Come gli alchimisti trasformavano il ferro in oro… voi potete trasformare l’oscurità in luce. Siete tutte benvenute.

venerdì 31 ottobre 2008

Halloween

Ed ecco che siamo arrivate anche alla fine di Ottobre… 31 Ottobre, per la precisione, festa di Halloween.

Una festa che, con un moto di tristezza, non può che farmi ripensare ad alcuni aspetti dei DCA, a partire dalla frase che i bambini che passano di porta in porta ripetono abitualmente: “Dolcetto o scherzetto?”. E non posso perciò fare a meno di pensare a quanto per noi questa frase sia ironica e beffarda. Pensateci… Quante volte ci siamo negate il dolcetto a favore delle scherzetto? Quanti dolcetti nascosti, poi buttati, o vomitati? Quanti crudeli scherzi ci siamo giocate per impedirci di assaporare quel dolcetto? Non si contano… Quel dolcetto che, chissà, magari in fin dei conti avremmo anche desiderato, ma che le assurde regole aiuto-imposte dall’anoressia ci hanno impedito di gustare.

E non solo dolcetti nel senso materiale del termine, ma anche in senso metaforico: chiudendoci dentro la prigione dell’anoressia ci siamo private tante gioie che ci sarebbero spettate di diritto, come sarebbero spettate ad ogni qualsiasi ragazza della nostra età.

Ed abbiamo continuato a prenderci in giorno, a giocarci scherzi, ad impedirci di vedere la realtà… forse perché ci faceva paura, forse perché non ci offriva i solidi appigli che l’anoressia, nella sua meccanica ripetitiva, seppur distruttiva, sembrava essere in grado di donarci.

Ma, ragazze, quelli non sono appigli: quelle sono catene. Le catene ancorano, certo, ma allo stesso tempo bloccano. Impediscono ogni qualsiasi movimento. Nella pretesa di controllare che non accada “niente di male”, paradossalmente facciamo in modo anche che non accada niente di bene.

Così, le maschere che i bambini si divertono ad indossare solo per questa sera, diventano le maschere che noi indossiamo giorno dopo giorno ogni mattina appena ci svegliamo. Perché con l’anoressia si mette su una maschera, l’unica che sentiamo può farci attraversare senza inconvenienti un’altra giornata, e non diamo ascolto a come ci sentiamo veramente. Oh, lo so, indossare una maschera può fornire una grande protezione e una grande rassicurazione. La maschera permette di vedere senza essere viste, e soprattutto di far vedere agli altri solo quello che noi decidiamo di mostrare. La maschera è un grande strumento di protezione. Solo che noi ci siamo legate così saldamente a questa maschera, che staccarsene diventa sempre più difficile. Certo, se indossi una maschera ti senti sicura perché sai che quella che il mondo vede inconsapevolmente non è la vera te stessa, ma solo l’immagine che tu hai deciso di dare di te stessa. E quindi ogni critica, ogni rimprovero, ogni commento negativo, non ti ferisce veramente perché sai che in realtà è rivolto alla maschera, quindi la vera te stessa non viene realmente ferita da quelle parole. Ed è per questo che togliere la maschera fa tanta paura: perché se sei senza maschera e vieni criticata, giudicata, additata, allora sei proprio tu l’oggetto del disprezzo, e questo fa veramente male. Ma, pensateci: è vero, la maschera protegge dalle negatività della vita… ma, in fin dei conti, vi impedisce di venire a contatto anche con quelli che potrebbero esserne gli aspetti positivi. Perché è ovvio che se indossate una maschera chi vi odia in realtà odia la maschera e quindi questo non vi ferisce… ma, allo stesso tempo, anche chi vi ama allora ama quella maschera… e voi, dove siete finite? Se nessuno può ferirvi, allora è anche vero che nessuno può raggiungervi… neanche una persona che penserebbe tutto il meglio di voi se solo sapesse come siete realmente.

Perché siete tutte bellissime, sensibili e lucenti, con tanto amore e tanto dolore dentro, nonostante tutto con tanta voglia di vivere davvero. Lo so, buttare già quella maschera può essere terrorizzante. Ma provateci una volta, anche solo per cinque minuti. Fatevi ammirare per quello che siete. E il mondo ne rimarrà incantato, ve lo prometto.

Perciò, ragazze, almeno per questo Halloween, fatevelo un regalo: giù la maschera e un dolcetto. Un dolcetto in senso materiale o metaforico, fate voi. Ma concedetevelo. Perché lo meritate, davvero.

P.S.= Dato che avrei un sacco di cosa da fare, mi sono messa a disegnare… E questo “disegno di Halloween” lo dedico a tutte voi… Vi abbraccio forte…

mercoledì 29 ottobre 2008

Qualcosa da fare

Di solito, quando mi sento particolarmente giù, cerco di non piangermi addosso e di fare qualcosa che possa restituirmi il buon umore o per lo meno la forza per stringere i denti ed andare avanti.

Quali sono le cose che vi fanno sentire felici o che comunque vi fanno stare meglio quando siete particolarmente demoralizzate? Provate a farne una lista. Adesso elenco le mie, giusto per darvi un’idea e per aiutarvi a muovere un passo nella giusta direzione…

1 – Disegnare
2 – Leggere (generalmente un manga, o comunque qualcosa di allegro)
3 – Ascoltare la musica delle t.A.T.u. e cantare FORTE insieme a loro
4 – Fare esercizi di karate
5 – Andare a fare un giro in auto (magari in una strada di periferia non trafficata dove si possa premere a fondo l’acceleratore…)
6 – Scrivere su questo blog
Etc…

Provateci. Fate una lista delle 10 cose che vi fanno stare meglio. Poi, quando vi sentite particolarmente depresse e incapaci di reagire, scegliete una di queste cose e FATELA. Pensate a questo come ad un modo di prendervi cura di voi stesse. E fate in modo di poter avere questa lista sempre sotto gli occhi.

