Come gli alchimisti trasformavano il ferro in oro… voi potete trasformare l’oscurità in luce. Siete tutte benvenute.

venerdì 12 settembre 2014

Sfuggire al cibo: Migliorare la qualità della vita nell'anoressia

Qualche tempo fa ho letto un articolo relativo ad uno studio mirato a valutare come evitare che le persone affette da anoressia da molti anni abbandonassero il proprio precorso terapeutico. In effetti questo è un problema spinoso nel campo dei DCA, perché l’abbandono della terapia è un grosso problema, tanto nella ricerca scientifica quanto nella pratica clinica. Che le persone affette da anoressia abbiano paura di chiedere aiuto, che pensino di non averne bisogno, od entrambe le cose, è sempre e comunque difficile convincere qualcuno a presentarsi presso l'ufficio di un terapeuta, settimana dopo settimana, apportare modifiche come mangiare di più e aumentare di peso, per non parlare dell’introspezione che è necessario fare e di quanto si può essere restie ad abbandonare comportamenti e convinzioni che, seppur patologiche, costituivano a loro modo un’efficace strategia di coping.

Personalmente, non ho avuto granché problemi da un punto di vista strettamente alimentare (visto, gente? Sto facendo qualcosa per contrastare l’anoressia!), ma per molto tempo non volevo avere niente a che fare con l’introspezione. Andavo in terapia, ma era una sorta di pro-forma: non avevo nessuna intenzione di abbandonare il controllo in ogni ambito della mia vita. E questo mi conduceva a frequenti ricadute nell’anoressia stessa.

Dunque, nonostante i colloqui psicoterapeutici, e le relative spese, la mia anoressia rimaneva radicata e io stagnavo nell’impasse. La mia qualità della vita non era un granché. Sì, studiavo e lavoravo, e questo era già qualcosa… ma mi fermavo lì. Facevo comunque una fatica bestiale con lo studio e con il lavoro, lo sport era limitato a quel poco che potevo permettermi, ero completamente isolata dagli altri, e la mia salute era comunque precaria. Tuttavia, ero determinata a lavorare su me stessa: ero convinta che se avessi risolto i miei veri problemi, sarei stata anche più motivata a combattere contro l’anoressia, perché sarebbe venuto meno il vero substrato che l’alimentava.

La psicologa che mi seguiva in quel periodo era basilarmente d’accordo con questa mia linea di pensiero, e la supportava. In particolare mi spronava ad allargare le mie conoscenze sia in ambito universitario che lavorativo, a stringere nuove amicizie, a frequentare nuovi ambienti. Frequentare nuove persone avrebbe potuto permettermi di rompere un po’ il mio rigido controllo, cosa che ovviamente non successe.

Tentai più volte di agire in maniera analoga, con risultati pressoché equivalenti. Quel genio di terapeuta allora mi disse che ero io che non ne volevo proprio sapere di abbandonare il controllo e di ammorbidirmi un po’ lasciandomi un po’ andare, e quindi non c’era nulla da fare.

Migliorare la propria qualità della vita credo sia l’obiettivo più grande e più importante da raggiungere per chiunque abbia un DCA, ma come riuscirci è materia di ampio dibattito, soprattutto per quel che concerne le persone che hanno un DCA da molti anni. Sebbene le persone abbiano lentamente accettato l’idea che ridurre i sintomi propri del DCA sia in effetti la prima linea di trattamento, non c’è altrettanta chiarezza per quanto riguarda i DCA di lunga durata. Spesso i terapeuti non sono granché ottimisti in merito alle donne che hanno un DCA da tanti anni, e allo stesso modo l’idea che queste donne possano migliorare la propria qualità della vita è vista come una sorta di utopia.  

Mettere il carro davanti ai buoi?

Nello studio di cui vi parlavo ad inizio post, i ricercatori specificavano che l’obiettivo non era quello di focalizzarsi sul peso guadagnato, ma piuttosto sulla qualità della vita. Ed in effetti, tramite questo loro studio hanno dimostrato alcuni piccoli miglioramenti della qualità della vita, e alcuni piccoli miglioramenti nei pensieri e nei comportamenti tipici del DCA. La domanda cui non hanno risposto, tuttavia, è: i miglioramenti della qualità della vita hanno portato a miglioramenti nei pensieri e nei comportamenti tipici del DCA? O viceversa? (La versione DCA di “è nato prima l’uovo o la gallina?”, insomma…)

Un nuovo studio pubblicato sull’ “International Journal of Eating Disorders” risponde proprio a questa domanda. Sebbene le pazienti implicate nello studio (ed affette da DCA da molti anni) non fossero particolarmente focalizzate sul cibo o sui cambiamenti comportamentali, quanto piuttosto sul miglioramento della qualità della vita, è emerso che miglioramenti nelle abitudini alimentari e recupero del proprio set-point di peso corporeo erano in effetti gli unici predittori di miglioramento della qualità della vita.

