo/esagerando in merito a quanto cibo voi stesse vi mettete nel piatto.
<b> </b><br />
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<b>8) Scrivete quali vi piacerebbe potessero essere i vostri pensieri e il vostro stato emotivo nel periodo natalizio</b>, in compagnia dei vostri parenti. Se e quando le cose si allontaneranno dalla vostra visione, prendetevi il tempo per respirare a fondo e cercare di ritornare in uno stato d'animo un po' più sereno, che è quello che desiderate per voi stesse.<br />
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<b>9) Se avete degli obiettivi alimentari/psicologici</b> per il tempo natalizio che trascorrerete insieme ai vostri parenti, <b>focalizzate detti obiettivi su quello che vi piacerebbe ottenere</b>. Fate in modo che i vostri sforzi siano mirati al “fare qualcosa”, piuttosto che al “provare a prevenire qualcosa”.
<b> </b><br />
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<b>10) Cercate di essere flessibili</b>. Cercate di essere flessibili sia negli obiettivi che vi prefissate (che siano il mangiare in un certo modo, o il relazionarvi in un certo modo coi familiari, o il mantenere un certo stato d'animo, etc...), sia nelle aspettative che nutrite rispetto al comportamento altrui nei vostri confronti. Cercate di essere flessibili tanto sul versante alimentare, quanto su quello psicologico/comportamentale. Prendetevi una... vacanza di Natale dall'eccessiva rigidità, dal controllo di ogni singolo dettaglio, dall'esasperato auto-criticismo.
<b> </b><br />
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<b>11) Isolarsi e chiudersi in se stesse è il peggior modo possibile per affrontare un periodo tutt'altro che semplice</b>. Perciò continuate a fare psicoterapia e a seguire il vostro “equilibrio alimentare” prima e dopo il giorno di Natale. Questo potrà esservi di estremo supporto per arrivare al Natale “preparate”, nonchè per scaricare eventuali sentimenti negativi scaturiti da questa giornata di festa. Continuate inoltre a cercare supporto ed auto-aiuto su Internet, in blog e forum, ove potete parlare delle vostre difficoltà e consultarvi con chi sta vivendo una situazione analoga, per cogliere eventuali suggerimenti su comportamenti che quella persona può mettere in atto per viversi meglio i giorni di festa.
<b> </b><br />
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<b>12) Evitate lo stress e gli impegni eccessivi</b>. Questo al fine di evitare che, per far fronte ad un periodo particolarmente stressante, possiate rimettere in atto strategie di coping proprie del DCA per tamponarlo. Evitate dunque tutti quegli impegni che proprio non sono obbligatori, tutto quel giro-di-visite-scambio-di-regali che non siano proprio tassativi, e prendetevi piuttosto un po' di tempo per voi stesse, per rilassarvi, per dedicarlo al fare quello che vi piace... perché è così che si tiene a bada un DCA: dedicando tempo a cose che ci fanno stare bene.<br />
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Buone feste a tutte, ragazze!Veggiehttp://www.blogger.com/profile/11990381810503033018noreply@blogger.com13tag:blogger.com,1999:blog-6464611321986605023.post-49045185000851430442014-12-05T10:31:00.003+01:002014-12-05T10:35:42.995+01:00Progressione di frasi positive (Affermazione)Dato che un paio di Venerdì fa ho pubblicato un post inerente una frase positiva a doppio taglio scritta da <b>Demi Lovato</b>, che ha riscosso tra voi lettrici tanto pareri favorevoli quanto dissensi, nonché opinioni contrastanti in merito alle frasi positive più in generale, oggi voglio raccontarvi una storia.
Una storia in merito a quanto io creda fermamente nel potere delle frasi positive, e delle affermazioni positive più in generale.<br />
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Diversi anni fa, lessi una frase positiva che recitava: “<i><b>Beauty is not a state of body. It’s a state of mind</b></i>”.<br />
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Mi è piaciuta questa frase dal primo secondo in cui l’ho letta, ma inizialmente mi è piaciuta in maniera speranzosa. Avrei voluto assorbire la saggezza di questa frase. Avrei voluto potermi svegliare ogni mattina col sorriso sul volto nella consapevolezza della veridicità di quelle parole. Col passare del tempo, sebbene fossi ancora molto coinvolta dall’anoressia, cominciai ad avere sempre più chiari quali fossero i miei veri problemi rispetto ai quali utilizzavo l’anoressia come strategia di coping, e leggere una frase come quella mi faceva sentire meglio.<br />
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Così la ricopiai su un Post-It, e la attaccai sulla pin-board della mia cameretta. E iniziai a leggerla tutti i giorni. Poi ricopiai “<i><b>Beauty is not a state of body. It’s a state of mind</b></i>” sulla mia agenda. E la riscrissi anche come memo sul mio cellulare. E tentavo di farmela tornare a mente ogni volta che mi guardavo, ogni volta che guardavo a quello che avevo fatto e alla persona che ero, e l’immagine che gli occhi della mia mente mi rimandavano non mi piaceva.<br />
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Poco dopo aver scoperto questa prima frase, incappai in un’altra scritta da Janis Joplin:<br />
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"<i><b>Don't compromise yourself. You are all you've got.</b></i>"<br />
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Mi piacque molto anche questa. La lessi, e compresi istintivamente la sua veridicità. Alla fine di ogni giornata, ci sei sempre e solo tu. Anche se hai mandato tutto a puttane, tu rimani sempre. Anche se qualcuno o qualcosa ti ha preso tutto, tu resti comunque. Sei tutto ciò che hai.<br />
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Così cominciai a pensare che tutto il mio devastare me stessa potesse avere una fine. Non ero una stupida – sapevo che non potevo prendere una decisione del genere e cambiare tutto da un giorno all’altro. Sapevo anche che, per quanto avessi desiderato accettarmi per quella che ero, credere in me stessa, e pensare che ero grandiosa/intelligente/tosta/unica, non sarebbe successo nell’arco di poco tempo. Avrei voluto possedere una bacchetta magica Janis Joplin, puntarla verso me stessa, ed incarnare immediatamente quella citazione… ma sapevo che non era possibile.<br />
<br />
Così feci l’unica cosa che avrei potuto fare: m’imparai la sua frase positiva a mente, cercando di ripetermela quando le cose sembravano andare particolarmente storte. Scrissi la frase su un Post-It verde chiaro, e lo appiccicai sullo specchio. Ogni volta che mi guardavo allo specchio, ripetevo quella frase. Ogni volta che avevo pensieri sabotanti indotti dall’anoressia, quella frase pure era nei miei pensieri, a ricordarmi che non dovevo cedere alla compromissione di me stessa, perché ero tutto ciò che avevo.<br />
<br />
Quel Post-It con su scritta quella frase è rimasto appiccicato al mio specchio per anni. Col tempo ho attaccato numerosi altri Post-It al mio specchio, ma la frase di Janis Joplin è rimasta sempre lì. Ho cominciato a pensare ad essa come ha una sorta di “lista delle cose da fare”. Tipo: “Ricordati: andare a pagare le bollette”. O, nel mio caso, “Ricordati: don't compromise yourself. You're all you've got”.<br />
<br />
Non si può leggere una cosa più volte al giorno (soprattutto nei momenti di maggior vulnerabilità e odio verso noi stesse di fronte allo specchio) e non cominciare a crederci e a portarlo nel cuore. Banalmente perché, fisiologicamente, la reiterazione è la modalità-base con cui funzionano le nostre connessioni neuronali.<br />
<br />
E così quelle frasi positive hanno cominciato a lavorare sotto, rimodellando a poco a poco piste neurali, lentamente ma inesorabilmente.<br />
Anni più tardi, quando nel Settembre 2012 mi sono trasferita nell’appartamento in cui vivo tuttora, ho appiccicato di nuovo la frase di Janis Joplin nel bagno – accanto allo specchio. E’ ancora lì. Non è più un memo per ricordarmi di non compromettere me stessa, adesso è una sorta di promemoria del mio percorso di ricovero dall’anoressia.<br />
<br />
Guardo nello specchio e sorrido. Come al solito, la Veggie di oggi non è quella che vorrei che fosse… ma ci sto lavorando.
Ho fatto dei passi avanti.<br />
Non sono tutta ‘sta genialità, non sono tutta ‘sta grandiosità, non sono tutta ‘sta meraviglia, ma sono me stessa. Non sono più il fantoccio animato dall’anoressia. Sono me stessa. E non voglio compromettermi. Sono tutto quello che ho. Perciò non ho più bisogno di quella frase sullo specchio. Ma la tengo comunque lì. Perché qualche volta… ho ancora bisogno di vedere che sta lì, accanto al mio riflesso, e poter dire: “Grazie mille, Janis!”.
Veggiehttp://www.blogger.com/profile/11990381810503033018noreply@blogger.com10tag:blogger.com,1999:blog-6464611321986605023.post-26241842553628821862014-11-28T15:40:00.002+01:002014-11-28T15:44:05.810+01:00Sentirsi/essere "pronte"Un post che ho recentemente letto nel blog di una ragazza Americana (che si firma Sarah Ravin) che soffre di DCA mi ha dato molto da pensare.<br />
Questa ragazza infatti scrive:<br />
<br />
“<i>[…] Come molte malattie psichiatriche, i disordini alimentari sono spesso caratterizzati da periodi di esacerbazione e periodi di remissione – una generale riacutizzazione e riduzione dei sintomi in maniera ciclica col passare del tempo. La sintomatologia può essere anche completamente regredita in un certo periodo della vita, ma la predisposizione ad adottare comportamenti alimentari erronei rimane per tutta la vita. Lo stress di qualsiasi tipo rappresenta un significativo detonatore per le ricadute del DCA. </i><br />
<i>Tutte abbiamo dei momenti di particolare stress nella nostra vita. In parte lo stress è inevitabile, talvolta viene dall’esterno, talvolta siamo noi stesse che ci auto-stressiamo. Ovviamente non possiamo predire o controllare alcuni grossi stress della vita, come per esempio lo stress che può comparire a seguito della morte di una persona cara, o in caso di catastrofi naturali, etc. Ma possiamo comunque controllare parte dello stress della nostra vita: possiamo decidere come e quando fare dei cambiamenti nella nostra vita. […]</i>”<br />
<span style="font-size: x-small;">(mia traduzione) </span><br />
<br />
Io sono d’accordo con ciò che questa ragazza ha scritto. Ed è un qualcosa che gli altri non sono mai stati capaci di spiegarmi veramente quando ero nel pieno dell’anoressia.<br />
Al termine del mio primo (e decisamente disastroso) ricovero in una clinica specializzata nel trattamento di DCA, quando ero ancora estremamente sottopeso e basilarmente con una mentalità ancora totalmente immersa nella malattia, venni incoraggiata a ritornare immediatamente a frequentare la scuola poiché, a detta degli altri, “mi avrebbe fatto bene ri-immergermi tra i miei coetanei e dedicarmi ai miei impegni scolastici per non rischiare di perdere l’anno”. Dopo circa tre settimane il preside mandò una lettera a casa chiedendo per me accertamenti medici visto che ero svenuta 3 volte a scuola nel giro di 20 giorni.
(Abbastanza ironico, no?!)<br />
<br />
Insomma, dopo aver comunque perso un anno di scuola, dopo aver fatto un secondo ricovero nello stesso centro, ed aver finalmente recuperato qualche chilo (pur restando comunque molto sottopeso), ritornai di nuovo a scuola, e poiché l’anno scolastico era già iniziato da un pezzo, m’impegnai con le unghie e con i denti per non perdere un secondo anno di scuola. Anziché cercare di consolidare i primi esitanti passi che avevo mosso sulla strada del ricovero, mi sottoposi ad un forte stress a causa della scuola. Stavolta fui più resistente, mesi anziché settimane, ma poi l’anoressia ebbe di nuovo la meglio su di me, ricominciai molto gradualmente a restringere l’alimentazione, e la malattia mi catturò di nuovo.<br />
<br />
Ad ogni modo, dall’esterno la maggior parte della gente mi giudicava “pronta”. Il mio peso era un po’ risalito, e riuscivo sempre a conseguire dei discreti voti a scuola. Mi comportavo in maniera normale di fronte agli occhi di tutti, avevo ricominciato a fare karate, ero di nuovo in pista. Per lo più, io stessa pensavo di essere pronta. La pazienza non è la mia dote migliore – non lo è mai stata, temo non lo sarà mai.<br />
<br />
Il problema ovviamente stava nel modo in cui io valutavo il mio “essere pronta”. Confrontando come stavo in quel periodo rispetto a come stavo quando ero nel pieno dell’anoressia ed avevo toccato il mio peso più basso in assoluto, sicuramente avevo fatto dei passi avanti. Ma se si misura l’ “essere pronta” rispetto a quanto fossi in quel momento in
grado di affrontare la vita quando le cose si scostavano anche solo di poco dall’orinaria routine, la valutazione sarebbe stata ben diversa. Avere recupero e poi stabilità ponderale ed emotiva è importante, certo, su questo non si discute. Ma non si può dire che una persona con un DCA sia “pronta” ad affrontare le sfide della vita valutando soltanto questi due parametri.<br />
<br />
La cosa più difficile per me, dato che sono una persona basilarmente orgogliosa, è stata l’imparare a chiedere aiuto nei momenti di difficoltà, nonché il capire che la mia anoressia era in sè un problema, e non la strategia di coping giusta da utilizzare di fronte ad ogni qualsiasi altro problema della mia vita. Ho dovuto prendermi calci su calci nel mio arrogante culetto prima di rendermi finalmente conto che avrei potuto solo fingere di stare meglio per un lasso di tempo più o meno lungo, prima che qualcuno non avesse sgamato le mie balle. Dovevo rischiare di apparire inizialmente un po’ stupida per evitare di sembrare una completa idiota parecchi anni più tardi.<br />
<br />
L’altra cosa che mi c’è voluto un sacco di tempo per capire, è stata quanto tempo ci voglia per costruire nuovi pathway neurali e nuove risposte, quanto tempo ci voglia per cominciare ad allontanarsi effettivamente dall’anoressia. L’avevo seriamente sottovalutato. La gente credeva che nel momento in cui riuscivo a mangiare normalmente, allora ero guarita! In realtà, mi ci sono voluti anni ed anni ed anni di severissima auto-imposizione nel consumare quotidianamente l’ “equilibrio alimentare” per acquisire un pochina di flessibilità rispetto alla mia alimentazione.