Per esempio: attaccate una pin-board sulla parete della vostra camera, e su tanti Post-It di colore differente scrivete le vostre 10 cose che poi appenderete in maniera artistica sulla pin-board stessa. Quando vi sentite giù, chiudete gli occhi, allungate una mano, e staccate un Post-It. E poi fate quello che vi consiglia.

Oppure prendete un recipiente carino, scrivete le 10 cose su foglietti di carta, ripiegateli ed infilateli nel recipiente stesso. E quando le cose vanno male, pescatene uno e mettetevi all’opera.

Ognuna è diversa dalle altre, abbiamo diversi problemi e differenti modi per affrontarli… ma ci sono tante piccole cose semplici che si possono fare che lavorano per noi aiutandoci a stare meglio e a prenderci cura di noi stesse.

Ho notato che cantare insieme alle t.A.T.u., concentrandomi sulla musica e sulle parole, mi fa dimenticare i miei crucci e mi aiuta a rilassarmi e a sorridere. Accorgendomi di questo, ho trovato una cosa da fare quando mi sento particolarmente giù. Provate a pensarci. Sarete sorprese scoprendo quante piccole cose che potete fare ogni giorno possano fare una grande differenza. E questo semplicemente perché mentre le fate state pensando a voi stesse, vi state prendendo cura di voi stesse. Non vi state combattendo. Non state facendo niente di distruttivo. Non state ricadendo nelle solite dinamiche perverse dei disturbi alimentari. Non vi state autocommiserando né piangendo addosso. State semplicemente facendo la cosa giusta per voi stesse.

lunedì 27 ottobre 2008

Attraversare il tunnel

È interessante vedere quanto si può crescere come persone – persone a tutto tondo – e apprezzare quello che si ottiene in questo percorso. È una scoperta interessante, talvolta, poiché sembra d’immergersi improvvisamente nell’essenza di una persona che è stata sempre vicino, ma che non si è mai sentita come un’entità completa. Un po’ come quando si attraversa un tunnel in autostrada, e poi dietro la curva si sbuca all’improvviso e si viene investite dalla luce. Spesso ci è facile pensare a noi stesse come ad anoressiche, bulimiche, depresse, preoccupate, ansiose, nevrotiche, matte, o addirittura semplicemente come a un corpo da esibire. Ma pensare a noi stesse esattamente per quello che siamo – nella totalità – ha innegabilmente un suo fascino speciale. Certo, potrete non amare completamente tutto quello che vedete in voi stesse, ma è assolutamente normale avere dei difetti e non apprezzarsi al 100%. È naturale trovarsi imperfette: come si usa dire, “Nessuno è perfetto”. Ma ricordatevi che le cose più belle non sono mai perfette. Ed è forse proprio per questo che sono così meravigliose. Perciò nessuna di noi può essere perfetta. Nessuna di voi può esserlo. Ma potete essere voi stesse. E questo è molto più che perfetto.

Finora ho scritto su questo blog diverse “strategie di auto-aiuto” rispetto ai disturbi alimentari, quelle che ho attuato e che ho trovato utili, ma quando si arriva ad applicarle, allora sta a voi metterci la forza e la volontà necessaria per venirne a capo. Desiderandolo veramente. E fregandovene di tutto ciò che gli altri possono fare o dire. E cercando di tacitare tutte le ansie che il distaccarsi dai disturbi alimentari inevitabilmente comporta. E tentando di staccarsi dall’autocommiserazione. E provando a tacitare i soliti pensieri ossessivi. Perché solo dentro di voi potete trovare la forza, la determinazione, la volontà, il coraggio… la chiave per abbandonare i DCA, per uscire dal tunnel e tornare a vedere la luce.

Purtroppo, al solito, la via giusta da seguire non è mai la più semplice. Ma vi assicuro che più combatterete, meglio vi sentirete quando a poco a poco vi libererete da ciò che oggi vi soffoca. Tutto ciò che vale merita di essere vissuto. Ed ogni battaglia che vale merita di essere combattuta fino in fondo. E, credetemi, la vostra salute e la vostra felicità costituiscono una battaglia che vale davvero la pena di combattere. So che lasciare i DCA può far paura, può mettere ansia. So che, nonostante tutto, rappresentano un appiglio in quello che pare un mare in tempesta. Ma alla fine di ogni tunnel c’è la luce. Se continuate a stare aggrappate al guardrail non riuscirete mai a vederla. Perciò provate a mollare un po’ la presa e a fare qualche passo avanti. Così vi accorgerete che, non appena inizierete a vedere i primi spiragli di luce, avrete molta più voglia di raggiungerli che non di ricacciarvi nel buio della galleria. Perché il buio può essere rassicurante, ma non permette di vedere niente. Neanche voi stesse.

Al solito, lo so che è più facile a dirsi che a farsi. Molto più facile a dirsi. Ma ogni azione inizia con un pensiero. Perciò, lasciate che questo post sia il vostro pensiero. E iniziate.

sabato 25 ottobre 2008

Siete dei fiori bellissimi

Sembra una stronzata, lo so… ma ascoltatemi un attimo.

Oggi stavo guardando i vasi di fiori esposti nella vetrina di un fioraio, e pensavo. Pensavo ad un modo di dire tanto comune quanto contraddittorio. Quando si vedono dei fiori molto belli, si dice spesso: “Ah, come sono belli, sembrano finti!”. E, al contrario eppure analogamente, quando si vedono dei fiori finti realizzati con particolare maestria, viene da dire: “Ah, come sono belli, sembrano veri!”. Una contraddizione in termini. Esattamente come, dal nome in poi, lo è l’anoressia. Come lo sono i disturbi alimentari, nel momento in cui il delirio d’onnipotenza cangia inevitabilmente in delirio d’impotenza.

