Come gli alchimisti trasformavano il ferro in oro… voi potete trasformare l’oscurità in luce. Siete tutte benvenute.

venerdì 30 gennaio 2015

L'esposizione alle foto di modelle eccessivamente magre può causare DCA? - Anoressia e Bulimia in donne cieche

Come molte di voi sicuramente sapranno, la rivista Vouge conduce da tempo una campagna contro le modelle “troppo magre” (e “troppo giovani”). Questo potrebbe sembrare un passo nella giusta direzione, no, un grande passo nella giusta direzione, uno di quelli che merita un applauso, uno strenuo tentativo di ridurre la prevalenza dell'anoressia, giusto? La logica della stragrande maggioranza degli articoli di Vouge, implicita od esplicita che sia, sembra essere: niente più modelle magrissime = niente più ragazzine che aspirano a diventare come quelle modelle magrissime = niente più anoressia.

La salute delle modelle e dei modelli è salita alla ribalta dei Mass Media da quando, negli anni passati, nel mondo della moda ci sono stati alcuni decessi di modelle che sono stati attribuiti all'anoressia. Precisato che, in realtà, non si muore propriamente di anoressia, ma semmai delle conseguenze dell'anoressia, occorre notare che Vouge ha bersagliato non solo le modelle eccessivamente magre, ma anche l'impatto che queste avrebbero potuto avere sulle giovani menti di ragazzine poste di fronte ad immagini di fisici che erano ben lontani dall'essere in salute.

I 19 editori di Vouge sparsi per tutto il mondo si sono allora organizzati per mettere in piedi un progetto mirante a proteggere l'immagine di modelle sane. Si sono trovati tutti quanti d'accordo nel “non far lavorare modelle di età inferiore ai 16 anni o che sembrano visivamente malate di DCA. […] Vouge crede che la salute sia bellezza. Gli editori di Vouge vogliono che la loro rivista rifletta la loro dedizione verso la salute delle modelle che appaiono nelle loro pagine. […] Gli organizzatori delle sfilate di moda in Italia e in Spagna proibiranno di fare passerelle alle modelle che scenderanno sotto un certo valore di B.M.I.(mia traduzione) 

Non so voi, ma a me queste parole sembrano tanto quelle di quei predicatori di strada che incitano a gran voce la gente ad unirsi al proprio movimento religioso... ma vabbè. Però ho quantomeno alcune domande e alcune riflessioni.  

Cosa significa esattamente “sembrare visivamente malate di DCA”? Le persone affette da bulimia, per definizione del DSM, sono tendenzialmente normopeso o sovrappeso: il che non significa che non abbiano comunque un DCA. Per converso, essere fisicamente magre non significa necessariamente avere un DCA.

Avere un B.M.I. sopra o sotto un certo valore, non è un marker di “buona salute”. E questo non lo dico io, ma è dimostrato in questo studio. Per chi non avesse voglia di leggerlo, in breve, l'indice B.M.I. non ha una derivazione prettamente scientifica, e non ha alcun valore se applicato su base individuale: serve solo come misura di massima collettiva, per il singolo è opportuno considerare il Set-Point di peso corporeo individuale.  

Infine, il discorso fatto da Vouge perpetua il falso luogo comune che guardare le immagini di modelle eccessivamente magre per molto tempo possa portare a sviluppare un DCA. Non è vero. Okay, gli articoli di Vouge non lo dicono esplicitamente, però mettono sempre in relazione la comparsa di DCA nelle ragazzine particolarmente sensibili ed influenzabili con le modelle eccessivamente magre. Io non credo che guardare quelle immagini, per quanto a lungo, possa causare un DCA, altrimenti visto che quelle immagini sono sotto gli occhi di tutti, se ci fosse effettivamente una relazione di causa-effetto, chiunque avrebbe un DCA. Vedere immagini del genere può influenzate l'idea sul proprio corpo di una qualsiasi donna? È possibile. Ma da qui allo scatenare un DCA, ne corre di acqua sotto i ponti! Ergo, ribadisco che io sono dell'idea che le immagini di modelle eccessivamente magre non influenzi l'insorgenza dell'anoressia.

Okay, adesso qualcuna di voi mi potrà dire: va bene, Veggie, ma queste sono solo tue riflessioni e supposizioni, che non hanno alcuna validità scientifica. Vero. Ed è per questo che oggi voglio portarvi la scientifica dimostrazione che il postulato “l'anoressia è causata dalla società odierna, con la sua ossessione per la magrezza, e con la promozione di immagini di modelle eccessivamente magre” è FALSO.

Premessa su cui mi baso: se fosse vero che il vedere le immagini di modelle eccessivamente magre causa l'anoressia, allora le donne cieche, soprattutto quelle cieche dalla nascita, sono immuni all'anoressia.

Per dimostrare la mia teoria ho raccolto alcuni case report che parlano di DCA in pazienti cieche. Sfortunatamente diversi di questi non solo molto recenti, perchè penso sarebbe stato interessante avere anche della letteratura più aggiornata. Inoltre, peso che i Mass Media non abbiano mai parlato di queste cose (sebbene non lo possa dire con assoluta certezza, poichè non ho seguito ogni qualsiasi programma televisivo relativo ai DCA). Io citerò solo alcuni di questi case report, ma considerate che ce ne sono molti altri.

***Attenzione: Come d'abitudine nel mio blog, ho tolto dai case report di cui vi sto per parlare ogni qualsiasi dato numerico, MA alcuni dei contenuti di questi case report potrebbero comunque rappresentare un trigger, soprattutto per chi ha problemi di autolesionismo.***  

Case Report 1: Una donna 27enne cieca affetta da Anoressia Nervosa (Yager, 1986) 

Background
"Divenuta completamente cieca all'età di 2 anni, ha attraversato un'infanzia molto travagliata: è stata vittima di bullismo in ambiente scolastico, ed i suoi genitori, entrambi alcoolisti, avevano una relazione difficile. Avevano divorziato quando lei aveva 6 anni, risposati dopo 4 anni, divorziato di nuovo dopo altri 10 anni. Quando ha scoperto che il padre era infedele nei confronti della madre, ha sviluppato la convinzione che “non c'era nessuno di cui potersi fidare, neanche chi dice di volerti bene”. Uno dei suoi nonni si è suicidato, e uno zio è morto per problemi di cirrosi alcool-correlati. Sua sorella maggiore aveva periodici episodi di binge. L'altra sua sorella si era allontanata dalla famiglia appena maggiorenne, ed aveva avuto dei problemi di tossicodipendenza. 
A 13 anni ha avuto il menarca e si è sviluppata fisicamente. Ha vissuto molto male lo sviluppo, ed è andata rapidamente in amenorrea per una combinazione di perdita di peso e rifiuto psicologico. 
A 18 anni si è iscritta al Conservatorio allontanandosi dall'insalubre ambiente domestico, ma dopo essere stata allontanata dal Conservatorio stesso senza una ragionevole spiegazione (“a causa della sua cecità gli insegnanti non riuscivano a relazionarsi a lei”), ha avuto un crollo nervoso e sviluppato una severa depressione. Ha cominciato ad avere episodi di autolesionismo molto severi, per cui si tagliava ripetutamente, sempre nelle stesse sedi, perchè aveva maturato l'idea che le ferite dovevano rimanere sempre aperte altrimenti lei sarebbe stata “una cattiva persona”. 
Durante il periodo più acuto della depressione, ha iniziato anche a perdere peso (sebbene fosse sempre stata una ragazza perfettamente normopeso, e non ne avesse dunque alcun reale bisogno), ed è stata ricoverata in ospedale quando ha raggiuto i XX chili. Negli anni successivi ha avuto altri occasionali ricoveri per tentativi di suicidio. 
Allo stesso tempo, le è stata diagnosticata l'anoressia: aveva un peso molto basso e non aveva alcun interesse nel recuperare i chili persi, faceva attività fisica per diverse ore quotidianamente, la sua alimentazione era molto scarsa e costituita per lo più da frutta e verdura. 
Faceva frequentemente checking, e la sua percezione di se stessa era incostante: “A volte mi sentivo magra, altre no, ed era una qualcosa che cambiava da un giorno all'altro”. Era consapevole che le sue variazioni di peso erano più che altro dovute a ritenzione/perdita di liquidi, ciò nonostante non si sentiva a suo agio con se stessa. Durante il periodo acuto dell'anoressia la depressione si era attenuata, ma persistevano episodi di autolesionismo seppure più sporadici. 
È stata trattata con diversi tipi di farmaci (antidepressivi, litio, etc...) e anche con 12 sessioni di ECT, senza sortire alcun effetto concreto: era rimasta ad un peso basso, e con una forma mentis caratteristica dell'anoressia." (mia traduzione)