In realtà, sono tuttora molto poco flessibile sia da un punto di vista comportamentale che cognitivo.<br />
<br />
Quel che voglio dire è che, fintanto che non succede niente, fintanto che la mia vita è routinaria, me la cavo abbastanza bene. Se non sono particolarmente stressata per un qualche motivo, posso tranquillamente sembrare “normale”, per lo meno ad un’osservazione superficiale. Stress, cambiamenti, e tutte quelle cose incerte di cui la vita è piena, ed ecco che tendo a riscivolare verso la mia strategia di coping preferenziale. Poiché lo stress non era costantemente presente nella mia vita, anche nei periodi in cui ero più legata all’anoressia pensavo che sarei riuscita a gestire tutto. Ma non ci sono poi mai riuscita veramente. Tutte le volte che le cose si facevano più difficili, l’anoressia tornava a fare da padrona nella mia testa, e disconnettere le due cose – stress e anoressia – prima che la seconda avesse di nuovo la meglio su di me, è una cosa che mi ha richiesto anni su anni, ed altri 3 ricoveri. Tuttora devo fare molta attenzione. Sono certamente più brava rispetto a prima, più brava rispetto a quanto non lo sia mai stata finora, ma l’anoressia è ancora lì che mi tenta, e probabilmente ci resterà sempre, in agguato, in attesa che io compia un passo falso.<br />
<br />
La morale della storia è: percorrere la strada del ricovero è un incredibile stress. Ma non abbiamo niente da dimostrare a nessuno, e non dobbiamo metterci fretta, bensì prenderci tutto il tempo di cui crediamo di aver bisogno se non ci sentiamo “pronte”. E non preoccuparci di tutto il resto: staccarsi dall’anoressia ora è la priorità. Una volta fatto questo, una volta rotto lo strettissimo legame che ci ancora all’anoressia, l’affrontare tutti gli altri problemi ci sembrerà molto più semplice. Veggiehttp://www.blogger.com/profile/11990381810503033018noreply@blogger.com21tag:blogger.com,1999:blog-6464611321986605023.post-27951316896251734652014-11-21T16:05:00.001+01:002014-11-21T16:09:00.553+01:00Forza e ricovero: L'altra faccia dei messaggi positiviNon è un segreto che io usi Twitter molto spesso. Tutti i giorni faccio un salto sul <a href="https://twitter.com/V_Titanium">mio account</a>, e lascio un tweet. È un po’ come la mia seconda casa virtuale, subito dopo il blog.<br />
<br />
Alcuni giorni fa, tuttavia, mi sono imbattuta in questo tweet:<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhz8nRE1uaXADN9BRDRaoWNmiOHK9IIFGsM5kPAWemgJfL_5VbWC26TqqIbK2eFvaqe9wy_9QTDIux-MSdH6H7sOQtAHrtXXOYVNi_I-JpOEypk91zVyZNkch7EYJ53fdn1948wora8LbrP/s1600/DemiLovatoTweet.JPG" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhz8nRE1uaXADN9BRDRaoWNmiOHK9IIFGsM5kPAWemgJfL_5VbWC26TqqIbK2eFvaqe9wy_9QTDIux-MSdH6H7sOQtAHrtXXOYVNi_I-JpOEypk91zVyZNkch7EYJ53fdn1948wora8LbrP/s320/DemiLovatoTweet.JPG" /></a></div>
<br />
[Traduzione: <i>Avere un DCA non è una dimostrazione di “forza”. È forte chi ha la capacità di superare i propri demoni dopo essere stata malata per tanto tempo.</i>]<br />
<br />
Ora, generalmente io sono molto a favore delle frasi positive: io stessa spesso e volentieri le posto su Twitter. Non penso ovviamente che queste frasi possano far “guarire” (e sennò si sarebbe trovata la magica medicina per i DCA, e tante grazie…) nessuno, però penso che possano servire da spunto di riflessione. Se non le si lasciano essere fini a se stesse, ma si agiscono, possono condizionare positivamente il nostro comportamento. Anche perché i nostri neuroni sono coazioni a ripetere, per cui fisiologicamente più ci si concentra su quello che c’è di positivo, più il cervello impara a vedere il positivo. Ma il mio gradire le frasi positive è solo la mia opinione. Ci sono persone a cui<br />
queste frasi positive non piacciono, e va bene ugualmente.<br />
<br />
Ci sono parimenti senza dubbio un sacco di persone cui piace Demi Lovato ma, forse per la differenza di età, a me questa ragazza non dice granché, e certo non la prenderei a modello. Per carità, mi sembra una brava ragazza, ha fatto un sacco di cose, e sono felice per lei che abbia ottenuto del successo. Se la conoscessi di persona, probabilmente sarebbe una persona che mi piacerebbe pure.<br />
<br />
Tuttavia, il tweet sovramensionato che lei hai scritto non mi piace.<br />
<br />
Prima di calamitare tutte le peggiori infamate da parte delle fan di Demi Lovato che leggono questo blog, ci tengo a precisare: sono sicura che l’obiettivo di Demi Lovato quando ha scritto questo tweet fosse quello di essere fonte di ispirazione, ed incoraggiare le persone a combattere per superare la malattia. E non c’è niente di male né di sbagliato in questo.<br />
<br />
Il mio storcere il naso di fronte a queste parole prende in considerazione l’altra faccia della medaglia: e se una persona, in un determinato momento della sua vita, non riesce a combattere contro l’anoressia per superarla, vuol dire che è una debole?<br />
<br />
Conosco diverse persone che si sono fatte culi come rosoni per combattere contro il proprio DCA, ma che ancora non l’hanno superato e non vivono dunque attualmente una fase di remissione. Talvolta queste persone non sono riuscite a ricevere il supporto terapeutico di cui avrebbero avuto bisogno. Talvolta il percorso terapeutico intrapreso non ha funzionato. I DCA sono malattie estremamente difficili da affrontare e da trattare. No, avere l’anoressia non significa in alcun modo essere forti, così come non significa essere forti l’avere ogni qualsiasi malattia. Significa semmai avere erroneamente scelto una strategia di coping patologica, in un momento della vita in cui la sua erroneità non è stata correttamente percepita. Ma non riuscire a superare un DCA non significa che quella persona non ce la stia comunque mettendo tutta nel combattere. Significa solo che in quel momento non riesce a stare meglio.<br />
<br />
Quello che non mi piace del tweet di Demi Lovato, è la sua potenziale estrema negatività se si guarda l’altra faccia della medaglia. Di fronte ad una frase apparentemente positiva di questo tipo, è difficile guardare oltre perché queste parole sembrano così, appunto, positive. Il problema nasce nel momento in cui si prende in considerazione il messaggio subliminale che passa alle persone che stanno ancora combattendo contro l’anoressia e non riescono, sul momento, ad avere la meglio. È come dire ad un paziente malato di diabete che non riesce ad avere un buon controllo della propria glicemia, che non si sta impegnando abbastanza a combattere contro la sua malattia. È sciocco. Le persone che combattono contro un DCA e cominciano a stare meglio, possono comunque avere delle ricadute, e devono ricominciare a combattere per riportarsi in una condizione di remissione… ma questo non ha niente a che vedere con la loro forza interiore. Non dice niente in merito a che tipo di persone siano. Ma dice tutto in merito a cosa possa essere l’anoressia/la bulimia/il binge/il DCAnas.<br />
<br />
Il mio timore è che qualcuna che sta ancora combattendo contro la fase più acuta dell’anoressia, e sta ancora male, possa leggere la frase di Demi Lovarto e pensare che, poiché è ancora prigioniera dell’anoressia, allora questo significa che non è forte abbastanza per superarla… il che la farebbe soltanto sentire ancora peggio. Questo, per lo meno, è quello che io percepisco.<br />
<br />
Forse la mia può sembrare mera pignoleria, ma penso che ci sia un luogo comune diffuso proprio tra le persone che hanno un DCA: il fatto che, se tenti abbastanza volte, tu, sì, proprio TU, puoi superare l’anoressia. Mi dispiace, ma io non credo sia così. Non è la “quantità” di tentativi che permette di arrivare ad una remissione dell’anoressia. Non è così semplice. Ed ho letto peraltro altri tweet che dicono che guarire completamente dall’anoressia è possibile, se si tenta abbastanza. Di nuovo, non credo che sia possibile, e comunque non credo sia una mera questione di numero di tentativi fatti. Io credo che quel che conta sia la “qualità” dei tentativi fatti.<br />
<br />
In ogni caso, ripeto: io sono assolutamente <b>a favore</b> dei messaggi positivi come fonte di auto-aiuto nella lotta quotidiana contro l’anoressia, quindi continuate pure a circondarvi di messaggi di questo tipo… semplicemente, tenete a mente il fatto che superare un DCA arrivando ad una remissione non significa che voi siete forti e che chi invece in questo momento non ci riesce non lo è, perché non è segno di debolezza il continuare a combattere, anzi, io credo che il combattere in sé sia già una vittoria. Veggiehttp://www.blogger.com/profile/11990381810503033018noreply@blogger.com16tag:blogger.com,1999:blog-6464611321986605023.post-25024790198434624062014-11-14T10:52:00.001+01:002014-11-14T10:55:46.904+01:00R: Cosa si cerca con l'anoressia + varie & eventualiIl post di oggi prende spunto da un commento che mi ha lasciato <b>ButterflyAnna</b> nel post di Venerdì scorso. Volevo risponderle direttamente nel format dei commenti come generalmente faccio con chiunque scriva su questo blog, ma poi mi sono resa conto che ne sarebbe venuto fuori un mezzo poema, quindi ho deciso di trasformarlo in un post… anche perché tratta la quantomai controversa tematica del peso inteso come parametro di malattia/guarigione dall’anoressia, che è inevitabilmente oggetto di innumerevoli discussioni, per cui colgo la palla al balzo per dire la mia e condividere con voi la mia esperienza.<br />
<br />
Nel suo commento, <b>ButterflyAnna</b> scrive: “<i>sfido chiunque di voi a dire che all'inizio di questa malattia non avete pensato che perdere chili su chili e non mangiare fosse la cosa più giusta del mondo […] era solo voler dimagrire e voler restringere a tutti i costi […]Perché il pensiero era quello e i comportamenti erano quelli di una ragazza che voleva diventare sempre più magra a ogni costo […]Poi a quei 36 chili ci sono arrivata e non mi hanno portato felicità solo a quel punto ho capito di essere malata</i>”.<br />
<br />
In rigoroso ordine random, partiamo da valle per arrivare a monte.<br />
<br />
Io credo che la fisicità non sia un parametro poi così strettamente attendibile per valutare la “malattia”/“guarigione” da un DCA. Anche perché sono dell’idea che ciò che rende una persona affetta da anoressia non è il peso ma i pensieri, cioè il pattern mentale – essendo l’anoressia malattia mentale per psichiatrica definizione. Per cui, come ho già scritto altrove, ritengo che una persona possa essere malata di anoressia anche se pesa 150 Kg, se la sua forma mentis è quella propria dell’anoressia, perché è il quadro mentale che connota l’anoressia, non la fisicità.<br />
<br />
È ovvio, e lo capisce anche un bambino, che ci sono certi livelli di sottopeso che per forza non sono compatibili con la salute. Riprendendo l’esperienza raccontata da <b>ButterflyAnna</b>, è palese che una donna che pesa 36 Kg (a meno che non sia alta un metro e un cavolo) non può essere in salute e deve recuperare, su questo credo non ci sia neanche da discutere.<br />
<br />
Per il resto, il termine “sottopeso” (come il termine “sovrappeso”, del resto) è molto generico, e pertanto di pressoché impossibile applicazione su vasta scala, data l’estrema soggettività di ognuna di noi. Quello che andrebbe considerato – e che sarebbe in effetti scientificamente corretto considerare, come dimostrano diversi studi recentemente condotti – è il Set-Point di peso corporeo fisiologico, che è un qualcosa di individualizzato per ciascuna di noi, e non risponde propriamente al canonico concetto di “normopeso secondo il B.M.I.” (sebbene sia vero che molte persone hanno un proprio Set-Point che corrisponde ad un valore di B.M.I. compreso nel range del normopeso).
