Come gli alchimisti trasformavano il ferro in oro… voi potete trasformare l’oscurità in luce. Siete tutte benvenute.

venerdì 26 dicembre 2014

...2015, you're welcome! [2^ parte]

(...continua)

Giugno 2014. Soundtrack: “Best Years Of Our Lives”. In Giugno io ed il mio migliore amico Alex abbiamo deciso di intraprendere 2 strade completamente differenti, sia da un punto di vista professionale che personale, per cui abbiamo dovuto separarci. Abbiamo scelto di troncare, perché sapevamo bene entrambi che, se anche all’inizio avesse fatto un male boia, alla lunga sarebbe stata la scelta migliore per tutti e 2. Abituati com’eravamo a vivere come fratelli, per me è stata una separazione lacerante. Come se mi avessero staccato un braccio e una gamba. Solo che io dovevo continuare ad andare avanti, e a fare tutto quello che facevo come se niente fosse stato, ma con un braccio ed una gamba in meno. In realtà non lo so descrivere quello che ho provato, perché è come quando si dice “non ho parole” – e quando ci si accorge che non ne abbiamo veramente. Ché non è solo una frase fatta, è esattamente così. Non è che non ho parole, è che semplicemente non esistono parole per tirare fuori quello che ho dentro. Non esiste decodifica verbale di questi sentimenti. Come quando ci siamo conosciuti al 3° anno. Come adesso. Come sempre. Come per sempre. Perché posso fare tabula rasa di tutto e di tutti, ma il ricordo di tutto ciò che abbiamo vissuto insieme, le emozioni, quelle di cancellarle non c’è proprio verso. Per quanto ci provi, restano sempre lì. Più le cancello, più mi restano dentro. E ora mi tengo dentro solo il vuoto che di lui mi resta.

Io lo so che alla fine i momenti difficili passeranno, e il sole tornerà a splendere. Io lo so che Alex sarà sereno, ed avrà la vita che desidera. Che sembra tanto fiera della frase fatta, ma è la verità. Lo so per certo, perché ad una persona speciale come lui non può che andare tutto bene. Sii felice, Alex, te lo ordino. Perché meriti veramente tutto il meglio, e so che lo avrai. Io? Io rimetterò insieme i cocci, ed andrò avanti, in qualche modo. Sono caduta fin troppe volte per non sapere che, in un modo o nell’altro, sono capace di rimettermi in piedi.

Una lettera, un video, le mie parole inadatte. Sono tutto quello che ho, ed è tutto per te, Alex. Io sono tutta per te. E tu sei tutto per me. Non ci risentiremo né ci rivedremo mai più, ce lo siamo promessi, ma sarà così per sempre. È per questo – lo so. È per questo che L., e tutte le altre, mi hanno sempre odiata anche senza neppure conoscermi. È per questo che sono sempre state gelose di me anche se tra noi due non c’è mai stato niente. Ed è per questo che io, in fondo, non sono mai stata veramente invidiosa di loro, mai davvero gelosa. Perché avrei dovuto esserlo, del resto? Tu eri già mio. Perché è così. Sarò sempre io tua e tu mio.

Lo so. Perché quando dai le cose in pasto agli altri, le cambiano, le sciupano, le immiseriscono.
“Non lo diciamo mai a nessuno, promettimelo”.
“Cosa? Cosa non dobbiamo dire a nessuno?”.
“Il bene che ci vogliamo. Che ci vogliamo un bene così”.
“Promesso”.

(Non è amicizia, e men che meno amore. Un sentimento cui non so neanche attribuire un nome, ma più forte di entrambi. Infinitamente più forte.)  

Luglio 2014. Soundtrack: "Не Жалей" / “Don’t regret”. Luglio è stato un mese in rincorsa. Il contraccolpo di dover affrontare la mia quotidianità senza Alex è stato particolarmente forte, ed ho risposto ammazzandomi di lavoro, e sperando che potesse essere una strategia di coping efficace. Perché avevo disperatamente bisogno di credere che sarei stata in grado di metterci sopra una pezza e andare avanti. Mi sentivo completamente persa. Peggio: senza sapere che direzione prendere, e come fare per andare avanti. Abbiamo scelto il minore dei mali, ma mi ha fatto comunque male; la consapevolezza razionale non mi ha protetta dalla tempesta emotiva. Non mi ricordo molto di Luglio, mi ricordo solo che ogni singolo giorno mi sono impegnata al massimo per non crollare. Ho lavorato come una disperata, pure coprendo turni altrui, e dalla mia maschera di medico superefficiente non è trapelato nulla. Non potevo permettermi di crollare, perché Alex non era più al mio fianco, e quindi non ci sarebbe stato nessuno a darmi una mano per ritirarmi su. E non ero sicura che ce l’avrei fatta a rialzarmi da sola. Di Luglio ricordo solo che ho cercato di non rimanerci sotto. Perché sarebbe stato un rischio che non potevo permettermi di correre. E un lusso che non potevo concedermi. Ce l’ho messa tutta per non cedere, perché sapevo che avrei fatto meglio a non cedere. Perché rimettere insieme i pezzi richiede mille volte il tempo che serve per crollare.  

Agosto 2014. In Agosto ho fatto il mio check-up annuale con la dietista che mi segue: il mio peso è più o meno costante da alcuni anni, e grazie all’ “equilibrio alimentare” che seguo cerco di mantenerlo tale. Perciò, allo stesso tempo, ho deciso di fare un check-up del blog, data la prossimità del suo 6° compleanno. Il mio blog, con le sue pubblicazioni settimanali, ha raggiunto i 315 lettori fissi. Sono arrivata a 125 followers su Twitter, e per quanto riguarda YouTube ci sono 563 iscritti al mio canale. La mia pagina DeviantArt, invece, ha toccato le 2566 visualizzazioni. Penso sia natura umana che cose del genere incentivino il mio ego (non che ce ne fosse bisogno, eh, era già abbastanza sviluppato di per sé…), ma più di ogni altra cosa sono felice di essere riuscita a raggiungere così tante persone. I commenti ai post e le e-mail che ricevo da voi, da chiunque stia combattendo contro un DCA, sono per me un incentivo a continuare ad impegnarmi in quello che sto facendo. Il più grande complimento che ho ricevuto è stato quello che mi ha inviato una di voi lettrici, scrivendomi che tutte le sere cena insieme a me: le riesce più facile seguire il suo “equilibrio alimentare” se mentre mangia legge i miei post e i miei tweet, o guarda i miei video. Non sono sicura che esista qualcosa che mi si possa dire, e che possa rendermi più felice di così. Il mio blog sta qui, ragazze, e non se ne andrà da nessuna parte. E la soundtrack del mese, perciò, la dedico a voi, perché è esattamente quello che vorrei dirvi: "Go".

Settembre 2014. Soundtrack: “Dangerous”. In Settembre io e justvicky abbiamo deciso di fare una mini-vacanza, ed in pochi giorni abbiamo toccato diverse città. Sono stati dei giorni veramente stupendi per me, una parentesi in cui respirare a pieni polmoni, e avrei voluto che potessero non finire, però so che dovevano finire. Tutte le cose belle finiscono prima o poi. Ed ho il sospetto che sia proprio questo a renderle tali. Il posto che mi è piaciuto di più tra tutti quelli che abbiamo visitato? Vediamo se indovinate…  

Ottobre 2014. Soundtrack: “Siamo Una Squadra Fortissimi”. In Ottobre ho ricevuto un incarico di lavoro inaspettato: si trattava di fare da medico per una squadra di calcio locale che milita in serie D. Niente di trascendente, per carità, ma a me piace molto il calcio, e dunque sono stata veramente contenta di poter entrare a far parte del team. Tra l’altro, mi sono trovata molto bene sin da subito sia con i giocatori, sia con il fisioterapista, sia con il Mister, sia con il Presidente per cui, anche se per ora l’accordo è che il mio contratto si chiuderà ad Aprile, quando finirà la stagione sportiva, incrocio le dita nella speranza che possa essermi rinnovato per la stagione sportiva 2015-2016… e, perché no, incrocio le dita affinché questa squadra possa risalire in serie C2 (anche se, nel caso, non potrò comunque vantarmi che è stato merito mio per aver posizionato particolarmente bene un Raucocel ad un giocatore, in seguito ad un contrasto subìto quando è stata battuta una punizione…)  

Novembre 2014. Soundtrack: “Down”. In Novembre ho origliato una conversazione tra i miei colleghi del 118/DEA, ed ho così amabilmente scoperto quel che si dice alle mie spalle. La cosa è partita dal primario (Dr. Vittorio C.), che ha detto che poiché io non sono entrata in scuola di specializzazione, non mi avrebbe rinnovato il contratto perché (le sue testuali parole) “chi non riesce ad entrare in scuola di specializzazione è un medico mediocre, e io non voglio medici mediocri nel mio DEA”. Okay, la cosa non mi ha fatto piacere, però ne capisco la logica di fondo: un primario deve tutelare l’azienda, e chiaramente chi fa una specializzazione ha una marcia in più di chi non la fa. Quindi, da un punto di vista prettamente utilitaristico, sebbene mi faccia tutt’altro che piacere, posso anche comprendere il suo ragionamento. Almeno ho saputo in anticipo (anche se in via ufficiosa) che il contratto che ho fino alla fine dell’anno non mi sarebbe stato rinnovato, e che avrei dovuto già darmi da fare per trovare altro. La cosa peggiore è stato il sentire quello che i miei colleghi dicevano alle mie spalle, non tanto sul versante professionale (su quello non avevano niente da ridire, in effetti), quanto piuttosto su quello personale. Non dico che consideravo quelle persone degli “amici”, ci mancherebbe, so bene che l’amicizia è ben altro, però eravamo comunque in buoni rapporti, e non pensavo di essere una tale pezza da piedi ai loro occhi. Che poi: ma il coraggio di venirmele a dire in faccia, certe cose, è chiedere troppo? Io credo che ognuno sia libero di pensare tutto quello che vuole su di me come persona, nel bene e nel male, altro ci mancherebbe!, e magari c’hanno pure ragione… però, almeno l’onestà intellettuale e i coglioni di venirmelo a dire face-to-face, credo che ci vorrebbero. Troppo facile tirare fuori le cose quando io non ci sono, e poi comportarsi come se nulla fosse, con la gentilezza consueta, davanti ai miei occhi. Mi sono consolata pensando che da Gennaio non dovrò più aver a che fare con coglioni del genere.  

Dicembre 2014. Soundtrack: “Better Days”. Ed eccomi qua, arrivata alla fine di quest’anno, chiudo il cerchio tornando ad inizio post. Non so cosa mi aspetta nel nuovo anno, e mi appresto ad affrontarlo con un misto di ansia e trepidazione. Recentemente ho letto una frase che recita: "Tomorrow may bring pain, but it cannot steal my joy." (“Il domani può arrecare dolore, ma non può rubare la mia gioia”.) Caro 2015, hai presente il 2014? Ecco, adesso tu cerca di fare un tantino meglio, okay? Voglio trovare un po’ di gioia, e voglio fare in modo che rimanga nella mia vita. Ce la metterò tutta, sai? Perciò, 2015, meglio che stai in guardia!  

P.S.= Buon anno nuovo a tutte, ragazze…!

venerdì 19 dicembre 2014

Goodbye 2014... [1^ parte]

Quando si arriva alla fine di un anno, le persone si dividono in 2 categorie: quelle che stilano i buoni propositi per l’anno nuovo, e quelle che si voltano indietro e danno un’occhiata all’anno appena trascorso per tirare le fila.