Brevemente, le partecipanti a questo studio erano donne di età compresa tra i 20 e i 62 anni, tutte affette da anoressia da almeno 7 anni. La maggior parte di queste donne non avevano figli, ed erano marcatamente sottopeso. Le partecipanti sono state valutate all’inizio del trattamento terapeutico, alla fine del trattamento, e 1 anno dopo la fine del trattamento. Sono state prese in considerazione le variazioni dei pensieri e dei comportamenti tipici del DCA, le ripercussioni fisiche ed emotive che il DCA aveva sulla loro vita, l’eventuale presenza di comorbidità, e la loro complessiva qualità della vita legata al DCA.

I ricercatori hanno scoperto che il peso influenzava significativamente la qualità della vita delle donne affette da anoressia: quelle che erano più vicine al proprio set-point avevano una qualità della vita migliore rispetto a quelle che ne erano più lontane. Sebbene le variazioni di peso non siano state particolarmente prese in considerazione in questo studio (come secondo me è giusto che sia, perché i DCA sono malattie mentali), esse sono comunque ovviamente avvenute nel corso del percorso terapeutico. Nel momento in cui i ricercatori sono andati a valutare quali fattori fossero implicati nel miglioramento della qualità della vita, ne hanno immediatamente riscontrati 2: ritorno del peso al proprio set-point e regressione dei pensieri e dei comportamenti tipici del DCA.

Gli autori concludono:  

“Queste scoperte ci suggeriscono che i miglioramenti [nella qualità della vita] sono associate – e forse interdipendenti – alla riduzione dei pensieri e dei comportamenti tipici del DCA, e al ripristino del corretto peso corporeo. […] I risultati di questo studio ci suggeriscono inoltre che dovrebbe essere posta più enfasi nel miglioramento della qualità della vita, soprattutto quando si parla di persone che soffrono di anoressia da molti anni, piuttosto che concentrarsi meramente sul peso o sui sintomi: poiché un miglioramento della qualità della vita può indirettamente determinare un miglioramento del peso e una riduzione di pensieri e comportamenti tipici dell’anoressia. Ovviamente dovranno essere condotti altri trials clinici per confermare questi risultati, ma se questi venissero effettivamente confermati, allora avremmo la certezza che il miglioramento della qualità della vita è strettamente correlato al ritorno al proprio set-point di peso corporeo, e all’allontanamento di pensieri e comportamenti tipici del DCA, e che dunque non si può avere un effettivo miglioramento della qualità della vita se si mantiene un peso lontano dal proprio set-point, e se non si fanno entrare nella vita altre cose che allontano i pensieri tipici dell’anoressia.”
(mia traduzione) 

Cosa significa tutto questo in merito al trattamento dei DCA? Convincere qualcuno che ha un DCA, soprattutto se è malato da molti anni, che deve cambiare la propria alimentazione e i propri comportamenti è dura*. Convincere qualcuno che ha un DCA, anche se da molti anni, che può comunque significativamente migliorare la propria qualità della vita è un po’ più semplice. In effetti, l’idea che avrei potuto, alla lunga, migliorare la mia qualità della vita, è proprio quello che mi ha spinto a non mollare nella mia lotta contro l’anoressia. Per chi ha un DCA da tanti anni, pertanto, potrebbe essere più semplice pensare di poter migliorare a piccoli passi la propria qualità della vita, piuttosto che stravolgere da un punto di vista strettamente comportamentale la propria routine (non me ne vogliano i fans della terapia cognitivo-comportamentale, ma per il trattamento dei DCA la trovo veramente inefficace).

Far sì che una persona si mantenga costante nel proprio percorso di ricovero è una vittoria. Perché quella contro l’anoressia è una lotta che dura una vita. Ma man mano che la qualità della vita migliora, tener testa all’anoressia diventa sempre meno faticoso. E così l’avere una migliore qualità della vita diventa l’obiettivo – e la vittoria – di chiunque abbia un DCA. Certo, siamo tutte persone diverse, perciò è normale che ognuna di noi possa aver bisogno di strade differenti su cui procedere per raggiungere il miglioramento della propria qualità della vita. Però, a prescindere dalle modalità, credo sia importante pensare a come la terapia di un DCA possa essere più efficace a fare sì che questo accada. Pur essendo ognuna fatta a proprio modo, la ricerca ci dimostra che indubbiamente per migliorare la qualità della vita bisogna spezzare l’isolamento in cui l’anoressia ci vincola, provare a conoscere persone e a fare cose, e focalizzarsi su quello che di bello può esserci nella nostra vita, piuttosto che limitarsi meramente a mangiare di più o a cercare meramente da un punto di vista comportamentale di abolire gli atteggiamenti ed i pensieri tipici dell’anoressia.  

*ove per “è dura” intendo “eufemismo del secolo”.  

P.S. = Vi ricordo il “P.S.” del post che ho scritto 2 settimane fa!... Aspetto le vostre infographics, non c’è nessuna fretta!  

P.P.S. = Venerdì 19 non potrò aggiornare il blog, per cui il prossimo post lo pubblicherò Venerdì 26 Settembre. Ci rileggiamo tra 2 settimane! Stay tuned, gals!

22 commenti:

Euridice ha detto...