Il Set-Point è una sorta di “termostato del peso corporeo” che viene geneticamente determinato, ed è regolato per essere mantenuto intorno ad un punto fisso da complessi meccanismi di feedback (omeostasi). Questi meccanismi di equilibrio tendono a mantenere il valore di peso preimpostato dal Set-Point relativamente costante.<br />
Il peso ovviamente sballa di molto quando, con un DCA, ci alimentiamo in maniera del tutto anomala e pieghiamo l’organismo alterando il metabolismo e dunque perdendo/prendendo peso. Tuttavia, poiché il Set-Point di peso corporeo fisiologico è appunto geneticamente determinato, nel momento in cui si riprende ad alimentarci regolarmente e correttamente, dopo il tempo necessario al metabolismo per riattivarsi e ricominciare a lavorare a regime, il nostro organismo tenderà a riportare il peso ai valori originari.<br />
<br />
E questo giusto per chiarire da un punto di vista prettamente medico i discorsi sul sottopeso/sovrappeso.<br />
<br />
Per quanto riguarda il concetto di “guarigione”, purtroppo è vero che molte persone che non hanno vissuto un DCA sulla propria pelle si fermano all’esteriorità, che è l’unica cosa che riescono a vedere e quindi a concepire, e pensano che il peso corporeo sia l’unico parametro che possa decretare lo stato di “guarigione” o meno di una persona. Ovviamente chiunque abbia avuto/abbia un DCA credo sappia bene che non è semplicemente così che stanno le cose.<br />
<br />
Io penso che si dovrebbe focalizzare un po’ meno l’attenzione sul peso, e concentrarla maggiormente sulla qualità della vita. Quando si parla di “qualità della vita”, infatti, si fa contemporaneamente riferimento sia al campo fisico che a quello psicologico: è indubbio che non si possa avere una buona qualità della vita con un corpo fisicamente non in salute (vuoi per il sottopeso eccessivo in chi è affetta da anoressia, vuoi per i danni prodotti dalle condotte di compensazione in chi è affetta da bulimia, vuoi per le abbuffate in chi soffre di binge, vuoi per l’alimentazione altalenante in chi ha un DCAnas, etc…), e allo stesso tempo è indubbio che non si possa avere una buona qualità della vita con una mentalità pervasa dal DCA... perché tanto più esso è presente nella nostra testa, tanto più si perde in vita sociale, lavoro, studio, sport, e tutte quelle cose che rendono la nostra vita appunto una vita di qualità.<br />
<br />
Ergo, secondo me è la qualità della vita che va a valutare quanto una persona sia “guarita” o meno da un DCA, compendiando sia gli aspetti fisici che quelli mentali… ammesso e non concesso che per malattie come i DCA si possa parlare di “guarigione”. Io infatti preferisco il termine “remissione” e sottolineo che, personalmente, non sono “guarita” dall’anoressia nel senso canonico del termine, perché mi capita tuttora di avere talvolta dei pensieri, che però riconosco come malati, e dunque non agisco. So che ci sono, ma li lascio lì, confinati in quell’angolino della mia testa, e non mi condizionano più nè comportamentalmente né mentalmente. È proprio per questo che ormai fortunatamente da diversi anni sto vivendo una remissione della malattia.<br />
<br />
Tornando invece a monte, e dunque facendo riferimento alla prima parte del commento di <b>ButterflyAnna</b>, premetto che: quello che sto per scrivere fa parte della mia esperienza personale, ergo non ha alcun valore a carattere generale. Ciò significa che probabilmente alcune di voi si rispecchieranno comunque in ciò che scrivo, ed altre no. In ogni caso, nessuna pretesa di verità assoluta: semplicemente quello che ho vissuto io, e dunque la <i>MIA</i> personale verità, più o meno estendibile agli altri.<br />
<br />
Nelle parole di <b>ButterflyAnna</b>, io <b>NON mi ritrovo PER NIENTE<strike></strike></b>.<br />
<br />
Se vogliamo considerare il B.M.I. come riferimento, allora è tutta la vita che io sono “sottopeso”. Giusto per dire, se vogliamo considerare il B.M.I. come riferimento, allora tutti i membri della mia famiglia sono “sottopeso” da tutta la vita (eppure nessuno di loro ha un DCA). Sono sempre stata magra (e bassa) credo semplicemente perché, geneticamente, provengo da una famiglia in cui siamo tutti magri (e bassi): se di “sottopeso” vogliamo parlare, è un “sottopeso” del tutto fisiologico, che ci caratterizza tutti quanti. Poi, personalmente, con l’anoressia, ho ovviamente trasceso ogni limite di peso e sono arrivata ad una magrezza assolutamente patologica e del tutto incompatibile con la salute. Tuttavia attualmente, grazie all’aiuto della dietista che tuttora mi segue, ho recuperato il mio Set-Point di peso fisiologico, sto pertanto seguendo un “equilibrio alimentare” mirato proprio al mantenimento di questo peso e naturalmente all’evitamento della riadozione di comportamenti alimentari restrittivi e, salvo i danni permanenti che l’anoressia ha prodotto al mio corpo e che purtroppo mi dovrò portare dietro vita natural durante (mi riferisco a osteopenia e infertilità), sono perfettamente in salute e posso senza alcun problema fare sport, lavorare come istruttrice ed arbitro di karate, lavorare come medico, e se mi avanza un po’ di tempo nelle mie incasinatissime giornate anche prendermi un attimo di pausa per dedicarmi alle cose che mi piacciono come per esempio leggere e disegnare.<br />
<br />
Essere perfettamente in salute da un punto di vista prettamente fisico non significa appunto, come dicevo, essere del tutto “guarita” dall’anoressia, perché se così fosse immagino che certi pensieri non mi passerebbero più neanche per l’anticamera del cervello. Ma significa che attualmente ho un corpo in salute e del tutto funzionale che mi permette di vivere a 360°, e che mi ha consentito di tornare ad avere un’ottima qualità della vita.<br />
<br />
Io non ho mai avuto dunque il desiderio di essere magra poiché, banalmente, sono sempre stata magra.<br />
Per quanto attiene la mia personale esperienza, il bisogno di controllo è stato il punto focale di tutto il disturbo alimentare. Io volevo avere il controllo assoluto. Su tutto. Su ogni singolo aspetto della mia vita. La cosa è partita da ambiti diversi dall’alimentazione e poi, in un formidabile colpo di coda, anche il versante alimentare è stato tirato dentro questo mio bisogno di programmare – e dunque controllare – ogni singolo secondo delle mie giornate.<br />
Volevo “semplicemente” avere sotto controllo ogni singolo respiro della mia vita, e questo controllo che già mettevo in atto su altre cose, ad un certo punto ha iniziato a passare anche attraverso il canale alimentare. L’obiettivo della mia restrizione, in effetti era proprio questo: elaborare una forma di controllo su quello che mangiavo. Il dimagrimento è stata l’ovvia conseguenza, ma non mi ha mai fatto piacere, anzi, mi metteva a disagio, non avrei voluto (anche perché comprometteva le mie prestazioni sportive, e al tempo facevo agonismo ed ero a buon livello), ma avevo bisogno del controllo, e se “il prezzo da pagare” era quello di perdere chili, allora andava bene tutto, allora accettavo il compromesso, pur di non abbandonare la sensazione di sicurezza e di forza che quel (l’illusorio) controllo mi faceva provare.<br />
Non ho mai avuto, dunque, l’obiettivo di restringere l’alimentazione per dimagrire (difatti non mi sono mai pesata, neanche nella fase più acuta dell’anoressia, proprio perché del peso in sé non me ne poteva fregare di meno, né ho mai contato le calorie o cose del genere), il mio unico pensiero era incentrato sul desiderio di avere il controllo su tutto. Ogni altra cosa era mera conseguenza.<br />
Mai voluto diventare più magra… ma sempre voluto esercitare un controllo sempre più totale.<br />
Salvo poi rendermi conto, ovviamente, che quell’anoressia che credevo di controllare, era proprio ciò che mi controllava in misura spietata.Veggiehttp://www.blogger.com/profile/11990381810503033018noreply@blogger.com27tag:blogger.com,1999:blog-6464611321986605023.post-1277396728203157062014-11-07T15:30:00.002+01:002014-11-07T15:33:33.035+01:00Lettera aperta per le "Pro Ana/Mia"Mie care ragazze che vi auto-definite storpiando il nome di malattie letali delle quali parodicamente imitate comportamenti puramente esteriori,<br />
<br />
può la perdita di peso risolvere problemi? Certo, può risolvere alcuni problemi molto specifici (vedi per esempio Diabete Mellito II o ipertensione arteriosa giovanile) in alcuni casi particolari. Ma il pesare di meno non vi renderà necessariamente più belle, più intelligenti, più simpatiche, più spigliate, più sicure di voi stesse o più brillanti nelle relazioni interpersonali. Non vi renderà più apprezzate nel lavoro/nello studio, o più attraenti agli occhi del ragazzo che vi piace (sfido qualsiasi uomo a dire che, per esempio, Isabelle Caro era sexy). Inoltre, se la perdita di peso avviene sulla base di un fai-da-te, senza essere seguite da uno specialista, non vi renderà neanche più toniche, e peggiorerà significativamente la vostra salute.<br />
<br />
Vi spiego una cosa che voi che anelate l’anoressia solo perché non avete la più pallida idea di quanto devasti la vita certo non potete sapere: <b><i><u>l’anoressia non c’entra una pippa col voler dimagrire</u></i></b>. Il dimagrimento è la mera conseguenza di una malattia mentale che ha tutt’altra natura. L’anoressia è solo una strategia di coping che viene messa in atto a fronte di veri e ben più profondi problemi presenti nella vita. L’anoressia è solo la punta di un iceberg che affonda le sue radici in problematiche ben più complesse e molteplici. E, soprattutto, l’anoressia col tempo diventa anche un comodo capro espiatorio che permette di non affrontare la vita. Quando puntiamo il dito contro l’anoressia, ma nonostante tutto vi rimaniamo impantanate, facciamo di una malattia capro espiatorio di tutti i nostri problemi e difficoltà. È come se semplificassimo all’estremo dicendo: l’anoressia mi dà la sensazione di poter controllare tutto, per cui ho bisogno di averla nella mia quotidianità, tuttavia se non riesco a fare tutto quello che vorrei nella vita, è colpa del fatto che ho l’anoressia.<br />
<br />
Se non riusciamo a trovare/mantenere un lavoro, è colpa dell’anoressia, però poiché l’anoressia c’è noi abbiamo il controllo, quindi si rimane in stallo.<br />
Se non riusciamo a fare carriera, è colpa dell’anoressia, però poiché l’anoressia c’è noi abbiamo il controllo, quindi si rimane in stallo.<br />
Se non riusciamo a concentrarci nello studio, è colpa dell’anoressia, però poiché l’anoressia c’è noi abbiamo il controllo, quindi si rimane in stallo.<br />
Se non abbiamo amici perché abbiamo allontanato tutti, è colpa dell’anoressia, però poiché l’anoressia c’è noi abbiamo il controllo, quindi si rimane in stallo.<br />
Se sportivamente rendiamo poco e perdiamo gare su gare, è colpa dell’anoressia, però poiché l’anoressia c’è noi abbiamo il controllo, quindi si rimane in stallo.<br />
Se ci sentiamo insicure ed inadeguate nelle situazioni sociali, è colpa dell’anoressia, però poiché l’anoressia c’è noi abbiamo il controllo, quindi si rimane in stallo.<br />
Se non siamo sicure di riuscire a combinare qualcosa di buono nella vita, è colpa dell’anoressia, e quando saremo riuscite a mettere l’anoressia da parte ci riusciremo senz’altro, però poiché l’anoressia c’è noi abbiamo il controllo, quindi si rimane in stallo.<br />
<br />
Avete capito dove sta il gap? È un circolo vizioso, un cane che si morde la coda, una contraddizione in termini… un paradosso. Voi potete anche pensare che il dimagrimento sia la soluzione ai vostri problemi, ma non sarà così. Il non aver perso TOT chili non può essere una scusa per non vivere la vita e non affrontare problemi. Perché è un dato di fatto che, per quanto peso possiate perdere, questo non cambia la persona che siete. Se non avete particolari problemi, state bene con voi stesse, e la vita che state vivendo tutto sommato vi piace, a prescindere dal vostro peso, starete comunque bene.<br />
<br />
Ma se non siete soddisfatte della persona che siete, se i problemi vi affogano, se quello che state facendo nella vostra vita non vi piace, la perdita di peso non cambierà niente di tutto ciò. Non vi rinnoverà la vita. Se state di merda continuerete a sentirvi di merda, a prescindere dalla taglia che indosserete. Forse vi illudete che una significativa perdita di peso possa risolvere tutti i vostri problemi, ma in realtà ve ne creerà solo uno ulteriore. Quelle parti della vostra personalità che non vi piacciono, le vostre insicurezze e difficoltà, e quelle problematiche che avete nella vostra quotidianità, rimarranno sempre dove sono, fino a che non vi deciderete ad affrontarle di petto – l’unica cosa che cambierà è che dovrete affrontare quelle stesse problematiche con un corpo malsano e con una mente non lucida, rendendo il tutto significativamente più duro e difficile.<br />
<br />
Dunque, le domande che dovete porre a voi stesse sono: quali sono i vostri veri problemi, le cose che non vi piacciono nella vostra vita, e che vorreste cambiare? Cosa vi aspettate che cambi realmente quando avrete soltanto perso peso, senza affrontare nessuna di quelle problematiche? Credete seriamente che perdere peso rappresenti una panacea? Cosa potreste fare per cambiare davvero le cose che volete che cambino nella vostra vita?<br />
<br />
Lasciate perdere una malattia che dite di desiderare solo perchè non la conoscete, e il tempo che sprecate su determinati blog impegatelo per affrontare con una psicoterapia le vere problematiche che vi affliggono, perchè di certo qualcosa che nella vostra vita non va c'è, di certo state soffrendo e siete in difficoltà, se arrivate al punto di desiderare un qualcosa di devastante come l'anoressia.<br />
<br />
Tutto il mio affetto,<br />
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<i><b>Veggie</b></i> Veggiehttp://www.blogger.com/profile/11990381810503033018noreply@blogger.com40tag:blogger.com,1999:blog-6464611321986605023.post-8139228591805869962014-10-31T17:11:00.001+01:002014-10-31T17:17:24.199+01:00La ricetta della positività“<i>Essere positivi è un’arte.</i>” (cit.) dice qualcuno. Io invece credo che la positività, un’arma estremamente importante quando si decide di combattere contro l’anoressia, non sia un qualcosa che cade dal cielo, e che viceversa sia necessario imparare ad essere positive.