La discussione di questo case report l'ho trovata piuttosto interessante. C'è infatti un altro luogo comune secondo il quale cattivi rapporti con la propria madre, o famiglie incasinate, siano importanti fattori che possono portare allo sviluppo di un DCA (il che può essere vero in questo caso di specie, ma certamente NON in tutti i casi di anoressia). Nessuna discussione sui Mass media sembra tuttavia mettere in primo piano questi tipi di fattori, che implicherebbero che la continua esposizione visiva all' “ideale di magrezza” non è affatto necessaria per sviluppare l'anoressia.

[...] La meticolosità con cui gestiva la sua alimentazione, l'episodio di depressione, le continue discussioni dei genitori, l'autolesionismo hanno rappresentato un background di vulnerabilità per questa ragazza. La consequenziale anoressia è emersa in un periodo in cui si sentiva completamente priva di direzione e di obiettivi – nel momento in cui la sua considerazione di sè ha raggiunto il minimo dopo essere stata espulsa dal Conservatorio; l'anoressia le ha dato un'identità nel momento in cui, persa quella di musicista in erba, ne cercava disperatamente un'altra.” (mia traduzione) 

Il perfezionismo che questa ragazza aveva in quanto studentessa del Conservatorio, la presenza di binge in una delle sorelle, e il clima in cui è cresciuta possono essere stati inoltre fattori contribuenti allo sviluppo dell'anoressia.  

Case Report 2: Rita (Vandereycken, 1986) 

Background
"Rita aveva dei severi problemi di vista sin dalla nascita (miopia e nistagmo congenito con una visione a distanza di 1/20 anche dopo correzione). I suoi genitori avevano il loro bel da fare a causa del padre in trattamento psicofarmacologico continuativo per depressione cronica. Rita aveva degli ottimi risultati scolastici e veniva descritta dagli insegnanti come “una ragazza molto precisa con una grande paura di fallire”. Il suo primo ricovero ospedaliero per anoressia si è realizzato all'età di 17 anni (nel 1978). 
Aveva iniziato a perdere peso durante l'anno precedente, e i genitori avevano ascritto questa perdita di peso allo stress dovuto all'ingente studio cui la ragazza si sottoponeva per conseguire i suoi ottimi voti, e sul momento non vi avevano prestato particolare attenzione. Durante le vacanze estive, l'intervento del medico di famiglia aveva permesso a Rita di recuperare il peso perso... ma, apparentemente, più che altro a causa di ripetuti episodi di binge. Con l'inizio del nuovo anno scolastico, tuttavia, aveva ricominciato a perdere peso, associandovi anche alcuni episodi di vomito autoindotto. Era diventata iperattiva, ed aveva difficoltà a dormire e a studiare. La perdita di peso l'aveva costretta ad un ricovero ospedaliero." (mia traduzione) 

Gli autori del case report si limitano a concludere dicendo che: “In questo caso, sembra che l'anoressia sia stata l'espressione di un perfezionismo nato in ambito scolastico e successivamente generalizzato e portato all'estremo.” (mia traduzione)

Sebbene questa conclusione mi sembri un po' misera, perchè non tiene conto di tutto il background della ragazza in questione, questo case report mette comunque in luce il fatto che dietro all'anoressia c'è ben di più del voler essere magra come le modelle. In effetti, nella pressochè totalità dei casi, non ha niente a che vedere col voler fare la modella, a differenza di ciò che il luogo comune vuol far credere.  

Case Report 3: Claire (Vandereyhen, 1986) 

Background
"Claire era nata cieca. Era stata una bambina tranquilla, intelligente e determinata. Tuttavia, all'età di 14 anni, senza cause apparenti, aveva iniziato a restringere l'alimentazione riportando, come in tutte le iniziative che intraprendeva, un discreto successo. Era sottopeso già in partenza, per cui la perdita di peso l'aveva portata a valori estremamente bassi. 
Nel momento in cui era comparsa l'amenorrea, i suoi genitori preoccupati si erano rivolti al medico di famiglia, che aveva girato la ragazza ad uno psichiatra. Claire era stata ricoverata in una clinica specializzata, ma il ricovero non aveva sortito l'effetto desiderato perchè la ragazza non era collaborativa (si definiva “sana e a suo agio con se stessa”). La perdita di peso perciò era andata avanti fino a raggiungere XX chili, e solo in quel momento Claire aveva cominciato ad aver paura che qualcosa sarebbe potuto andare storto con quel suo corpo esilissimo. A quel punto, era stata la ragazza stessa a richiedere un ricovero. Inizialmente aveva cercato di essere quanto più autonoma possibile, ma la sua cecità non facilitava le cose, per cui durante quel ricovero non vi furono particolari miglioramenti. 
Tuttavia, grazie alla costante presenza di una psicoterapeuta che la seguiva ambulatorialmente, venne fuori che la ragazza viveva malissimo il suo handicap, per cui Claire iniziò a lavorare su come poter convivere più serenamente con la propria cecità. Man mano che faceva progressi su questo fronte, anche il quadro alimentare cominciò a migliorare. Attualmente Claire ha 19 anni, e sta continuando il suo percorso di ricovero. Sta affrontando la problematica della cecità in maniera quanto più realistica possibile, ma poichè è ancora incerta in merito all'anoressia, preferisce essere ancora seguita regolarmente dalla psicoterapeuta." (mia traduzione) 

Quello che mi piace della discussione di questo caso clinico è che Vandereycken afferma che:

L'idea che la distorsione dell'immagine corporea e che il valore sociale della magrezza siano fattori molto importanti nella comparsa dell'anoressia, parte da premesse del tutto ingiustificate. 

Innanzitutto, il fatto che il vedersi più grasse di quello che si è realmente sia un tipico e patognomonico [caratteristico di una malattia] segno dell'anoressia non è mai stato dimostrato. La dismorfofobia può essere presente in alcune ragazze affette da anoressia, ma anche in persone che non hanno alcun DCA. Inoltre ci sono donne affette da anoressia che non presentano dismorfofobia. Poichè la presenza di dismorfofobia non è costante nelle malate di anoressia, e può esserci anche in chi non ha un DCA, la distorsione dell'immagine corporea dovrebbe essere tolta dai criteri diagnostici dell'anoressia nervosa. 