Perciò, ho riflettuto, provate a pensare a voi stesse come se foste dei fiori. E immaginate che ogni volta che pensate, o dite, o fate qualcosa di negativo a voi stesse, è come se vi steste strappando un petalo. Se lo fate spesso, presto rimarrete senza neanche un petalo da strappare… e sarete soltanto uno stelo su cui non è rimasto più niente.

Eppure voi siete dei fiori così belli… non trasformatevi in steli morti. Potete dare tantissimo a voi stesse e agli altri con i vostri colori ed il vostro profumo. Non sciupateli. Sono preziosi. Preziosi come voi.

Buona serata, miei bellissimi fiori…

giovedì 23 ottobre 2008

Here I go

Scritta due anni fa.

Spero che le cose stiano andando quanto meglio possibile per tutte voi...

Exit – here I go,
I’m leaving like a flash of light
That shone once and was gone.
Safer to go than to stay,
Better to learn than to wait,
I’m going. I’m flying.

Exit – here I go,
I’m leaving and I’m coming back
A new myself.

Out of my life and into my dreams,
Born once again,
I’m running away.

Exit – here I go,
I’m leaving like a gust of wind
You feel only for an instant.
I’m ready to jump,
I’m ready to fall,
I’m ready to go.

Exit – here I go,
I’m leaving and I’m coming back
A new myself.

To care for myself,
To leap into the unexpected,
To grow like a flower in the rain.

Exit – here I go,
I’m leaving like the moon leaves
In the morning light.
Like rain that falls from full clouds,
My thoughts cascade and flow
Into carved paths time digs into the ground.

Exit – here I go,
I’m leaving and I’m coming back
A new myself.

Leaves fall and bloom again in spring;
So do our spirits fall, only to again
Be replenished with happiness.

Exit – here I go,
I’m leaving like the seeds
Leave the swaying trees.
Like a seed, bursting from earth
So I have grown too,
A flower not yet fully blossomed.

Exit – here I go,
I’m leaving and I’m coming back
A new myself.

Promise is there
The promise to experience
With a face upturned toward the sun.

Exit – here I go,
I’m leaving like yesterday
That turns into tomorrow.

Exit – here I go,
I’m leaving and I’m coming back
A new myself.

[Esco – me ne vado,/me ne vado come un lampo di luce/che ha brillato e si è spento./E’ più sicuro andarsene che restare/e meglio imparare che aspettare,/me ne sto andando. Sto volando./Esco – me ne vado,/me ne vado e tornerò/una nuova me stessa./Fuori dalla mia vita e dentro i miei sogni,/nata un’altra volta/sto correndo via./ Esco – me ne vado,/me ne vado come un soffio di vento/che senti solo per un istante./Sono pronta a saltare,/sono pronta a cadere,/sono pronta ad andare./Esco – me ne vado,/me ne vado e tornerò/una nuova me stessa./Per aver cura di me/per balzare nell’inatteso/per crescere come un fiore dopo la pioggia./Esco, me ne vado,/me ne vado come se ne va la Luna/alla prima luce del mattino./Come la pioggia che cade dalle nubi gonfie,/i miei pensieri scrosciano e fluttuano/nei sentieri che il tempo ha tracciato sul terreno./Esco – me ne vado,/me ne vado e tornerò/una nuova me stessa./Le foglie cadono e rinascono in Primavera;/perciò, se la nostra essenza cade, è solo affinché/possiamo rimpiazzarla con qualcosa di migliore./Esco – me ne vado,/me ne vado come i semi/se ne vanno dagli alberi che oscillano./Come un seme, dipartendosi dalla terra/così anch’io dovrò crescere,/un fiore non ancora del tutto sbocciato./Esco – me ne vado,/me ne vado e tornerò/una nuova me stessa./Questa è la promessa/la promessa di tentare ancora/con la faccia rivolta verso il sole./Esco – me ne vado/me ne vado come il passato/quando diventa futuro./Esco – me ne vado,/me ne vado e tornerò/una nuova me stessa.]

martedì 21 ottobre 2008

All about you

Il titolo di questo post riecheggia quello di una canzone delle t.A.T.u. che mi piace tantissimo (All about us). Ma è anche quello che vorrei dire a tutte voi. Abbiate cura di voi stesse, perché siete tutto ciò che avete. Non siete sole. Io vi sono vicina, e sono sempre pronta ad ascoltarvi e ad appoggiarvi nei vostri momenti più difficili, se solo avete voglia di dividerli con me. Non sarò mai troppo indaffarata da non trovare il tempo di ascoltarvi e rispondervi.

veggie.any@alice.it

Io sono qui.

Scrivetemi tutto ciò che volete. Non vi preoccupate. Non succederà niente. Sfogatevi di tutto quello che non vi va giù, di quello che vi fa arrabbiare, che vi fa demoralizzare, che vi fa rattristare. Piangete, se ne avete bisogno, e non vi dirò mai di smettere. Talvolta piangere aiuta a far uscire i sentimenti negativi lasciando spazio per quelli positivi. Le mie braccia sono aperte e grandi abbastanza per contenervi tutte. Le mie braccia sono aperte e forti abbastanza per sostenervi tutte. Respirate. Non pensate a niente. Andrà tutto bene. Perché voi siete forti. Perché dentro di voi la determinazione per mettere tutto a posto c’è. Se posso aiutarvi, farò tutto quanto mi è consentito. Dovete solo chiedermelo. Se volete che vi scriva, che risponda alle vostre mail, o semplicemente che vi ascolti in silenzio, io sono qui per voi. Rimanete qui. Non andatevene. Perché siamo più forti se stiamo insieme. Non preoccupatevi. Non abbiate paura. Io sono qui per ognuna di voi, e non me ne andrò. Voi siete lì per voi stesse, e non ve ne andrete. Avete la forza per condurvi ovunque vogliate arrivare.
It’s all about you.

domenica 19 ottobre 2008

V'invito a vivere

Il mondo sta aspettando nient’altro che voi. Vi aspetta a braccia aperte e con un sorriso. Tutto ciò che dovete fare è vivere.