A volte, guardandosi intorno, può sembrare che ci siano delle persone che sono spontaneamente dei veri e propri artisti della positività, sanno affrontare tutte le sfide con un sorriso, e rendono la loro vita serena, ottimistica, e persino un po’ magica. Sono le persone di cui tutti vorrebbero circondarsi, che emanano una luce che attira gli altri come falene, che rappresentano una fonte di ispirazione. Magari in questo momento avete vicino a voi qualche persona del genere, e gli volete bene, e siete curiose di capire come riescono a vivere la loro vita, e forse talvolta cercate anche di essere come loro.<br />
<br />
Bè, io credo che la positività sia un gioco aperto a tutti. Non è riservato ad un ristretto manipolo di persone, anzi, io penso che la tela per l’arte della positività sia rappresentata dal mondo intero, e che dunque chiunque possa fruirne, a maggior ragione se si sta cercando di tenere testa all’anoressia. Per trovare la positività occorre cominciare a cercare dentro di noi, per poi portare quello che troviamo verso l’esterno… e ci accorgeremmo che, in realtà, non è esattamente un gioco da ragazzi.
Io credo che la positività sia come una ricetta che contempla:<br />
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<i><b>Un pizzico di elasticità mentale </b></i><br />
<i><b>Una manciata di fiducia in se stesse </b></i><br />
<i><b>Un bel po’ di auto-ironia </b></i><br />
<i><b>Una goccia di accettazione </b></i><br />
<i><b>Un sacco di occhi nuovi con cui guardare le stesse cose </b></i><br />
<i><b>Un cucchiaio di determinazione </b></i><br />
<i><b>Gratitudine q.b. </b></i><br />
<br />
Quando si segue la ricetta della felicità, si produce una monoporzione: cibo per noi stesse, e solo per noi stesse. Ma se si tiene fede al programma dell’intero pasto, possiamo essere in grado di alimentare anche gli altri.<br />
<br />
Splittiamo dunque la ricetta nei suoi singoli ingredienti.<br />
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“<i>Un pizzico di elasticità mentale</i>” è il primo ingrediente perché senza di esso finiremmo inevitabilmente per essere giudicanti, o comunque prive di empatia. Anche se l’elasticità mentale può sembrare non correlata alla positività necessaria per combattere l’anoressia, io credo che sia uno dei componenti-chiave. Ritengo sia impossibile avere una visione positiva del mondo e delle persone che ci circondano senza quel pizzico di elasticità mentale. Pensate a chi non ha vissuto un DCA sulla propria pelle: guardandoci potrebbe pensare che siamo solo delle ragazzine superficiali che vogliono dimagrire per fare le modelle. Una visione di questo tipo, rigidamente aggrappata a falsi stereotipi, senza il benché minimo accenno di elasticità mentale, fa sì che le persone saltino a conclusioni affrettate, e che se la prendano con noi senza neanche un briciolo di positività. Possono riversarci addosso miriadi di falsi luoghi comuni sull’anoressia, fare commenti inappropriati, scaricare su di noi la loro frustrazione di fronte a un qualcosa che non capiscono… e di tutto ciò ne risentiamo negativamente anche noi, che accumuliamo rabbia e sentimenti negativi verso chi si comporta così.<br />
<br />
Però, metteteci dentro un pizzico di elasticità mentale, e vedrete quando meno influente sarà sul vostro umore l’opinione che la gente ha sui DCA, e i commenti che ricevete. Se vi fermate a mettere in atto l’elasticità mentale necessaria per pensarci, infatti, vi renderete conto che chi dice cose del genere parla per cliché, non ha alcuna esperienza diretta e dunque, in sostanza, non sa cosa sta dicendo. E chi parla per sentito dire, necessariamente è di una superficialità estrema. Per cui, quanto può buttarvi davvero giù il commento di una persona che parla perché ha la bocca, ma non sa niente? E lo stesso vale per la frustrazione altrui. Forse coloro che vi si rivolgono scortesemente e fanno commenti impropri sul vostro DCA stanno vivendo una giornataccia. Magari hanno avuto problemi sul lavoro, o non hanno proprio un lavoro. Magari hanno qualcuno che sta male in famiglia. Magari hanno litigato con un caro amico. Magari hanno perso una competizione sportiva. Magari sono bocciati ad un esame universitario, o hanno preso un brutto voto ad un compito in classe. Queste persone saranno comunque scortesi con voi, e vi faranno dei commenti sgradevoli, ma un pizzico di elasticità mentale cambia VOI, ragazze, non queste persone. Quando c’è l’elasticità mentale di comprendere che dietro ad un luogo comunque che vi viene sbattuto addosso o dietro ad un commento inappropriato c’è superficialità, ignoranza, o problemi personali, si smette di dare tanto peso a determinate parole, e così non si lascia spazio alla negatività che quelle parole potrebbero ingenerare. Rimane la positività. E, se siete fortunate, la vostra positività potrebbe anche trasmettersi alla persona che vi ha giudicate con superficialità.<br />
<br />
“<i>Una manciata di fiducia in se stesse</i>” è il secondo ingrediente, perché credere nelle proprie capacità è il modo migliore per trovare il coraggio di iniziare a fare le cose, di iniziare a combattere contro l’anoressia, e di proseguire conseguendo pregevoli risultati. La fiducia in se stesse rende l’impasto più forte, perché non importa se nella vita ci si pongono di fronte delle difficoltà: se abbiamo fiducia in noi stesse, possiamo superarle mantenendo la positività. Pensateci: se la fiducia in sé non esistesse nella ricetta, tutte le difficoltà che inevitabilmente si presentano nel corso della vita finirebbero per sommergerci, e la negatività regnerebbe sovrana.<br />
<br />
“<i>Un bel po’ di auto-ironia</i>” è il terzo ingrediente, perché se non riuscite a sorridere di voi stesse la positività non può attecchire. Gli artisti della positività lo sanno: per loro tutto è divertente. Può essere divertente svegliarsi la mattina e pensare alla giornata che stiamo per affrontare, possiamo trovare il lato divertente in tantissime piccole cose, e il divertimento rappresenta una grade sorgente di positività. La capacità di fare auto-ironia non è un qualcosa di superficiale, ma scava molto a fondo dentro di noi. Ci insegna che la vita non è meramente un gioco cui giocare, ma un regalo da assaporare a fondo.<br />
<br />
L’auto-ironia è quello che ci fa sorridere anche quando apparentemente non c’è proprio niente di cui sorridere. La vita non è un qualcosa che va tollerato, è un qualcosa di cui va goduto. Non sarà mai tutto rose e fiori, momenti difficili accadranno e non potremo farci niente, ma l’ironia rimarrà sempre lì, pronta a togliere il pungiglione che sta iniettando veleno.
Talvolta dobbiamo solo cercarla. L’ironia, il divertimento non sono semplicemente un qualcosa che si apprezza all’esterno, ma stanno anche dentro di noi. Le cose spiacevoli che ci succedono nella vita possono provocarci una di queste 3 reazioni: sconvolgerci lasciandoci impotenti, affogarci nella negatività e nell’autocommiserazione, o cercare il lato ironico della situazione. Solo coloro che hanno la terza reazione scelgono di mantenere una visione positiva, per cui la positività è un’arte che può risollevare anche nei momenti più difficili – risollevare voi stesse in prima battuta, e magari anche qualcun altro. Citando: “<i>Il domani può arrecare dolore, ma non può rubare la tua gioia</i>”. Si tratta di trovare le rose che crescono dal letame, anche quando quel letame sembra solo merda.<br />
<br />
“<i>Una goccia di accettazione</i>” è l’ingrediente successivo, e non può essere sostituito. Penso che vada a braccetto con l’auto-ironia, peraltro. Riuscire ad ironizzare su tutto è una gran cosa, in teoria, ma tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare. E, allora, ecco che arriva l’accettazione a giocare la sua parte. Per poter vivere con positività, occorre accettare il fatto che, a differenza di quanto l’anoressia vorrebbe farci credere, non possiamo controllare i tornadi che si abbattono nella nostra vita. Spesso e volentieri, non possiamo neanche prevenirli. Di conseguenza, non possiamo essere preparate ad affrontarli. Accettare che i momenti difficili esistono significa non focalizzarsi sulla loro negatività e cercare ogni risorsa possibile per superarli ed andare avanti. L’accettazione è quel che aiuta ad attraversare il peggio puntando verso il meglio. L’accettazione può essere molto difficile. È una parola correlata alla pazienza, un altro concetto non molto maneggevole.<br />
<br />
Accettazione significa che non dobbiamo rimanere impotenti, impantanate nella negatività di una situazione. Non possiamo cambiare il vento, è vero, ma possiamo dirigere le vele. Non possiamo scegliere cosa ci accade nella cita, ma abbiamo tutta la possibilità di scegliere come reagire a ciò che ci accade nella vita. E questo è parte della positività. Possiamo scegliere di rimanere positive alla faccia delle difficoltà, del dolore, della tristezza, ed è molto difficile il farlo – ma se davvero lo vogliamo, abbiamo tutte le capacità per farlo. E le cose andranno veramente meglio, se siamo in grado di scegliere di reagire, e come farlo.<br />
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“<i>Un sacco di occhi nuovi con cui guardare le stesse cose</i>” continua la lista degli ingredienti. Perché la vita non cambia, però possiamo cambiare noi. Fino a che continueremo a guardare le cose sotto l’ottica malata dell’anoressia, avremo in punto di vista del tutto parziale nonché patologico. Ed è perciò estremamente difficile essere positive quando tutta la nostra vita è condizionata da una malattia. Però, se anche le cose non cambiano, noi possiamo scegliere il punto di vista da cui guardarle, ed influenzare così la visione che abbiamo di esse. Si tratta di imparare a guardare ambo le facce di una stessa medaglia, in maniera tale da potersi focalizzare sull’alternativa più sana e più positiva.<br />
<br />
“<i>Un cucchiaio di determinazione</i>” è il sesto ingrediente, perché quando si decide di combattere contro l’anoressia è molto importante avere la possibilità di essere seguite da specialisti, psicologi e dietisti, per combattere efficacemente contro la malattia. Ma tutti gli specialisti più quotati del mondo non potranno fare un bel niente per noi, se noi per prime non decidiamo di voler tenere testa all’anoressia. E la decisione di combattere contro l’anoressia è un qualcosa che va rinnovato giorno dopo giorno. Per cui sta a noi decidere se continuare a combattere. E più combattiamo, più ci allontaniamo dall’anoressia, più riscopriamo di poter avere una vita di qualità. E questo indirettamente aumenta la nostra positività, perché vivere sempre più a pieno ci permette di vedere quante cose che valgono sono presenti nella nostra esistenza.<br />
<br />
“<i>Gratitudine q.b.</i>” è l’ultimo ingrediente della ricetta della positività. Non avremo mai troppa gratitudine, per cui non c’è bisogno di misurarla. Basta mettercela dentro. La gratitudine cambia un sacco la prospettiva. Trasforma i disastri in opportunità, le perdite in guadagni, e i sogni in realtà. Coltivare la gratitudine dovrebbe essere un obiettivo da raggiungere, e quando ci riusciamo è tangibile il modo in cui cambia la vita.<br />
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La gratitudine fa la differenza in una prospettiva positiva, è rende più solida la positività. Chiunque avrà eventi spiacevoli nel corso della propria vita, ma l’attitudine alla gratitudine è quello che può tenere lontane dalla negatività. Se vi alzate una mattina, con l’intenzione di prendere la vostra automobile per andare al lavoro/a scuola perché piove stile remake del diluvio universale, e appena arrivate di fronte alla vostra macchina vi accorgete che qualche cretino vi ha rotto uno specchietto laterale, anziché incavolarvi come scimmie, la gratitudine vi permette di vedere l’accaduto sotto un altro punto di vista: “Il cretino che mi ha rotto lo specchietto merita tutte le infamate del mondo… ma, per lo meno, ho comunque un’auto funzionante che mi permetterà di arrivare a lavoro/a scuola senza bagnarmi da capo a piedi”.<br />
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Un altro modo per alimentare la gratitudine è non dare mai niente per scontato. Avete parcheggiato l’auto mezza storta nell’unico buchetto di mezzo parcheggio che siete riuscite a trovare? Siate grate del fatto che avete trovato comunque da parcheggiare. Avete un giorno di ferie in pieno Agosto in cui avevate programmato di andare in piscina, e piove con tanto di tuoni e fulmini per tutto il giorno? Siate grate che non dovete lavorare all’aperto con quel maltempo. Vi sembra di non riuscire più a controllare la vostra vita come invece illusoriamente vi sembrava di essere capaci di farlo con l’anoressia? Siate grate per aver recuperato salute psicofisica. Vi siete svegliate anche stamattina? Siate grate per avere di fronte a voi un giorno da riempire con tutti i colori della vita. E questi sono solo dei banali esempi, ovviamente, delle cose che possiamo dare per scontato nella vita di tutti i giorni. Ci dà subito fastidio il naso chiuso quando ci prende il raffreddore, e la febbre quando abbiamo l’influenza, ma forse non ci eravamo ricordate di essere grate quando stavamo bene ed eravamo piene di energia.<br />
<br />
La ricetta della positività è relativamente semplice e non necessita di niente che la insaporisca. Non va mai fuori moda, e non perde mai il suo appeal. È una ricetta per una sola persona – ciascuna di voi, singolarmente – che può però anche nutrire chi vi sta intorno. Con la positività diventate luce, e potete illuminare anche qualcun altro. Sì, la positività a suo modo è un’arte… perciò, quando la utilizzate, fate in modo che diventi il vostro capolavoro.