Personalmente, se mi mettessi a redigere una lista di buoni propositi, conoscendomi so benissimo che li mancherei completamente poiché li caricherei di aspettative eccessive. Tanto più che non riuscirei mai a tenerli a mente, per cui per ricordarmeli per ben 12 mesi, dovrei scrivermeli. E dovrei poi ricordarmi dove li ho scritti. No no, niente da fare, troppo complicato per me. Ergo, appartengo decisamente alla seconda categoria.

Il 2014 è stato un anno veramente tosto per me. Un alternarsi continuo di alti e bassi, cose positive e cose negative; è stato un anno strano, agrodolce, intenso, che mi ha comunque portato a costruire un altro pezzetto di me. Anche quest’anno ho percorso un pezzo della mia strada, ed ho cercato di mantenermi in carreggiata perché sapevo che la destinazione finale sarebbe stata comunque un nuovo inizio, ed un nuovo inizio conduce a nuove esperienze, e queste esperienze conducono a nuove destinazioni… e così via.

Gennaio 2014. Soundtrack: "You Can't Win". Gennaio è iniziato subito male. Per la serie "Se il buongiorno si vede dal mattino...", insomma. E' iniziato con diatribe infinite con il proprietario della casa in cui abito come affittuaria, perché si sa che insomma la crisi economica, la nuova tassazione, l'IMU, l'ICI, la TASI, il tram 14 che ha modificato l’itinerario e i nuovi cartoni animati di Spongebob, sarebbe stato opportuno che io pagassi di più. Dato il mio stipendio, pagare di più d'affitto significa rinunciare, a scelta, a: gas o luce o cibo o acqua calda (o acqua in toto). Ce n'è volute di riffe e di raffe per trovare un compromesso, non dico buono ma quantomeno accettabile.

E' proseguito con una serie di colloqui di lavoro andati uno peggio dell'altro. "Ha i capelli troppo lunghi, dottoressa, dovrebbe raccoglierli, sennò sembra sciatta". "Perché quella crocchia? Le dà un'aria troppo seriosa, meglio i capelli sciolti, fanno più informale, i pazienti si sentono meno in soggezione". "Noi cercavamo una persona che abbia un po' più di esperienza lavorativa, non qualcuno alle prime armi". "Lei è già troppo mirata sulla medicina d'urgenza, noi vorremmo qualcuno proprio appena fresco di studi per poterlo indirizzare". "Dovremmo poter lavorare con qualcuno in grado di darci continuità". "Facciamo solo contratti mensili, perché le esigenze variano". "Lei ha già fatto domanda per il lavoro XY, quindi non possiamo accettare la sua domanda per questo impiego". "Lei non ha fatto domanda per il lavoro XY, quindi non possiamo neanche accettare la sua domanda per questo impiego". Prima volta: "Se lei è il secondo pilota di un aereo, e vede che il capitano sta per fare una manovra che farà morire tutti i passeggeri, glielo dice?" "Certo che glielo dico! Diamine!" "Allora lei non è la persona giusta per noi, perché qui abbiamo bisogno di medici disposti a fidarsi ciecamente del primario senza metterlo costantemente in discussione". Seconda volta: "Se lei è il secondo pilota di un aereo, e vede che il capitano sta per fare una manovra che farà morire tutti i passeggeri, glielo dice?" "No no, il capitano è il capitano, ci mancherebbe!" "Allora lei non è la persona giusta per noi, perché qui abbiamo bisogno di medici svegli, che sanno ragionare con la propria testa". (Per inciso: qualcuno mi spiega qual è la risposta giusta a quella cazzo di domanda, allora??) Pace col cervello no, eh?!

Si è concluso con la bellezza di non una, non 2, non 3, bensì 4 multe. Un salasso, in pratica. E, indovinate un po'? Grazie anche all'affitto aumentato, non navigo certo nell'oro... Tra l'altro, tutte multe prese per la medesima infrazione, ripetuta. Perché io sono una tipina determinata, eh, quando penso di stare dalla parte della ragione, nessuno mi sposta dalla mia strada (ehm, Veggie... il termine tecnico è "essere una fava"). In ogni caso, tutta colpa delle segnaletiche stradali. Gli Autovelox indicati da dei cartelli apposti alcuni metri prima... ma dove?? La notte, poi, ma che c'è da indicare se la strada non è manco illuminata? Viviamo in un Paese ormai alla frutta, che pur di raggranellare qualche spicciolo (168 Euro a volta... spiccioli un corno!) specula su noi poveri cittadini imponendo limiti di velocità assurdamente bassi su raccordi che sembrano autostrade; siamo in un Paese che opprime i suoi cittadini, ne monitorizza la velocità degli spostamenti, li sottopone allo spietato giudizio della Polizia Municipale... accidenti!
In sintesi: e i soldi per pagarle chi me li dà?
Avevo pensato a 2 soluzioni: 1) Indire una misera colletta di 5 Euro/persona tra voi lettrici del blog, il che avrebbe risolto il problema in maniera rapida ed indolore. Del resto, ci sono persone che offrono l'8 per 1000 alla Chiesa Cattolica, quindi perché non una donazione in favore dell'admin di questo blog? 2) Alternativa meno onerosa per le singole lettrici, un po'meno rapida ed indolore, ma efficace al 100%: colpo di stato. Unire le nostre forze per sovvertire la legge, approfittandone anche per occultare le notifiche amministrative della sottoscritta. (Idea in grado peraltro di unire l'utile al dilettevole). E alla fine mi son dovuta ingegnare a trovare metodi più consoni alla società civile per pagare quelle stupidissime multe (avevo pensato infatti di andare a rubare un po' di portafogli in giro...)  

Febbraio 2014. Soundtrack:Another Day” (questa è per te, Cosi) / “A SimpleMotion” (e questa è per me, ovviamente… mi sono trattenuta dal mettere “Timber”, visto Cosi?!). In Febbraio io e Cosi abbiamo deciso di guardare insieme le stelle. Spalla contro spalla, lo sguardo rivolto a quel rettangolo di cielo. A vedere una notte trascorrere immemore del nostro essere lì, seduti, in silenzio. Può cambiare tutto in una notte e, allo stesso tempo, non cambiare niente? Solo io e Cosi, il cielo stellato, ed era abbastanza. Ed era tutto. Basta una mansarda, un cielo punteggiato di stelle, il gioco di luci del paese tra il buio sottostante, la mancanza di desideri da esprimere anche in presenza di stelle cadenti, perché come fai ad esprimere un desiderio se ti sembra che quel momento sia già perfetto così com’è? È stato un qualcosa di indescrivibile. E non mi sento di aggiungere altre parole. Solo: indescrivibile.

Ebbene, sapete cos’avevano detto gli altri ragazzi che fanno karate insieme a noi, quando avevamo ventilato l’ipotesi di andare a guardare le stelle? Che guardare le stelle è roba da coppiette, e noi non siamo una coppia. Ma che discorso è? Anche abbracciarsi è roba da coppiette, allora, eppure io a Cosi lo abbraccio. E lui mi abbraccia. E non c’è nulla di male, perché sappiamo noi che rapporto abbiamo e dove finisce. Eppure, seguendo l’illuminata visione degli altri ragazzi del karate, abbiamo appurato che nei rapporti d’amicizia: si può limonare duro e si rimane comunque amici, si può dormire insieme e si rimane comunque amici, si può fare sesso e ancora si rimane amici, ma NON si possono guardare le stelle insieme perché è roba da coppie, e non ci sono più le mezze stagioni (questa frase è un’evergreen).

Eppure io e Cosi le stelle insieme le abbiamo guardate ugualmente, alla faccia di tutti. Abbiamo cercato di scappare, e siamo finiti inevitabilmente per tornare al punto di partenza – anche se siamo entrambi così stupidamente orgogliosi che non lo ammetteremo mai. Può passare un giorno, un mese, un anno o una vita, tutto il tempo che si vuole, e siamo di nuovo lì, come se non fosse trascorso neanche un secondo, due poli uguali di calamite che inaspettatamente non si respingono. E io penso che, diamine, gli voglio davvero bene a questo ragazzo con cui sono cresciuta, a questo ragazzo con cui ho condiviso una fetta di vita. Che sono davvero felice che ci sia stato lui a guardare le stelle con me. Che non avrebbe potuto esserci nessun altro. Perché non sarebbe stato lo stesso. Non serviva nulla di più, non servivano spiegazioni od altro, è stato di una bellezza indescrivibile. E indescrivibile, forse, lo è anche la nostra amicizia.  

Marzo 2014. Soundtrack:Coffee And Cigarettes”. In Marzo ho ampliato la mia esperienza lavorativa alle sostituzioni di MMG (Medici di Medicina Generale... i medici di famiglia, per intendersi), ed ho scoperto che al confronto il 118 nelle giornate in cui si raccattano infartuati/shockati/incidentati/vivi per miracolo sono una vera passeggiata di salute. Negli ambulatori dei MMG ho imparato sulla mia pelle che i 3 punti-chiave che ti dicono a lezione di Semeiotica riguardo i pazienti sono assolutamente veri.

1) I pazienti mentono. Durante l'ambulatorio un paziente, rispondendo alle mie domande, ha volontariamente e spudoratamente omesso alcuni dati anamnestici di non scarso rilievo per farsi prescrivere un determinato farmaco.
2) I pazienti si documentano su Internet, e arrivano dal proprio medico con un'auto-diagnosi già fatta. Suddetto paziente si è presentato in ambulatorio con un'auto-diagnosi, sciorinandomi tutti i sintomi inerenti quella patologia come propri, e non in virtù del fatto che avesse veramente quella malattia o che anche lui avesse studiato Medicina, o si fosse documentato su PubMed o su qualche libro di medicina interna, ma semplicemente perché aveva cercato quello che gli interessava su Wikipedia. E Wikipedia 9 volte su 10 ci azzecca.
3) I pazienti modificano autonomamente dosaggi/tempistica/modalità d'assunzione della terapia, senza dire niente al proprio medico. Il paziente in questione non ha scagato manco di striscio quello che gli avevo detto a proposito del farmaco, e ne ha considerevolmente abusato creando nuove posologie di sua sponte. Morale della favola: la cosa è venuta fuori perché il paziente è tornato successivamente in ambulatorio stando peggio, è stata una botta di culo se non gli è successo nulla di veramente grave, ed io ho passato un brutto quarto d'ora.

E avanti in maniera del tutto simile per ogni singolo giorno di sostituzione, che facevo le X sui giorni del calendario aspettando con ansia la fine, proprio come quando ero una studentessa e aspettavo l'ultimo giorno di scuola con la stessa impazienza.  

Aprile 2014. Soundtrack:Count On Me”. In Aprile, io e il Dottor Tommaso B. (che è stato il mio primissimo tutor quando ho cominciato a fare tirocinio in Pronto Soccorso ed ero ancora al 4° anno di Medicina, e che è successivamente diventato un mio caro amico) ci siamo scambiati una serie di SMS che sono quanto di più meraviglioso possa esserci, per lo meno per quello che è il mio modo di concepire il lavoro di squadra nella professione medica, laddove invece purtroppo spesso e volentieri regna incontrastata la competitività, e dove tutti farebbero di tutto per mettere i bastoni tra le ruote. (Click sulle immagini per ingrandire.)