Anche se vivere può essere la più semplice e meravigliosa cosa che possiate fare, è anche molto probabilmente la cosa più difficile che vi capiterà mai di fare. Okay, potrete pensare di stare vivendo, adesso. E forse lo state facendo davvero. Insomma, avete le pulsazioni… come mi hanno ripetuto un’infinità di volte durante i più disparati corsi universitari, è questo il criterio basilare che identifica la vita. Ma posso dirvi che se non vi sentite “vive davvero” allora non state vivendo. Se non state nutrendo le vostre emozioni, la vostra immaginazione, la vostra essenza, non state vivendo. Se non siete oggettivamente oneste con voi stesse, non state vivendo. Se vi odiate, non state vivendo. Se non respirate riuscendo a sentire voi stesse nel profondo, non state vivendo. Se tutto quello che vi circonda è nero, non state vivendo. Forse vi state costruendo una favola, o forse state sguazzando nella depressione, ma non state vivendo.

Certo, non voglio dire che “vivere” significa essere felici al 100% ed in ogni qualsiasi momento di ogni giorno. Penso che questo sia impossibile per chiunque. Le vite perfette ci sono solo nelle favole. Vivere la vita, perciò, significa piuttosto alternare i momenti facili a quelli difficili, le esperienze positive a quelle negative, il sorriso alle lacrime… ma con la costante sensazione che il futuro c’è e che le cose possono andare esattamente come voi volete, e che c’è sempre tempo per far volgere la vita al meglio. Se così non è, allora non state vivendo. Forse state provando a vivere, forse vi state raccontando balle per tirare avanti un altro giorno, ma non state vivendo.

Non confondete l’esistere con il vivere. Sono due cose completamente diverse.
È vero, talvolta tutti ci dimentichiamo di vivere. Di vivere davvero. È difficile spiegare come questo succeda, ma a volte inevitabilmente accade. Per quanto mi riguarda, mi accade fin troppo spesso. E prima di rendermene conto, mi sono già fregata da sola, persa nella folla, nei dubbi, nei pensieri negativi, nell’anoressia, nell’autolesionismo… persa in quella vita che si pensa sia vita solo perché è realtà. Forse non ve l’ha mai detto nessuno, ma… se le cose non stanno andando come vorreste, voi avete la forza di cambiare la vostra realtà.

V’invito a vivere.

venerdì 17 ottobre 2008

One moment I need

Ecco qui un’altra cosa che ho scritto qualche anno fa…

The butterflies can’t fly with broken wings
My sinful greed for other things
Has led me to this double life
Emptiness filled rooms
Unstable+Unsimple Lives

Can't escape myself
Take me away to the unfamiliar
A moment
Where the sun is wet
The rain is dry

One moment less to live
One moment more to die

I need the stars
I need the night sky
I need the moon
I need life tonight

(Marzo 2006)

E in Italiano... ma, se potete, fatene a meno...

[Con le ali rotte le farfalle non possono volare./Il mio avido desiderio per ciò che non potevo avere/mi ha portato a questa doppia essenza/stanze riempite di vuoto/Instabile+Difficile esistenza./Non posso fuggire da me stessa/portarmi via verso quel che non conosco/Un momento/Dove il sole è bagnato/La pioggia è asciutta./Un momento in meno da vivere./Un momento in più da morire./Ho bisogno delle stelle/Ho bisogno del cielo di notte/Ho bisogno della luna./Ho bisogno di vita stanotte.]

mercoledì 15 ottobre 2008

Siete tutte nate perfette... solo che l'avete dimenticato

Forse non l’ho mai scritto prima di adesso, ragazze, ma volevo semplicemente divi che vi voglio tanto bene. Che provo per voi tanto affetto. Un amore senza fine. Vi amo tutte, e mi si spezza il cuore a sapere quant’è dura la vostra battaglia quotidiana contro l’anoressia e la bulimia, quant’è dura questa tortura. Questo è un sintomo che vorreste abbandonare… eppure, allo stesso tempo, siete terrorizzate all’idea di mollarlo… perché, per quanto possa essere distruttivo, è rimasta l’unica cosa che vi dà sicurezza.

Vi siete mai chieste: “Cosa sarei senza il mio DCA?”. So che l’avete fatto… E io adesso ho la risposta da darvi. Potreste dire: “Gasp, TU?”… bè, lo so che io non sono nessuno, e perciò non ho pretese di verità assoluta. Ma, dopo tanti anni d’inferno, forse qualcosina l’ho capita. E la risposta è: ROMPETE IL CIRCOLO VIZIOSO!

Invece di porvi quella domanda, chiedetevi questo: “Cosa sarebbe il mio DCA senza di me?”. Ecco, non sarebbe assolutamente un cazzo. Voi dite “Io non sono capace di vivere senza il mio DCA”. (E intanto eludete da voi stesse la domanda che più vi riempie la testa: “Sono invisibile, ora?”) NO! Non è vero che non siete capaci di vivere senza l’anoressia o la bulimia! E’ il vostro DCA che è incapace di vivere senza di voi!! Se voi dite “Sono un’anoressica/sono una bulimica”, voi definite il vostro DCA! Ed esso diventa così una profezia che sia auto-avvera, una catena che da sole vi stringete attorno al corpo.