Veggiehttp://www.blogger.com/profile/11990381810503033018noreply@blogger.com11tag:blogger.com,1999:blog-6464611321986605023.post-39865899432082204002014-10-24T17:47:00.000+02:002014-10-24T17:49:50.427+02:00Cosa raccontano le testate giornalistichePoiché leggo molto spesso articoli scientifici, una delle cose che trovo più interessanti e rivelatrici è il vedere come testate giornalistiche diverse raccontano la stessa storia. Alcune si limitano a riportare lo studio in questione parola per parola, mentre altre ne danno una rielaborazione. In quest’ultimo caso, ogni testata ha un differente focus, ed enfatizza diverse parti dello studio.<br />
<br />
Ma non è di questo che volevo parlare.<br />
<br />
Quel che trovo più interessante è il vedere come certi studi scientifici vengono maneggiati e modellati dai mezzi di comunicazione di massa per essere dati in pasto al cittadino medio.<br />
Nella fattispecie, mi riferisco allo studio di Guido Frank, recentemente pubblicato sulla rivista “Neuropsychopharmacology”: <a href="http://www.nature.com/npp/journal/vaop/ncurrent/full/npp201251a.html">Anorexia Nervosa and Obesity are Associated with Opposite Brain Reward Response</a>.<br />
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Questo studio è stato oggetto di un sacco di recensioni, tra le quali:
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<a href="http://www.huffingtonpost.com/2012/05/16/obese-anorexia-brains_n_1521151.html">Brain Reward Systems Of Obese Women Different From Those Of Women With Anorexia: Study</a> (Huffington Post)<br />
<a href="http://psychcentral.com/news/2012/05/22/brain-circuits-differ-in-women-with-anorexia-vs-obesity/39050.html">Brain Circuits Differ in Women with Anorexia vs. Obesity</a> (PsychCentral)<br />
<br />
L’articolo presente sul PsychCentral si apre dicendo: <i>“Perché una persona diventa anoressica e un’altra obesa? Colpa del cervello”</i>. Il problema è che un’affermazione del genere non ha niente a che vedere con l’originario studio. I ricercatori hanno esaminato l’attività cerebrale in donne che erano già anoressiche o obese. Non uno studio pregresso, mi spiego? Nessuno ha monitorato l’attività cerebrale <b>prima</b> che queste donne diventassero anoressiche o obese, e il monitoraggio è avvenuto solo nel corso della condizione <b>già conclamata</b>. È il cervello che causa l’anoressia? È il cervello che causa l’obesità? Ancora non si sa. Le alterazioni mentali possono essere tanto la cause quanto la conseguenza del DCA stesso.<br />
<br />
Per non dire come l’affermazione <i>“Colpa del cervello”</i> sia un’enorme semplificazione. Io credo che moltissimi differenti circuiti neurali rendano una persona più o meno predisposta a sviluppare un DCA, e penso che tutto quello (di bello e di brutto) che accade nella vita accresce o riduce questa predisposizione naturale. Il cervello svolge un importantissimo ruolo nello sviluppo dell’anoressia, nessun dubbio su ciò. Svolge un ruolo molto importante rispetto a chi si ammala e perché si ammala. Ma non è il solo ed esclusivo fattore. Quindi incolpate pure il cervello se vi va, ma state certi che c’è anche ben altro.<br />
<br />
Quel che l’originario studio afferma è molto più significativo e profondo di ciò che la recensione del PsychCentral racconta. Basilarmente, quel che i ricercatori hanno scoperto è che il cervello di una donna anoressica e quello di una donna obesa rispondono in maniera diversa quando queste bevono acqua zuccherata. La donna anoressica ha un forte incremento del livello cerebrale di dopamina quando beve acqua e zucchero, la donna obesa ha un incremento molto minore, se comparate con il gruppo di controllo (donne normopeso e normoalimentate). Hmmm… bè, che pensarne?!?... Non voglio dire che l’aver scoperto questo non sia importante, ma l’idea che l’anoressia possa essere dovuta ad un’anomalia nella risposta cerebrale all’assunzione di cibo mi sembra, più che scienza, fanta-scienza.<br />
<br />
Quel che non mi torna delle conclusioni che trae questo studio è il fatto che, secondo me, il gruppo di controllo non è attendibile. Non potrebbe essere che le donne anoressiche hanno avuto una secrezione di dopamina particolarmente abbondante per il semplice fatto che quando si sono sottoposte al test erano malnutrite? Perché non monitorare queste donne nel tempo, e vedere se la loro secrezione di dopamina si sarebbe normalizzata non appena avessero ricominciato ad alimentarsi normalmente e ripreso almeno un po’ del peso perso? E perché non sono state incluse nello studio anche donne che si considerano “guarite” dall’anoressia, e dicono che non hanno più segni fisici, psicologici, o emozionali del DCA?<br />
<br />
Le neuroscienze sono ancora una sorta di campo minato, è difficile fare studi in questo ambito e riportare risultati attendibili e comprovati. Per ogni piccola novità, è facile sensazionalizzare. Ma trovo comunque al contempo affascinante e rivelatore il modo in cui questi studi vengono riportati al cittadino medio. Il titolo del Press Release è molto meno interessante rispetto agli altri, ma il contenuto è più aderente alla realtà dello studio: <a href="http://www.eurekalert.org/pub_releases/2012-05/uocd-bci051412.php">Brain circuitry is different for women with anorexia and obesity</a>.<br />
<br />
Nella parte conclusiva dello studio, ci sono molte più incertezze di quello che le varie testate giornalistiche vogliono far sembrare. <i>“E’ chiaro che nel cervello umano ci sono dei sistemi neuronali che regolano l’introito di cibo” dice Frank. “Il ruolo specifico di queste reti neuronali nei disturbi alimentari come l’anoressia nervosa e, il suo contrario, l’<b>obesità*</b>, rimane tuttavia non chiaro”.</i> <span style="font-size: x-small;">(mia traduzione) </span><br />
<br />
<b>*</b><span style="font-size: x-small;">La mia personale opinione, invece, è che la parola “anoressia” non sia affatto il contrario di “obesità”. Parole come “sottopeso” e “malnutrizione” possono essere, a mio avviso, considerate il contrario di chi giornalmente assume un quantitativo eccessivo di calorie, ma l’obesità in sé non è un DCA. Può essere la conseguenza di un DCA, per esempio di una bulimia senza condotte di eliminazione, o di un binge eating disorder, ma di per sé l’obesità non è un DCA. I due gruppi confrontati, secondo me, quindi, non erano proprio idonei allo studio.</span>Veggiehttp://www.blogger.com/profile/11990381810503033018noreply@blogger.com11tag:blogger.com,1999:blog-6464611321986605023.post-63775578578611164562014-10-17T17:03:00.002+02:002014-10-17T17:08:16.250+02:00Diagnosi di DCA nelle giovanissime: è davvero così terribile?È difficile ignorare la nuova moda ultimamente lanciata dai Mass Media: i DCA che colpiscono le giovanissime, bambine che frequentano ancora le scuole elementari. Le storie che vengono raccontante s’incentrano spesso sul crescente numero di bambine (generalmente pre-adolescenti) che si presentano all’osservazione medica con un disturbo alimentare. Questi articoli/servizi televisivi consistono per lo più in asserzioni strappalacrime di quanto la situazione sia terribile, senza ovviamente trascurare il classico cliché dell’incolpare il mondo della moda e dello spettacolo per la crescente esposizione delle bambine ad immagini di modelle/attrici/cantanti magrissime.<br />
<br />
Prendete, per esempio, <a href="http://www.mirror.co.uk/news/uk-news/children-under-10-hospital-eating-4282982">QUESTO</a>.<br />
<br />
Alcune delle affermazioni ivi contenute recitano: <br />
<br />
<i>“Solo nell’ultimo anno, 42 bambine sotto i 10 anni sono state portate in ospedale e ricoverate.” </i><br />
<br />
<i>“Sconvolgentemente nuove statistiche rivelano che la “diagnosi primaria” era DCA.” </i><br />
<br />
<i>“Molti enti ritengono che i social media siano una delle maggiori cause, con molte giovani vittime della malattia che pubblicano selfie dei loro corpi emaciati su Twitter.” </i><br />
<span style="font-size: x-small;">(mia traduzione) </span><br />
<br />
Bene, prima di rabbrividire di fronte a queste frasi roboanti, facciamo innanzitutto un attimo mente locale su quella che è la fonte di tali affermazioni: un giornale on-line in cerca di lettori. Secondariamente: dov’è la ricerca scientifica su cui si basano le affermazioni fatte dall’articolo in questione? In terzo luogo: cosa succederebbe se una maggiore attenzione nel diagnosticare i DCA anche nelle bambine non fosse una notizia così terribile come i Mass Media vorrebbero far credere?<br />
<br />
Okay, non fraintendetemi: per me è orribile quando vengo a sapere che una qualsiasi persona si è ammalata di DCA. Proprio perché, avendolo vissuto sulla mia pelle, so quanto un DCA sia devastante. Per cui, non sto assolutamente dicendo che un DCA a qualsiasi età, inclusa l’infanzia, sia una cosa positiva. Proprio per niente. Detto questo, ciò che sappiamo è che:<br />
<br />
<b>Tanto più precoce è la diagnosi di DCA, tanto minore è la durata della fase acuta della malattia, e tanto più precoce è l’intervento sia sul piano psichico che su quello alimentare, tanto più facile è allontanarsi dal DCA stesso.</b> [<a href="http://pediatrics.aappublications.org/content/111/1/e98.full">Fonte</a>]<br />
<br />
Per molti anni i medici hanno ritenuto che i DCA fossero “roba da adolescenti”. Se ci pensate, è anche un luogo comune piuttosto diffuso quello dell’adolescente malata di anoressia: sei non sei un’adolescente, non puoi avere un DCA. Quest’asserzione è, ovviamente, del tutto sbagliata. È sbagliata perchè non prende in considerazione il fatto che chi si ammala di DCA durante l’adolescenza può trascinarsi dietro brandelli più o meno ampi di malattia anche crescendo, e questo fa sì che le donne adulte malate abbiano maggiori difficoltà a veder riconosciuta la loro patologia e a chiedere e a ricevere aiuto, e allo stesso tempo incide negativamente sulle bambine e sulle pre-adolescenti che vengono considerate “troppo giovani per avere una malattia del genere”.<br />
<br />
Pertanto, bambine malate di anoressia/bulimia possono non ricevere un’opportuna diagnosi, e non essere trattate adeguatamente. Se questo succede, quando diventano delle adolescenti, il loro DCA è ancora presente. Per cui, se anche poteva esserci, una diagnosi precoce è venuta meno. E questo fa sì che queste persone abbiano poi maggiori difficoltà nel percorrere la strada del ricovero. Per cui, se ad oggi i DCA vengono riconosciuti, diagnosticati e rapidamente trattati anche nelle giovanissime, non è forse una buona cosa?<br />
<br />
Inoltre, sebbene certi articoli vogliano dare a credere che i DCA compaiono nelle bambine prima di quanto non sia mai successo sinora, in realtà non sono stati condotti dei veri e propri studi scientifici al riguardo, per cui non lo sappiamo per certo. Sappiamo solo che a più bambine viene diagnosticato un DCA, ma questo non significa che, in assoluto, ci siano più bambine malate di DCA, significa solo che i DCA vengono diagnosticati con più frequenza.<br />
<br />
Invece di considerare l’incremento delle diagnosi di DCA nelle bambine universalmente come una <i>Cosa Negativa</i>, guardiamo al fatto che non è una cosa negativa come potrebbe sembrare a primo acchito, perché significa che più bambine ricevono aiuto psichico ed alimentare proprio nel momento in cui in DCA esordisce, e dunque nel momento più opportuno per avere maggiori possibilità di successo terapeutico. Questo non lo dico solo io, ma viene affermato anche da alcuni ricercatori, Dominique Meilleur ed i suoi colleghi. che hanno recentemente presentato il <a href="http://www.medicalnewstoday.com/articles/283632.php">progetto della loro ricerca</a> ad una conferenza che si è tenuta a Vancouver (Canada).<br />
<br />
Nella loro ricerca, hanno creato dei dettagliati profili biologici, psicologici e sociali di 215 bambine/i di età compresa tra gli 8 e i 12 anni (campione piccolo, è vero, ma per lo meno è un inizio...) che hanno presentato dei “problemi alimentari” senza una specifica malattia fisica che li inducesse. I ricercatori hanno trovato che:<br />
<br />
• Il 95% di queste/i bambine/i avevano dei comportamenti alimentari restrittivi<br />
• Il 69,4% era a disagio con il proprio corpo<br />
• Il 46,6% riteneva di essere sovrappeso<br />
• Il 15,5% si induceva il vomito occasionalmente<br />
• Il 13,3% metteva in atto dei veri e propri comportamenti bulimici<br />
<br />
Nello studio in questione Meilleur afferma:<br />
<br />
<i>“Questi risultati sono molto sconcertanti, ma possono aiutare i medici a fare diagnosi precoce nel momento in cui prendano in considerazione questi aspetti. […] Molti medici ritengono che la bulimia sia una malattia che compare solo durante l’adolescenza, ma il nostro studio indica che il problema può comparire anche prima. […] E’ perciò possibile che i DCA siano attualmente sotto-diagnosticati per carenza di consapevolezze e di competenze.”</i><br />
<span style="font-size: x-small;">(mia traduzione) </span><br />
<br />
Non solo, lo studio in questione mostra anche che i DCA non sono una prerogativa femminile. Sostiene Meilleur:<br />
<br />
<i>“Le profonde similitudini tra bambini e bambine nell’infanzia supporta, a nostro avviso, l’ipotesi che fattori comuni sia fisici che psichici presenti, insieme ovviamente a molte altre concause, nel periodo dello sviluppo, possano favorire la comparsa di DCA in ambo i sessi.” </i><br />
<span style="font-size: x-small;">(mia traduzione)</span><br />
<br />
Io ritengo, molto semplicemente, che ricevere aiuto iniziando un percorso di ricovero sia millemila volte meglio che soffrire in silenzio. Certo, il considerare che anche i giovanissimi possano soffrire di DCA può inizialmente scombinare statistiche e conoscenze, e può far sembrare la situazione più complicata e tragica di prima. Ma se la consapevolezza che anche le bambine si ammalano di DCA significa diagnosi precoce e dunque trattamento più precoce, allora io la ritengo una cosa positiva.Veggiehttp://www.blogger.com/profile/11990381810503033018noreply@blogger.com8tag:blogger.com,1999:blog-6464611321986605023.post-7356409209022979662014-10-10T08:46:00.001+02:002014-10-11T13:35:17.321+02:00Le nostre infographic (1)Chiedo venia per l’attesa, ragazze, ma finalmente sono riuscita a rimettere insieme tutti i frammenti che mi avete inviato e chiesto di realizzare… E dunque ecco a voi quello che spero possa essere solo il primo di una (lunga) serie di post costituito dalle infographic da noi realizzate. <span style="font-size: x-small;">(<i>click su ogni immagine per ingrandirla</i>) </span><br />
<br />
Apriamo le danze con l’infographic di <b>Raffa</b>, che illustra cosa veramente significa vivere prima-durante-dopo un DCA.
