Come gli alchimisti trasformavano il ferro in oro… voi potete trasformare l’oscurità in luce. Siete tutte benvenute.

venerdì 28 ottobre 2011

Faking it or making it?

Non siete mai sole nella lotta contro l’anoressia. Io sto combattendo insieme a voi.

Percorro la strada del ricovero, ma certi giorni è talmente difficile che non so nemmeno dove sto andando. L’anoressia ha riempito così tanti anni della mia vita, mi ha rubato così tante cose, è stata l’unica cosa che mi ha definita, rassicurata e resa felice, che a volte temo di abbandonare questa strada e fare inversione di marcia. Non sono sempre motivata e convinta al 100% che la scelta del ricovero sia quella giusta… so soltanto che quella dell’anoressia è la scelta sbagliata.

Scegliere la strada del ricovero è decidere di darsi una possibilità. In fin dei conti, provate a pensare che non avete nulla da perdere nel fare un tentativo. Non è molto, lo so, ma è abbastanza. Dovete solo trovare una ragione per intraprendere questo percorso, e rinnovare giorno dopo giorno la vostra motivazione.

La strada del ricovero è in salita: dura e difficile. Chiunque vi dica il contrario vi sta mentendo. Ma, come si suol dire, “Fake it until you make it!”. (Che, tra l’altro, è la new entry tra le frasi scritte sui Post-It che ho applicato sull’armadio della mia camera). In altre parole, capiterà inevitabilmente di cadere. Bene, quello che dobbiamo fare è rialzarci dopo ogni caduta, e ripartire, riprovare, continuare a camminare fino a meta. Osare ricominciare a sognare. E sarete stupite nel vedere come il rialzarsi dopo ogni caduta fa aumentare il coraggio, la forza e la speranza.

FAKE IT UNTIL YOU MAKE IT!
(Giusto per tenerlo ben presente)

E arriverà il giorno in cui non avrete più bisogno di rialzarvi, perché sarete abbastanza salde sulle vostre gambe da non cadere più.

Non preoccupatevi per eventuali ricadute, e soprattutto non deprimetevi, non sentitevi delle fallite, non rimproveratevi se ce ne sono: sono assolutamente naturali nel percorso del ricovero. Tenete solo a mente che non c’è ricaduta così terribile da non potersi rialzare. Che avete tutta la forza per potervi rialzare. E che se state percorrendo la strada del ricovero, qualsiasi siano i vostri tempi o il numero delle vostre ricadute, state andando BENE.

FAKE IT UNTIL YOU MAKE IT!
(Ripetere e ripetere e ripetere)

E un giorno ce la farete. Perché quando avete capito questo, avete capito tutto: la ricaduta è parte integrante e fondamentale del percorso di ricovero. Serve per imparare a non ripetere gli stessi errori. Un giorno vi guarderete indietro, e rimarrete meravigliate di quanta strada avrete percorso tra uno scivolone e l’altro.

FAKE IT UNTIL YOU MAKE IT!!!

venerdì 21 ottobre 2011

"Running far away from anorexia"

Questa è una poesia che ho scritto qualche anno fa, quando per la prima volta ho deciso d’impegnarmi seriamente a percorrere la strada del ricovero, facendolo per me stessa e per nessun altro. Spero che le mie parole possano significare qualcosa anche per noi, che vi prendano per mano e vi accompagnino durante il vostro percorso di ricovero.

RUNNING FAR AWAY FROM ANOREXIA

Making the run.
I’m breaking out of here
I refuse to let myself disappear
So sick of your words and promises
They never got me anywhere.
I guess it’s time for me to run away from here
You thought you had me in your control
But I refuse to loose it all
I’m jumping in
Just watch me, watch me.
In life I have one chance to find
The one thing I don’t want to miss
I can’t wait no more
So here I go…
I refuse to relapse fully
Even if I have to fight for the rest of my life
And – yes – your power terrifies me
But you won’t take me back
I can’t take it anymore
I don’t want to be dead, but breathing
For once I want to be good enough for myself.
You make me fall apart
Yet I crawl back to you
So sick of playing the game I will never win
So sick of it, I’m off to find
A way to bring you down.
I make for it
I’m gone, I’m going
I’m so over you
I’ll no longer do what you tell me to.
And I won’t look back because I know
If I do I won’t make it.
No matter how hard you make it
I’m going to get my life back
I won’t look back no more
And I will find myself.