Inoltre c'è un altro errore che viene fatto: il considerare equiparate immagine corporea ed estimazione corporea. Tutti gli studi sperimentali che sono stat finora condotti sull'anoressia nervosa, fanno per lo più riferimento ad una percezione esterna o visiva (eserocezione) del proprio corpo o della propria fisicità, ma non tengono conto d altri importantissimi fattori quali interocezione, propriocezione e cognizione. Quando una ragazza affetta da anoressia dice di “sentirsi non abbastanza magra” anche se è emaciata, stiamo parlando di un qualcosa che è molto più complesso del semplice malgiudicare la propria fisicità

Un'altra falsa premessa è relativa al fatto che si considerano le alterazioni della percezione dell'immagine corporea come un fattore eziologico dell'anoressia: in realtà, questi fenomeni sono più che altro secondari, come conseguenza dell'ipoalimentazione.  

E' ugualmente semplicistico l'assunto che l'influenza della società odierna, con la sopravvalutazione della magrezza, causa l'anoressia e la bulimia: la società e la sua influenza sul singolo individuo non sono un assoluto, bensì sono ampiamente mediate dal carattere dell'individuo, dalla sua psicologia, dalle sue esperienza di vita, dal contesto in cui vive. Per cui è impossibile affermare che un determinato fattore ha lo stesso effetto su ogni qualsiasi persona, ed è di fatto impossibile predire quale sarà la sua reale incidenza sul singolo.  

L'anoressia è una malattia che può essere compresa solo mediante un approccio multidisciplinare e multidimensionale. La malattia in sè è solo l'espressione finale di numerosissime strade diverse da loro, che si compongono di individuali fattori predisponenti, precipitanti e perpetuanti.(mia traduzione) 

Io non posso che quotare in pieno tutto quanto affermato dall'autore dello studio. Sono perfettamente d'accordo sul fatto che l'eventuale dismorfofobia non è una causa bensì una possibile conseguenza dell'anoressia.

Personalmente, fortunatamente non ho mai sofferto di dismorfofobia. Non mi sono mai vista grassa, e non ho mai voluto perdere peso semplicemente perchè volevo dimagrire. Però inizialmente, quando ho iniziato il mio primo percorso di ricovero, volevo conservare quella magrezza patologica semplicemente perchè mi sembrava la dimostrazione tangibile del mio controllo. Tuttavia, continuando il mio percorso, mi appariva chiaro che io non volevo stare male, volevo tornare al mio set-point di peso corporeo. Volevo poter vivere tranquillamente la mia vita. Ma per arrivare a questo dovevo lasciare che fosse la dietista a dirmi cosa e quanto mangiare, e io questo inizialmente ho faticato ad accettarlo non tanto per l'aumento di peso in sè, bensì fondamentalmente perchè questo per me indicava che non avevo più io il controllo.

Tuttavia la mia percezione della mia fisicità (come sentivo il mio corpo, come mi vedevo allo specchio, l'accuratezza della mia auto-percezione) è sempre stata attendibile e fedele alla realtà. Non mi sono mai “sentita grassa”, e non ho mai voluto peculiarmente perdere peso.  

Case Report 4: Cecità e Bulimia (Fernandez-Aranda, 2006)

Questo case report è relativo a diagnosi e trattamento di un caso di bulimia nervosa in una donna spagnola 47enne cieca. Questo caso presenta come caratteristiche fondamentali l'esordio in tarda età del DCA, l'alternanza di episodi di restrizione alimentare, episodi di binge, e conseguente vomito aiuto-indotto, e gravi difficoltà ad arginare i momenti di stress. Fin dall'inizio si evince che l'immagine corporea per questa donna non era essenziale.

"Sin dall'età di 43 anni (età d'esordio del DCA) la paziente descriveva la presenza di episodi di abbuffate seguite da vomito auto-indotto, scatenanti ed incrementati da fattori di stress psicosociali. Inoltre la donna riferisca la costante presenza di sintomi ansiosi e depressivi. Durante gli ultimi 4 anni, a causa del DCA la paziente aveva preso più di XX chili. Prima del DCA il peso della paziente si collocava nella fascia più bassa del normopeso, e la donna non aveva mai mostrato alterazioni dell'immagine corporea nè la voglia di perdere peso.” (mia traduzione) 

Cosa concludono Fernandez-Aranda e i suoi colleghi?

In questo caso, la bulimia sembra essere una conseguenza dell'attuazione di un'inappropriata strategia di coping nei confronti dello stress, e non ha niente a che vedere con l'insoddisfazione nei confronti del proprio corpo. In effetti, nella maggior parte dei casi un DCA non è dovuto ad un problema di fisicità, ma alle difficoltà che una persona ha nel rapportarsi ai problemi della sua vita.” (mia traduzione) 

Anche in questo, mi trovo pienamente d'accordo. Vi ricordo inoltre che, tornando a quello che dicevo di voler dimostrare ad inizio post, in tutti i casi stiamo parlando di donne cieche, che dunque non hanno la possibilità di guardarsi allo specchio e di avere quindi una percezione visiva della propria fisicità. Non potevano neanche vedere immagini di modelle particolarmente magre, o confrontarsi col fisico delle loro coetanee... eppure, hanno ugualmente sviluppato un DCA.  

E voi cosa ne pensate di questi Case Report? Se vi va, fatemi sapere come la pensate nei commenti!

venerdì 23 gennaio 2015

(I'm NOT) All About That Bass

*Attenzione: Tra qualche attimo su questi computerschermi, la mia opinione condita con considerevole ironia.*

Conoscete la canzone “All About That Bass” di Meghan Trainor? La cantante dice di questo suo brano che “è un inno ad apprezzare se stessi e il proprio corpo, per invitare anche le ragazze con qualche chilo di troppo a piacersi così come sono” (cit. da un’intervista di Meghan Trainor).

Dato che il video ufficiale di questa canzone su YouTube ha una cosa come circa 513 milioni di visualizzazioni, anch’io ci ho dato un’occhiata dato l’entusiasmo generale con il quale questo brano pare essere stato accolto. In fin dei conti, il fatto che una cosa piaccia ad un sacco di gente, non significa che sia al di sopra di ogni possibile critica. Tuttavia, prima di sviscerare questa canzone pezzo per pezzo, nonché prima di esprimere la mia opinione al riguardo, vorrei avvertirvi che questo brano è cantato da una ragazza bianca che utilizza un falso vernacolo afro-americano che è appena un paio di gradini sotto quello di Iggy Azalea sul “non c’è modo che tu canti effettivamente così dal vivo”-ometro. Dunque, ecco a voi la canzone e il relativo video:

Okay, questa canzone è molto orecchiabile, la cantante sembra una bambolina, e il video ricorda l’ “Hairspray” di John Waters se non fosse stato satirico e se Amber Von Tussel fosse stata graziosa. Complessivamente, è tutto molto tenero, il che spiega come mai abbia ricevuto un sacco di “like”. Ma se andiamo a considerare il testo, mi sembra che sorga qualche problemino. Per cui, cominciamo dalle cose più semplici, per poi spostarci su qualcosa di più serio.

Because you know I’m all about that bass, ’bout that bass, no treble.