   

Maggio 2014. Soundtrack:Hall Of Fame”. In Maggio Manuel e Dino, due dei ragazzi del karate di cui sono allenatrice, si sono classificati rispettivamente 2° e 3° nella gara di kumite (= combattimento), del torneo che si è tenuto nella città di A. Sono due ragazzi che alleno da diversi anni, e non è la prima volta che vedo Manuel salire sul podio, mentre per Dino è stata la primissima, perciò non mi era mai capitato di averli entrambi sullo stesso podio contemporaneamente. Questo per me è stato un successo sotto ogni punto di vista, che mi ha fatto capire quanto questi ragazzi sono veramente in gamba, quanto mi posso aspettare da loro, e quanto ancora possono essere in grado di fare continuando a lavorare sodo; ma è stato un successo anche personale, perché mi ha fatto capire che come allenatrice ho lavorato bene, e che devo procedere in questa direzione. È stata una bella iniezione di fiducia… oltre che una coppa d’argento e una di bronzo per i “miei” ragazzi, nonché una coppa di riconoscimento anche a me come allenatrice, e neanche tutto questo è proprio da buttare via…! (continua...)

venerdì 12 dicembre 2014

Affrontare il periodo natalizio

Un altro Natale sta arrivando, e con esso un altro periodo festivo e, come ormai ogni anno, voglio lasciarvi alcuni suggerimenti di auto-aiuto per cercare di affrontare un po’ più serenamente questo periodo e questa giornata in particolare, nonostante la presenza del DCA. Spero che in qualche modo possano esservi utili…  

1) Cercate di alimentarvi regolarmente, seguendo il vostro “equilibrio alimentare”. Non saltate pasti e non digiunate per cercare di “far pari” con quello che avete mangiato, o con quello che avete in previsione di mangiare: un pranzo/cena di Natale è un singolo strappo alla regola, che l’omeostasi dell’organismo minimizzerà automaticamente. Continuate a nutrirvi in maniera regolare, senza guardare nel piatto altrui.

2) Cercate di non focalizzarvi troppo sugli aspetti negativi delle feste (per esempio: dover rivedere tutti i parenti, anche quelli più intollerabili, dover attirare commenti per il vostro aspetto fisico/abbigliamento/quello che mangiate/etc…), e provate invece a pensare a quello che può esserci di positivo.  

3) Giocate d’anticipo: fate un elenco di quelli che potrebbero essere i trigger cui potreste trovarvi di fronte a Natale, e parlatene con psichiatra/psicologo/dietista/dietologo/nutrizionista… ogni membro del team di specialisti che vi segue. Così facendo, queste persone potranno aiutarvi a prepararvi, affrontare e superare i momenti difficili cui potreste andare incontro, senza dover adottare alcuna strategia di coping propria del DCA.  

4) Elaborate un “Piano B” prima di invitare qualcuno a casa vostra, o di andare a festeggiare a casa altrui. Siate consapevoli di quali sono le “uscite di emergenza”, di dove sono le persone che possono supportarvi, e di quando arriva il momento di prendervi una pausa dalla situazione che state vivendo, e chiedere aiuto.  

5) Parlate con franchezza a chi vi circonda di quelli che sono i vostri problemi e le vostre difficoltà alimentari, al fine di non essere oggetto di pressioni od osservazioni tutt’altro che piacevoli, e vedere così il vostro umore calare a picco. Spiegate anche quelle che sono le cose che vi danno fastidio e che preferireste gli altri evitassero di fare/dire, affinché anche chi vi sta di fronte possa avere qualche dritta su cosa fare/non fare, dire/non dire.  

6) Scegliete, in anticipo, un amico/familiare/terapeuta/qualcuno cui telefonare in caso di difficoltà, quando sentite che state per cedere al DCA, o quando vi sentite sopraffatte da pensieri ed emozioni negative. Mettetevi d'accordo con questa persona nei giorni che precedono il Natale, informatela su quali potrebbero essere le vostre difficoltà, le vostre necessità, e la possibilità di ricevere una chiamata da parte vostra nel giorno di Natale.  

7) Se pensate che possa esservi di supporto, o comunque utile in qualche modo, fatevi aiutare da un familiare/amico che sarà presente al vostro pranzo/cena di Natale, in maniera tale che questa persona possa rappresentare una sorta di “check point sulla realtà dei fatti” in merito all'alimentazione. Una persona che possa aiutarvi con le dosi del cibo, che possa riempirvi il piatto con quantità adeguate prima che lo faccia qualcun altro magari in maniera impropria, o che comunque sia in grado di dirvi se state restringendo/esagerando in merito a quanto cibo voi stesse vi mettete nel piatto.  

8) Scrivete quali vi piacerebbe potessero essere i vostri pensieri e il vostro stato emotivo nel periodo natalizio, in compagnia dei vostri parenti. Se e quando le cose si allontaneranno dalla vostra visione, prendetevi il tempo per respirare a fondo e cercare di ritornare in uno stato d'animo un po' più sereno, che è quello che desiderate per voi stesse.

9) Se avete degli obiettivi alimentari/psicologici per il tempo natalizio che trascorrerete insieme ai vostri parenti, focalizzate detti obiettivi su quello che vi piacerebbe ottenere. Fate in modo che i vostri sforzi siano mirati al “fare qualcosa”, piuttosto che al “provare a prevenire qualcosa”.  

10) Cercate di essere flessibili. Cercate di essere flessibili sia negli obiettivi che vi prefissate (che siano il mangiare in un certo modo, o il relazionarvi in un certo modo coi familiari, o il mantenere un certo stato d'animo, etc...), sia nelle aspettative che nutrite rispetto al comportamento altrui nei vostri confronti. Cercate di essere flessibili tanto sul versante alimentare, quanto su quello psicologico/comportamentale. Prendetevi una... vacanza di Natale dall'eccessiva rigidità, dal controllo di ogni singolo dettaglio, dall'esasperato auto-criticismo.  

11) Isolarsi e chiudersi in se stesse è il peggior modo possibile per affrontare un periodo tutt'altro che semplice. Perciò continuate a fare psicoterapia e a seguire il vostro “equilibrio alimentare” prima e dopo il giorno di Natale. Questo potrà esservi di estremo supporto per arrivare al Natale “preparate”, nonchè per scaricare eventuali sentimenti negativi scaturiti da questa giornata di festa. Continuate inoltre a cercare supporto ed auto-aiuto su Internet, in blog e forum, ove potete parlare delle vostre difficoltà e consultarvi con chi sta vivendo una situazione analoga, per cogliere eventuali suggerimenti su comportamenti che quella persona può mettere in atto per viversi meglio i giorni di festa.  

12) Evitate lo stress e gli impegni eccessivi. Questo al fine di evitare che, per far fronte ad un periodo particolarmente stressante, possiate rimettere in atto strategie di coping proprie del DCA per tamponarlo. Evitate dunque tutti quegli impegni che proprio non sono obbligatori, tutto quel giro-di-visite-scambio-di-regali che non siano proprio tassativi, e prendetevi piuttosto un po' di tempo per voi stesse, per rilassarvi, per dedicarlo al fare quello che vi piace... perché è così che si tiene a bada un DCA: dedicando tempo a cose che ci fanno stare bene.

Buone feste a tutte, ragazze!

venerdì 5 dicembre 2014

Progressione di frasi positive (Affermazione)

Dato che un paio di Venerdì fa ho pubblicato un post inerente una frase positiva a doppio taglio scritta da Demi Lovato, che ha riscosso tra voi lettrici tanto pareri favorevoli quanto dissensi, nonché opinioni contrastanti in merito alle frasi positive più in generale, oggi voglio raccontarvi una storia. Una storia in merito a quanto io creda fermamente nel potere delle frasi positive, e delle affermazioni positive più in generale.

Diversi anni fa, lessi una frase positiva che recitava: “Beauty is not a state of body. It’s a state of mind”.

Mi è piaciuta questa frase dal primo secondo in cui l’ho letta, ma inizialmente mi è piaciuta in maniera speranzosa. Avrei voluto assorbire la saggezza di questa frase. Avrei voluto potermi svegliare ogni mattina col sorriso sul volto nella consapevolezza della veridicità di quelle parole. Col passare del tempo, sebbene fossi ancora molto coinvolta dall’anoressia, cominciai ad avere sempre più chiari quali fossero i miei veri problemi rispetto ai quali utilizzavo l’anoressia come strategia di coping, e leggere una frase come quella mi faceva sentire meglio.

Così la ricopiai su un Post-It, e la attaccai sulla pin-board della mia cameretta. E iniziai a leggerla tutti i giorni. Poi ricopiai “Beauty is not a state of body. It’s a state of mind” sulla mia agenda. E la riscrissi anche come memo sul mio cellulare. E tentavo di farmela tornare a mente ogni volta che mi guardavo, ogni volta che guardavo a quello che avevo fatto e alla persona che ero, e l’immagine che gli occhi della mia mente mi rimandavano non mi piaceva.

Poco dopo aver scoperto questa prima frase, incappai in un’altra scritta da Janis Joplin:

"Don't compromise yourself. You are all you've got."

Mi piacque molto anche questa. La lessi, e compresi istintivamente la sua veridicità. Alla fine di ogni giornata, ci sei sempre e solo tu. Anche se hai mandato tutto a puttane, tu rimani sempre. Anche se qualcuno o qualcosa ti ha preso tutto, tu resti comunque. Sei tutto ciò che hai.

Così cominciai a pensare che tutto il mio devastare me stessa potesse avere una fine. Non ero una stupida – sapevo che non potevo prendere una decisione del genere e cambiare tutto da un giorno all’altro. Sapevo anche che, per quanto avessi desiderato accettarmi per quella che ero, credere in me stessa, e pensare che ero grandiosa/intelligente/tosta/unica, non sarebbe successo nell’arco di poco tempo. Avrei voluto possedere una bacchetta magica Janis Joplin, puntarla verso me stessa, ed incarnare immediatamente quella citazione… ma sapevo che non era possibile.

Così feci l’unica cosa che avrei potuto fare: m’imparai la sua frase positiva a mente, cercando di ripetermela quando le cose sembravano andare particolarmente storte. Scrissi la frase su un Post-It verde chiaro, e lo appiccicai sullo specchio. Ogni volta che mi guardavo allo specchio, ripetevo quella frase. Ogni volta che avevo pensieri sabotanti indotti dall’anoressia, quella frase pure era nei miei pensieri, a ricordarmi che non dovevo cedere alla compromissione di me stessa, perché ero tutto ciò che avevo.

Quel Post-It con su scritta quella frase è rimasto appiccicato al mio specchio per anni. Col tempo ho attaccato numerosi altri Post-It al mio specchio, ma la frase di Janis Joplin è rimasta sempre lì. Ho cominciato a pensare ad essa come ha una sorta di “lista delle cose da fare”. Tipo: “Ricordati: andare a pagare le bollette”. O, nel mio caso, “Ricordati: don't compromise yourself. You're all you've got”.

Non si può leggere una cosa più volte al giorno (soprattutto nei momenti di maggior vulnerabilità e odio verso noi stesse di fronte allo specchio) e non cominciare a crederci e a portarlo nel cuore. Banalmente perché, fisiologicamente, la reiterazione è la modalità-base con cui funzionano le nostre connessioni neuronali.

E così quelle frasi positive hanno cominciato a lavorare sotto, rimodellando a poco a poco piste neurali, lentamente ma inesorabilmente.
Anni più tardi, quando nel Settembre 2012 mi sono trasferita nell’appartamento in cui vivo tuttora, ho appiccicato di nuovo la frase di Janis Joplin nel bagno – accanto allo specchio. E’ ancora lì. Non è più un memo per ricordarmi di non compromettere me stessa, adesso è una sorta di promemoria del mio percorso di ricovero dall’anoressia.