[Decidere di correre./Sto rompendo questo circolo vizioso/mi rifiuto di scomparire/sono stanca delle tue parole e delle tue promesse/non mi portano da nessuna parte./Penso che sia arrivato per me il momento di correre via da te/pensavi di tenermi sotto controllo/ma io rifiuto di perdere il mio controllo/sto saltando via/guardami, guardami/In questa vita ho solo un possibilità di trovare/l’unica cosa che non voglio perdere/non posso più aspettare/perciò, adesso parto…/Mi rifiuto di ricaderci/anche se dovrò combattere per il resto della mia vita/e – sì – il tuo potere mi terrorizza/ma non mi riavrai/non posso più averti/non voglio morire dentro, ma respirare/per una volta voglio andare bene per me stessa./Mi hai fatto andare in pezzi/eppure già mi sento nuovamente attratta da te/ma sono stanca di giocare al gioco che non vinco mai/stanca, adesso sto cercando/un modo per avere la meglio su di te./Ce la farò/sono andata, sto andando/ti supererò/non farò più quel che mi dici di fare./E non voglio voltarmi indietro perché so/che se lo facessi non riuscirei a combatterti./Non m’importa quanto sarà dura/mi riprenderò la mia vita/non mi guarderò indietro/e troverò la vera me stessa.]

venerdì 14 ottobre 2011

Il coraggio di sorridere

Ci vuole coraggio per sorridere. Soprattutto quando siamo preda dell’anoressia, momento in cui ci si dimentica cosa sorridere significhi veramente, e ci si appiccica sulle labbra un qualcosa di artificioso che s’incolla e non vuole più andarsene.

Tornare a sorridere veramente non è un passo semplice. Sembra impossibile distaccarsi da quel sorriso falso che funge da barriera contro il resto del mondo, un mondo che non ha vissuto un DCA in prima persona e che quindi non può capire, un mondo contro cui bisogna proteggersi mediante un sorriso di circostanza.

Come possiamo riappropriarci del nostro vero sorriso? Possiamo iniziare cercando, giorno dopo giorno, anche solo una piccola cosa ma che ci renda felici per noi stesse, senza che gli altri neanche lo sappiano, e per la quale sentiamo che vale la pena di sorridere. Magari adesso vi sembra impossibile, ma io sono certa che ognuna di voi ha ancora solo una minuscola cosa che la fa essere veramente felice, che le dà una ragione per andare avanti giorno dopo giorno.

Quando si è nel pieno dell’anoressia e si sorride falsamente ripetendo agli altri che “va tutto bene”, sembra che loro credano in questa bugia e non indagano oltre. Sembra che ritengano reale il nostro sorriso artificioso. E questo, lo so, questa loro cecità fa veramente arrabbiare. Ma io lo so che molto spesso dietro ai vostri sorrisi ci sono le lacrime. Lo so che spesso il vostro sorriso è una diga che serve ad arginare il vostro dolore. Sappiate che questo vostro dolore non è inespresso: io lo sento, perché l’ho vissuto e lo vivo in prima persona. E sappiate anche che se oggi riuscirete a sorridere, anche solo per un attimo, ma unicamente per voi stesse, io sarò fiera di voi.

So quant’è difficile sorridere davvero per il semplice fatto che anch’io sto combattendo questa battaglia contro l’anoressia giorno dopo giorno insieme a voi. Perciò, se state ricercando un sorriso sincero, sappiate che vi ammiro per la vostra tenacia, la vostra perseveranza e la vostra forza. Avete un coraggio incredibile. E lo so perché per combattere contro l’anoressia giorno dopo giorno ce ne vuole. Questo stesso coraggio potete utilizzarlo anche per riscoprire il piacere di un sorriso sincero.

Forse chi non ha mai vissuto un DCA non si accorgerà mai di questo vostro enorme coraggio, ma io lo vedo ogni giorno. E sapere che, anche se a distanza, ci sono tante ragazze che stanno combattendo la mia stessa battaglia contro l’anoressia e stanno cercando di sorridere veramente, mi fa sentire più forte e rende meno dura la giornata, perché mi fa sentire che non sono l’unica a cercare di fare qualcosa che sembra essere impossibile.

Perciò, se oggi non riuscite a trovare un sorriso sincero e vi sentite costrette ad indossare la maschera di falsa compiacenza indotta dal vostro DCA, continuate comunque a cercare nella vostra vita quelle piccole cose che possano strapparvi un vero sorriso. Perché non siete sole. Perché siamo in tante a provarci. Il vostro sorriso può essere reale, nonostante le avversità chela vita ci ha posto, ci pone e ci porrà di fronte. Il vostro sorriso può essere genuino. Voi potete riuscirci.