Voi dite “Ho bisogno del mio DCA”... NO!!! È il vostro DCA che ha bisogno di voi!
Prendete le mie mani, tesori… vi farò vedere quello che veramente è… Vi farò vedere com’è riuscire a convivere con i DCA senza più esserne sopraffatte… vi farò vedere che è possibile vivere senza le ossessioni dell’anoressia… vi farò vedere che è possibile combattere giorno dopo giorno, senza arrendersi…

Vale la pena di salvare me stessa… Vale la pena di salvare ognuna di voi.
E poi, pensateci… il vostro DCA vi ha davvero dato esattamente tutto quello che volevate facendovi ottenere una vita perfetta come prometteva? Siete sicure che è proprio questo ciò che volete? Siete sicure che l’anoressia vi darà la felicità assoluta? Perché tante persone sono MORTE d’anoressia… e ancora non erano felici.
Come noi abbiamo bisogno dell’aria per respirare, i DCA hanno bisogno di un corpo e di una mente per trovare il loro sostegno per vivere e proliferare. Noi nutriamo il nostro DCA. La nostra fame psicologica, la nostra fame emozionale, la nostra fame mentale. Spirituale, intellettuale, interiore. Parola chiave: fame. I DCA sono parassiti. Ci succhiano tutto. Ci succhiano la vita. E vi assicuro che, per esperienza diretta, so cosa significa essere all’ultima fermata. State cadendo? Care, lasciate questa vita dietro di voi. Fate vedere al mondo di che pasta siete fatte (dopo il DCA). Siate le vostre proprie eroine. Vale la pena salvarvi.

Il mondo è insano. Ma ci renderà forse più sane permetterci di essere le marionette di disagio, malattia, tortura, solitudine, caos, sofferenza, dolore, autocommiserazione? Nessuno merita questa tortura. Voi non siete così vuote come credete. E’ facile sentirsi vuote. È per questo che è difficile vedere quanto valete. È più facile correre via che affrontare la realtà. Morte. Questo è ciò che succede se seguite gli standard di un DCA tanto a lungo. Potrete croniccizzare, sopravvivere, ma sarete sempre morte dentro.

Per favore voi tutte, meravigliose creature, scegliete la vita… afferrate la mia mano… lasciatevi libere… Siete tutte nate perfette… solo che l’avete dimenticato. Ma siete davvero tutte bellissime. Bellissime dentro. Che è l’unica cosa che conta.

lunedì 13 ottobre 2008

Più sottile del mal sottile

Ecco qua un qualcosa che ho scritto circa tre anni fa... Una specie di racconto breve, non saprei come definirlo... Un qualcosa che forse parla di me, ma forse anche di voi...

PIU' SOTTILE DEL MAL SOTTILE

Più sottile del mal sottile, più esotico del mal celtico, più oscuro del male oscuro.
Segna i nostri tempi androidi col rosso e blu della costanza d’errore, prende le forme tenere di adolescenti e si diverte, con passione e precisione, a cancellarle tratto a tratto, deformando e corrompendo fino a distruggere.

Anoressia è la definizione scientifica: un nome per un tempo, onomastica fuori dal tempo al male di vivere.
Un male di cui non sempre si muore, più spesso il destino individuale ce lo mette a fianco, moderno “fiore in bocca” indicandocelo nel tempo futuro come costante, fedele compagno. Già, di anoressia si vive, divorando se stessi a bocconi avidi e imparando, poi, a mantenere quel poco che serve a continuare la missione prometeica di ricostruire il corpo “infame” per poter tornare a divorarlo.

Una promessa d’amore per chi d’amore ha fame costante, un puzzle inventato con la follia di mescolare sempre i pezzi, ogni volta che la soluzione sembra vicina, castelli di sabbia sulla riva di un mare in tempesta.

Stella ha, oggi, vent’anni: magre braccia d’aquila, gambe sottili di stambecco, i lisci capelli biondi a caschetto nascondono uno sguardo triste d’acqua stagnante.
Stella abita in Toscana e vive di anoressia da quasi quattro: ha una famiglia, un fratello, frequenta la scuola, ha amici, né bella, né brutta, intelligente, ambiziosa, una vocazione alla scrittura, affida a fogli di carta le sue emozioni.
Ma non è psicoterapia: quella, Stella, scettica di natura, fiduciosa per convenienza, la lascia ai medici, alle ore scandite dall’orologio, agli ambienti odorosi di malattia.

Ha conosciuto tutte le fasi dell’anoressia: dal cibo limitato per entrare nella taglia trentasei, al cibo rifiutato per lasciare la sua taglia, all’esasperante autocontrollo per corrodere la voglia di cibo, alla forbice sulla carne per portare via quei brandelli di vita che, no, proprio no, non la volevano lasciare.

E da magro uccellino, caduto da un nido affettuoso ma, forse, improprio, Stella si è trasformata nella streghetta rinsecchita delle favole per bambini e solo allora quando lo specchio le ha restituito un’immagine di sé pari ai suoi incubi (o sogni?) più segreti, ha deciso di dar sfogo alla memoria e di provare a risalire col peso dei suoi trentacinque chili di fatica di vivere la china della sua esistenza.

“Continuo a pensare a ciò che è stato e ciò che è, continuo ad accendere una sigaretta dopo l’altra, forse la mia bocca ha bisogno di poter fare qualcosa. Di distruttivo? Sono così brutti quei ricordi, il cibo poi lo studio, che altro manca nella mia vita, l’amore forse? Non credo proprio, ne ho dato abbastanza anche a me stessa; potevano distruggermi gli altri rendendomi invisibile, invece il mio di amore mi ha permesso di essere qui ora. Non mi sento vecchia, solo tanto stanca”.

Non mi sento vecchia… Stella ha vent’anni: non era l’età della gioia? Interrogativo su cui fermare l’attenzione, in questo mondo – non “L’America”, non la carta stagnola delle povere hollywood da telenovelas, ma qui, oggi, accanto a noi, nell’Italia che ci ostiniamo a raccontare a misura d’uomo - che corre dietro al correre dietro, che dimentica il senso di una vita fatta di lenti gradini che salgono in gioiosa progressione e di lenti gradini che scendono in naturale conclusione.