Sono d'accordissimo: l'anoressia è prima di tutto una malattia mentale e non si risolve portando il peso all'interno di un range di "normalità"; Una terapia seria dovrebbe andare a indagare le cause profonde che sussistono indipendentemente dal peso, che esistevano prima e forse sopravviveranno dopo l'anoressia: è solo sradicando le basi della malattia che si riesce a liberarsene.
Detto questo, è anche vero che la terapia ha dei limiti consistenti perché presuppone un grado di consapevolezza e di responsabilità che molto spesso manca in chi soffre di un dca. Credo che la scelta di entrare in analisi sia ancora più difficile e importante di quella di affidarsi ad un dietista. L'analisi smuove terreni che forse neanche noi vogliamo che si smuovano e deve essere già scattata da tempo la molla del "voglio vivere meglio" perché sia efficace. Lo dico perché io per prima, che ero già in cura da uno psicologo prima del dca, non pensavo potesse esistere una vita migliore di quella del controllo e della restrizione alimentare, è una consapevolezza cui si giunge solo dopo anni, e conosco persone malate da anni che non l'hanno ancora guadagnata.
Insomma, scusa se sono stata logorroica ma la questione mi sta a cuore perché una mia cara amica, anoressica da sei anni, si sta totalmente lasciando andare e non pensa le sia concessa una vita migliore. In un caso del genere, che poi è comune a molte ragazze, in cui di solito si interviene con il ricovero forzato per agire soprattutto sul peso, secondo te cosa si potrebbe fare? Avrebbe senso costringere qualcuno ad affrontare un percorso di analisi che vada più a fondo dei problemi alimentari? O si rischierebbe comunque di avere un rifiuto e una chiusura?
Scusa ancora per la lunghezza del commento, ma m'interessa molto la tua opinione da esperta sia come medico sia come paziente :)
Un bacio!

Killer ha detto...

Quindi.. Non so se ho capito bene.. Più una donna si avvicina al suo set point di peso più la qualità della vita, in senso relazioni personali, lavoro, ecc migliora? Giuro che non l'avrei mai detto, anzi, a me sembra che a me sia successo il contrario :/ ma forse perché non sono a questo sottopeso drastico
Che poi, ad essere sincera, anche se l'hai spiegato molte volte, cosa sia il set point non l'ho ancora capito bene bene

Comunque anche io sono dell'idea che la malattia dipenda da una cosa soprattutto mentale. Certo è che con un po' di cibo nello stomaco si ragiona meglio e si è meno scontrosi, ma il muro creato dal DCA rimane comunque a un peso come a un altro se non viene curato e abbattuto. Anzi, può essere che in seguito all'aumento di peso una persona si senta ancora più a disagio e quindi cerchi di isolarsi ancora di più. Per cui ritengo che il processo di cura mentale debba essere messo in primo piano.

Un bacione :** aspetterò le prossime due settimane per leggerti ancora ;)

hopingless ha detto...

Ciao Veggie,sono rimasta molto colpita da quello che hai detto sulla terapia cognitivo-comportamentale.
Ero convinta (in realtà me l'hanno riportato svariati medici),che è il trattamento di elezione per i DCA.
E io sono seguita da un cognitiva-comportamentale.
Non mi dilungo sulla mia esperienza,volevo solo sapere quale approcio terapeutico è stato più efficace nel tuo caso. (sistemico,analitico..)
Per un semplice confronto. Grazie!

hopingless ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
hopingless ha detto...

Che fosse*.

Wolfie ha detto...

Non potrei essere più d’accordo!!!!!!!!!!!!!!
Perché mi ritrovo totalmente in quello che c’è scritto, proprio in virtù di quello che ho vissuto: essendo sempre stata di fatto normopeso (con delle oscillazioni, ma sempre nell’ambito del normopeso), non si può dire che ci sia una differenza significativa tra il mio peso quando ero in piena bulimia, e il mio peso attuale. Eppure è innegabile che da quei momenti ad oggi, nella mia vita ci siano stati enormi cambiamenti e stravolgimenti, e che la qualità della mia vita attuale non possa essere paragonata nemmeno lontanamente alla mia sostanzialmente inesistente qualità della vita di quando ero in piena bulimia. E sottoscrivo cento volte la constatazione che il problema non è il peso, ma quel che nascondiamo “sotto” al peso. E’ indubbio che mangiare regolarmente sia importante, perché rimettere a posto l’alimentazione significa anche acquistare più lucidità, però la lucidità ritrovata è quella che ci deve servire per affrontare le nostre vere difficoltà, e cercare di risolverle. La mia qualità della vita è migliorata non semplicemente perché ho smesso di mettere in atto i comportamenti malati della bulimia, ma soprattutto perché grazie alla psicoterapia ho iniziato ad affrontare i miei veri problemi, quelli che nascondevo dietro alla bulimia, ma che erano proprio quelli che m’impedivano di vivere a piano perché mi bloccavano. Proprio per questo sono convinta che nei dca dovrebbe essere messo molto di più l’accento sugli aspetti mentali di queste malattie, perché ne rappresentano l’aspetto fondante, e perché la psiche deve guarire di pari passo per far guarire anche il corpo.
Un bacione!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

Wolfie ha detto...