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEinz86SfOqQEjeAnb2OWqEaus1bDVF2vR8KXWwh99EbDBg2tkyzY3vhMbhWgggHi-iZLzPnLdh4RjhTpjKy4M02ASDxcGjOnYrNUzFemvVXKkzXbW3WTXZrZfMW1bZ-wXpnh5iOh6Dkrmui/s1600/Raffa.JPG" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEinz86SfOqQEjeAnb2OWqEaus1bDVF2vR8KXWwh99EbDBg2tkyzY3vhMbhWgggHi-iZLzPnLdh4RjhTpjKy4M02ASDxcGjOnYrNUzFemvVXKkzXbW3WTXZrZfMW1bZ-wXpnh5iOh6Dkrmui/s320/Raffa.JPG" /></a></div>
Quindi <b>Wolfie</b>, che parla di psicoterapia… sotto 2 diversi punti di vista.
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjtBvzbbbJRyyh4Uq6JdHYnSBipUDPADDRfoa4wNhIEeJTT88LCGLq7nO7zB6wphhUkeb4T1FX_xWjmrjFRDbf-2__c40IjO9j6GXonMRepk5jQkomdKDSEHIXEn78wVyuXTJEHMbVEBXZE/s1600/Psicoterapia.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjtBvzbbbJRyyh4Uq6JdHYnSBipUDPADDRfoa4wNhIEeJTT88LCGLq7nO7zB6wphhUkeb4T1FX_xWjmrjFRDbf-2__c40IjO9j6GXonMRepk5jQkomdKDSEHIXEn78wVyuXTJEHMbVEBXZE/s320/Psicoterapia.jpg" /></a></div>
È il turno di <b>Vale</b>, che contrappone le bugie che il DCA ci racconta alle nostre verità.
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjPwMc5WEB748w9Jmi628qPxcvnTFFcfgaszxEeiIHI2aSfoWcsfpBU3E7AbPaMxtOhNZL3dl-J-ZLuL3WviM_lyxdaxeAjgOSX_qcU2W2hY_QGVn2bCAlbzDwTWh7MFIY2M8mic2gnZ892/s1600/DCAvsUS.JPG" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjPwMc5WEB748w9Jmi628qPxcvnTFFcfgaszxEeiIHI2aSfoWcsfpBU3E7AbPaMxtOhNZL3dl-J-ZLuL3WviM_lyxdaxeAjgOSX_qcU2W2hY_QGVn2bCAlbzDwTWh7MFIY2M8mic2gnZ892/s320/DCAvsUS.JPG" /></a></div>
Il testimone passa poi alle bellissime infographic realizzate da <a href="http://iride91.blogspot.it/">Christiane</a>.
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhwIqKk7mkn0KrF2pLK29Gu43YB0aEcYeVM2GrlVcairPK93JeNHgsHDnyYqYTcHCBcaPgm-K-57Ml1kTzrVlF4MJrJp46H6FSm6yjlkmI0L3fo1B9WfMSDXGOUkeD3VQYH27FjD17u1pYx/s1600/Christiane(1).png" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhwIqKk7mkn0KrF2pLK29Gu43YB0aEcYeVM2GrlVcairPK93JeNHgsHDnyYqYTcHCBcaPgm-K-57Ml1kTzrVlF4MJrJp46H6FSm6yjlkmI0L3fo1B9WfMSDXGOUkeD3VQYH27FjD17u1pYx/s320/Christiane(1).png" /></a></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjHJ9N1kapABHcldn3c-J_kbsWsczR74N7GOtIfO3Fxl8I7AApsHAu_mMwfCOJYEIs0WDq4GBNL6c-o3tTuqJF_iyLOXPrb4wv2IipDzpqHYVAmRxQBhXaDLCwNeJIBaivYjhJuivoZlSO1/s1600/Christiane(2).jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjHJ9N1kapABHcldn3c-J_kbsWsczR74N7GOtIfO3Fxl8I7AApsHAu_mMwfCOJYEIs0WDq4GBNL6c-o3tTuqJF_iyLOXPrb4wv2IipDzpqHYVAmRxQBhXaDLCwNeJIBaivYjhJuivoZlSO1/s320/Christiane(2).jpg" /></a></div>
A questo punto arriva <b>Charlie</b>, che ci fa vedere un confronto diretto tra vita con e senza DCA, ad ogni età.
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiP2ZJsro6F2ll5IG9ly-kxErMCoaddupjVzFJTTH6bNjYjndpNtTCYjPqTWuW3WIJgHWFoyNU6YIYvx2WjqZ_P9l8ApcSxEpqY2p_SywA9ergD1MuIZgix9lnTxpMBQYfwkuECAu3bRjcp/s1600/RemissioneVSRicaduta.JPG" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiP2ZJsro6F2ll5IG9ly-kxErMCoaddupjVzFJTTH6bNjYjndpNtTCYjPqTWuW3WIJgHWFoyNU6YIYvx2WjqZ_P9l8ApcSxEpqY2p_SywA9ergD1MuIZgix9lnTxpMBQYfwkuECAu3bRjcp/s320/RemissioneVSRicaduta.JPG" /></a></div>
E ora la simpaticissima infographic di<b> Stella</b>, che ci mostra la verità sul percorrere la strada del ricovero.
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjlnOidcHd_s7DKp6LxN3_9bLwOw-r7jFuUh0w0Xgvr8LiVKdCw6NBKjDEiyB-3f1CzU-ksZvaqxlMj0nxgnyoGNwmj13CUwRvVuvG5ncOlNAJv6zDhkOhB1fxkW9L0QxSjp2Zbq0Sezkey/s1600/PercorsoDiRicovero.JPG" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjlnOidcHd_s7DKp6LxN3_9bLwOw-r7jFuUh0w0Xgvr8LiVKdCw6NBKjDEiyB-3f1CzU-ksZvaqxlMj0nxgnyoGNwmj13CUwRvVuvG5ncOlNAJv6zDhkOhB1fxkW9L0QxSjp2Zbq0Sezkey/s320/PercorsoDiRicovero.JPG" /></a></div>
Ovviamente anch’io mi sono data da fare per realizzare le infographic che mi avevate richiesto, e dunque ecco la prima, che mi è stata richiesta sia da <b>Connie </b>che da <b>Raffa</b>, relativa alle attività alternative, ovvero alle strategie di coping che possiamo mettere in atto quando si combatte contro un DCA. Ho voluto illustrare, per ogni strategia, i suoi pro e i suoi contro affinché ognuna di noi possa scegliere l’attività più giusta per il momento che sta vivendo, soppesandone pregi e difetti. (Scontato a dirsi, ma comunque: queste sono solo strategie di auto-aiuto… <b>NON</b> sostituiscono in alcun modo la psicoterapia!)
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi7QaOcvk5GbjeuA0NSSw8SGY9fdKnauRKAWdsh34PO7sISJOUZU8kY2nGNGB3mlZSQHds2525tckUFgTkfQTH2DGXA4irawma9ISk6H3-54CkHAkRbERfzB8lPQCiK3vHffJZ4_L8j8TEI/s1600/Coping.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi7QaOcvk5GbjeuA0NSSw8SGY9fdKnauRKAWdsh34PO7sISJOUZU8kY2nGNGB3mlZSQHds2525tckUFgTkfQTH2DGXA4irawma9ISk6H3-54CkHAkRbERfzB8lPQCiK3vHffJZ4_L8j8TEI/s320/Coping.jpg" /></a></div>
Quest’altra mi è stata invece richiesta da <b>Lexie</b>, che mi aveva proposto di realizzare un’infographic per “chi non si sente abbastanza malata per chiedere aiuto”.
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi-4xVINfdTldw0wNDnyyzIB-fmdoXeaK2V3P5_fqaFIpDiVsbNMbecmNPLsKkUrV_Ju2-8nsTMETynl3Y79Sj0bsgyZGgsbWk1pP51JGcbBBnwcwlcWprOBn4MFMGvqjPf0SL_0ElHRVpQ/s1600/ChiedereAiuto.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi-4xVINfdTldw0wNDnyyzIB-fmdoXeaK2V3P5_fqaFIpDiVsbNMbecmNPLsKkUrV_Ju2-8nsTMETynl3Y79Sj0bsgyZGgsbWk1pP51JGcbBBnwcwlcWprOBn4MFMGvqjPf0SL_0ElHRVpQ/s320/ChiedereAiuto.jpg" /></a></div>
Infine, chiude questa prima serie l’infographic che mi è stata suggerita da <a href="https://twitter.com/NothingButUsual">Jonny</a>, che ha come destinatarie le ragazze che tengono blog pro ana/mia. (L’ho dovuta spezzare in 3 per ragioni di spazio, ma le tre colonnine sono da considerarsi come se fossero tutt’uno, e da leggersi una in fina all’altra.) Jonny, forse non è esattamente quel che tu avevi in mente, ma spero che il risultato possa essere ugualmente efficace!
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgV_EJ7qrMgEKbMbHOUc_VAl2DF9_1oPMFe9s5KwL5t0VL89epqLOZaiBqiu0BkUB_Blq5ZvZLrEmmkaaly1jB8HtxjSH6GYFdjX-5LLUA9V8ApSfVaNpj87iKaikpJT8JUSlTI6Fxm1ZMB/s1600/NoProAna(1).JPG" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgV_EJ7qrMgEKbMbHOUc_VAl2DF9_1oPMFe9s5KwL5t0VL89epqLOZaiBqiu0BkUB_Blq5ZvZLrEmmkaaly1jB8HtxjSH6GYFdjX-5LLUA9V8ApSfVaNpj87iKaikpJT8JUSlTI6Fxm1ZMB/s320/NoProAna(1).JPG" /></a></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj9P2Lhl00Fn4cHrOP9X_xBw2ZPEZZ-5XR_gDvCpatbcBnpUjQIkcirBKY-PrF7WexAmNP3wrzlmcc8YW9q5_9fklT0q7AN5UEN4m4qn86A880zdMdUFK_6kYoHepZmxvOZp44_vZ86T_Ef/s1600/NoProAna(2).JPG" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj9P2Lhl00Fn4cHrOP9X_xBw2ZPEZZ-5XR_gDvCpatbcBnpUjQIkcirBKY-PrF7WexAmNP3wrzlmcc8YW9q5_9fklT0q7AN5UEN4m4qn86A880zdMdUFK_6kYoHepZmxvOZp44_vZ86T_Ef/s320/NoProAna(2).JPG" /></a></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjNdVJjoWw363kivptKLwAGoAQ-D_dK2TfqVQzU6MU-MUAUHLvdkr0oaD8ww8nS_7SBhVD9diDf91mes3V8oHxahVl-1DvXtUubhgawlg6PHU6kY84G3G2f5on7aEMG9Omx_7x5a6y5fNRe/s1600/NoProAna(3).jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjNdVJjoWw363kivptKLwAGoAQ-D_dK2TfqVQzU6MU-MUAUHLvdkr0oaD8ww8nS_7SBhVD9diDf91mes3V8oHxahVl-1DvXtUubhgawlg6PHU6kY84G3G2f5on7aEMG9Omx_7x5a6y5fNRe/s320/NoProAna(3).jpg" /></a></div>
Bè, ragazze, spero che queste infographic vi piacciano e vi sembrino efficaci. Cosa ne pensate? Fatemelo sapere nei commenti, se vi va!<br />
<br />
<b>P.S.=</b> Continuate ad inviarmi le vostre infographic o a suggerirmi idee per realizzarne di nuove: non appena ne avrò raccolte altre, realizzerò un nuovo post condividendole!
<b> </b><br />
<br />
<b>P.P.S.=</b> Dalla seconda infographic di Christiane vorrei trarne un video, ma ho bisogno della vostra collaborazione. Vi chiedo pertanto di rispondere (nei commenti o via email – <b>veggie.any@gmail.com</b> – come preferite) a questa domanda: <b>qual è la cosa che più vi aiuta nella vostra quotidianità a combattere contro l’anoressa/la bulimia/il DCAnas?</b> Niente risposte filosofiche, solo cose semplici e concrete, che io possa inserire nel video. Esempio banale: la cosa che più mi aiuta è giocare a calcio. Se poi trovate un’immagine che rappresenta la vostra risposta (nell’esempio citato, un pallone da calcio), inviatemela tramite email, affinché io possa raccoglierle tutte ed inserirle nel video, che conterrà tutto ciò che ci aiuta quotidianamente a combattere contro l’anoressia e a ricostruire una vita fuori dall’ombra della malattia.