Guardo nello specchio e sorrido. Come al solito, la Veggie di oggi non è quella che vorrei che fosse… ma ci sto lavorando. Ho fatto dei passi avanti.
Non sono tutta ‘sta genialità, non sono tutta ‘sta grandiosità, non sono tutta ‘sta meraviglia, ma sono me stessa. Non sono più il fantoccio animato dall’anoressia. Sono me stessa. E non voglio compromettermi. Sono tutto quello che ho. Perciò non ho più bisogno di quella frase sullo specchio. Ma la tengo comunque lì. Perché qualche volta… ho ancora bisogno di vedere che sta lì, accanto al mio riflesso, e poter dire: “Grazie mille, Janis!”.

venerdì 28 novembre 2014

Sentirsi/essere "pronte"

Un post che ho recentemente letto nel blog di una ragazza Americana (che si firma Sarah Ravin) che soffre di DCA mi ha dato molto da pensare.
Questa ragazza infatti scrive:

[…] Come molte malattie psichiatriche, i disordini alimentari sono spesso caratterizzati da periodi di esacerbazione e periodi di remissione – una generale riacutizzazione e riduzione dei sintomi in maniera ciclica col passare del tempo. La sintomatologia può essere anche completamente regredita in un certo periodo della vita, ma la predisposizione ad adottare comportamenti alimentari erronei rimane per tutta la vita. Lo stress di qualsiasi tipo rappresenta un significativo detonatore per le ricadute del DCA. 
Tutte abbiamo dei momenti di particolare stress nella nostra vita. In parte lo stress è inevitabile, talvolta viene dall’esterno, talvolta siamo noi stesse che ci auto-stressiamo. Ovviamente non possiamo predire o controllare alcuni grossi stress della vita, come per esempio lo stress che può comparire a seguito della morte di una persona cara, o in caso di catastrofi naturali, etc. Ma possiamo comunque controllare parte dello stress della nostra vita: possiamo decidere come e quando fare dei cambiamenti nella nostra vita. […]
(mia traduzione) 

Io sono d’accordo con ciò che questa ragazza ha scritto. Ed è un qualcosa che gli altri non sono mai stati capaci di spiegarmi veramente quando ero nel pieno dell’anoressia.
Al termine del mio primo (e decisamente disastroso) ricovero in una clinica specializzata nel trattamento di DCA, quando ero ancora estremamente sottopeso e basilarmente con una mentalità ancora totalmente immersa nella malattia, venni incoraggiata a ritornare immediatamente a frequentare la scuola poiché, a detta degli altri, “mi avrebbe fatto bene ri-immergermi tra i miei coetanei e dedicarmi ai miei impegni scolastici per non rischiare di perdere l’anno”. Dopo circa tre settimane il preside mandò una lettera a casa chiedendo per me accertamenti medici visto che ero svenuta 3 volte a scuola nel giro di 20 giorni. (Abbastanza ironico, no?!)

Insomma, dopo aver comunque perso un anno di scuola, dopo aver fatto un secondo ricovero nello stesso centro, ed aver finalmente recuperato qualche chilo (pur restando comunque molto sottopeso), ritornai di nuovo a scuola, e poiché l’anno scolastico era già iniziato da un pezzo, m’impegnai con le unghie e con i denti per non perdere un secondo anno di scuola. Anziché cercare di consolidare i primi esitanti passi che avevo mosso sulla strada del ricovero, mi sottoposi ad un forte stress a causa della scuola. Stavolta fui più resistente, mesi anziché settimane, ma poi l’anoressia ebbe di nuovo la meglio su di me, ricominciai molto gradualmente a restringere l’alimentazione, e la malattia mi catturò di nuovo.

Ad ogni modo, dall’esterno la maggior parte della gente mi giudicava “pronta”. Il mio peso era un po’ risalito, e riuscivo sempre a conseguire dei discreti voti a scuola. Mi comportavo in maniera normale di fronte agli occhi di tutti, avevo ricominciato a fare karate, ero di nuovo in pista. Per lo più, io stessa pensavo di essere pronta. La pazienza non è la mia dote migliore – non lo è mai stata, temo non lo sarà mai.

Il problema ovviamente stava nel modo in cui io valutavo il mio “essere pronta”. Confrontando come stavo in quel periodo rispetto a come stavo quando ero nel pieno dell’anoressia ed avevo toccato il mio peso più basso in assoluto, sicuramente avevo fatto dei passi avanti. Ma se si misura l’ “essere pronta” rispetto a quanto fossi in quel momento in grado di affrontare la vita quando le cose si scostavano anche solo di poco dall’orinaria routine, la valutazione sarebbe stata ben diversa. Avere recupero e poi stabilità ponderale ed emotiva è importante, certo, su questo non si discute. Ma non si può dire che una persona con un DCA sia “pronta” ad affrontare le sfide della vita valutando soltanto questi due parametri.

La cosa più difficile per me, dato che sono una persona basilarmente orgogliosa, è stata l’imparare a chiedere aiuto nei momenti di difficoltà, nonché il capire che la mia anoressia era in sè un problema, e non la strategia di coping giusta da utilizzare di fronte ad ogni qualsiasi altro problema della mia vita. Ho dovuto prendermi calci su calci nel mio arrogante culetto prima di rendermi finalmente conto che avrei potuto solo fingere di stare meglio per un lasso di tempo più o meno lungo, prima che qualcuno non avesse sgamato le mie balle. Dovevo rischiare di apparire inizialmente un po’ stupida per evitare di sembrare una completa idiota parecchi anni più tardi.

L’altra cosa che mi c’è voluto un sacco di tempo per capire, è stata quanto tempo ci voglia per costruire nuovi pathway neurali e nuove risposte, quanto tempo ci voglia per cominciare ad allontanarsi effettivamente dall’anoressia. L’avevo seriamente sottovalutato. La gente credeva che nel momento in cui riuscivo a mangiare normalmente, allora ero guarita! In realtà, mi ci sono voluti anni ed anni ed anni di severissima auto-imposizione nel consumare quotidianamente l’ “equilibrio alimentare” per acquisire un pochina di flessibilità rispetto alla mia alimentazione. In realtà, sono tuttora molto poco flessibile sia da un punto di vista comportamentale che cognitivo.

Quel che voglio dire è che, fintanto che non succede niente, fintanto che la mia vita è routinaria, me la cavo abbastanza bene. Se non sono particolarmente stressata per un qualche motivo, posso tranquillamente sembrare “normale”, per lo meno ad un’osservazione superficiale. Stress, cambiamenti, e tutte quelle cose incerte di cui la vita è piena, ed ecco che tendo a riscivolare verso la mia strategia di coping preferenziale. Poiché lo stress non era costantemente presente nella mia vita, anche nei periodi in cui ero più legata all’anoressia pensavo che sarei riuscita a gestire tutto. Ma non ci sono poi mai riuscita veramente. Tutte le volte che le cose si facevano più difficili, l’anoressia tornava a fare da padrona nella mia testa, e disconnettere le due cose – stress e anoressia – prima che la seconda avesse di nuovo la meglio su di me, è una cosa che mi ha richiesto anni su anni, ed altri 3 ricoveri. Tuttora devo fare molta attenzione. Sono certamente più brava rispetto a prima, più brava rispetto a quanto non lo sia mai stata finora, ma l’anoressia è ancora lì che mi tenta, e probabilmente ci resterà sempre, in agguato, in attesa che io compia un passo falso.

La morale della storia è: percorrere la strada del ricovero è un incredibile stress. Ma non abbiamo niente da dimostrare a nessuno, e non dobbiamo metterci fretta, bensì prenderci tutto il tempo di cui crediamo di aver bisogno se non ci sentiamo “pronte”. E non preoccuparci di tutto il resto: staccarsi dall’anoressia ora è la priorità. Una volta fatto questo, una volta rotto lo strettissimo legame che ci ancora all’anoressia, l’affrontare tutti gli altri problemi ci sembrerà molto più semplice.

venerdì 21 novembre 2014

Forza e ricovero: L'altra faccia dei messaggi positivi

Non è un segreto che io usi Twitter molto spesso. Tutti i giorni faccio un salto sul mio account, e lascio un tweet. È un po’ come la mia seconda casa virtuale, subito dopo il blog.

Alcuni giorni fa, tuttavia, mi sono imbattuta in questo tweet:


[Traduzione: Avere un DCA non è una dimostrazione di “forza”. È forte chi ha la capacità di superare i propri demoni dopo essere stata malata per tanto tempo.]

Ora, generalmente io sono molto a favore delle frasi positive: io stessa spesso e volentieri le posto su Twitter. Non penso ovviamente che queste frasi possano far “guarire” (e sennò si sarebbe trovata la magica medicina per i DCA, e tante grazie…) nessuno, però penso che possano servire da spunto di riflessione. Se non le si lasciano essere fini a se stesse, ma si agiscono, possono condizionare positivamente il nostro comportamento. Anche perché i nostri neuroni sono coazioni a ripetere, per cui fisiologicamente più ci si concentra su quello che c’è di positivo, più il cervello impara a vedere il positivo. Ma il mio gradire le frasi positive è solo la mia opinione. Ci sono persone a cui
queste frasi positive non piacciono, e va bene ugualmente.

Ci sono parimenti senza dubbio un sacco di persone cui piace Demi Lovato ma, forse per la differenza di età, a me questa ragazza non dice granché, e certo non la prenderei a modello. Per carità, mi sembra una brava ragazza, ha fatto un sacco di cose, e sono felice per lei che abbia ottenuto del successo. Se la conoscessi di persona, probabilmente sarebbe una persona che mi piacerebbe pure.

Tuttavia, il tweet sovramensionato che lei hai scritto non mi piace.

Prima di calamitare tutte le peggiori infamate da parte delle fan di Demi Lovato che leggono questo blog, ci tengo a precisare: sono sicura che l’obiettivo di Demi Lovato quando ha scritto questo tweet fosse quello di essere fonte di ispirazione, ed incoraggiare le persone a combattere per superare la malattia. E non c’è niente di male né di sbagliato in questo.

Il mio storcere il naso di fronte a queste parole prende in considerazione l’altra faccia della medaglia: e se una persona, in un determinato momento della sua vita, non riesce a combattere contro l’anoressia per superarla, vuol dire che è una debole?

Conosco diverse persone che si sono fatte culi come rosoni per combattere contro il proprio DCA, ma che ancora non l’hanno superato e non vivono dunque attualmente una fase di remissione. Talvolta queste persone non sono riuscite a ricevere il supporto terapeutico di cui avrebbero avuto bisogno. Talvolta il percorso terapeutico intrapreso non ha funzionato. I DCA sono malattie estremamente difficili da affrontare e da trattare. No, avere l’anoressia non significa in alcun modo essere forti, così come non significa essere forti l’avere ogni qualsiasi malattia. Significa semmai avere erroneamente scelto una strategia di coping patologica, in un momento della vita in cui la sua erroneità non è stata correttamente percepita. Ma non riuscire a superare un DCA non significa che quella persona non ce la stia comunque mettendo tutta nel combattere. Significa solo che in quel momento non riesce a stare meglio.

Quello che non mi piace del tweet di Demi Lovato, è la sua potenziale estrema negatività se si guarda l’altra faccia della medaglia. Di fronte ad una frase apparentemente positiva di questo tipo, è difficile guardare oltre perché queste parole sembrano così, appunto, positive. Il problema nasce nel momento in cui si prende in considerazione il messaggio subliminale che passa alle persone che stanno ancora combattendo contro l’anoressia e non riescono, sul momento, ad avere la meglio. È come dire ad un paziente malato di diabete che non riesce ad avere un buon controllo della propria glicemia, che non si sta impegnando abbastanza a combattere contro la sua malattia. È sciocco. Le persone che combattono contro un DCA e cominciano a stare meglio, possono comunque avere delle ricadute, e devono ricominciare a combattere per riportarsi in una condizione di remissione… ma questo non ha niente a che vedere con la loro forza interiore. Non dice niente in merito a che tipo di persone siano. Ma dice tutto in merito a cosa possa essere l’anoressia/la bulimia/il binge/il DCAnas.

Il mio timore è che qualcuna che sta ancora combattendo contro la fase più acuta dell’anoressia, e sta ancora male, possa leggere la frase di Demi Lovarto e pensare che, poiché è ancora prigioniera dell’anoressia, allora questo significa che non è forte abbastanza per superarla… il che la farebbe soltanto sentire ancora peggio. Questo, per lo meno, è quello che io percepisco.