Per hopingless: Ciao hopingless, so che la tua domanda non era rivolta a me, ma mi “metto in mezzo” perché penso che un confronto su queste tematiche sia sempre positivo, e quindi mi faceva piacere condividere con te la mia esperienza, sperando di non annoiarti o risultati inopportuna, visto che non sono la diretta interpellata.
Per quella che è ed è stata la mia esperienza, per quanto riguarda la terapia cognitivo-comportamentale, l’ho trovata utile soltanto inizialmente. Cioè, all’inizio del mio percorso di psicoterapia, quando proprio non riuscivo a fare a meno dei comportamenti malati della bulimia, in quella fase seguire la terapia cognitivo-comportamentale mi è stato utile, perché mi ha insegnato tecniche per evitare (o comunque limitare, magari evitare in toto!!!!!!!!!!!!) di mettere in atto comportamenti malati, attuando invece comportamenti alternativi. Quando però sono diventata in grado di gestirmi adeguatamente da un punto di vista alimentare, a quel punto la terapia cognitivo-comportamentale mi è diventata completamente inutile, e non mi permetteva di fare nessun altro passo avanti. Così ho cambiato psicoterapeuta (per la precisione, ne ho cambiati tre in tutto, prima di trovare la psicologa che mi segue tutt’ora), e in questo momento seguo una terapia di tipo relazionale che mi sta aiutando molto. Con questo naturalmente non voglio dire che la terapia relazionale sia la migliore in assoluto, anche perché penso che in queste cose non ci siano degli “assoluti”: ognuna di noi deve trovare il tipo di terapia che le è più efficace, e seguire la propria strada. Io ho trovato la terapia relazionale come mia personale strada migliore, e la sto tutt’ora seguendo.

UIFPW08 ha detto...

La forza di volontà non deve mai mancare.
Un abbraccio
Maurizio

Christiane ha detto...

Migliorare la qualità della mia vita... Sempre più spesso mi chiedo se sia davvero possibile...
Da quasi due anni sto seguendo il mio percorso di ricovero, che ora conduco da sola, senza dietisti o psicotic..aehm, psicologi di sorta, e all'apparenza va benino: mi alimento in modo sostanzialmente corretto - c'è ancora da lavorare sulle quantità..., ho forze a sufficienza per lavorare e studiare, abbastanza comunque per pensare troppo e rodermi in un mare di veleno.
Perché nel mio percorso di ricovero non c'è alcuna gioia. Solo dovere, lo stesso che prima mi spingeva all'assurda restrizione.
Solo terrore di fallire, di essere quella che non ce la fa, lo stesso che prima mi ispirava ad essere la più...magra? (no, non solo... la Migliore!) di tutte.
Da un punto di vista puramente fisico, ora è meglio di allora, non c'è dubbio.
Ma mi sembra di camminare in circolo, a occhi bendati, come un asino da soma, che fa senza capire.
Veggie, ragazze, scusate questo sfogo così negativo. Siete tutte forti e belle, l'ho capito in questi mesi in cui ho seguito il blog di soppiatto, come una ladra, cercando di carpire un indizio verso la guarigione dell'anima.

FrancescaAsia ha detto...

Io credo di essere come te.
Anzi,io dopo aver fatto al massimo 2 o 3 sedute dal terapeuta rifiutavo di andarci.
Come te ho deciso di non abbandonare assolutamente il controllo,ma vorrei tanto cambiare.
Mi chiedo se sia davvero questione di terapia o di volontà da parte di noi stesse.
La mia qualità della vita è senza dubbio pessima,ma sarebbe migliore con una terapia che mi scombussoli le giornate? Non credo di esser disposta a rinunciare anche a un solo anno di controllo e di solitudine in cambio della guarigione.
Non ora.

Anonimo ha detto...

...anche io mi sto curando "da sola"... Perché l'ultimo psicologo é fallito...come tutti gli altri. Ennesima delusione ennesimo soldi persi ennesimo tempo sprecato. Io a differenza di te non ho mai abbandonato subito...ma dopo parecchio tempo . In ogni percorso mi sono impegnata sempre al massimo,facendo tutto quello che gli psicologi mi suggerivano...ma tutto é sempre risultato inutile.
E questo mi fa paura...tanta...solo a pensarci.
Perché non so più come prendermi...cosa fare...
So solo che ho sempre lottato a denti stretti, assecondando gli altri,x dimostrare a tutti che si sbagliavano che io non ero una stupida ragazza anoressica(perché é questo che tutti credono degli anoressici ) che io valevo qualcosa che ero intelligente ...ho lottato x far felici i miei...x rimediare alla sofferenza che gli avevo provocato...appena il peso é salito tutti hanno iniziato a credere che io stessi bene...nessuno si é accorto del male dentro...delle ossessioni ansie compulsioni paure ...e io ho fatto di tutto x nascobderle ...lottando in silenzio.
Ora sono stufa di farmi male...non riesco più ad uscire di casa x passare del tempo con mia madre mia sorella i parenti...con nessuno.
La mia qualità della vita fa schifo ...io vado al lavoro perché devo...ma poi rientro a casa sola e così sto bene sola...vivo nel terrore che qualcuno passi a trovarmi.
Non ho amici...solo tante conoscenze nel mondo della piscina o della palestra...che frequento anche lì con attività individuali.sto meglio lì che altrove perché lì so che faccio le cose bene e mi sento all' altezza.
Sono piena di ossessioni fobie compulsioni (mi lavo costantemente...non sopporto il contatto fisico....pulisco pulisco pulisco).
Bella vita vero?
Gli psicologi non mi hanno aiutato in questo sebbene ce l'abbia messa tutta.
Ora sono stufa di farmi male di sforzarmi di essere normale mi sono arresa...assecondo la mia testa malata e mi chiudo nel.mio bozzolo.
Raffa

Christiane ha detto...