Il tempo delle madri non schiave e dei padri non padroni diventa, per curiosa miseria, il tempo dei figli in fame.

“Ricordo mio padre quando diceva: ‘Non fare tutto subito, assapora ciò che fai’. Ho sbagliato tutto, ho talmente assaporato tutto che ora il mio odorato non sa più cosa sentire. Vedo il sole rosso al tramonto, sento il vento abbattersi contro gli alberi, sento che sto male, a volte sento anche la gioia, ma ancora non sono riuscita a sentire il profumo del mio corpo, del mio piccolo inutile corpo. Mi sono accorta che da tempo non indosso più l’orologio, e va bene così, non voglio vedere il tempo che passa, le lancette sono come frecce, mi basta vedere il buio e la luce”.

Ogni parola è una sferzata all’indifferenza, ogni parola è un atto di accusa contro un mondo ostile che ammassa e cataloga. Generazione X, l’hanno chiamata, ma chi l’ha spinta sull’alfabetiere della vita per precipitare fino all’anonimo di una lettera scomoda? Generazione sparita: Stella cerca di sparire eppure s’aggrappa alla balaustra incerta del suo Titanic, sperando in mani solide che la sostengano.

“Pochi giorni fa un coltello tagliente mi ha sfiorato… ho imparato a definire la gente che mi circonda come un coltello tagliente. Che dolore, che ansia, che voglia di leggere la scritta the end. Ho sete, ma non posso bere, il mio cervello lavorerebbe troppo per farmi arrivare in cucina. E per fare cosa, poi? Bere? Riempire di nuovo lo stomaco, anzi continuare a riempirlo? Mi sento già tanto piena, delle volte anche quando non tocco cibo da giorni… questo è uno dei momenti in cui sento di avere il mondo nelle mani, farei qualsiasi cosa, riparerei qualsiasi errore. Non mi sento più di scrivere, ho voglia di guardarmi intorno, osservare ciò che mi circonda”.

Stella ha bisogno di capire, non dai camici bianchi, né in asettici laboratori d’analisi, cos’è questo male che ha dentro, ha bisogno di confrontarsi con la vita, per capire il suo essere donna. Donna: elemento vitalistico, colla forte delle maglie della catena della natura, sfida gioiosa e aggressiva, bella del proprio coraggio, lontano dal senso incombente di distruzione e catastrofe.

“Che grande vita, che vita piena di sorprese è la mia… qualcosa può cambiare in questo immenso groviglio di odio, amore, sofferenza e gioia. Bere, berrei all’infinito per osservare il mondo in un’ottica diversa. La battaglia è in atto, ma non so contro chi combattere. Non esistono nemici, gli unici nemici siamo noi, il nemico, se lo conoscessi, me lo farei amico. E, invece, combatto, spudoratamente. E non c’è sangue, non c’è ferita, solo dolore”.

“Girotondo” così Stella definisce la sua vita, un girotondo che a tratti accelera, a tratti rallenta il suo vortice invitandola a fermarsi, a riflettere, ad accettare la vita così come è, “senz’altri patti”, come scriveva il poeta: “Un giorno riprenderò la strada giusta, se giusto è ragionare come tutti gli altri che mi guardano con ostilità e pregiudizio, se giusto è ragionare come qualsiasi altra persona fecondata, vissuta in nove mesi di buio e poi nata alla luce. La luce? Sento solo la pioggia, acqua, H2O, mi bagna, mi perseguita, brucia…”.

Stella è soltanto il nome che la rapporta alla gente, che legittima la sua esistenza in questo mondo ma, dentro di sé, Stella esiste e appartiene al mondo, ingombrante come un regalo non richiesto e di cui, pure, non è facile disfarsi: domani sarà ancora nella sua personale trincea a cercare dagli altri, adulti, vaccinati alla vita, indifferenti alla morte, l’abracadabra che la porti di qua del suo specchio di spaventata Alice.

(Gennaio 2005)

sabato 11 ottobre 2008

Anoressia VS me

Buon Sabato sera a tutte! Oggi voglio postare un qualcosa che ho scritto, anche stavolta in Inglese, a seguito del mio ultimo ricovero. È il risultato di un lungo lavoro in cui ho cercato di guardarmi dentro il più oggettivamente ed onestamente possibile. Spero che possa significare qualcosa per voi… spero che qualcuna di voi possa capire.
Al solito, ho aggiunto una traduzione in Italiano che però non rende molto bene. Se ve la cavate con l’Inglese, non leggetela.

I ask myself such questions
Like “Am I okay or not?”
Unwilling to give myself
Or my own mind a shot.

I let It claw at me with nails
That could cut without much force;
I let It strangle me with passion
And I scream until I’m hoarse.

You try to pull me back,
Keep me safe from all It’s pain,
But sometimes I look away from you
And It just snatches me again.

You tell me I can beat It
And I know that this is true…
It has no power over me
If I’m with someone like you.

I know you try to help me
And I argue and I cry…
I wish I could explain It;
I wish I could tell you why.

I want to cling on tightly
And make you save me from it all,
But no matter how I try
It’s inevitable that I fall.

I know I’m disappointing
And I know I must be strong,
But it’s hard to give up something
That has held you for so long.

One day I will be rid of It;
It will be all in the past
It’s something I’ll break free from,
But you’re something that will last.

It’s the last thing I should choose
And it’s the last thing I should do;
I keep holding on to It
When I should be holding on to you.