Forse la mia può sembrare mera pignoleria, ma penso che ci sia un luogo comune diffuso proprio tra le persone che hanno un DCA: il fatto che, se tenti abbastanza volte, tu, sì, proprio TU, puoi superare l’anoressia. Mi dispiace, ma io non credo sia così. Non è la “quantità” di tentativi che permette di arrivare ad una remissione dell’anoressia. Non è così semplice. Ed ho letto peraltro altri tweet che dicono che guarire completamente dall’anoressia è possibile, se si tenta abbastanza. Di nuovo, non credo che sia possibile, e comunque non credo sia una mera questione di numero di tentativi fatti. Io credo che quel che conta sia la “qualità” dei tentativi fatti.

In ogni caso, ripeto: io sono assolutamente a favore dei messaggi positivi come fonte di auto-aiuto nella lotta quotidiana contro l’anoressia, quindi continuate pure a circondarvi di messaggi di questo tipo… semplicemente, tenete a mente il fatto che superare un DCA arrivando ad una remissione non significa che voi siete forti e che chi invece in questo momento non ci riesce non lo è, perché non è segno di debolezza il continuare a combattere, anzi, io credo che il combattere in sé sia già una vittoria.

venerdì 14 novembre 2014

R: Cosa si cerca con l'anoressia + varie & eventuali

Il post di oggi prende spunto da un commento che mi ha lasciato ButterflyAnna nel post di Venerdì scorso. Volevo risponderle direttamente nel format dei commenti come generalmente faccio con chiunque scriva su questo blog, ma poi mi sono resa conto che ne sarebbe venuto fuori un mezzo poema, quindi ho deciso di trasformarlo in un post… anche perché tratta la quantomai controversa tematica del peso inteso come parametro di malattia/guarigione dall’anoressia, che è inevitabilmente oggetto di innumerevoli discussioni, per cui colgo la palla al balzo per dire la mia e condividere con voi la mia esperienza.

Nel suo commento, ButterflyAnna scrive: “sfido chiunque di voi a dire che all'inizio di questa malattia non avete pensato che perdere chili su chili e non mangiare fosse la cosa più giusta del mondo […] era solo voler dimagrire e voler restringere a tutti i costi […]Perché il pensiero era quello e i comportamenti erano quelli di una ragazza che voleva diventare sempre più magra a ogni costo […]Poi a quei 36 chili ci sono arrivata e non mi hanno portato felicità solo a quel punto ho capito di essere malata”.

In rigoroso ordine random, partiamo da valle per arrivare a monte.

Io credo che la fisicità non sia un parametro poi così strettamente attendibile per valutare la “malattia”/“guarigione” da un DCA. Anche perché sono dell’idea che ciò che rende una persona affetta da anoressia non è il peso ma i pensieri, cioè il pattern mentale – essendo l’anoressia malattia mentale per psichiatrica definizione. Per cui, come ho già scritto altrove, ritengo che una persona possa essere malata di anoressia anche se pesa 150 Kg, se la sua forma mentis è quella propria dell’anoressia, perché è il quadro mentale che connota l’anoressia, non la fisicità.

È ovvio, e lo capisce anche un bambino, che ci sono certi livelli di sottopeso che per forza non sono compatibili con la salute. Riprendendo l’esperienza raccontata da ButterflyAnna, è palese che una donna che pesa 36 Kg (a meno che non sia alta un metro e un cavolo) non può essere in salute e deve recuperare, su questo credo non ci sia neanche da discutere.

Per il resto, il termine “sottopeso” (come il termine “sovrappeso”, del resto) è molto generico, e pertanto di pressoché impossibile applicazione su vasta scala, data l’estrema soggettività di ognuna di noi. Quello che andrebbe considerato – e che sarebbe in effetti scientificamente corretto considerare, come dimostrano diversi studi recentemente condotti – è il Set-Point di peso corporeo fisiologico, che è un qualcosa di individualizzato per ciascuna di noi, e non risponde propriamente al canonico concetto di “normopeso secondo il B.M.I.” (sebbene sia vero che molte persone hanno un proprio Set-Point che corrisponde ad un valore di B.M.I. compreso nel range del normopeso). Il Set-Point è una sorta di “termostato del peso corporeo” che viene geneticamente determinato, ed è regolato per essere mantenuto intorno ad un punto fisso da complessi meccanismi di feedback (omeostasi). Questi meccanismi di equilibrio tendono a mantenere il valore di peso preimpostato dal Set-Point relativamente costante.
Il peso ovviamente sballa di molto quando, con un DCA, ci alimentiamo in maniera del tutto anomala e pieghiamo l’organismo alterando il metabolismo e dunque perdendo/prendendo peso. Tuttavia, poiché il Set-Point di peso corporeo fisiologico è appunto geneticamente determinato, nel momento in cui si riprende ad alimentarci regolarmente e correttamente, dopo il tempo necessario al metabolismo per riattivarsi e ricominciare a lavorare a regime, il nostro organismo tenderà a riportare il peso ai valori originari.

E questo giusto per chiarire da un punto di vista prettamente medico i discorsi sul sottopeso/sovrappeso.

Per quanto riguarda il concetto di “guarigione”, purtroppo è vero che molte persone che non hanno vissuto un DCA sulla propria pelle si fermano all’esteriorità, che è l’unica cosa che riescono a vedere e quindi a concepire, e pensano che il peso corporeo sia l’unico parametro che possa decretare lo stato di “guarigione” o meno di una persona. Ovviamente chiunque abbia avuto/abbia un DCA credo sappia bene che non è semplicemente così che stanno le cose.

Io penso che si dovrebbe focalizzare un po’ meno l’attenzione sul peso, e concentrarla maggiormente sulla qualità della vita. Quando si parla di “qualità della vita”, infatti, si fa contemporaneamente riferimento sia al campo fisico che a quello psicologico: è indubbio che non si possa avere una buona qualità della vita con un corpo fisicamente non in salute (vuoi per il sottopeso eccessivo in chi è affetta da anoressia, vuoi per i danni prodotti dalle condotte di compensazione in chi è affetta da bulimia, vuoi per le abbuffate in chi soffre di binge, vuoi per l’alimentazione altalenante in chi ha un DCAnas, etc…), e allo stesso tempo è indubbio che non si possa avere una buona qualità della vita con una mentalità pervasa dal DCA... perché tanto più esso è presente nella nostra testa, tanto più si perde in vita sociale, lavoro, studio, sport, e tutte quelle cose che rendono la nostra vita appunto una vita di qualità.

Ergo, secondo me è la qualità della vita che va a valutare quanto una persona sia “guarita” o meno da un DCA, compendiando sia gli aspetti fisici che quelli mentali… ammesso e non concesso che per malattie come i DCA si possa parlare di “guarigione”. Io infatti preferisco il termine “remissione” e sottolineo che, personalmente, non sono “guarita” dall’anoressia nel senso canonico del termine, perché mi capita tuttora di avere talvolta dei pensieri, che però riconosco come malati, e dunque non agisco. So che ci sono, ma li lascio lì, confinati in quell’angolino della mia testa, e non mi condizionano più nè comportamentalmente né mentalmente. È proprio per questo che ormai fortunatamente da diversi anni sto vivendo una remissione della malattia.

Tornando invece a monte, e dunque facendo riferimento alla prima parte del commento di ButterflyAnna, premetto che: quello che sto per scrivere fa parte della mia esperienza personale, ergo non ha alcun valore a carattere generale. Ciò significa che probabilmente alcune di voi si rispecchieranno comunque in ciò che scrivo, ed altre no. In ogni caso, nessuna pretesa di verità assoluta: semplicemente quello che ho vissuto io, e dunque la MIA personale verità, più o meno estendibile agli altri.

Nelle parole di ButterflyAnna, io NON mi ritrovo PER NIENTE.

Se vogliamo considerare il B.M.I. come riferimento, allora è tutta la vita che io sono “sottopeso”. Giusto per dire, se vogliamo considerare il B.M.I. come riferimento, allora tutti i membri della mia famiglia sono “sottopeso” da tutta la vita (eppure nessuno di loro ha un DCA). Sono sempre stata magra (e bassa) credo semplicemente perché, geneticamente, provengo da una famiglia in cui siamo tutti magri (e bassi): se di “sottopeso” vogliamo parlare, è un “sottopeso” del tutto fisiologico, che ci caratterizza tutti quanti. Poi, personalmente, con l’anoressia, ho ovviamente trasceso ogni limite di peso e sono arrivata ad una magrezza assolutamente patologica e del tutto incompatibile con la salute. Tuttavia attualmente, grazie all’aiuto della dietista che tuttora mi segue, ho recuperato il mio Set-Point di peso fisiologico, sto pertanto seguendo un “equilibrio alimentare” mirato proprio al mantenimento di questo peso e naturalmente all’evitamento della riadozione di comportamenti alimentari restrittivi e, salvo i danni permanenti che l’anoressia ha prodotto al mio corpo e che purtroppo mi dovrò portare dietro vita natural durante (mi riferisco a osteopenia e infertilità), sono perfettamente in salute e posso senza alcun problema fare sport, lavorare come istruttrice ed arbitro di karate, lavorare come medico, e se mi avanza un po’ di tempo nelle mie incasinatissime giornate anche prendermi un attimo di pausa per dedicarmi alle cose che mi piacciono come per esempio leggere e disegnare.

Essere perfettamente in salute da un punto di vista prettamente fisico non significa appunto, come dicevo, essere del tutto “guarita” dall’anoressia, perché se così fosse immagino che certi pensieri non mi passerebbero più neanche per l’anticamera del cervello. Ma significa che attualmente ho un corpo in salute e del tutto funzionale che mi permette di vivere a 360°, e che mi ha consentito di tornare ad avere un’ottima qualità della vita.

Io non ho mai avuto dunque il desiderio di essere magra poiché, banalmente, sono sempre stata magra.
Per quanto attiene la mia personale esperienza, il bisogno di controllo è stato il punto focale di tutto il disturbo alimentare. Io volevo avere il controllo assoluto. Su tutto. Su ogni singolo aspetto della mia vita. La cosa è partita da ambiti diversi dall’alimentazione e poi, in un formidabile colpo di coda, anche il versante alimentare è stato tirato dentro questo mio bisogno di programmare – e dunque controllare – ogni singolo secondo delle mie giornate.
Volevo “semplicemente” avere sotto controllo ogni singolo respiro della mia vita, e questo controllo che già mettevo in atto su altre cose, ad un certo punto ha iniziato a passare anche attraverso il canale alimentare. L’obiettivo della mia restrizione, in effetti era proprio questo: elaborare una forma di controllo su quello che mangiavo. Il dimagrimento è stata l’ovvia conseguenza, ma non mi ha mai fatto piacere, anzi, mi metteva a disagio, non avrei voluto (anche perché comprometteva le mie prestazioni sportive, e al tempo facevo agonismo ed ero a buon livello), ma avevo bisogno del controllo, e se “il prezzo da pagare” era quello di perdere chili, allora andava bene tutto, allora accettavo il compromesso, pur di non abbandonare la sensazione di sicurezza e di forza che quel (l’illusorio) controllo mi faceva provare.
Non ho mai avuto, dunque, l’obiettivo di restringere l’alimentazione per dimagrire (difatti non mi sono mai pesata, neanche nella fase più acuta dell’anoressia, proprio perché del peso in sé non me ne poteva fregare di meno, né ho mai contato le calorie o cose del genere), il mio unico pensiero era incentrato sul desiderio di avere il controllo su tutto. Ogni altra cosa era mera conseguenza.
Mai voluto diventare più magra… ma sempre voluto esercitare un controllo sempre più totale.
Salvo poi rendermi conto, ovviamente, che quell’anoressia che credevo di controllare, era proprio ciò che mi controllava in misura spietata.

venerdì 7 novembre 2014

Lettera aperta per le "Pro Ana/Mia"

Mie care ragazze che vi auto-definite storpiando il nome di malattie letali delle quali parodicamente imitate comportamenti puramente esteriori,

può la perdita di peso risolvere problemi? Certo, può risolvere alcuni problemi molto specifici (vedi per esempio Diabete Mellito II o ipertensione arteriosa giovanile) in alcuni casi particolari. Ma il pesare di meno non vi renderà necessariamente più belle, più intelligenti, più simpatiche, più spigliate, più sicure di voi stesse o più brillanti nelle relazioni interpersonali. Non vi renderà più apprezzate nel lavoro/nello studio, o più attraenti agli occhi del ragazzo che vi piace (sfido qualsiasi uomo a dire che, per esempio, Isabelle Caro era sexy). Inoltre, se la perdita di peso avviene sulla base di un fai-da-te, senza essere seguite da uno specialista, non vi renderà neanche più toniche, e peggiorerà significativamente la vostra salute.