No, scusa Meghan, ma di cosa stai parlando? Della tua stessa voce? Quella sì che è acuta! Del resto, una canzone fatta solo da bassi non sarebbe molto interessante né orecchiabile. E se non si dispone di un’ampia capacità di vocalizzare quando si canta una canzone di questo tipo, sarà piuttosto difficile che tu riesca a sfondare come cantante in un mondo che è tutto bassi e niente acuti.

Dunque, la prima strofa si apre con:

Yeah it’s pretty clear, I ain’t no size two, but I can shake it, shake it, like I’m supposed to do.

Meghan ci dice che è chiaro che non indossa una taglia 2 (sarebbe la 38 italiana).

Sì, okay. Forse non una taglia 2. Ma neanche una taglia forte. (A occhio e croce, direi che porta una 44 italiana). Non lasciatevi ingannare dal vestito che indossa, un modello che farebbe sembrare tarchiata anche una pallavolista: Meghan non è una ragazza grassa. L’intero concetto di donne non-grasse che cercano di attirare l’attenzione sui loro corpi non-grassi al fine di promuovere l’accettazione del proprio corpo sovrappeso/obeso è una cosa che mi sconcerta. Lo chiamerei “movimento di grassaccetazione”. Nota bene: non ho detto “movimento di accettazione dei chili di troppo” o “movimento di accettazione della propria fisicità”. Entrambe le ideologie manifestano contro lo standard culturale della “taglia perfetta” alla quale ogni individuo acquista la propria umanità. Il “movimento di grassaccettazione” insiste sul fatto che c’è una sola tipologia di “donna reale”, e che tutto quello che si discosta da ciò è meno sessualmente desiderabile per gli uomini, e quindi di minor valore.

Nella zona di grassaccettazione si possono trovare donne che indossano taglie comprese tra la 42 e la 46 italiane, e che dicono che “grasso è bello”, che gli uomini non vogliono gli stecchini, che “real women have real curves” e così via. Un sacco di donne famose hanno fatto audaci affermazioni in merito alla loro taglia quando si trovavano nella zona di grassaccettazione: tra queste Jennifer Lawrence, Jennifer Lopez, e Kate Winslet prima di diventare la mamma sexy di Barbie (è un complimento, eh!). In realtà, tutte queste donne non fuoriescono affatto dai canoni dell’attrattiva sessuale, pur non potendo essere descritte come “magre”, e dalle quali ci si aspetta che rispondano in un certo modo alle domande che gli vengono rivolte in merito alle loro curve. Se si considerano donne come le succitate come sinonimo di “taglie forti”, si va a diffondere un messaggio di accettazione della propria fisicità e positività, relativo a donne che certamente non indossano una taglia 2, ma che parimenti sono ben lungi dall’essere grasse. Arrivando al punto, a me sembra che inni e slogan di questo tipo abbiano come unico scopo quello di far accettare meglio il proprio corpo a donne che pensano di essere grasse, ma che in realtà non lo sono, ricordando loro costantemente che poiché non indossano una taglia 2, allora dovrebbero sentirsi grasse. Un paradosso nel paradosso, insomma.

La canzone prosegue dicendo: “But I can shake it shake it, like I’m supposed to do”, e questo lo trovo disturbante sotto due differenti punti di vista. Innanzitutto, quello che la gente si aspetta è che noi sculettiamo? Dunque dovremmo sculettare sempre e comunque? Perché nessuno me l’ha mai detto? Se non sculetto la mia laurea conta di meno? In secondo luogo: le ragazze che indossano una taglia 2 non sono in grado di sculettare? Che taglia indossa Shakira? No, perché a me sembra piuttosto piccoletta, ma direi che sa sculettare in maniera eccelsa…

'Cause I got that boom boom that all the boys chase, and all the right junk in all the right places.

Ha tutto al posto giusto, ragazzi! Meghan Trainor è la nuova Mary Sue! Vi do questa notizia in esclusiva, eh!

Una delle principali tematiche di questa canzone è che le donne che hanno una corporatura non-magra e delle belle curve sono quelle che gli uomini preferiscono. Ora, ammesso e non concesso che questo sia vero, e poniamo pure che lo sia, se questa canzone ha l’obiettivo di promuovere la positività nei confronti della propria fisicità quale che sia, perché andare poi a definire una specifica tipologia corporea indicandola come la più desiderabile? E, soprattutto, perché puntare tutto il valore e l’accettazione della fisicità di una donna su quanto gli uomini possano trovarla arrapante?

I see the magazines workin’ that Photoshop: we know that shit ain’t real, c’mon now, make it stop. If you got beauty beauty, just raise ‘em up ‘cause every inch of you is perfect from the bottom to the top.

Questa è l’unica strofa della canzone che mi piace. Sul serio. Guardate com’è perfetta. Celebra la fisicità di ogni donna, quale che sia, ed incoraggia ogni ragazza a non farsi ingannare dal fotoritocco, ma a trovare i propri punti di forza e valorizzarli. Ovvio, l’intero concetto di “bellezza” è un costrutto soggettivo, per cui questa non dovrebbe essere la prima preoccupazione di nessuna donna, perciò c’è una problematica intrinseca inerente tutte le canzoni di questo tenore. Ma per un attimo concentriamoci solo su quanto sia raro trovare una canzone pop che trasmetta un messaggio di questo tipo. Tutta la canzone avrebbe dovuto essere come questa strofa. Purtroppo è ben altro.

Ho detto “avrebbe dovuto essere”, perché dopo questa strofa si riprecipita nel baratro con:

Yeah, my mama she told me: don’t worry about your size. She says boys like a little more booty to hold at night.

Di nuovo, il messaggio che viene trasmesso NON è davvero “io valgo come persona, anche se non ricalco lo standard fisico cui mi è stato detto dovrei aderire”, bensì quello che viene trasmesso è: “io valgo come persona e soprattutto valgo più di altre donne che non hanno la mia stessa fisicità, perché grazie alle mie curve appaio più attraente agli occhi maschili”.

E ho detto “avrebbe dovuto essere” perché le parole successive della canzone dicono esattamente:

You know I won’t be no stick figure silicone Barbie doll. So if that’s what you’re into then go ahead and move along.

Traduzione: “Se non sei un uomo che desidera oggettificare/chiavare me molto di più rispetto a quanto non desideri oggettificare/chiavare altre donne basandosi puramente sulla fisicità, allora AH AH AH!, sarò io per prima a mandarti a quel paese.”

Da quando in qua “l’accettazione della propria fisicità” è diventata, o necessita di diventare, un altro modo per stabilire scale di valore tra le persone? Se una donna si è rifatta il seno, vale di meno rispetto a una che ha il seno al naturale? Questo a me sembra semplicemente un altro modo in cui il “movimento di grassaccettazione” tenta di definire chi è e chi non è una donna “reale”. Eppure, il rifarsi il seno non è una modificazione del proprio corpo tale e quale al farsi un tatuaggio o al mettersi un piercing? E allora perché le due cose non vengono viste allo stesso modo? Ho la strana sensazione che tutto questo abbia in qualche modo a che fare con una serpeggiante misoginia di fondo. Forse perché uno degli obiettivi legati al rifarsi il seno è conformarsi ad uno specifico standard culturale? E come può questo essere differente dal tatuarsi qualcosa?