Veggiehttp://www.blogger.com/profile/11990381810503033018noreply@blogger.com14tag:blogger.com,1999:blog-6464611321986605023.post-56471755954494099122014-10-03T16:45:00.003+02:002014-10-03T16:52:09.560+02:00Immagine corporea: è un concetto utile? (Ma anche no!)In un articolo di PubMed che ho letto qualche giorno fa, veniva menzionato uno studio condotto abbastanza recentemente in merito alla percezione della propria immagine corporea in chi ha un DCA. Mi sono incuriosita, e così ho deciso di scaricare <a href="http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/16314382">l’articolo in questione</a>, scritto da Kate Gleeson e Hannah Frith nel 2006. Il punto focale di questo studio infatti è proprio il cercare di rispondere alla domanda: <b>il concetto di “immagine corporea”, per com’è attualmente articolato, è effettivamente utile per valutare chi ha un DCA?</b><br />
<br />
Questa apparentemente semplice domanda cela in realtà una questione piuttosto controversa: dopotutto, all’immagine corporea viene ascritta una significativa centralità in molti studi (e strategie terapeutiche) relativi ai DCA. Credo che chiunque di noi che abbia un DCA si sia sentita dire almeno una volta nella propria vita, da un qualche medico/psichiatra/psicologo/dietista/nutrizionista che è importante migliorare la percezione della propria immagine corporea, che così facendo si può riuscire a far pace col cibo, con l’esercizio fisico, con gli altri, col DCA. Insomma, per come la mettono alcuni specialisti, sembrerebbe che lavorare sulla propria immagine corporea rappresenti la panacea per la guarigione dall’anoressia, che imparare ad amare il proprio corpo per com’è costituisca la chiave di volta per vincere i DCA.<br />
<br />
Mi perdonino suddetti specialisti, ma io non sono d’accordo. Voglio mettere in chiaro che io penso che le intenzioni che stanno dietro la retorica dell’ “immagine corporea positiva” siano fondamentalmente buone, forse persino ammirevoli (sebbene un tantinello utopiche, a mio avviso). Tuttavia, mi ha colpito molto il modo in cui le autrici del suddetto studio hanno esplicitato che le ipotesi che stanno alla base della corrente concettualizzazione dell’ “immagine corporea” possono <b><i>limitare</i></b> la comprensione di come gli individui vi si relaziono, e di come agiscono con e sul proprio corpo.<br />
<br />
<b>Quali sono i postulati che stanno alla base dell’attuale concetto di “immagine corporea”?</b>
<b> </b><br />
<br />
<b>1 -</b> Che l’immagine corporea “esiste”.<br />
<b>2 –</b> Che l’immagine corporea è un prodotto (socialmente mediato) della percezione.<br />
<b>3 –</b> Che l’immagine corporea è un qualcosa di interiore.<br />
<b>4 – </b>Che l’immagine corporea può essere trattata come se fosse reale, ed accuratamente valutata.<br />
<b>5 –</b> Che le persone forniscano risposte neutre in merito all’immagine corporea di sé che hanno nella propria testa.<br />
<br />
<b>1. POSTULATO: L’IMMAGINE CORPOREA “ESISTE”</b><br />
<br />
Pensateci bene: questo in realtà non è così strano come potrebbe sembrare. Poiché l’immagine corporea è compresa e studiata, si presume che sia una “cosa” che tutti gli individui possiedono e cui si relazionano. Che questa “immagine” sia accurata o meno, i ricercatori danno per scontato che ogni singola persona ce l’abbia. Altrimenti, che senso avrebbe valutare l’immagine corporea? <br />
<br />
Tradizionalmente, l’immagine corporea viene definita come: “l'immagine del nostro corpo che formiamo nella nostra mente, vale a dire, il modo in cui il corpo appare a noi stessi” (<a href="http://books.google.ca/books/about/The_Image_and_Appearance_of_the_Human_Bo.html?id=L2CNWxKdWhMC&redir_esc=y">Schilder</a>, 1950).
<a href="http://libra.msra.cn/Publication/38586686/body-image-and-appearance-management-behaviors-in-college-women">Rudd & Lennon</a> (2000), espandono questa definizione includendo le percezioni e gli atteggiamenti tenuti verso il proprio corpo.<br />
<br />
Proprio come altri costrutti, questo postulato (l’esistenza dell’immagine corporea) rende l’immagine corporea misurabile, valutabile, e idealmente ci permettono di spiegare perché le persone si comportano in un certo modo nei confronti del proprio corpo. Per esempio, alcuni ricercatori avevano ipotizzato che una sostanziale inaccuratezza della percezione dell’immagine corporea fosse ciò che spingeva le persone con un DCA a cercare di dimagrire costantemente, a prescindere dal loro peso reale. (Non è in realtà così.)
<b> </b><br />
<br />
<b>2. POSTULATO: L’IMMAGINE CORPOREA E’ UN PRODOTTO (SOCIALMENTE MEDIATO) DELLA PERCEZIONE</b><br />
<br />
Se si parte dall’assunto che l’immagine corporea è una “cosa” che si genera nella mente umana, ecco che viene spontaneo concludere che allora essa è creata attraverso la nostra percezione. Delle vecchissime ricerche sui DCA erano innamorate dell’idea dell’esistenza di una discrepanza nella percezione dell’immagine corporea. Mi riferisco agli studi di psicologi quali <a href="http://journals.lww.com/psychosomaticmedicine/Abstract/1962/03000/Perceptual_and_Conceptual_Disturbances_in_Anorexia.9.aspx">Bruch</a> (1962) e <a href="http://journals.cambridge.org/action/displayAbstract;jsessionid=8D72A0568A541F5BC88539E2449B7ECF.journals?fromPage=online&aid=5210280">Slade & Russell</a> (1973), che non la smettevano più di insistere su quanto le persone malate di anoressia non riuscissero a vedere il proprio corpo per quello che realmente era. (L’anoressia non è una malattia della vista, buongiorno!) Questi sono meramente 2 esempi del modo in cui la psicologia si è sempre concentrata (eccessivamente!) sulla percezione dell’immagine corporea.<br />
<br />
Nonostante tutti questi tentativi di mettere ampiamente in risalto la centralità dell’immagine corporea nei DCA, <b>nessuno degli studi di questo tipo è mai riuscito a trovare una relazione statisticamente significativa tra stima delle proprie dimensioni corporee ed insoddisfazione per il proprio aspetto. Nessuno.</b> L'attenzione percettiva pone anche l'accento sulle cose che "distorcono" la percezione, come le pressioni culturali e psicologiche. Ricerche più recenti si sono concentrate sulle discrepanze nella percezione dell’immagine corporea, per esempio chiedendo a delle donne di scegliere quale corpo tra vari esempi mostrati sarebbe stato il loro "ideale", trovando spesso che le donne scelgono corpi più magri del proprio; ma <b>nessuna</b> di queste ricerche riesce a dimostrare se e quanto questo abbia un impatto sui pensieri, comportamenti e relazioni.
<b> </b><br />
<br />
<b>3. POSTULATO: L’IMMAGINE CORPOREA E’ UN QUALCOSA DI INTERIORE</b><br />
<br />
L’immagine corporea viene spesso descritta come un qualcosa che “appartiene” all’individuo. Gli individui, naturalmente, agiscono ed impattano nel mondo che li circonda. Tuttavia, alla fine della fiera, ci sono una serie di forze che vengono viste come agenti sull’individuo, ed influenzanti l’immagine mentale che essi hanno sul proprio corpo. Nonostante la raffica di ricerche mirate a valutare l’influenza dei fattori esterni sull’immagine corporea, non abbiamo in realtà alcuna certezza o conferma su come esattamente le immagini proposte dai Mass Media, possano impattare sulla percezione dell’immagine corporea.<br />
<br />
<b>4. POSTULATO: L’IMMAGINE CORPOREA PUO’ ESSERE TRATTATA COME SE FOSSE REALE, ED ACCURATAMENTE VALUTATA</b><br />
<br />
Questo postulato riecheggia il primo della lista, e fa fiorire una marea di critiche sulle modalità con cui l’immagine corporea viene valutata.<br />
• L’immagine corporea dev’essere semplificata per poter essere valutata: per esempio, con gli studi che chiedono alle partecipanti di scegliere il proprio corpo ideale tra 9 diverse shilouettes proposte, che possono o meno includere l’immagine corporea “ideale” presente nella testa delle partecipati.<br />
• Le risposte differenti e di un numero limitatissimo di donne vengono considerate rappresentative delle differenze percettive “reali”.<br />
• Queste diverse risposte vengono trattate come se fossero intrinsecamente significative: ogni discrepanza da esse viene valutata come “insoddisfazione”.
<b> </b><br />
<br />
<b>5. POSTULATO: LE PERSONE FORNISCONO RIPOSTE NEUTRE IN MERITO ALL’IMMAGINE CORPOREA DI SE’ CHE HANNO NELLA PROPRIA TESTA</b><br />
<br />
Le persone sono generalmente consapevoli che la loro esistenza è inscritta in un particolare ambiente culturale. Se anche un individuo può rispondere ad un questionario affermando che la sua immagine corporea “ideale” è più magra del loro corpo ideale, questo non dice sostanzialmente niente su quanto questo incida nella lista delle priorità di vita dell’individuo.<br />
<br />
La maggior parte delle donne potrebbe dire di voler essere, in misura più o meno ampia, più magra di quello che è, ma solo un’irrisoria percentuale di esse si ammala di anoressia. Ergo, non esiste alcuna correlazione diretta tra le 2 cose, perché se ci fosse una reazione causa-effetto, <b>tutte</b> quelle donne si ammalerebbero. E questa è la dimostrazione del fatto che i DCA sono malattie multifattoriali determinate da così tante cause che eventuali discrepanze sulla percezione dell’immagine corporea possono avere un ruolo minimale o addirittura nullo sullo sviluppo di un DCA.<br />
<br />
Quello che secondo me dovremmo fare, perciò, è ri-concettualizzare i problemi.
<b> </b><br />
<br />
<b>1. Focus di ricerca ristretto</b><br />
<br />
L’immagine corporea è un qualcosa di estremamente complesso e variegato. Se diamo per scontato che l’immagine corporea sia semplicemente il mediatore tra pensiero ed azione, tagliamo fuori moltissime importanti domande, quali per esempio:<br />
• Com’è che la percezione dell’immagine corporea è diversa in persone diverse?<br />
• Come si può capire quale sia l’influenza che ha la percezione della propria immagine corporea sul singolo individuo, e come questa moduli la vita quotidiana e le interazioni con gli altri?<br />
• Ci sono altre modalità d’interpretare le problematiche comportamentali, al di là del banale scaricare la colpa sull’immagine corporea?
<b> </b><br />
<br />
<b>2. Sottovalutazione del contesto</b><br />
<br />
Come precedentemente detto, le persone sono immerse nell’ambiente esterno che le circonda. Ma finora, tutte le indagini sono state solo ed esclusivamente mirate a valutare come le immagini proposte dai Mass Media potessero influenzare la percezione della propria immagine corporea.<br />
Fortunatamente, sembra che alcuni recentissimi studi stanno cercando di mettere in relazione come l’immagine corporea del singolo possa condizionare di partenza la sua relazione con mondo circostante, ancor prima di ricevere input esterni. Questi studi stanno mettendo in evidenza il fatto che la percezione dell’immagine corporea del singolo individuo non è univoca ed unitaria, ma varia in base al contesto in cui il soggetto si trova (se è in giro con gli amici, se a al lavoro/a scuola, etc…) e in base alle persone con cui interagisce.
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<b>3. De-enfatizzare la produzione discorsiva dell’immagine corporea</b><br />
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Quando consideriamo l’immagine corporea come una “cosa reale”, dimentichiamo che c’è un divario tra il modo in cui essa viene percepita, e il modo in cui viene esplicitata. Per cui, anche il fatto che i Mass Media propongano certi tipi di immagine, non ha per tutti la stessa risonanza, e non necessariamente scalfisce la percezione del singolo.
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<b>4. Ignorare la natura sociale della percezione</b><br />
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La percezione dei corpi, e del proprio corpo in particolare, può essere valutata comparandola a corpi altrui o al proprio. Inoltre, piuttosto che essere un tutto unitario, l’immagine corporea può concentrarsi su singole parti del corpo.<br />
Dentro uno “schema dell’immagine corporea” i singoli individui possono concentrarsi su certi aspetti, che possono essere diversi da persona a persona. Una persona può anche accettare di avere dei fianchi più ampi, purchè questo comporti l’avere un seno più grosso, se quella è una parte del corpo su cui centra particolarmente la sua attenzione.<br />
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<b>5. Distrazione dalla natura dialogica dell’immagine corporea</b><br />
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E’ opinione erronea ma comune che l’influenza dei Mass Media sull’immagine corporea sia unidirezionale. Quest’erronea convinzione sottovaluta significativamente la capacità delle persone di essere senzienti e critiche nei confronti delle immagini trasmesse dai Mass Media.<br />
Lo studio di cui vi parlavo mette in evidenza come le adolescenti, leggendo una rivista modaiola, possano allo stesso tempo gradirla, comparare il proprio corpo a quello delle cover girl, e allo stesso tempo essere consapevoli dell’esistenza del fotoritocco, e criticare quella bellezza del tutto artificiosa. Il che è decisamente il prodotto di una mente senziente.