Il controllo. Pare che sia il motore primo dell'anoressia. Ma mi chiedo quasi ogni giorno: il ricovero consiste davvero nel mollare a poco a poco gli ormeggi, levare l'àncora dal porto malfamato del disturbo alimentare, lasciarsi spingere nel mare della vita VERA? O non è piuttosto esso stesso il controllo, un argine che faticosamente, spesso senza gioia né autentica comprensione, tentiamo di opporre alla malattia, a quell'altro modo di VITA che, dopo tanto tempo, è un calco perfetto della nostra autentica natura?

Anonimo ha detto...

Esatto...x me tutti gli interventi del ricovero hanno rappresentato il tentativo di controllare la mania del controllo...e di sostituire i comportamenti anoressici con altri comportamenti imposti ...lontani...non sentiti.
Il ricovero fatto così é giusto e necessario nel momento acuto...e mi ha fatto "bene"quando pesaro 37 kg ed ero in palla totale.
Ma ora da 10 anni ne peso 50(sono ancora sotteso lo so...il ciclo non c'è ) ma é diverso.
La gente x strada non mi guarda più con gli occhi sbarrati...eppure dentro io sto male x tutti i regali che mi ha fatto sta malattia di mera e che non riesco a cancellare.
Non riesco a vivere ...mi sento prigioniera della mia testa che va a mille e quando non la assecondo scatta l'ansia il panico.ho difficoltà a fare tutto e soprattutto a stare con le persone che mi hanno conosciuto prima e sanno di me...invent mille scuse x non stare con la mia famiglia.
Tutti gli psicologi a cui mi sono affidata non hanno fatto altro che prpormi una serie di atteggiamenti imposti che non mi rispecchiano e mi hanno sempre e solo fatto sentire più sbagliata e diversa. Io so solo che ora sono veramente stanca... E stufa di lottare.
Raffa

Anonimo ha detto...

...oppure di proporre farmaci:sei depresso prendi l'antidepressivo!
Sei ansioso? Un calmante !
Non dormi ? Un sonnifero !
Certo !!! Così sono capace anche io a fare lo psicologo!

Eli ha detto...

Wolfie scusami io sto facendo al terapia cognitivo-comportamentale ma non mi sto trovando molto bene (mi sento molto a disagio)...la terapia relazionale come funziona? mi daresti qualche informazione? grazie mille in anticipo

Anonimo ha detto...

Anche io sarei molto curiosa di ricevere qualche consiglio sulle terapie psicologiche per DCA. Soprattutto perché, in genere, la terapia cognitivo comportamentale è quella più gettonata.
E poi, se non sto disturbando troppo, ti chiedo: come funziona il rapporto con la propria dietista? Come avvengono le visite? Come viene strutturato un piano alimentare? Come si gestiscono gli "sgarri" dettati dalla vita sociale?
Grazie!

Wolfie ha detto...

Per Eli: Ciao Eli, grazie per la risposta, la terapia cognitivo-comportamentale anche per me è stata utile solo inizialmente, quando stavo particolarmente male, poi come sono stata meglio mi è diventata sostanzialmente inutile. La terapia relazionale che seguo adesso, perlomeno per come la imposta la mia psicologa, consiste nell’imparare a gestire le relazioni con le persone che mi circondano, che sono la mia principale fonte di ansia, e dunque la mia principale spinta a ricorrere al dca per cercare di sedare quest’ansia. Con la psicologa cerco di lavorare sul modo in cui mi relaziono agli altri, in maniera tale da cercare di cambiare il mio modo di comunicazione od i miei atteggiamenti, se questi mi portano ad avere una pessima relazione con gli altri, e dunque a mettermi in ansia. Cerco d’imparare come approcciarmi agli altri, come prendere quello che dicono, come comportarmi per sentirmi più a mio agio nel mio vivere con gli altri, che siano familiari, amici, colleghi, e come cercare di farmi venire meno ansia e gestire quelli che sono i pensieri malati che la bulimia mi mette ancora in testa.
Scusami se non sono riuscita a spiegarmi bene, purtroppo non sono un’esperta in questo genere di cose!!!!!!!!!
Un abbraccione a te!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

Veggie ha detto...