Okay, era una domanda retorica. In realtà posso ben capire quale sia la differenza: anche gli uomini si fanno i tatuaggi o si mettono i piercing. La Chirurgia Plastica è generalmente vista come un modo che hanno a disposizione le donne per rendersi più sessualmente desiderabili agli occhi degli uomini (senza considerare il fatto che chi ricorre a questo tipo di chirurgia molto probabilmente ha dei problemi psicologici di non accettazione di sé, di fondo…). Persino la Chirurgia Plastica Ricostruttiva cui vengono sottoposte le donne dopo essere state operate per un tumore al seno ha in fondo questo obiettivo: anche se effettuata per il comfort personale della paziente, risponde comunque allo standard che dice che tutte le donne devono avere il seno (bene, benvenuta trans-misoginia!), il che è ciò che fa sentire a disagio la paziente innanzitutto.

Giusto per mettere i puntini sulle “i”: io non biasimo nessuno che ricorra alla Chirurgia Plastica per ogni qualsiasi motivo, anzi, io sono dell’idea che ognuno sia liberissimo di scegliere cosa fare nella propria vita; sto solo disquisendo sul modo in cui generalmente la gente vede il mondo, e sulle aspettative culturali del seno nelle donne in questo contesto.

Perciò, tenendo tutto questo bene a mente, ritornando alla posizione del “movimento di grassaccettazione” sulla Chirurgia Plastica, quello che viene affermato è che: anche se stiamo definendo il tuo valore come persona e come donna soltanto in base al tuo sex appeal, se non fai niente per renderti ancora più attraente, allora sei una stronza troietta e ti odiamo tutti.

Ora, consideriamo la parte “stick figure” della strofa. Questo è un altro colpo basso diretto alle donne che hanno una fisicità che minaccia la loro autostima, e alle donne che possono solo accontentarsi della propria taglia se questa non corrisponde ad una “perfetta” forma corporea. È questo che sta alla base di ogni “mangia un panino” o “sembri un insetto stecco”.

I’m bringing booty back, go ahead and tell them skinny bitches that no, I’m just playing, I know you think you’re fat but I’m here to tell ya every inch of you is perfect from the bottom to the top.

Questa strofa racchiude in sé perfettamente tutto quello che c’è di sbagliato in questa canzone. Quello che potrebbe essere un messaggio positivo si trasforma in una sorta di pseudo-complimento assolutamente ambiguo. Sì, “ogni centimetro di te è perfetto, dalla testa ai piedi”, ma solo a certe condizioni. Starai meglio con te stessa, ma solo se donne che indossano la taglia di Meghan Trainor staranno meglio deridendo il tuo aspetto. E solo se tu presenti le medesime insicurezze in merito al tuo peso.

E, dai, andiamo: dire quello che realmente pensi, facendolo poi seguire da uno “sto scherzando, eh!” (“I’m just playing”), è la cosa più passivo-aggressiva che esista sulla faccia della Terra. Dire “Oh, sto scherzando!” è una delle peggiori prese per i fondelli che ci siano: dà a chi parla la possibilità di dire quello che vuole, di infamare nei peggio modi, costringendo però il bersaglio dell’insulto a reagire con un sorriso perché tanto “è solo uno scherzo”.

Okay, ora che ho passato in rassegna il testo della canzone, passiamo al video. È un video a tema.

Riuscite ad indovinare di che tema si tratta? La vostra risposta è: “donne di colore come oggetti di scena”? Risposta esatta. Delle 4 ragazze che ballano insieme a Meghan, solo una è bianca. Meghan Trainor è spesso e volentieri affiancata da 2 donne di colore, compresa una scena in cui sembra che queste donne incoraggino entusiasticamente la sua danza, stile il video di “We Can’t Stop” di Miley Cyrus. Ciò non mira ad incoraggiare l’accettazione della propria fisicità e men che meno l’uguaglianza tra le donne che pure hanno strutture fisiche diverse: mira esclusivamente a far vedere quanto sia ganza Meghan Trainor.

Luogo comune vuole che le donne bianche siano molto meno brave e sexy nel ballare rispetto alle donne di colore, giusto? Per cui, se delle ragazze di colore esaltano una ragazza bianca che balla, questo le fa guadagnare punti, no?! Cioè, a me questo video ricorda davvero sorprendentemente l’ “Hairspray” di John Waters: non posso fare a meno di associarlo all’affermazione della protagonista “Essere invitata in un posto da gente di colore! Mi fa sentire così ganza!”. Alle persone bianche piace ottenere l’approvazione delle persone di colore in un Paese multietnico come gli U.S.A. Non vogliono che la loro posizione sociale (di superiorità (???)) venga messa in discussione, poiché questo li farebbe sentire profondamente a disagio.

Guardate le ultime 2 immagini delle 3 che vi ho messo sopra. Consideriamo il ruolo delle “curve” in questa canzone. Il termine utilizzato dalla cantante è “booty” che, letteralmente, si traduce come “bottino”. Al di là del fatto che questa parola mi fa pensare ai pirati, consultando Urban Dictionary ho scoperto che questa parola è utilizzata per evocare l’immagine stereotipata di una donna di colore con un sedere che fa provincia. Questa peculiarità raziale è stata utilizzata dalle persone bianche per oggettificare, fetishizzare (credo di aver appena inventato una nuova parola…) e sessualizzare le donne di colore, mentre in questa canzone una ragazza bianca la utilizza per se stessa in un contesto positivo. Quando Meghan Trainor richiama l’attenzione sulle dimensioni del proprio fondoschiena e lo chiama “booty”, pertanto, chi la guarda è portato a pensare a lei come ad una donna che è serena con la propria fisicità e che è una vera femminista, ma non può “restituire il bottino” perché non è mai stato utilizzato per stereotiparla.

L’ultima immagine è un perfetto esempio di come la società americana vede il corpo delle donne di colore: a disposizione di chiunque voglia toccarlo e sbeffeggiarlo. In questa scena, una ragazza bianca palpa il sedere della ragazza di colore mentre sta ballando. Quest’immagine secondo me rinforza non solo l’insidioso bisogno culturale dei bianchi di controllare e sessualizzare i corpi delle ragazze di colore, ma rinforza anche il dannoso preconcetto che il corpo di una ragazza di colore è a disposizione di chiunque, senza bisogno di chiedere consenso, perché tanto “le negre sono tutte troie” (cit. di un noto politico italiano).

Nota a margine: il fatto che tutto il video ricalchi lo stile della musica pop degli anni ’60, un genere che è stato propugnato da artisti di colore del tempo e riproposto successivamente dai bianchi, spinge verso una verità che molti artisti bianchi della musica pop non vogliono ammettere: che stanno solo facendo delle pallide imitazioni di quello che è stato creato da artisti di colore, e cercano di soffocare il lavoro di quegli artisti di colore nella speranza che nessuno se ne accorga.

Okay, adesso so che in molti mi criticheranno per aver decostruito un qualcosa che sembra, di primo acchito, essere in grado di lanciare un messaggio positivo ed incoraggiante a tutte le donne. Ma in questo video e in questa canzone ci sono troppe cose che non mi vanno giù.

Non mi piace la discriminazione che ci vedo nei confronti delle ragazze di colore, che vengono trattate come se fossero oggetti di scena, per promuovere uno standard di bellezza che le donne bianche vantano e da cui le donne di colore sono oppresse: mi sembra un video piuttosto razzista, anche se in modo parzialmente subliminale.

Inoltre, mi sembra una vera carognata prendere delle donne che non sono grasse, e definirle come tali, cercando di attribuire loro una credibilità che non hanno, perché mi sembra una palese presa per i fondelli per quelle donne che sono realmente in sovrappeso od obese.