[Mi sto facendo un sacco di domande/come “Che cosa c’è che non va?”/senza però volere darmi/risposte in tutta onestà./L’ho lasciata cingermi in catene/che non potevo tagliare senza forza e volontà/Ho lasciato che mi strangolasse con passione/gridando fino a che la voce se ne va./Tu provi a riportarmi indietro/a salvarmi da tutto il Suo dolore/ma qualche volta non mi faccio trattenere/e Lei mi riafferra con tutto il suo amore./Tu puoi dirmi che posso batterLa/e so che in questo della verità c’è…/Lei non ha nessun potere/se sono vicina a qualcuna come te./So che stai provando ad aiutarmi/e io discuto e piango davanti a te…/Vorrei poterteLa spiegare,/vorrei poterti spiegare il perché./Vorrei qualcosa a cui potermi aggrappare strettamente/vorrei che tu potessi salvarmi da tutto questo,/ma per quanto possa provarci/inevitabilmente sto ancora cadendo./Lo so che sono delusa/e lo so che dovrei essere forte/ma è difficile lasciarmi alle spalle qualcosa/che mi ha stretta così a lungo alla morte./Un giorno, un giorno mi libererò di Lei/e sarà tutta acqua passata/Lei è qualcosa di cui posso fare a meno/ma menomale che tu sei restata./E’ l’ultima cosa che dovrei scegliere/ed è l’ultima cosa che dovrei fare/tener duro con l’Anoressia/quando solo tu puoi farmi arrivare].

giovedì 9 ottobre 2008

Fino all'eccesso

Mi chiedo come si sia potuti arrivare fino a questo:

Diabulimcs shun insulin to get thin

Esasperare il desiderio di dimagrire fino a questo punto, ricorrendo persino a questi mezzi, è veramente terribile… so perfettamente che quando s’intraprende questa strada è estremamente difficile tirarsene fuori, ma mi fa davvero una gran tristezza leggere cose di questo genere…

Cosa ne pensate?

martedì 7 ottobre 2008

Specchio, specchio...

Buongiorno a tutte! Spero che questo post vi trovi tutte pronte ad affrontare questa nuova settimana con grinta ed energia…

Voglio proporvi un qualcosa che magari potrà sembrarvi un’idea piuttosto banale o uno stupido trucchetto, ma posso assicurarvi che io l’ho trovato estremamente utile e positivo.

Provate a scrivere uno o più pensieri positivi su dei foglietti colorati, ed applicateli sul vostro specchio. Quello specchio tanto amato-odiato, quello specchio che vi rimanda un riflesso diverso da quello che vorreste, un riflesso che vi fa sentire inadeguate, quello specchio che vi mette in ansia, quello specchio che vi fa piangere o vi fa sentire in colpa, quello specchio che sembra evidenziare i vostri riflessi, quello specchio a cui – nella bolla della favola finta costruita – magari ancora chiedete con apprensione “Specchio specchio delle mie brame, chi è la più magra del reame?”… quello specchio che si rivela sempre un’arma a doppio taglio. Ma le armi si possono neutralizzare, no?! E allora forse questo potrebbe essere il primo passo per provare a disinnescare la bomba. Se applicate foglietti con frasi positive sullo specchio, ogni qualvolta vi rifletterete e inizierete inevitabilmente a pensare cose negative su voi stesse, potrete distogliere l’attenzione da esse iniziando a leggere i vostri appunti. Leggerete quelle frasi, e vi ricorderete qual è il vostro obiettivo e quanto realmente valete, al di là delle apparenze. Così, ogni volta che durante il giorno vi specchierete, leggerete parole positive e propositive. E vedrete che, a poco a poco, esse inizieranno a permeare sotto la vostra pelle. E inizierete a sentirvi diverse quando vi guarderete allo specchio.

Provateci!

Queste sono le frasi positive che ho appeso al MIO specchio del bagno. È incredibile quanto un piccolo costante rinforzo positivo sia in grado di fare…














È una delle mie frasi positive preferite, perciò ho bisogno di leggerla ogni giorno: mi fa sentire che se ho la forza di continuare a camminare su questa strada, potrò davvero arrivare alla luce.














Una ragione in più per essere una fan di Valentina Vezzali… E’ una frase veramente bellissima. Quando l’ho sentita per la prima volta (l’11 Agosto) ha veramente smosso qualcosa dentro di me. E adesso è qui ogni giorno, mi parla dallo specchio, e continua a smuovere la forza di reagire anche nei momenti più difficili.

domenica 5 ottobre 2008

Una lettera dall'altra parte

Premessa: di norma, mi reputo una persona tutto sommato tollerante.

Mi piace ascoltare i pareri di tutti, anche di chi la pensa diversamente da me, perché credo che ci sia comunque sempre da imparare dagli altri. Sono quindi aperta ad ogni discussione e giudizio, critiche comprese… purché costruttive. Se c’è una cosa che mi fa proprio incazzare, infatti, sono le critiche fini a se stesse, fatte dalle persone giusto per il gusto di fare polemica, senza provare neanche per un attimo a mettersi nei panni altrui.

Che è poi esattamente quello che mi è successo da quando ho cominciato a caricare alcuni dei miei video su YouTube. Ovvio che nel momento in cui ho messo dei video di pubblico dominio mi aspettavo di ricevere sia commenti positivi che negativi, questo non mi crea problemi. Mi creano problemi i commenti di quelle persone che pur non sapendo niente dell’anoressia, pur non avendo mai avuto a che fare con persone anoressiche, pur avendo soltanto delle idee stereotipate al riguardo, si permettono di dare dell’egoista, della stupida, della matta, della superficiale, dell’infantile, della tizia con manie di protagonismo, senza alcuna plausibile giustificazione delle loro parole.