Vi spiego una cosa che voi che anelate l’anoressia solo perché non avete la più pallida idea di quanto devasti la vita certo non potete sapere: l’anoressia non c’entra una pippa col voler dimagrire. Il dimagrimento è la mera conseguenza di una malattia mentale che ha tutt’altra natura. L’anoressia è solo una strategia di coping che viene messa in atto a fronte di veri e ben più profondi problemi presenti nella vita. L’anoressia è solo la punta di un iceberg che affonda le sue radici in problematiche ben più complesse e molteplici. E, soprattutto, l’anoressia col tempo diventa anche un comodo capro espiatorio che permette di non affrontare la vita. Quando puntiamo il dito contro l’anoressia, ma nonostante tutto vi rimaniamo impantanate, facciamo di una malattia capro espiatorio di tutti i nostri problemi e difficoltà. È come se semplificassimo all’estremo dicendo: l’anoressia mi dà la sensazione di poter controllare tutto, per cui ho bisogno di averla nella mia quotidianità, tuttavia se non riesco a fare tutto quello che vorrei nella vita, è colpa del fatto che ho l’anoressia.

Se non riusciamo a trovare/mantenere un lavoro, è colpa dell’anoressia, però poiché l’anoressia c’è noi abbiamo il controllo, quindi si rimane in stallo.
Se non riusciamo a fare carriera, è colpa dell’anoressia, però poiché l’anoressia c’è noi abbiamo il controllo, quindi si rimane in stallo.
Se non riusciamo a concentrarci nello studio, è colpa dell’anoressia, però poiché l’anoressia c’è noi abbiamo il controllo, quindi si rimane in stallo.
Se non abbiamo amici perché abbiamo allontanato tutti, è colpa dell’anoressia, però poiché l’anoressia c’è noi abbiamo il controllo, quindi si rimane in stallo.
Se sportivamente rendiamo poco e perdiamo gare su gare, è colpa dell’anoressia, però poiché l’anoressia c’è noi abbiamo il controllo, quindi si rimane in stallo.
Se ci sentiamo insicure ed inadeguate nelle situazioni sociali, è colpa dell’anoressia, però poiché l’anoressia c’è noi abbiamo il controllo, quindi si rimane in stallo.
Se non siamo sicure di riuscire a combinare qualcosa di buono nella vita, è colpa dell’anoressia, e quando saremo riuscite a mettere l’anoressia da parte ci riusciremo senz’altro, però poiché l’anoressia c’è noi abbiamo il controllo, quindi si rimane in stallo.

Avete capito dove sta il gap? È un circolo vizioso, un cane che si morde la coda, una contraddizione in termini… un paradosso. Voi potete anche pensare che il dimagrimento sia la soluzione ai vostri problemi, ma non sarà così. Il non aver perso TOT chili non può essere una scusa per non vivere la vita e non affrontare problemi. Perché è un dato di fatto che, per quanto peso possiate perdere, questo non cambia la persona che siete. Se non avete particolari problemi, state bene con voi stesse, e la vita che state vivendo tutto sommato vi piace, a prescindere dal vostro peso, starete comunque bene.

Ma se non siete soddisfatte della persona che siete, se i problemi vi affogano, se quello che state facendo nella vostra vita non vi piace, la perdita di peso non cambierà niente di tutto ciò. Non vi rinnoverà la vita. Se state di merda continuerete a sentirvi di merda, a prescindere dalla taglia che indosserete. Forse vi illudete che una significativa perdita di peso possa risolvere tutti i vostri problemi, ma in realtà ve ne creerà solo uno ulteriore. Quelle parti della vostra personalità che non vi piacciono, le vostre insicurezze e difficoltà, e quelle problematiche che avete nella vostra quotidianità, rimarranno sempre dove sono, fino a che non vi deciderete ad affrontarle di petto – l’unica cosa che cambierà è che dovrete affrontare quelle stesse problematiche con un corpo malsano e con una mente non lucida, rendendo il tutto significativamente più duro e difficile.

Dunque, le domande che dovete porre a voi stesse sono: quali sono i vostri veri problemi, le cose che non vi piacciono nella vostra vita, e che vorreste cambiare? Cosa vi aspettate che cambi realmente quando avrete soltanto perso peso, senza affrontare nessuna di quelle problematiche? Credete seriamente che perdere peso rappresenti una panacea? Cosa potreste fare per cambiare davvero le cose che volete che cambino nella vostra vita?

Lasciate perdere una malattia che dite di desiderare solo perchè non la conoscete, e il tempo che sprecate su determinati blog impegatelo per affrontare con una psicoterapia le vere problematiche che vi affliggono, perchè di certo qualcosa che nella vostra vita non va c'è, di certo state soffrendo e siete in difficoltà, se arrivate al punto di desiderare un qualcosa di devastante come l'anoressia.

Tutto il mio affetto,

Veggie

venerdì 31 ottobre 2014

La ricetta della positività

Essere positivi è un’arte.” (cit.) dice qualcuno. Io invece credo che la positività, un’arma estremamente importante quando si decide di combattere contro l’anoressia, non sia un qualcosa che cade dal cielo, e che viceversa sia necessario imparare ad essere positive. A volte, guardandosi intorno, può sembrare che ci siano delle persone che sono spontaneamente dei veri e propri artisti della positività, sanno affrontare tutte le sfide con un sorriso, e rendono la loro vita serena, ottimistica, e persino un po’ magica. Sono le persone di cui tutti vorrebbero circondarsi, che emanano una luce che attira gli altri come falene, che rappresentano una fonte di ispirazione. Magari in questo momento avete vicino a voi qualche persona del genere, e gli volete bene, e siete curiose di capire come riescono a vivere la loro vita, e forse talvolta cercate anche di essere come loro.

Bè, io credo che la positività sia un gioco aperto a tutti. Non è riservato ad un ristretto manipolo di persone, anzi, io penso che la tela per l’arte della positività sia rappresentata dal mondo intero, e che dunque chiunque possa fruirne, a maggior ragione se si sta cercando di tenere testa all’anoressia. Per trovare la positività occorre cominciare a cercare dentro di noi, per poi portare quello che troviamo verso l’esterno… e ci accorgeremmo che, in realtà, non è esattamente un gioco da ragazzi. Io credo che la positività sia come una ricetta che contempla:

Un pizzico di elasticità mentale 
Una manciata di fiducia in se stesse 
Un bel po’ di auto-ironia 
Una goccia di accettazione 
Un sacco di occhi nuovi con cui guardare le stesse cose 
Un cucchiaio di determinazione 
Gratitudine q.b. 

Quando si segue la ricetta della felicità, si produce una monoporzione: cibo per noi stesse, e solo per noi stesse. Ma se si tiene fede al programma dell’intero pasto, possiamo essere in grado di alimentare anche gli altri.

Splittiamo dunque la ricetta nei suoi singoli ingredienti.

Un pizzico di elasticità mentale” è il primo ingrediente perché senza di esso finiremmo inevitabilmente per essere giudicanti, o comunque prive di empatia. Anche se l’elasticità mentale può sembrare non correlata alla positività necessaria per combattere l’anoressia, io credo che sia uno dei componenti-chiave. Ritengo sia impossibile avere una visione positiva del mondo e delle persone che ci circondano senza quel pizzico di elasticità mentale. Pensate a chi non ha vissuto un DCA sulla propria pelle: guardandoci potrebbe pensare che siamo solo delle ragazzine superficiali che vogliono dimagrire per fare le modelle. Una visione di questo tipo, rigidamente aggrappata a falsi stereotipi, senza il benché minimo accenno di elasticità mentale, fa sì che le persone saltino a conclusioni affrettate, e che se la prendano con noi senza neanche un briciolo di positività. Possono riversarci addosso miriadi di falsi luoghi comuni sull’anoressia, fare commenti inappropriati, scaricare su di noi la loro frustrazione di fronte a un qualcosa che non capiscono… e di tutto ciò ne risentiamo negativamente anche noi, che accumuliamo rabbia e sentimenti negativi verso chi si comporta così.

Però, metteteci dentro un pizzico di elasticità mentale, e vedrete quando meno influente sarà sul vostro umore l’opinione che la gente ha sui DCA, e i commenti che ricevete. Se vi fermate a mettere in atto l’elasticità mentale necessaria per pensarci, infatti, vi renderete conto che chi dice cose del genere parla per cliché, non ha alcuna esperienza diretta e dunque, in sostanza, non sa cosa sta dicendo. E chi parla per sentito dire, necessariamente è di una superficialità estrema. Per cui, quanto può buttarvi davvero giù il commento di una persona che parla perché ha la bocca, ma non sa niente? E lo stesso vale per la frustrazione altrui. Forse coloro che vi si rivolgono scortesemente e fanno commenti impropri sul vostro DCA stanno vivendo una giornataccia. Magari hanno avuto problemi sul lavoro, o non hanno proprio un lavoro. Magari hanno qualcuno che sta male in famiglia. Magari hanno litigato con un caro amico. Magari hanno perso una competizione sportiva. Magari sono bocciati ad un esame universitario, o hanno preso un brutto voto ad un compito in classe. Queste persone saranno comunque scortesi con voi, e vi faranno dei commenti sgradevoli, ma un pizzico di elasticità mentale cambia VOI, ragazze, non queste persone. Quando c’è l’elasticità mentale di comprendere che dietro ad un luogo comunque che vi viene sbattuto addosso o dietro ad un commento inappropriato c’è superficialità, ignoranza, o problemi personali, si smette di dare tanto peso a determinate parole, e così non si lascia spazio alla negatività che quelle parole potrebbero ingenerare. Rimane la positività. E, se siete fortunate, la vostra positività potrebbe anche trasmettersi alla persona che vi ha giudicate con superficialità.

Una manciata di fiducia in se stesse” è il secondo ingrediente, perché credere nelle proprie capacità è il modo migliore per trovare il coraggio di iniziare a fare le cose, di iniziare a combattere contro l’anoressia, e di proseguire conseguendo pregevoli risultati. La fiducia in se stesse rende l’impasto più forte, perché non importa se nella vita ci si pongono di fronte delle difficoltà: se abbiamo fiducia in noi stesse, possiamo superarle mantenendo la positività. Pensateci: se la fiducia in sé non esistesse nella ricetta, tutte le difficoltà che inevitabilmente si presentano nel corso della vita finirebbero per sommergerci, e la negatività regnerebbe sovrana.