Infine, in qualità di donna magra, mi ribello al messaggio di fondo di questo video: il fatto che ogni centimetro di noi sia perfetto, dalla testa ai piedi, è vero soltanto se una persona porta una taglia che sia almeno una 42? Perché dalla canzone parrebbe che il concetto non si applicasse alle “skinny bitches”, alle “stick figures”, o alle donne che non hanno “a little more booty to hold at night”. Come può Meghan dire della sua canzone che è “body positive” (cit.) se non include ogni qualsiasi tipo di fisicità? Nel momento in cui donne curvy chiedono rispetto, ma non lo danno nei confronti di chi è magra, mi sembra una significativa forma di ipocrisia. Quando le donne curvy proclamano che “le donne vere hanno vere curve” o che “gli uomini preferiscono la carne, le ossa sono per i cani”, a me queste non sembrano affatto dichiarazioni di persone che si accettano e che amano quello che vedono nello specchio. Una ragazza che veramente è a suo agio con la propria fisicità, è consapevole che ogni qualsiasi struttura fisica, peso, o taglia indossata non rende una donna meno “reale” né meno meritevole di rispetto. Una ragazza veramente confidente col suo corpo apprezza la bellezza in ogni qualsiasi forma e taglia, e non ha bisogno di insultare donne che sono fisicamente più magre di lei per sentirsi più a suo agio con se stessa.

E voi cosa ne pensate di questa canzone e di questo video? Se vi va, fatemelo sapere nei commenti!

P.S.= Dato il mio vissuto di anoressia, mi sono posta il dubbio se la mia opinione su questo video potesse essere eccessivamente di parte poiché influenzata da detto background. Allora l’altroieri ho acchiappato mio fratello Mark (sì, si chiama come il creatore di FaceBook… ma purtroppo non è lui… sarei un filino più ricca, se lo fosse, e non mi starei a preoccupare della penuria lavorativa…) che era passato da casa mia a farmi una visita (ehm, no, in realtà voleva che gli rispiegassi una cosa che non aveva capito…) e gli ho fatto vedere il video in questione, chiedendogli cosa ne pensasse. La sua risposta è stata: “Perché questo cesso a pedali con quell’osceno fiocco da uovo di Pasqua si atteggia come una strafiga, quando è palese che non arriva neanche a leccare il culo per sbaglio alla mora, che viene invece trattata come se fosse una cretinetta, facendole quasi rompere la schiena per sollevare quel gay obeso? Secondo me è tutta invidia! La caldaia con la parrucca si è circondata di ragazze che fisicamente le somigliano, per umiliare quella che invece è diversa… ma cercare di buttare giù l’avversario è l’ultima risorsa dei perdenti”. Ecco cosa pensa il maschio italiano medio. Alla faccia tua, Meghan: non so quale messaggio alla fin fine volessi lanciare (ammesso e non concesso che l’obiettivo non fosse solo quello di fare soldi a palate facendo leva su un argomento delicato come l’accettazione di sè), ma mi pare che in ogni caso tu abbia toppato di brutto.

venerdì 16 gennaio 2015

Video - Riempire la vita

Per la serie “meglio tardi che mai”, sono finalmente riuscita a trovare il tempo per realizzare il video di cui parlavo lo scorso Ottobre (meglio tardi che mai – appunto) ispirato all’infographic di Christiane.

Il video in cui avete risposto alla domanda: qual è la cosa che più vi aiuta nella vostra quotidianità a combattere contro l’anoressia/la bulimia/il DCAnas? Il risultato? Potete vederlo qua sotto!

(Click QUI se volete vederlo direttamente su YouTube)

Spero che vi piaccia…

Intanto, un GRAZIE enorme alle ragazze che hanno collaborato: grazie a Lauretti81, Stella, Lexy, Connie, Micaela, Fairy, Christiane, Fede, Andy, Vale, Wolfie, Jonny, Charlie. Questo video è quello che è solo ed esclusivamente per merito vostro.

Come soundtrack del video ho scelto la canzone “Fed Up (IRS)”. Ho optato per questo brano perché quando l’ho sentito ho pensato che, se avessi l’anoressia di fronte a me, quelle della canzone sono proprio le parole che le griderei in faccia, con tutta la mia rabbia… e la mia voglia di rivalsa.

[Mia traduzione del brano per chi non masticasse molto l’Inglese: 
Il Lunedì uccide, il Martedì fa schifo, come sempre, ecco che la mia settimana è iniziata. Qualcuno mi fermi, il paracadute non funziona… sono incazzata. Mi giro e mi rigiro, ma la mia vita è bloccata nell’impasse. Aspetto, ma niente sembra cambiare.  
RIT: Vieni ed affrontami, guardami, ora tocca a te pagarla, e lo farai. Ti sei finta mia amica, ma mi hai piegata alla tua volontà, più e più volte, e ancora. (Di nuovo?). 
Ultime notizie: la mia testa sta esplodendo. Chi pulirà il casino? Salto sulla mia automobile: posso investirti… sono incazzata. Circoli viziosi, la mia vita è bloccata nell’impasse. Aspetto, ma ancora non cambia niente.  
RIT: Vieni ed affrontami… 
Per favore, dammi un attimo di pausa, che posso fare? Sì, penso che dovrei eliminarti dalla mia vita.  
RIT: Vieni ed affrontami… 
Fottuta merdaccia.]

venerdì 9 gennaio 2015

"Mi sento come se desiderassi che il mio DCA peggiori..."

Nei commenti del post precedente, una commentatrice anonima ha scritto:  

“Mi sento come se desiderassi che il mio DCA peggiori, così da poter essere ricoverata. È un pensiero strano, vero?”

Vorrei perciò scrivere il post odierno in risposta a questa domanda.

Cara Anonima, non lo definirei un pensiero proprio “strano”, poiché credo che diverse altre persone con un DCA possano averne avuto uno simile (come confermano anche, nei commenti al post precedente, un'altra commentatrice anonima, Christiane e Ilaria). Casomai è un pensiero patologico, questo sì, nel senso che è un pensiero indotto dalla malattia, dal DCA stesso: e proprio per questo, nel contesto della malattia, non è un pensiero affatto strano.

Ti voglio lanciare però una provocazione rivolgendoti questa domanda a mia volta: PERCHE’ desideri che il tuo DCA peggiori a tal punto da necessitare di un ricovero? 

È perché desideri che la tua malattia venga legittimata con un’etichetta diagnostica medica?
È perché ti sembra che ora come ora nessuna delle persone che ti sta intorno si renda conto di quanto stai male?
È perché nessuno ti sta aiutando e supportando in maniera adeguata?
 È perché senti di non riuscire ad esprimere il tuo malessere?
È perché pensi di non essere abbastanza malata?
È perché credi di meritarti solo il peggio?

Potrei andare avanti per molto, ma mi fermo qui perché credo che tu abbia afferrato il senso di quello che voglio dirti. Cerca di comprendere PERCHE’ ti sembra di aver bisogno che il tuo DCA peggiori a tal punto da necessitare un ricovero, dopodiché pensa a COME puoi ottenere le medesime cose SENZA dover essere ospedalizzata.

Per esempio, se hai bisogno di supporto/aiuto per tener testa al tuo DCA, e ti sembra che in questo momento non riesci ad ottenerlo, valuta la possibilità di dire esplicitamente alle persone che ti circondano come ti senti dentro, a prescindere alla tua fisicità, e quale tipo di aiuto/supporto avresti bisogno di ricevere da parte loro. Parla loro di come ti senti, e lascia che ti aiutino e che ci siano per te.