Sorridete… il sorriso è il vostro vestito perfetto: non ha taglia, e vi calza meravigliosamente.

venerdì 7 ottobre 2011

Analysis Paralysis

Qualche giorno fa, all’Università, io ed i miei colleghi del 5° anno di Medicina, abbiamo avuto una lezione molto interessante.

La parte più interessante di detta lezione è stata quella indicata come “Chi è Chi nel Cervello?”, che si occupava di spiegarci quali siano le malfunzioni cui va incontro la rete neurale nel momento in cui una persona sviluppa un disturbo ossessivo-compulsivo… e, come tutte voi già saprete, anche l’anoressia e la bulimia rientrano nella famiglia dei DOC. Ora, cercare di riassumere il contenuto della lezione, soprattutto considerato che molte di voi non hanno conoscenze di Medicina, sarebbe assurdo e vi farebbe immediatamente smettere di leggere questo post. Tuttavia, voglio provare ad illustrarvi in modo semplice la parte interattiva della lezione, che ritengo sia stata tra l’altro la più interessante. (Chiedo scusa ad eventuali medici e studenti di Medicina che leggono questo blog per l’estrema semplificazione ed approssimazione di ciò che segue… vorrei però che fosse comprensibile a tutti). Fondamentalmente, i 2 professori che tenevano la lezione ci hanno divisi in gruppi, e ad ognuno di questi gruppi è stato assegnato il ruolo di un gruppo neuronale: dal nucleo accumbens (il centro del piacere) alla corteccia prefrontale (CPF, il centro “esecutivo”, ovvero la parte del cervello deputata a prendere decisioni).

Il compito che ci hanno assegnato era quello di provare a decidere dove incontrarci per andare a pranzare. Ogni gruppo doveva comportarsi come la parte del cervello che gli era stata assegnata (io appartenevo al gruppo dei gangli basali, che sono coinvolti nel movimento/esercizio fisico, precisione, e anche le malfunzioni che vengono fuori durante un DOC… un ruolo che mi calzava a pennello, insomma…) nel decidere dove incontrarci per andare a pranzare. In quanto ganglio basale, dunque, io dovevo conoscere alla perfezione quando e dove incontrarci – come se avessi avuto un GPS che mi dava le coordinate – le persone presenti, e quanto si sarebbe dovuto spendere. Un po’ nevrotico, se vogliamo, ma ero determinata ad acquisire tutte queste informazioni con un buon margine di anticipo.

I membri degli altri gruppi hanno aggiunto i loro feedback, il gruppo dell’insula ha riferito tutti i nostri messaggi al gruppo della corteccia prefrontale, che ha preso la decisione finale: ci saremo incontrati tutti quanti davanti al Bar del Cubo alle 12.50 per prendere un panino e qualcosa da bere. Ta-dah! Decisione presa.

Adesso dovevamo ripetere il tutto fingendo di essere un cervello malfunzionante a causa della presenza di un DOC. “Casualmente” ho proposto di utilizzare come DOC di riferimento l’anoressia, e quindi abbiamo iniziato a fingere di essere i gruppi neuronali del cervello di una ragazza anoressica. In quanto ganglio basale, non sono riuscita a trovare il bar “perfetto” o la compagnia “perfetta”, né ad essere sicura che gli altri membri del mio gruppo sarebbero stati d’accordo. La corteccia prefrontale, anch’essa malfunzionante, non ha fatto altro che non prendere alcuna decisione, e quindi lasciare che tra le altre parti del cervello (gli altri gruppi) regnasse l’anarchia. L’insula ha semplicemente smesso di trasmettere i vari messaggi, cosicché le altre parti del cervello non potevano comunicare tra loro senza la sua mediazione.

La nostra decisione?

Saltare il pranzo. In tutta la stanza, i vari gruppi hanno elaborato lo stesso verdetto: nessun pranzo. Se il cervello non funziona bene a causa della presenza di un DOC e le varie parti del cervello non sono in grado di comunicare adeguatamente tra loro, prendere una decisione diventa estremamente complicato, perciò semplicemente le reti neuronali vanno in stand-by, e di default il cervello “sceglie” di non mangiare.