Un bel po’ di auto-ironia” è il terzo ingrediente, perché se non riuscite a sorridere di voi stesse la positività non può attecchire. Gli artisti della positività lo sanno: per loro tutto è divertente. Può essere divertente svegliarsi la mattina e pensare alla giornata che stiamo per affrontare, possiamo trovare il lato divertente in tantissime piccole cose, e il divertimento rappresenta una grade sorgente di positività. La capacità di fare auto-ironia non è un qualcosa di superficiale, ma scava molto a fondo dentro di noi. Ci insegna che la vita non è meramente un gioco cui giocare, ma un regalo da assaporare a fondo.

L’auto-ironia è quello che ci fa sorridere anche quando apparentemente non c’è proprio niente di cui sorridere. La vita non è un qualcosa che va tollerato, è un qualcosa di cui va goduto. Non sarà mai tutto rose e fiori, momenti difficili accadranno e non potremo farci niente, ma l’ironia rimarrà sempre lì, pronta a togliere il pungiglione che sta iniettando veleno. Talvolta dobbiamo solo cercarla. L’ironia, il divertimento non sono semplicemente un qualcosa che si apprezza all’esterno, ma stanno anche dentro di noi. Le cose spiacevoli che ci succedono nella vita possono provocarci una di queste 3 reazioni: sconvolgerci lasciandoci impotenti, affogarci nella negatività e nell’autocommiserazione, o cercare il lato ironico della situazione. Solo coloro che hanno la terza reazione scelgono di mantenere una visione positiva, per cui la positività è un’arte che può risollevare anche nei momenti più difficili – risollevare voi stesse in prima battuta, e magari anche qualcun altro. Citando: “Il domani può arrecare dolore, ma non può rubare la tua gioia”. Si tratta di trovare le rose che crescono dal letame, anche quando quel letame sembra solo merda.

Una goccia di accettazione” è l’ingrediente successivo, e non può essere sostituito. Penso che vada a braccetto con l’auto-ironia, peraltro. Riuscire ad ironizzare su tutto è una gran cosa, in teoria, ma tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare. E, allora, ecco che arriva l’accettazione a giocare la sua parte. Per poter vivere con positività, occorre accettare il fatto che, a differenza di quanto l’anoressia vorrebbe farci credere, non possiamo controllare i tornadi che si abbattono nella nostra vita. Spesso e volentieri, non possiamo neanche prevenirli. Di conseguenza, non possiamo essere preparate ad affrontarli. Accettare che i momenti difficili esistono significa non focalizzarsi sulla loro negatività e cercare ogni risorsa possibile per superarli ed andare avanti. L’accettazione è quel che aiuta ad attraversare il peggio puntando verso il meglio. L’accettazione può essere molto difficile. È una parola correlata alla pazienza, un altro concetto non molto maneggevole.

Accettazione significa che non dobbiamo rimanere impotenti, impantanate nella negatività di una situazione. Non possiamo cambiare il vento, è vero, ma possiamo dirigere le vele. Non possiamo scegliere cosa ci accade nella cita, ma abbiamo tutta la possibilità di scegliere come reagire a ciò che ci accade nella vita. E questo è parte della positività. Possiamo scegliere di rimanere positive alla faccia delle difficoltà, del dolore, della tristezza, ed è molto difficile il farlo – ma se davvero lo vogliamo, abbiamo tutte le capacità per farlo. E le cose andranno veramente meglio, se siamo in grado di scegliere di reagire, e come farlo.

Un sacco di occhi nuovi con cui guardare le stesse cose” continua la lista degli ingredienti. Perché la vita non cambia, però possiamo cambiare noi. Fino a che continueremo a guardare le cose sotto l’ottica malata dell’anoressia, avremo in punto di vista del tutto parziale nonché patologico. Ed è perciò estremamente difficile essere positive quando tutta la nostra vita è condizionata da una malattia. Però, se anche le cose non cambiano, noi possiamo scegliere il punto di vista da cui guardarle, ed influenzare così la visione che abbiamo di esse. Si tratta di imparare a guardare ambo le facce di una stessa medaglia, in maniera tale da potersi focalizzare sull’alternativa più sana e più positiva.

Un cucchiaio di determinazione” è il sesto ingrediente, perché quando si decide di combattere contro l’anoressia è molto importante avere la possibilità di essere seguite da specialisti, psicologi e dietisti, per combattere efficacemente contro la malattia. Ma tutti gli specialisti più quotati del mondo non potranno fare un bel niente per noi, se noi per prime non decidiamo di voler tenere testa all’anoressia. E la decisione di combattere contro l’anoressia è un qualcosa che va rinnovato giorno dopo giorno. Per cui sta a noi decidere se continuare a combattere. E più combattiamo, più ci allontaniamo dall’anoressia, più riscopriamo di poter avere una vita di qualità. E questo indirettamente aumenta la nostra positività, perché vivere sempre più a pieno ci permette di vedere quante cose che valgono sono presenti nella nostra esistenza.

Gratitudine q.b.” è l’ultimo ingrediente della ricetta della positività. Non avremo mai troppa gratitudine, per cui non c’è bisogno di misurarla. Basta mettercela dentro. La gratitudine cambia un sacco la prospettiva. Trasforma i disastri in opportunità, le perdite in guadagni, e i sogni in realtà. Coltivare la gratitudine dovrebbe essere un obiettivo da raggiungere, e quando ci riusciamo è tangibile il modo in cui cambia la vita.

La gratitudine fa la differenza in una prospettiva positiva, è rende più solida la positività. Chiunque avrà eventi spiacevoli nel corso della propria vita, ma l’attitudine alla gratitudine è quello che può tenere lontane dalla negatività. Se vi alzate una mattina, con l’intenzione di prendere la vostra automobile per andare al lavoro/a scuola perché piove stile remake del diluvio universale, e appena arrivate di fronte alla vostra macchina vi accorgete che qualche cretino vi ha rotto uno specchietto laterale, anziché incavolarvi come scimmie, la gratitudine vi permette di vedere l’accaduto sotto un altro punto di vista: “Il cretino che mi ha rotto lo specchietto merita tutte le infamate del mondo… ma, per lo meno, ho comunque un’auto funzionante che mi permetterà di arrivare a lavoro/a scuola senza bagnarmi da capo a piedi”.

Un altro modo per alimentare la gratitudine è non dare mai niente per scontato. Avete parcheggiato l’auto mezza storta nell’unico buchetto di mezzo parcheggio che siete riuscite a trovare? Siate grate del fatto che avete trovato comunque da parcheggiare. Avete un giorno di ferie in pieno Agosto in cui avevate programmato di andare in piscina, e piove con tanto di tuoni e fulmini per tutto il giorno? Siate grate che non dovete lavorare all’aperto con quel maltempo. Vi sembra di non riuscire più a controllare la vostra vita come invece illusoriamente vi sembrava di essere capaci di farlo con l’anoressia? Siate grate per aver recuperato salute psicofisica. Vi siete svegliate anche stamattina? Siate grate per avere di fronte a voi un giorno da riempire con tutti i colori della vita. E questi sono solo dei banali esempi, ovviamente, delle cose che possiamo dare per scontato nella vita di tutti i giorni. Ci dà subito fastidio il naso chiuso quando ci prende il raffreddore, e la febbre quando abbiamo l’influenza, ma forse non ci eravamo ricordate di essere grate quando stavamo bene ed eravamo piene di energia.

La ricetta della positività è relativamente semplice e non necessita di niente che la insaporisca. Non va mai fuori moda, e non perde mai il suo appeal. È una ricetta per una sola persona – ciascuna di voi, singolarmente – che può però anche nutrire chi vi sta intorno. Con la positività diventate luce, e potete illuminare anche qualcun altro. Sì, la positività a suo modo è un’arte… perciò, quando la utilizzate, fate in modo che diventi il vostro capolavoro.

venerdì 24 ottobre 2014

Cosa raccontano le testate giornalistiche

Poiché leggo molto spesso articoli scientifici, una delle cose che trovo più interessanti e rivelatrici è il vedere come testate giornalistiche diverse raccontano la stessa storia. Alcune si limitano a riportare lo studio in questione parola per parola, mentre altre ne danno una rielaborazione. In quest’ultimo caso, ogni testata ha un differente focus, ed enfatizza diverse parti dello studio.

Ma non è di questo che volevo parlare.

Quel che trovo più interessante è il vedere come certi studi scientifici vengono maneggiati e modellati dai mezzi di comunicazione di massa per essere dati in pasto al cittadino medio.
Nella fattispecie, mi riferisco allo studio di Guido Frank, recentemente pubblicato sulla rivista “Neuropsychopharmacology”: Anorexia Nervosa and Obesity are Associated with Opposite Brain Reward Response.

Questo studio è stato oggetto di un sacco di recensioni, tra le quali: 

Brain Reward Systems Of Obese Women Different From Those Of Women With Anorexia: Study (Huffington Post)
Brain Circuits Differ in Women with Anorexia vs. Obesity (PsychCentral)

L’articolo presente sul PsychCentral si apre dicendo: “Perché una persona diventa anoressica e un’altra obesa? Colpa del cervello”. Il problema è che un’affermazione del genere non ha niente a che vedere con l’originario studio. I ricercatori hanno esaminato l’attività cerebrale in donne che erano già anoressiche o obese. Non uno studio pregresso, mi spiego? Nessuno ha monitorato l’attività cerebrale prima che queste donne diventassero anoressiche o obese, e il monitoraggio è avvenuto solo nel corso della condizione già conclamata. È il cervello che causa l’anoressia? È il cervello che causa l’obesità? Ancora non si sa. Le alterazioni mentali possono essere tanto la cause quanto la conseguenza del DCA stesso.

Per non dire come l’affermazione “Colpa del cervello” sia un’enorme semplificazione. Io credo che moltissimi differenti circuiti neurali rendano una persona più o meno predisposta a sviluppare un DCA, e penso che tutto quello (di bello e di brutto) che accade nella vita accresce o riduce questa predisposizione naturale. Il cervello svolge un importantissimo ruolo nello sviluppo dell’anoressia, nessun dubbio su ciò. Svolge un ruolo molto importante rispetto a chi si ammala e perché si ammala. Ma non è il solo ed esclusivo fattore. Quindi incolpate pure il cervello se vi va, ma state certi che c’è anche ben altro.

Quel che l’originario studio afferma è molto più significativo e profondo di ciò che la recensione del PsychCentral racconta. Basilarmente, quel che i ricercatori hanno scoperto è che il cervello di una donna anoressica e quello di una donna obesa rispondono in maniera diversa quando queste bevono acqua zuccherata. La donna anoressica ha un forte incremento del livello cerebrale di dopamina quando beve acqua e zucchero, la donna obesa ha un incremento molto minore, se comparate con il gruppo di controllo (donne normopeso e normoalimentate). Hmmm… bè, che pensarne?!?... Non voglio dire che l’aver scoperto questo non sia importante, ma l’idea che l’anoressia possa essere dovuta ad un’anomalia nella risposta cerebrale all’assunzione di cibo mi sembra, più che scienza, fanta-scienza.

Quel che non mi torna delle conclusioni che trae questo studio è il fatto che, secondo me, il gruppo di controllo non è attendibile. Non potrebbe essere che le donne anoressiche hanno avuto una secrezione di dopamina particolarmente abbondante per il semplice fatto che quando si sono sottoposte al test erano malnutrite? Perché non monitorare queste donne nel tempo, e vedere se la loro secrezione di dopamina si sarebbe normalizzata non appena avessero ricominciato ad alimentarsi normalmente e ripreso almeno un po’ del peso perso? E perché non sono state incluse nello studio anche donne che si considerano “guarite” dall’anoressia, e dicono che non hanno più segni fisici, psicologici, o emozionali del DCA?