@ Euridice – Sono d’accordissimo col tuo discorso iniziale: tornare ad un peso corretto è importante… ma lo è altrettanto, se non di più, lavorare su se stesse, poiché altrimenti i veri problemi sottostanti al DCA continuano a permanere, e le ricadute saranno frequenti ed inevitabili. Hai perfettamente ragione anche quando scrivi che scegliere d’intraprendere un percorso psicoterapeutico è assurdamente più difficile del mero farsi seguire da una dietista. Per lo meno, per me è stato proprio così. Accettare il fatto che dovevo lavorare su me stessa è stato ben più difficile che accettare il fatto che dovevo mangiare in maniera più decente. Rispondendo invece alla tua domanda… La cosa è complessa, nel senso che per dare una risposta circostanziata dovrei conoscere la tua amica, mentre invece ovviamente non posso conoscerla… Per cui, ti do una risposa generale, per come la penso io… vedi poi un po’ te se e come è estrapolabile ed applicabile al tuo caso di specie. Io penso che il ricovero coatto sia da riservare esclusivamente a quelle persone che sono arrivate ad uno stadio della malattia che mette a repentaglio la loro stessa vita, e che debba essere quanto più breve possibile, e mirato ad allontanarle dal momento di criticità. Quando poi la persona non è più in pericolo di vita, allora si può iniziare a lavorare parallelamente sia sul versante alimentare, sia su quello psicoterapeutico (vuoi ricoverata in una struttura specializzata, vuoi in regime di Day Hospital, vuoi seguita a livello ambulatoriale). E io non trovo sbagliato lo stimolare una persona ad andare in terapia, anche se non ne è convinta e non riesce a vedere un’altra aspettativa di vita oltre al DCA… perché se non fa terapia, sicuramente non si schioderà dal punto morto in cui staziona. Anzi, penso che la terapia possa comunque a suo modo essere utile, anche solo perché “costringe” la persona a non ripiegarsi su se stessa e sul DCA: così, se anche non fa passi avanti, per lo meno si cercano di tamponare i passi indietro. Inoltre, la psicoterapia si fa in 2: paziente e psicoterapeuta… e sta anche alla competenza e alla professionalità di quest’ultimo il riuscire a tirare fuori l’interesse e la partecipazione della paziente, mostrandole quali e quanto migliori siano le alternative all’anoressia… E’ un percorso che si costruisce insieme passo dopo passo… e io sono dell’idea che fare un tentativo valga sempre la pena. Magari non cambia niente… nel qual caso, non si sarà perso niente. Ma magari le cose cambiano in meglio… nel qual caso, si sarà guadagnata una vita di qualità. (Ovviamente quanto ho appena scritto è la mia mera opinione, opinabile per definizione…)

@ Killer – Sì, hai capito proprio bene!... E in quanto al discorso del set-point, te lo spiego subito: il set-point di peso corporeo di una persona corrisponde al suo peso fisiologico, ovvero il peso che quella persona ha se mangia regolarmente, seguendo il suo appetito, e svolgendo le sue normali attività della propria vita quotidiana. Il set-point di peso corporeo per ogni persona è determinato geneticamente, e viene spontaneamente mantenuto dall’organismo quando la persona mangia normalmente. Spero che adesso il concetto ti sia più chiaro!... In quanto al discorso della malattia mentale… sono d’accordo con te sul fatto che, se i problemi sottostanti rimangono tal quali, la persona continuerà a stare male, a prescindere dal proprio peso. È proprio per questo che la psicoterapia è così importante: perché ha il compito di aiutare la persona a scavare nella propria interiorità, a tirare fuori quei problemi, e ad affrontarli… Poi, ovviamente, se si è molto sottopeso, la testa non ragiona più a dovere, quindi anche la psicoterapia diventa poco produttiva… Per questo insisto sempre sull’importanza di affiancare il percorso psicoterapeutico a quello alimentare: per una buona riuscita, credo che le 2 cose debbano procedere in maniera parallela…

Veggie ha detto...