So che per chi non ha mai vissuto un DCA sulla propria pelle, e avanza per stereotipi, può essere difficile comprendere la gravità di un qualsiasi disturbo alimentare se non vede uno scheletro ambulante… ma tu, che stai vivendo un DCA sulla tua pelle in questo momento, non hai alcun bisogno di diventare uno scheletro ambulante per sapere che stai male. Tu stai male, è palese, lo sai già: ed è per questo che necessiti di tutto l’aiuto e il supporto possibile, completamente a prescindere dall’esteriorità. Perché la sofferenza di un DCA non può certo essere quantificata: men che meno in chili.

Ogni qualsiasi DCA, in tempi più o meno lunghi, porta al medesimo outcome se non viene adeguatamente trattato: il decesso. Per cui, quello che stai attraversando, a prescindere da ciò che il tuo corpo può dimostrare, è reale, ed è serio, e necessita di cure adeguate. Non ti far infinocchiare dai pensieri che la malattia ti mette in testa, e corri ai ripari prima di peggiorare ulteriormente, sia fisicamente che mentalmente, la situazione: chiedi aiuto a persone professionalmente competenti, perché è quello che ti può far stare meglio, e che può permetterti di vivere una vita di qualità, allontanandoti sempre di più dalla malattia.

Ricordati che ciò che àncora alla malattia, a prescindere dalla fisicità, è il non avere fiducia nelle proprie capacità di cambiare la situazione, il piangersi addosso, il darsi per vinte, lo scuotere la testa e rafforzare così l’unica fede spontanea che l’anoressia conosca, quella tanto fatalistica quanto comoda del “tanto nulla cambierà”. Il combattere contro l’anoressia si nutre proprio della consapevolezza che tu puoi cambiare tutto quello che adesso ti fa stare male, e che per fare questo non hai bisogno di arrivare ad alcun estremo, anzi: meno hai toccato il fondo, prima inizi a combattere, maggiori saranno le tue possibilità di successo.

Ti faccio un enorme in bocca al lupo.

venerdì 2 gennaio 2015

Quando i medici fanno peggio che meglio

Se avete un DCA, vi sarà capitato quasi sicuramente di avere a che fare con psicoterapeuti con cui vi siete trovate male, o di aver cessato di seguire una psicoterapia in conseguenza del comportamento che determinati psicoterapeuti hanno tenuto nei vostri confronti.

Anch'io ci sono passata, molteplici volte: giusto per fare un esempio, quando ho terminato il mio quarto ricovero in una clinica specializzata per il trattamento dei DCA, la psicoterapeuta che mi aveva seguito durante i mesi di ricovero si era rifiutata di continuare a seguirmi come esterna, perchè secondo lei ero pronta per andare avanti da sola (probabilmente perchè avevo un elevato livello di consapevolezza della malattia, e forti capacità di autocontrollo ed autoimposizione). Ma io mi sentivo tutt'altro che pronta, e dunque mi ero cercata un'altra psicoterapeuta, che fortunatamente aveva compreso che l'anoressia era un problema per me ancora molto presente, sebbene non rientrassi più strettamente nei criteri diagnostici del DSM per questa patologia. (Okay, poi successivamente ho mollato anche questa psicoterapeuta... così come molte altre psicoterapeute successive... ma questa è un'altra storia.)

Atteggiamenti come quello tenuto dalla psicologa della clinica, ad ogni modo, urtano le pazienti. Le urtano un sacco

Da qui mi sono posta una domanda: ma cosa pensano gli psicoterapeuti quando si relazionano ad una persona che ha un DCA? Per rispondere a questa domanda ho trovato ciò che hanno pubblicato Thompson-Brenner e i suoi colleghi, che consiste in una review di tutti gli studi pubblicati a proposito di come il personale sanitario reagisce quando si relaziona con persone che hanno un DCA. Sono stati trovati 20 di questi studi, condotti tra il 1984 e il 2010. Il sommario della loro analisi rivela:

“Le reazioni negative del personale sanitario nei confronti di chi ha un DCA, riflettono tipicamente frustrazione, sfiducia, mancanza di competenze e preoccupazione. I medici inesperti sono quelli che più frequentemente hanno un comportamento negativo nei confronti di chi ha un DCA piuttosto che nei confronti di altri pazienti. Viceversa, i medici che lavorano da molti anni nel campo dei DCA non vanno incontro ad altrettante reazioni negative nei confronti delle pazienti con un DCA. I tirocinanti spesso affermano di sentirti scarsamente competenti nel trattare persone affette da DCA. […] La maggior parte di questi medici sostiene che le reazioni negative di chi ha un DCA nei loro confronti siano dovute ad una mancanza di miglioramenti, ad una personalità patologica, e a pregiudizi che queste pazienti hanno nei confronti della stigmatizzazione, delle convinzioni, dell'inesperienza, del sesso del medico stesso.”
(mia traduzione) 

Questo è un rapido sunto di ciò che Thompson-Brenner e suoi colleghi hanno estrapolato:

Flash su studi condotti su personale sanitario e tirocinanti hanno rivelato: 
• I medici che lavorano da meno di un anno e i tirocinanti hanno un comportamento peggiore nei confronti delle pazienti che hanno l'anoressia piuttosto che nei confronti delle pazienti che hanno problemi di binge.
• Tirocinanti e studenti di Medicina e di Sc ienze Infermieristiche considerano le pazienti affette da DCA molto più responsabili della propria patologia rispetto ai pazienti affetti da schizofrenia.
• Il 31% dei terapeuti (psichiatri, psicologi, psicoterapeuti) preferiscono NON seguire persone che hanno un DCA.
• I sentimenti più comuni che i terapeuti provano nei confronti delle pazienti con DCA comprendono rabbia, incomprensione e frustrazione.
• Gli infermieri che lavorano a stretto contatto con persone malate di DCA riferiscono che le loro impressioni nei confronti di queste ragazze sono tanto più negative quanto più a lungo vi si relazionano.

Gli specialisti e gli psicoterapeuti che lavorano nel campo dei DCA da molti anni hanno feedback migliori: 
• I medici appartenenti a questa categoria non provano lo stesso grado di sentimenti negativi nei confronti delle pazienti con DCA, rispetto a quello provato dalle altre categorie di sanitari.
• Una buona alleanza medico-paziente si riscontra nel lavoro di molti specialisti.
• I sentimenti più comuni che questi terapeuti provano nei confronti delle pazienti con DCA comprendono: frustrazione, preoccupazione, noia.
• Le principali difficoltà riportate dagli specialisti nel lavorare con pazienti affette da DCA: scarsa prontezza al cambiamento resistenza al cambiamento, natura controversa della patologia, chiusura.

Ricerche condotte su medici e operatori sanitari che non lavorano specificatamente nel campo dei DCA rilevano: 
• I medici spesso si sentono scarsamente competenti e non sufficientemente in confidenza con la malattia da interagire con persone che ce l'hanno.
• Uno studio condotto nel 1990 rivela che il 54% dei medici generici si sente incompetente nel trattare con persone che hanno un DCA.
• Molti medici e operatori sanitari si dichiarano interessati a saperne di più sui DCA.  

Perchè i medici reagiscono in un certo modo di fronte a chi ha un DCA? 
Thompson-Brenner e i suoi colleghi hanno cercato di identificate fattori predittivi le reazioni negative dei medici di fronte a pazienti affette da DCA.