Il mio gruppo ha deciso che, durante la pausa pranzo, saremmo andati a provarci con l’infermiera (l’avevamo presa sullo scherzoso in quel momento – e l’abbiamo trovato estremamente divertente, anche se non molto professionale, in effetti). Un altro gruppo ha deciso di impiegare la pausa pranzo andando in palestra. La maggior parte degli altri gruppi ha deciso di tornare a casa e di evitare il contatto con altre persone rimanendo chiusi nella propria stanza a leggere o a guardare la TV, o comunque isolandosi dal resto del mondo.

Vi suona familiare?

I nostri 2 professori che tenevano la lezione hanno definito questa situazione – un infinito vociare delle varie parti del cervello mentre la corteccia frontale se ne lavava le mani e l’insula scrollava le spalle – come “analysis paralysis”. Questa definizione la potete trovare anche su Wikipedia:

"Over-analyzing (or over-thinking) a situation, so that a decision or action is never taken, in effect paralyzing the outcome. A decision can be treated as over-complicated, with too many detailed options, so that a choice is never made, rather than try something and change if a major problem arises. A person might be seeking the optimal or "perfect" solution upfront, and fear making any decision which could lead to erroneous results, when on the way to a better solution."

[Analizzare eccessivamente (o pensare eccessivamente, arrovellarsi eccessivamente) una situazione, perciò, alla fine, nessuna decisione o azione viene compiuta, paralizzando ogni possibile risultato. Una decisione che viene percepita come estremamente complicata da prendere, con troppi dettagli o troppe opzioni, non viene in effetti semplicemente mai presa, anziché fare un tentativo e cambiarla qualora dovesse sorgere un problema maggiore. La persona può anche essere in grado di trovare la soluzione “perfetta” da raggiungere, ed essere perciò assalito dalla paura di prendere una decisione che possa portare a risultati erronei, cercando di raggiungere una soluzione migliore.](traduzione mia)

Decidere dove andare a pranzare sembra una decisione abbastanza facile da prendere. Non è certo come decidere dove traslocare, se cambiare lavoro, o quale investimento fare sui titoli azionari. È semplicemente un pranzo. Tuttavia, la procedura neurale che porta a prendere anche questa decisione, che pure avviene in maniera estremamente rapida, è comunque molto complessa. Se le varie parti del cervello non sono in grado di comunicare correttamente tra loro – se l’insula non lavora adeguatamente e non permette questa comunicazione – il cervello si blocca anche sulle decisioni più semplici, diventa incapace di prenderle, un po’ come quando su un CD c’è una pista rovinata e la canzone si “incanta” e non va più avanti.

È ad oggi noto che l’insula è malfunzionante in chi è anoressica. La restrizione alimentare, tra le altre cose, riduce anche il flusso ematico al cervello, il che a sua volta comporta la riduzione della funzionalità di numerose altre aree cerebrali. Ovvio che, pertanto, anche la più semplice decisione paralizza il cervello che dà la sua risposta di default: NO. Ho già magiato. Non ho fame. Ho da fare. No, grazie. Meglio di no. No. No. No.

È il nostro modo per evitare di andare incontro ad una analysis paralysis. “Il nostro cervello”, ha detto uno dei professori, “è un po’ come una lezione frontale qui all’Università. Un sacco di domande, necessita di andare avanti e indietro con le spiegazioni, e se non ci fosse un insegnante competente che tiene le redini del tutto, non arriveremmo alla fine di una singola lezione”. Ecco, lo stesso vale per l’anoressia: se l’insula non lavora bene, tutto il cervello ne risente, e si va inevitabilmente incontro ad una situazione di analysis paralysis.

La soluzione che in una situazione di questo tipo può essere fornita dall’esterno – dai genitori, dagli amici, dai medici, dai dietisti, dagli psicoterapeuti – è che queste persone si comportino come l’insula e la corteccia prefrontale di chi, avendo un DCA, non riesce a far funzionare correttamente I propri. Per esempio, per chi ha un DCA, anche se decide d’intraprendere un percorso di ricovero, è estremamente difficile decidere quando e cosa mangiare, per questo è importante l’aiuto di un dietista/nutrizionista che dia un “equilibrio alimentare” che “scelga” al posto nostro come gestire l’alimentazione. Poi, gradualmente, recuperando il peso perso, il cervello riesce a riacquisire una funzionalità tale da riconquistare un’autonomia decisionale, ed essere capaci di prendere facilmente decisioni da sole è uno dei segnali più importanti che ci dice che stiamo davvero percorrendo la strada del ricovero.
 
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