@ hopingless – Cara hopingless, in realtà in un certo senso hai ragione: anch’io ho letto da diverse fonti che la terapia cognitivo-comportamentale sembrerebbe essere il golden standard per il trattamento dei DCA secondo le linee-guida attualmente vigenti. Il problema delle linee-guida, però, secondo me è questo: mentre le malattie prettamente fisiche presentano caratteri molto simili anche tra persone molto diverse, e quindi la strategia terapeutica è univoca (esempio banale: la crisi ipertensiva ha determinati segni e sintomi su chiunque, e l’approccio terapeutico è pertanto il medesimo per chiunque… qui applicare le linee-guida va benissimo), altrettanto non si può dire per le malattie psichiche. Anche se l’etichetta clinica può essere la stessa, ogni individuo ha un proprio carattere e un proprio background diverso da quello di ogni qualsiasi altra persona, per cui secondo me in ambito di malattie mentali è veramente difficile poter dire che le linee-guida vanno bene per chiunque, e debbono essere pertanto solo rigidamente applicate. Ergo, io sono dell’idea che per ogni singola persona malata di DCA esista un tipo di approccio psicoterapeutico che, per com’è fatta, le è più congeniale, e pertanto non si possa dire che esista una terapia elettiva per tutte. Personalmente, su di me la terapia cognitivo-comportamentale è stata un fiasco completo. Però alcune delle ragazze che scrivono su questo blog mi hanno detto che per loro questo tipo di terapia è stata utile. Altre, invece, la pensano come me. Il che è la dimostrazione più palese che non esiste un unico tipo di terapia che vada bene per tutte. Onestamente io di psicologia ne capisco meno di meno zero, per cui non ho la più pallida idea di quale approccio terapeutico stia utilizzando la psicologa dalla quale sono tuttora seguita. Mi sono comunque cercata su Google i 2 termini che tu hai citato (“psicoterapia sistemica” e “psicoterapia analitica”), e per quel poco che ne capisco posso dire che non sto seguendo nessuno di questi 2 approcci terapeutici. Dato che non gli so dare un nome scientifico, posso soltanto provare a spiegartelo a parole. Durante i colloqui che faccio con la mia psicologa, generalmente partiamo da quella che può essere una mia difficoltà di qualsiasi tipo nel quotidiano, e proviamo a lavorarci su insieme: sia da un punto di vista pratico, per vedere come posso riuscire a gestire meglio la cosa, in maniera tale da poter affrontare (od aggirare) l’ostacolo, seguendo le modalità che sono più congeniali al mio carattere ed al mio modo di fare; sia da un punto di vista emotivo, per cercare di capire cosa ci sta dietro quella mia difficoltà, e per lavorare emotivamente su quella cosa. Io non lo so se questo abbia un nome scientifico specifico ma, ecco, è così che lavoro in psicoterapia… spero che quello che ti ho appena scritto abbia un senso!... ^^”
Grazie a te per il tuo commento!...
P.S.= Se hai voglia di parlare della tua esperienza personale con la psicoterapia, fallo pure!... Condividere la propria esperienza per confrontarci a vicenda lo trovo estremamente positivo, e se ti va di farlo in questo spazio, sappi che sarai sempre la benvenuta!...

@ Wolfie – Grazie per aver condiviso la tua esperienza, che testimonia ancora una volta come gli aspetti mentali nei DCA sia preminenti su quelli fisici… bisognerebbe che più gente lo capisse… E grazie anche per aver espresso il tuo parere sulla psicoterapia!... Il confronto è sempre e comunque positivo!...

@ UIFPW08 – E’ verissimo… grazie per il reminder!...

Veggie ha detto...

@ Christiane – Non ti devi scusare proprio di niente, Christiane, figurati, altro ci mancherebbe!... Anzi, se il commentarmi ti è servito anche solo per toglierti qualche sassolino dalla scarpa, hai fatto benissimo a scrivere… Questo blog è qui anche per questo, del resto!... Per esperienza personale, mi sento tranquillamente di dirti che è ASSOLUTAMENTE POSSIBILE migliorare la propria qualità della vita. Da qui a dire che è rapido e/o semplice, ovviamente è tutt’altro paio di maniche. Sì, certo, ho migliorato la mia qualità della vita… ma mi ci sono voluti anni ed anni, l’aiuto di persone esperte, e comunque mi sono fatta un culo come un rosone. Posso dire, col mio attuale senno di poi, che ne è valsa innegabilmente la pena… ma mentre stavo attraversando le fasi più dure, mi domandavo se sarebbe servito a qualcosa, e a cosa, e avevo millemila dubbi ed interrogativi ed incertezze… proprio come te adesso. Io non credo che tu sia meno forte di ogni qualsiasi altra di noi… però penso che tu non ci creda, o che comunque tu non riconosca ancora questa tua forza. Ma ce l’hai. Ed è evidente anche solo dal fatto che leggi questo blog (ed altri affini, immagino…), anziché gettarti a pesce nella malattia, ed è evidente da quello che scrivi, per il fatto che per quanto tutto ti sembri ancora difficile, cionnonostante non molli, tieni duro… quante persone pensi ci riuscirebbero?... Ammazza se sei forte, ragazza. Però – e ti faccio questa domanda banalmente perché non ti conosco – quali sono le cose che ti piacciono nella tua vita? Quali sono i tuoi obiettivi? Cosa ti piacerebbe fare in futuro? (Non devi rispondere a me, ovviamente, l’importante è che tu risponda a te stessa!...)... Te lo chiedo perché secondo me rispondere a queste domande significa gettare le fondamenta del percorso da espletare. Se mangi solo per sopravvivere (detta terra-terra) è chiaro che la cosa ti sembra fine a se stessa. Ed in questi termini, probabilmente lo è. Quello che fa la differenza, lo scatto, il salto di qualità, è trovare motivazione in quello che ti piace ed in quello che vorresti fare o che puoi fare, per andare avanti. È arricchendo la tua vita di altro rispetto al DCA, qualsiasi cosa questo “altro” significhi per te, che trovi ragioni, che trovi voglia, che trovi motivazione, che trovi spinta, che quello che fai diventa costruttivo e ti fa venire voglia di viverlo in toto. Ti abbraccio…

@ FrancescaAsia – Cara FrancescaAsia, credo ci sia un equivoco… quello di cui parlo nel post risale a diversi anni or sono. Ora come ora io sono seguita da una psicologa molto in gamba, che non mi scombussola le giornate, anzi, mi aiuta nel fornirmi gli strumenti per viverle al meglio. Ambo le cose, tanto la volontà in primis quanto la terapia, sono estremamente importanti per poter aspirare ad avere una migliore qualità della vita. Se dici che adesso hai una pessima qualità della vita, vuol dire che stai male: ergo, se provi a cambiare non hai niente da perdere, perché sai che così stai di merda. Se provi a cambiare, le cose potrebbero rimanere pessime… oppure magari migliorano. Se neanche ci provi, puoi star certa che non cambierà niente, e tutto sarà sempre pessimo. Ti auguro di tutto cuore di trovare il coraggio per riuscire a riprendere in mano la tua vita, affrontando attraverso la terapia le problematiche che adesso ti opprimono, per poter veramente vivere una vita degna d’essere chiamata tale.