“Le reazioni dei medici alle pazienti con DCA variano in funzione di: come essi percepiscono la risposta delle pazienti al loro trattamento; quanto ritengono che le pazienti siano personalmente responsabili dell'insorgenza della propria malattia; l'entità dell'esperienza che hanno nel campo dei DCA; il loro sesso (i medici uomini si relazionano peggio alle ragazze che hanno un DCA rispetto ai medici donne); le caratteristiche di personalità delle pazienti stesse (le reazioni erano peggiori con le pazienti con disordini di personalità dell'asse II).” 
(mia traduzione) 

Cosa molto importante (e questo io ritengo sia vero per ogni qualsiasi patologia, mentale o fisica che sia):

“I medici che hanno una visione stereotipata, da manuale, dei DCA, e che sono convinti della veridicità di alcuni dei luoghi comuni che circolano sui DCA, sono quelli nei confronti dei quali le pazienti abbandonano più rapidamente il trattamento. Viceversa, i medici che non si fanno confondere dai cliché ma interpretano la malattia sulla base di ciò che gli viene portato dalle pazienti sono quelli con cui le pazienti stabiliscono relazioni terapeutiche più durature, e conseguono risultati migliori nell'allontanarsi dal DCA stesso. […] Dunque l'atteggiamento, le competenze, e il portare o meno luoghi comuni sono fattori che condizionano significativamente la qualità della psicoterapia con le pazienti affette da DCA.” 
(mia trduzione) 

Leggendo questa review, c'è da tenere conto del fatto che gli studi riportati fanno riferimento a ricerche condotte in un lasso di tempo di circa 3 decadi, e che in tutto questo tempo molto è (fortunatamente) cambiato nella comprensione collettiva della natura dei DCA, e su come trattarli. Quanto degli studi condotti in passato è vero a tutt'oggi? Io non saprei dirlo – sarebbe necessario condurre nuovi studi.

In alcuni studi si scoprono cose veramente deprimenti, come questa:

“I dati ci indicano che abbastanza comunemente i medici stigmatizzano i DCA, e si basano su molti luoghi comuni quando si relazionano con pazienti affette da queste patologie. Quando, nel 1992, è stato chiesto ad un campione di medici di prendere in considerazione l'origine della psicopatologia in pazienti affette da anoressia, schizofrenia e disturbo bipolare, molti hanno affermato di ritenere le pazienti malate di anoressia maggiormente responsabili della propria malattia rispetto alle pazienti con schizofrenia o con disturbo bipolare. Inoltre, questo studio ha dimostrato che quest'idea dei medici rimaneva invariata nonostante l'aumento degli anni d'esercizio della loro professione.” 
(mia traduzione) 

Cosa possiamo fare di fronte ad una cosa del genere? 
Penso sia palese che tutti gli operatori sanitari – medici, infermieri, terapeuti, dietisti, nutrizionisti, etc... - trarrebbero beneficio dal relazionarsi più frequentemente con persone che hanno un DCA. L'esperienza di acquisisce con la pratica, mi sembra che questo non faccia una piega. Le prime esperienze lavorative, nella fattispecie, penso siano un evento critico per enfatizzare realmente l'importanza di prendere sul serio le malattie mentali, e i DCA nella fattispecie. Secondo me, il modo migliore per ottenere questo consiste nell'educare gli studenti alla conoscenza della reale eziologia dei DCA (sebbene queste patologie siano multifattoriali, e le cause possano variare da persona a persona), su quali siano le modalità terapeutiche disponibili e quando sia meglio applicarle e su quali tipologie di persone, sul perchè le pazienti si comportano nel modo in cui si comportano, e su come interagire con le pazienti in maniera tale da validare il modo in cui si sentono, facendo in modo che il terapeuta diventi un alleato e non un nemico. Magari facendoli parlare con persone che hanno avuto un DCA ma che stanno attraversando un periodo di remissione. Per quella che è stata la mia esperienza quando sono stata una studentessa universitaria, di DCA si è parlato pochissimo, ed in maniera del tutto “da manuale”. E l'ho trovato buffo, a suo modo, perchè ci sono malattie rarissime (per esempio alcune malattie genetiche) che vengono trattate molto nello specifico, mentre i DCA che hanno una prevalenza di gran lunga superiore vengono abbastanza tralasciati.

Tra l'altro, la mia opinione personale è che la maggior parte dell'educazione ai DCA dovrebbe essere condotta durante i primi 2 anni di Università, e non durante un'ipotetica scuola di specializzazione. Perchè? Perchè l'imprinting si prende durante i primi anni di studio. Quando si arriva ad un'ipotetica scuola si specializzazione, la forma mentis è già consolidata, ed è difficile modificarla. È molto più facile insegnare una cosa da zero che non ri-insegnarla quando si è già presa un'impostazione. Per cui, tutto quello che viene appreso fin dall'inizio della carriera universitaria impatterà sulla qualità delle interazioni medico-paziente. In secondo luogo, i DCA sono patologie che comportano conseguenze deleterie tanto a livello psicologico quanto a livello fisico, e talora queste ultime sono anche piuttosto gravi: dalle erosioni dentali, ai numerosi problemi gastroenterologici e cardiaci, all'amenorrea con conseguente osteoporosi e possibile infertilità. Ed è importante che I medici vengano formati tenendo conto di questo, perchè se una ragazza con un DCA viene resa oggetto di pregiudizi, preconcetti e luoghi comuni, e dunque non trattata adeguatamente, le conseguenze, anche sul piano prettamente fisico, possono essere veramente deleterie.

Tutto quello che ho appena scritto, naturalmente, non vuole essere un'accusa nei confronti dei medici o della psicoterapia, anzi: io sono dell'assoluta convinzione (anche sulla base della mia personale esperienza) che la psicoterapia sia di fondamentale importanza per riuscire a combattere adeguatamente contro l'anoressia. E, pertanto, sollecito vivamente chiunque mi legga a farsi seguire da degli specialisti, se già non lo sta facendo. Quello che ho scritto è semplicemente per dire che, purtroppo, non tutti i medici sono uguali: ci sono alcuni psicoterapeuti che non sono granchè competenti in materia di DCA, e che dunque rischiano di fare peggio che meglio (e ne so qualcosa personalmente, ho avuto a che fare con gente così, purtroppo...). Però, a fronte di questi, ci sono anche terapeuti veramente in gamba e che sono seriamente in grado di dare una mano. Ergo, se avete avuto delle esperienze psicoterapeutiche negative, non mollate la presa: mandate a quel paese il terapeuta che non vi è stato di alcun aiuto, e continuate a cercare altre persone che invece possono veramente darvi una mano. Magari incoccerete psicoterapeuti non in grado di aiutarvi millemila volte, ma ogni volta che vi darete un'opportunità di cercare ancora... avrete almeno una possibilità che quella volta sia la volta buona. Se invece vi arrendete... sicuramente avete già perso in partenza. E non scoraggiatevi: il fatto che ci siano delle “mele marce”, non implica automaticamente in nessun modo che non esistano “mele buone”. Ce ne sono eccome, ma bisogna avere la pazienza di cercarle rovistando in ogni angolo.

E voi, che esperienze psicoterapeutiche avete vissuto? Siete incappate in psicoterapeuti in gamba od incapaci? Cosa pensate si potrebbe fare per migliorare la situazione? Se vi va, scrivetemelo nei commenti!
 
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