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<b>6. Individuazione delle preoccupazioni per il proprio corpo</b><br />
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Di nuovo, occorre considerare il fatto che noi interagiamo con altre persone. Noi non siamo affatto dei burattini, dei corpi passivi: ci impegnamo nelle relazioni con gli altri, e ci chiediamo cosa loro pensino di noi.<br />
Inoltre, le modalità con cui le persone si relazionano alla propria immagine corporea, variano da individuo ad individuo. Non tutti recepiscono uno stesso messaggio allo stesso modo, e questa è una verità che molto spesso viene considerata ovvia, scontata, e quindi viene sottovalutata.<br />
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Dopo tutto ciò con cui vi ho tediato finora, tiriamo le somme: in che modo possiamo relazionarci all’immagine corporea, e rendere questo costrutto più utile? Le autrici dello studio suggeriscono che l’immagine corporea potrebbe essere compresa in maniera migliore se considerata come un attivo, variegato e continuo processo di raffigurazione di se stessi. Tant’è che preferiscono utilizzare il termine “body imaging” anziché “body image”, perché cattura splendidamente la fluidità e la continuatività della costruzione/decostruzione dell’immagine corporea.<br />
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Per concettualizzare l’immagine corporea in questo modo, bisogna intenderla come “un processo attivo che l'individuo si impegna a modificare, migliorare, e venire a patti con il proprio corpo in specifici contesti temporali, vitali e relazionali”.<br />
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Anziché essere un “prodotto”, l’immagine corporea viene considerate come un’ “attività”, una distinzione che le autrici sottolineano perchè può aiutare a catturare l’esperienza complessissima e riflessiva di essere nel proprio corpo.<br />
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Devo dire che il modo in cui quest’articolo reinterpreta l’immagine corporea non mi dispiace affatto. Quel che penso sia particolarmente importante in questo approccio è che, nonostante la resistente retorica dell’ "immagine corporea positiva", quest’articolo sembra fare piccoli progressi in merito alle modalità in cui gli individui che hanno un DCA si possono relazionare al proprio corpo. Questo mi porta a credere che manchi decisamente qualcosa in merito alla comprensione di come ogni singolo individuo si relazioni al proprio corpo, e se, in effetti, l’ “immagine corporea” sia un concetto che è universalmente e uniformemente rilevante per tutte coloro che hanno un DCA.Veggiehttp://www.blogger.com/profile/11990381810503033018noreply@blogger.com3tag:blogger.com,1999:blog-6464611321986605023.post-62665184967381218242014-09-26T13:46:00.000+02:002015-03-05T21:47:13.404+01:00On the other side of the fenceOn the other side of the fence. 2008 – 2014. Perché gli anni passano, ma le emozioni rimangono. E quelle sì che sono indelebili. Più provi a cancellarle, più ti restano dentro.
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjc-4zPzOgB02g9zPVjmXapjg2lMdes0abbPxByEZhN0qBoMcCQ8c_th-vAkMljenpm3p2VCnGIj7IS9B_7JGbk8HeA1xSTkc4zLWwXUF3gTRqDuB9PPCaIkq8egKV3PTjzJ7bm8xOUEaLO/s1600/Picture+051.JPG" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjc-4zPzOgB02g9zPVjmXapjg2lMdes0abbPxByEZhN0qBoMcCQ8c_th-vAkMljenpm3p2VCnGIj7IS9B_7JGbk8HeA1xSTkc4zLWwXUF3gTRqDuB9PPCaIkq8egKV3PTjzJ7bm8xOUEaLO/s320/Picture+051.JPG" /></a></div>
È la milionesima volta che provo a scrivere questo post: arrivo più o meno alla terza frase, poi cancello tutto perché mi sembra che non vada bene. Sto scoprendo che nel provare a raccontarvi quello che mi è successo la parte più difficile – una delle parti più difficili, per lo meno – non è tanto riuscire a metterci tutto, quanto mettere tutto al posto giusto.<br />
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Uno degli incarichi che i medici del 118 devono ricoprire è quello di fare assistenza medica alle gare sportive di ogni qualsiasi tipo. L’ultimo weekend mi è dunque capitato di essere assegnata come medico per la 7^ edizione del Rally di R. Questo è stato per me un incarico strano ed emozionante allo stesso tempo, dal momento che, prima di passare “dall’altra parte” e di prendere parte a questa gara in qualità di medico d’emergenza, vi avevo preso parte come pilota.<br />
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Il potente mezzo – Giugno 2008
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEilU4zFBkiQEcPhFeddE4UsLKODeMznnlLpU2g7N6hZM8SPzf1_jpnbrtOYv4rHfrWyHzyzXj9sHW5vYEx0jIpkVlec9hc3Mw3AtznSbTSuVEwIJw2VTkOqMEEKgZwgSpFL9pZVKP0StHNB/s1600/Rally2008.JPG" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEilU4zFBkiQEcPhFeddE4UsLKODeMznnlLpU2g7N6hZM8SPzf1_jpnbrtOYv4rHfrWyHzyzXj9sHW5vYEx0jIpkVlec9hc3Mw3AtznSbTSuVEwIJw2VTkOqMEEKgZwgSpFL9pZVKP0StHNB/s320/Rally2008.JPG" /></a></div>
<span style="font-size: x-small;">(Questa foto è c/o i fotografi di IdeaImmagine (e potete trovarla anche sul loro sito), fotografi ufficiali del Rally di R., che realizzarono questa bellissima foto della “mia”<b>*</b> altrettanto bellissima auto durante la corsa.) </span><br />
<span style="font-size: x-small;"><b>*</b>[“mia” tra le dovute virgolette, poiché in realtà l’auto era di proprietà del mio navigatore, io ne ero solo la pilota.] </span><br />
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Il potente mezzo – Settembre 2014
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiPoT6WY2wS8ZU55PRYr-G4gpXWCNqx8N6yhW7y10wr_SmNFjGf2_CO8bocZU9cWnwWegy8fLiRDY14LFzDK8Krp6zeIic61Ok01pO5uDP3dGI1_n120tQaBXI85HzeX9_dO6TLamI6X8Cr/s1600/118Ambulanza.JPG" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiPoT6WY2wS8ZU55PRYr-G4gpXWCNqx8N6yhW7y10wr_SmNFjGf2_CO8bocZU9cWnwWegy8fLiRDY14LFzDK8Krp6zeIic61Ok01pO5uDP3dGI1_n120tQaBXI85HzeX9_dO6TLamI6X8Cr/s320/118Ambulanza.JPG" /></a></div>
E mi è venuto da pensare che questo mio “stare dall’altra parte” non vale solo per il Rally, ma anche per l’anoressia. Mentre stavo sull’ambulanza a guardare le automobili sfrecciare su strada, dicevo a me stessa: “Quest’anno sto dall’altra parte”, ed immediatamente il pensiero dell’anoressia mi si è piantato in testa. Ognuna di noi si sveglia ogni mattina e ce la mette tutta per affrontare la giornata che la attende e andare avanti, un giorno alla volta, un passo dopo l’altro… e questa successione di giorni si trasforma in una vita. Gli eventi accadono, le interazioni con gli altri si realizzano, si incontrano persone, si fanno esperienze, e il mondo continua a ruotare intorno al proprio asse. Poi un giorno ci si guarda indietro, e si capiscono tutte quelle cose che era impossibile comprendere nel momento in cui sono accadute.<br />
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<i>“Adesso gira a sinistra!” </i><br />
<i>“Quale delle due sinistre?” </i><br />
<i>La bega di fare da navigatore ad una pilota ambidestra. </i><br />
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Io sono sempre stata una fautrice dell’idea “se potessi tornare indietro cambierei”. Non sono una stoica, e non vedo perché dovrei esserlo. Io ho sempre detto che, se potessi tornare indietro nel tempo mantenendo però le consapevolezze attuali, non risceglierei mai la restrizione alimentare, per come mi ha devastato la vita. C’è chi dice invece che comunque rifarebbe anche l’esperienza del DCA perché, nonostante tutto il dolore arrecatole, se è diventata quella che è, è anche merito del fatto che ha vissuto questo tipo di esperienza, che ha contribuito a farla maturare sotto ogni punto di vista, e a renderla sotto certi aspetti una persona migliore, più empatica. Bene, tutto il rispetto per chi la pensa così, ma io sono sempre appartenuta all’altra fazione, ed ho sempre in fondo creduto che chi la pensava altrimenti volesse solo giustificare (ed autogiustificarsi) un proprio errore. Eppure, quest’esperienza del Rally vissuto sotto 2 differenti punti di vista, mi ha fatto capire che anche nell’altra posizione qualcosa di sottilmente vero c’è.<br />
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<i>Rabbia. Tranquillità. Terrore. Coraggio. Dolore. Indifferenza. Vuoto. Ribellione. Felicità. Tristezza. Completezza. Lacerazione. Realtà. Simulazione. Forza. Volitività. Amicizia. Odio.
Dietro una porta sbarrata ai ricordi che s’insinuano tra le fessure… si ritrovano tutti i sentimenti. </i><br />
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Ho imparato a guidare quando avevo poco più di 15 anni. Sono andata avanti, a 18 anni ho preso ufficialmente la patente, ed ho scoperto la possibilità di fare la pilota nei rally. Non me la sono mai cavata male, ma non sono neanche mai salita sul gradino più alto del podio. Però mi piaceva quello che facevo, era bello correre. Neanche tanto arrivare: era proprio bello il correre in sé. Poi gli impegni col karate e con l’Università mi hanno portato a smettere di partecipare ai rally, ed io mi sono sentita come un uccellino cui avevano tarpato le ali. Eppure sono andata avanti.<br />
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Ho fatto per la prima volta il medico in una gara sportiva per un piccolo campionato di ciclismo locale. È stata la prima di tutta una serie di gare sportive di diverso tipo. Adesso ogni tanto vengo chiamata quando ce n’è bisogno, come al Rally di R. E guardo da spettatrice quelle corse cui avevo preso parte. Magari un po’ di rammarico c’è, a fronte di quello che avrebbe potuto essere e non è stato. Eppure, sto andando avanti.<br />
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Quando avevo circa 14 – 15 anni, ho sviluppato un disturbo alimentare che i medici hanno definito come “Anoressia Nervosa – Sottotipo 1”. Sono andata avanti, sono passati anni, ho vissuto diversi ricoveri in clinica, ho perso anni di scuola, mi sono alimentata seguendo un “equilibrio alimentare”, ho fatto tanta psicoterapia, a tratti sono stata meglio e poi ho avuto delle ricadute e poi mi sono rialzata, e adesso sono arrivata fin qua. In remissione da circa 6 anni, tengo un blog di lotta contro l’anoressia, realizzo video su YouTube, scrivo frasi positive su Twitter, mi sono laureata, lavoro come arbitro ed istruttrice di karate nonché come medico, e cerco nel mio piccolo di supportare chiunque stia lottando contro il proprio DCA. Insomma, sono passata da una parte all’altra. E sto andando avanti.<br />
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<i>“Tutti quelli che corrono in macchina sotto sotto cercano quella cosa lì.” </i><br />
<i>“Quale cosa lì?” </i><br />
<i>“Morire.” </i><br />
<i>“Se pensassi al peggio dovrei smettere di correre.” </i><br />
<span style="font-size: x-small;"><i>(Eppure ho sempre corso come se non ci dovesse essere un domani.)</i> </span><br />
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Se tento di comprendere la mia vita a ritroso, non posso che sorridere di fronte alle realizzazioni che si sono presentate. Se penso ai momenti difficili, a quelli dolosi, a tutti i disagi, mi rendo conto che stavo percorrendo una strada che mi ha portata dritta fino ad oggi. Adesso riesco a vedere le opportunità che brillavano attraverso le avversità.<br />
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Se non avessi imparato a guidare in anticipo sui tempi, forse una volta 18enne non sarei mai stata capace di fare la pilota. Se non avessi studiato Medicina, forse non averi avuto la possibilità di lavorare per il 118. Se non mi fossi ammalata di anoressia – con tutto che mi ha devastato la vita, e che desidererei non ci fosse mai stata, e che se per assurdo potessi tornare indietro nel tempo la cancellerei dalla mia vita – forse il mio carattere non si sarebbe forgiato come ha fatto. Sono sempre andata avanti… e adesso, a ritroso, mi accorgo di ciò che sul momento mi era impossibile vedere.<br />
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Forse tutto quello che mi è successo, nel bene e nel male, ha il suo senso. E io devo solo viverlo per scoprirlo ed attribuirgli il mio significato. Forse c’è qualcosa che deve ancora succedere. Un giorno. In qualche modo. Dopo anni trascorsi da pilota, adesso ho un futuro da medico. Dopo anni di anoressia, adesso ho un futuro di remissione. Perché è possibile fondere passato e futuro. Dunque, magari arriverà ancora qualcosa di positivo. Suppongo che lo saprò solo vivendo.
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjcQwA4Y3lzRk5mJBJXTgS3JkM9Ys3HAxnR11VNA9wnpiHMbUeuZj6CyiaueJq1HeulMAzv-tEz84-Kra5jaYYQ7krung90Bz-Mi3hrVWMk9wR-8IKdUoOoLxVROvk3EseKqVDQLhQCShvp/s1600/AfterRally.JPG" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjcQwA4Y3lzRk5mJBJXTgS3JkM9Ys3HAxnR11VNA9wnpiHMbUeuZj6CyiaueJq1HeulMAzv-tEz84-Kra5jaYYQ7krung90Bz-Mi3hrVWMk9wR-8IKdUoOoLxVROvk3EseKqVDQLhQCShvp/s320/AfterRally.JPG" /></a></div>
<b>P.S.=</b> Chiedo scusa a tutti i miei amici, quelli attuali e quelli che avevo quando ero pilota: in un modo o nell’altro, vuoi correndo vuoi come medico, ho sottratto alle nostre vite un sacco di weekend per colpa dei rally. Ma ho sempre pensato di vincerlo insieme a voi, ragazzi, il rally della vita.
Veggiehttp://www.blogger.com/profile/11990381810503033018noreply@blogger.com26