@ Raffa – Raffa, scrivi che ti sei impegnata per far felici i tuoi, per rimediare alla sofferenza chi gli avevi provocato, per dimostrare agli altri il tuo valore, per allontanare dagli occhi altrui lo stereotipo dell’anoressia… I tuoi genitori, gli altri… e per te stessa, cos’hai fatto? Io sono dell’idea che se fai qualcosa, ma qualsiasi cosa, per qualcun altro, la condanni al fallimento. Perché finché non sei tu stessa il centro di quello che fai, tutto il resto è solo palliativo. Lo credo che, così facendo, non vivi una bella vita… non lo metto in dubbio. Ma se ti chiudi nel tuo bozzolo, tale rimarrà, perché il cambiamento non piove dal cielo. (continua...)

Veggie ha detto...

(...continua) Il cambiamento, se lo vuoi, devi essere tu a crearlo. In qualsiasi modo, tramite qualsiasi percorso, perché solo tu puoi sapere quali siano le scelte più giuste per te stessa, per produrre cambiamento… ma che sia centrato su di te, e su nessun altro. Perché ti può sembrare che combattere non abbia un fine… ma arrenderti è certamente la fine.

@ Anonima (21 Settembre 2014, ore 13.36) – Non c’entra molto, lo so, ma vorrei comunque chiedere indirettamente scusa a nome di quei medici (psichiatri, non psicologi, perché gli psicologi non possono prescrivere farmaci, non essendo medici…) che pensano che lo psicofarmaco e basta sia la soluzione a tutto. Io non sono né contraria né favorevole allo psicofarmaco: penso che in alcuni casi sia necessario, però dev’essere prescritto in maniera oculata, e il paziente dev’essere strettamente monitorizzato per tutta la durata della terapia. In altri casi non è necessario, nel qual caso è giusto farne a meno. Come ogni qualsiasi tipo di farmaco, del resto: si prescrive solo se ce n’è una reale necessità (e non a sfare), e si controlla il decorso della terapia. Io credo che dovrebbe essere fatto così, e chiedo venia a nome della categoria se ci sono dei soggetti che si comportano diversamente, perché non credo siano professionali.

@ Anonima (23 Settembre 2014, ore 13.56) – Nessun disturbo, altro ci mancherebbe, figurati!... Ti rispondo sulla base di quella che è stata e che è la mia esperienza con la mia dietista… premettendo ovviamente il fatto che la mia esperienza è un’esperienza singolare, ergo non generalizzabile, e dunque con tutte le limitazioni del caso. Comunque, per quel poco e niente che può valere la mia personale esperienza, io inizialmente (quando ero nella fase più acuta dell’anoressia e stavo ai pesi più bassi) facevo una visita dalla dietista ogni settimana, perché nelle fasi più acute della malattia ovviamente necessitavo di essere monitorata più strettamente, poi abbiamo progressivamente diradato gli incontri (uno ogni 2 settimane, uno al mese, e via dicendo…) aumentandone ovviamente di nuovo la frequenza nei periodi in cui ho avuto delle ricadute. Attualmente è un rapporto “a chiamata”, nel senso che io ora come ora sto seguendo un “equilibrio alimentare” di mantenimento del peso (ormai da diversi anni, in effetti), per cui fintanto che riesco a seguirlo e va tutto bene, no problem… però ho il numero di telefono della dietista, e se dovessero ricominciare ad andar storte le cose (= eventuale futura ricadute), posso ricontattarla in qualsiasi momento e ci rivediamo per ridefinire le cose. Il mio piano alimentare è stato stilato sulla base dei nutrienti, in maniera tale da poter avere un’alimentazione equilibrata che mi garantisse tutti i nutrienti necessari nelle giuste proporzioni e adeguatamente distribuiti nell’arco della giornata. Gli “sgarri” della vita sociale, dato che sono occasionali per definizione, a me è stato insegnato di prenderli per come vengono: tanto sono così poco frequenti, che non spostano niente… così poco frequenti che non sposterebbero niente, per assurdo, neanche se in dette occasioni digiunassi. Per il resto continuo a seguire fedelmente l’ “equilibrio alimentare”, così se anche una volta ogni morte di papa mi capita un’occasione sociale, l’omeostasi del mio organismo è tale da minimizzare ogni qualsiasi assunzione di cibo in eccesso o in difetto, e il mio peso si mantiene stabile sul mio set-point di peso corporeo.

Eli ha detto...

@Wolfie invece sei stata molto esauriente grazie ancora :)

 
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