Le neuroscienze sono ancora una sorta di campo minato, è difficile fare studi in questo ambito e riportare risultati attendibili e comprovati. Per ogni piccola novità, è facile sensazionalizzare. Ma trovo comunque al contempo affascinante e rivelatore il modo in cui questi studi vengono riportati al cittadino medio. Il titolo del Press Release è molto meno interessante rispetto agli altri, ma il contenuto è più aderente alla realtà dello studio: Brain circuitry is different for women with anorexia and obesity.

Nella parte conclusiva dello studio, ci sono molte più incertezze di quello che le varie testate giornalistiche vogliono far sembrare. “E’ chiaro che nel cervello umano ci sono dei sistemi neuronali che regolano l’introito di cibo” dice Frank. “Il ruolo specifico di queste reti neuronali nei disturbi alimentari come l’anoressia nervosa e, il suo contrario, l’obesità*, rimane tuttavia non chiaro”. (mia traduzione) 

*La mia personale opinione, invece, è che la parola “anoressia” non sia affatto il contrario di “obesità”. Parole come “sottopeso” e “malnutrizione” possono essere, a mio avviso, considerate il contrario di chi giornalmente assume un quantitativo eccessivo di calorie, ma l’obesità in sé non è un DCA. Può essere la conseguenza di un DCA, per esempio di una bulimia senza condotte di eliminazione, o di un binge eating disorder, ma di per sé l’obesità non è un DCA. I due gruppi confrontati, secondo me, quindi, non erano proprio idonei allo studio.

venerdì 17 ottobre 2014

Diagnosi di DCA nelle giovanissime: è davvero così terribile?

È difficile ignorare la nuova moda ultimamente lanciata dai Mass Media: i DCA che colpiscono le giovanissime, bambine che frequentano ancora le scuole elementari. Le storie che vengono raccontante s’incentrano spesso sul crescente numero di bambine (generalmente pre-adolescenti) che si presentano all’osservazione medica con un disturbo alimentare. Questi articoli/servizi televisivi consistono per lo più in asserzioni strappalacrime di quanto la situazione sia terribile, senza ovviamente trascurare il classico cliché dell’incolpare il mondo della moda e dello spettacolo per la crescente esposizione delle bambine ad immagini di modelle/attrici/cantanti magrissime.

Prendete, per esempio, QUESTO.

Alcune delle affermazioni ivi contenute recitano:

“Solo nell’ultimo anno, 42 bambine sotto i 10 anni sono state portate in ospedale e ricoverate.” 

“Sconvolgentemente nuove statistiche rivelano che la “diagnosi primaria” era DCA.” 

“Molti enti ritengono che i social media siano una delle maggiori cause, con molte giovani vittime della malattia che pubblicano selfie dei loro corpi emaciati su Twitter.” 
(mia traduzione) 

Bene, prima di rabbrividire di fronte a queste frasi roboanti, facciamo innanzitutto un attimo mente locale su quella che è la fonte di tali affermazioni: un giornale on-line in cerca di lettori. Secondariamente: dov’è la ricerca scientifica su cui si basano le affermazioni fatte dall’articolo in questione? In terzo luogo: cosa succederebbe se una maggiore attenzione nel diagnosticare i DCA anche nelle bambine non fosse una notizia così terribile come i Mass Media vorrebbero far credere?

Okay, non fraintendetemi: per me è orribile quando vengo a sapere che una qualsiasi persona si è ammalata di DCA. Proprio perché, avendolo vissuto sulla mia pelle, so quanto un DCA sia devastante. Per cui, non sto assolutamente dicendo che un DCA a qualsiasi età, inclusa l’infanzia, sia una cosa positiva. Proprio per niente. Detto questo, ciò che sappiamo è che:

Tanto più precoce è la diagnosi di DCA, tanto minore è la durata della fase acuta della malattia, e tanto più precoce è l’intervento sia sul piano psichico che su quello alimentare, tanto più facile è allontanarsi dal DCA stesso. [Fonte]

Per molti anni i medici hanno ritenuto che i DCA fossero “roba da adolescenti”. Se ci pensate, è anche un luogo comune piuttosto diffuso quello dell’adolescente malata di anoressia: sei non sei un’adolescente, non puoi avere un DCA. Quest’asserzione è, ovviamente, del tutto sbagliata. È sbagliata perchè non prende in considerazione il fatto che chi si ammala di DCA durante l’adolescenza può trascinarsi dietro brandelli più o meno ampi di malattia anche crescendo, e questo fa sì che le donne adulte malate abbiano maggiori difficoltà a veder riconosciuta la loro patologia e a chiedere e a ricevere aiuto, e allo stesso tempo incide negativamente sulle bambine e sulle pre-adolescenti che vengono considerate “troppo giovani per avere una malattia del genere”.

Pertanto, bambine malate di anoressia/bulimia possono non ricevere un’opportuna diagnosi, e non essere trattate adeguatamente. Se questo succede, quando diventano delle adolescenti, il loro DCA è ancora presente. Per cui, se anche poteva esserci, una diagnosi precoce è venuta meno. E questo fa sì che queste persone abbiano poi maggiori difficoltà nel percorrere la strada del ricovero. Per cui, se ad oggi i DCA vengono riconosciuti, diagnosticati e rapidamente trattati anche nelle giovanissime, non è forse una buona cosa?

Inoltre, sebbene certi articoli vogliano dare a credere che i DCA compaiono nelle bambine prima di quanto non sia mai successo sinora, in realtà non sono stati condotti dei veri e propri studi scientifici al riguardo, per cui non lo sappiamo per certo. Sappiamo solo che a più bambine viene diagnosticato un DCA, ma questo non significa che, in assoluto, ci siano più bambine malate di DCA, significa solo che i DCA vengono diagnosticati con più frequenza.

Invece di considerare l’incremento delle diagnosi di DCA nelle bambine universalmente come una Cosa Negativa, guardiamo al fatto che non è una cosa negativa come potrebbe sembrare a primo acchito, perché significa che più bambine ricevono aiuto psichico ed alimentare proprio nel momento in cui in DCA esordisce, e dunque nel momento più opportuno per avere maggiori possibilità di successo terapeutico. Questo non lo dico solo io, ma viene affermato anche da alcuni ricercatori, Dominique Meilleur ed i suoi colleghi. che hanno recentemente presentato il progetto della loro ricerca ad una conferenza che si è tenuta a Vancouver (Canada).

Nella loro ricerca, hanno creato dei dettagliati profili biologici, psicologici e sociali di 215 bambine/i di età compresa tra gli 8 e i 12 anni (campione piccolo, è vero, ma per lo meno è un inizio...) che hanno presentato dei “problemi alimentari” senza una specifica malattia fisica che li inducesse. I ricercatori hanno trovato che:

• Il 95% di queste/i bambine/i avevano dei comportamenti alimentari restrittivi
• Il 69,4% era a disagio con il proprio corpo
• Il 46,6% riteneva di essere sovrappeso
• Il 15,5% si induceva il vomito occasionalmente
• Il 13,3% metteva in atto dei veri e propri comportamenti bulimici

Nello studio in questione Meilleur afferma:

“Questi risultati sono molto sconcertanti, ma possono aiutare i medici a fare diagnosi precoce nel momento in cui prendano in considerazione questi aspetti. […] Molti medici ritengono che la bulimia sia una malattia che compare solo durante l’adolescenza, ma il nostro studio indica che il problema può comparire anche prima. […] E’ perciò possibile che i DCA siano attualmente sotto-diagnosticati per carenza di consapevolezze e di competenze.”
(mia traduzione) 

Non solo, lo studio in questione mostra anche che i DCA non sono una prerogativa femminile. Sostiene Meilleur:

“Le profonde similitudini tra bambini e bambine nell’infanzia supporta, a nostro avviso, l’ipotesi che fattori comuni sia fisici che psichici presenti, insieme ovviamente a molte altre concause, nel periodo dello sviluppo, possano favorire la comparsa di DCA in ambo i sessi.” 
(mia traduzione)

Io ritengo, molto semplicemente, che ricevere aiuto iniziando un percorso di ricovero sia millemila volte meglio che soffrire in silenzio. Certo, il considerare che anche i giovanissimi possano soffrire di DCA può inizialmente scombinare statistiche e conoscenze, e può far sembrare la situazione più complicata e tragica di prima. Ma se la consapevolezza che anche le bambine si ammalano di DCA significa diagnosi precoce e dunque trattamento più precoce, allora io la ritengo una cosa positiva.

venerdì 10 ottobre 2014

Le nostre infographic (1)

Chiedo venia per l’attesa, ragazze, ma finalmente sono riuscita a rimettere insieme tutti i frammenti che mi avete inviato e chiesto di realizzare… E dunque ecco a voi quello che spero possa essere solo il primo di una (lunga) serie di post costituito dalle infographic da noi realizzate. (click su ogni immagine per ingrandirla

Apriamo le danze con l’infographic di Raffa, che illustra cosa veramente significa vivere prima-durante-dopo un DCA.
Quindi Wolfie, che parla di psicoterapia… sotto 2 diversi punti di vista.
È il turno di Vale, che contrappone le bugie che il DCA ci racconta alle nostre verità.
Il testimone passa poi alle bellissime infographic realizzate da Christiane.
A questo punto arriva Charlie, che ci fa vedere un confronto diretto tra vita con e senza DCA, ad ogni età.
E ora la simpaticissima infographic di Stella, che ci mostra la verità sul percorrere la strada del ricovero.
Ovviamente anch’io mi sono data da fare per realizzare le infographic che mi avevate richiesto, e dunque ecco la prima, che mi è stata richiesta sia da Connie che da Raffa, relativa alle attività alternative, ovvero alle strategie di coping che possiamo mettere in atto quando si combatte contro un DCA. Ho voluto illustrare, per ogni strategia, i suoi pro e i suoi contro affinché ognuna di noi possa scegliere l’attività più giusta per il momento che sta vivendo, soppesandone pregi e difetti. (Scontato a dirsi, ma comunque: queste sono solo strategie di auto-aiuto… NON sostituiscono in alcun modo la psicoterapia!)
Quest’altra mi è stata invece richiesta da Lexie, che mi aveva proposto di realizzare un’infographic per “chi non si sente abbastanza malata per chiedere aiuto”.
Infine, chiude questa prima serie l’infographic che mi è stata suggerita da Jonny, che ha come destinatarie le ragazze che tengono blog pro ana/mia. (L’ho dovuta spezzare in 3 per ragioni di spazio, ma le tre colonnine sono da considerarsi come se fossero tutt’uno, e da leggersi una in fina all’altra.) Jonny, forse non è esattamente quel che tu avevi in mente, ma spero che il risultato possa essere ugualmente efficace!
Bè, ragazze, spero che queste infographic vi piacciano e vi sembrino efficaci. Cosa ne pensate? Fatemelo sapere nei commenti, se vi va!

P.S.= Continuate ad inviarmi le vostre infographic o a suggerirmi idee per realizzarne di nuove: non appena ne avrò raccolte altre, realizzerò un nuovo post condividendole!  

P.P.S.= Dalla seconda infographic di Christiane vorrei trarne un video, ma ho bisogno della vostra collaborazione. Vi chiedo pertanto di rispondere (nei commenti o via email – veggie.any@gmail.com – come preferite) a questa domanda: qual è la cosa che più vi aiuta nella vostra quotidianità a combattere contro l’anoressa/la bulimia/il DCAnas? Niente risposte filosofiche, solo cose semplici e concrete, che io possa inserire nel video. Esempio banale: la cosa che più mi aiuta è giocare a calcio. Se poi trovate un’immagine che rappresenta la vostra risposta (nell’esempio citato, un pallone da calcio), inviatemela tramite email, affinché io possa raccoglierle tutte ed inserirle nel video, che conterrà tutto ciò che ci aiuta quotidianamente a combattere contro l’anoressia e a ricostruire una vita fuori dall’ombra della malattia.
 
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