Io non mi offendo, dato che comunque si tratta di persone che non mi conoscono e quindi non sanno niente di me, però trovo i loro commenti ugualmente molto sconcertanti. Ma quanto rancore dentro la gente cova? Quanta rabbia inespressa? Quanto astio da riversare sugli altri perché fa paura anche solo l’idea di ammettere le proprie responsabilità e quindi riversarlo su se stessi? I miei video raccontano la mia storia, la mia vita d’anoressia, quindi non c’è il classico “e tutti vissero felici e contenti”… ma se queste persone lo vogliono, perché non vanno a cercarsi i video delle favole? Purtroppo mi sono resa conto che molte persone sono estremamente superficiali, e non riescono affatto a venire a capo dei loro problemi, quindi ricercano i video di coloro che hanno altri problemi più profondi dei propri solo per sentirsi meglio, per potersi ergere sul piedistallo di chi giudica, e potersi sentire così superiori. Cercano i video in cui le persone narrano la propria difficile storia solo per sentirsi meglio, per vedere che rispetto alla loro situazione può esserci di peggio. Vogliono rassicurazioni, cercano nei video altrui il lieto fine, pensando così che se per altri c’è stato l’happy ending, allora ci sarà anche per loro. Perciò vogliono video in cui l’anoressica di turno ritrova la gioia di vivere e la speranza, perché la vita è bella, l’amore vince ogni cosa, ed altre amenità affini. Cercano insomma un po’ di miele per potersi addormentare tranquilli. E rifuggono da ogni possibile nota dissonante, che possa turbare il loro precario equilibrio. Certo, è facile essere prodighi di complimenti ed incoraggiamenti con chi ha avuto la forza di superare gli ostacoli della vita. Ed è altrettanto facile calpestare chi in un certo momento è a terra e giudicare dall'alto del proprio piedistallo. Allora, io voglio chiedere a tutte queste personcine che si permettono di offendere gratuitamente: ditemi un po’, una che non vive sotto un ponte e non ha un cancro terminale deve essere necessariamente felice? Anche i disturbi alimentari sono malattie, e possono uccidere. Anzi, possono fare di peggio: possono distruggere un’esistenza. Lasciarci vive, ma senza mai vivere veramente.

Forse, ragazze, sarà capitato anche a voi di ricevere giudizi sprezzanti a causa dei vostri DCA… bè, e allora lasciate che ve lo dica: non ascoltate quelli che vi dicono che non avete il diritto di essere infelici, ma piuttosto cercate di stringere i denti e di continuare a combattere; se n sentite il bisogno cercate pure un sostegno, il sostegno delle persone che vi amano, ma anche il sostegno di uno specialista. Non smettete mai di lottare, anche se il dolore,la tristezza e l’apatia vi attanagliano il cuore e la mente. Non c’è niente di peggio dell’apatia. Perché la nausea, il rifiuto del mondo e la rassegnazione possono annullarvi. E, credetemi, il nulla è peggiori ogni dolore. Perché al dolore ci si può ribellare, ma al nulla no.
Purtroppo, la “società” non riconosce il male dell'anima, riconosce solo il logoramento fisico e considera lavativi quelli che, per i loro problemi personali, in un certo momento non riescono ad andare avanti. Credo che in fondo l'anoressia non sia altro che un modo per portare all'esterno il male che abbiamo dentro,per esteriorizzare tutta quella sofferenza che gli altri non riescono a vedere, per rendere rilevabili, "palpabili", "quantificabili", le ferite che ci logorano l'anima.

Quanto dolore deve provare una ragazza prima di poterla definire umana? Quanta sofferenza è necessaria per poter vivere senza sofferenza? E quanta indifferenza potranno ancora ostentare coloro che vivono vite “perfette”, criticano e giudicano sparando a zero sulle presone che hanno problemi, e si lagnano dei loro quotidiani problemi da niente, il treno in ritardo, il caffè troppo zuccherato, i colleghi di lavoro scemi, prima di poter vedere la realtà? Quante volte ancora potranno volgere il capo e far finta di non vedere? E quante volte una di noi, ragazze, dovrà guardare in alto prima di poter vedere il cielo? E quante orecchie gli altri devono avere prima di poter sentire chi sta chiedendo aiuto in silenzio? E quanti occhi ci vogliono per poter penetrare la vita senza fermarsi alle apparenze? Quanti decimi per poter vedere cicatrici nascoste sotto abiti slargati o a maniche lunghe? Quanta sensibilità per capire il dolore, e quanta forza per aiutare chi soffre? E’ meglio tapparsi le orecchie, chiudere gli occhi, girare la testa e fare finta che tutto sia meraviglioso in ogni momento, senza nessuna pecca? E’ meglio continuare a far finta di niente? E’ meglio continuare a nascondere le cicatrici? E’ meglio continuare a fingere di ignorare la verità? E’ meglio continuare a fingere d’ignorare quelle cicatrici?

Allora, simpatiche personcine che commentate i miei video su YouTube con sprezzanti giudizi che cadono dall’altro, lasciate che vi chieda qualcosa. Vi siete mai sentite veramente depressi, vuoti dentro? Vi siete mai sentiti completamente soli, anche in mezzo alla gente? Lontani mille miglia da qualsiasi luogo come se non proveniste da nessuna parte e non aveste nessun posto dove tornare? Vi siete mai sentiti totalmente incompresi? Avete mai voluto correre via, veloce, lontano? Vi siete mai chiusi a chiave dentro la vostra camera, con la radio accesa ad un volume così alto che nessuno potesse sentirvi gridare? No, voi non sapete com’è quando niente va come dovrebbe. No, voi non sapete com’è essere come noi. Essere feriti. Sentirsi completamente persi. Essere lasciati fuori nel buio. Essere colpiti quando si è giù di morale. Sentirsi come essere comandati a bacchetta. Essere sull’orlo del crollo quando non c’è nessuno che possa salvarvi. No, voi non sapete com’è. Ma dovreste provare a comprendere quello che mai potrete comprendere. Dovreste provare a vivere un solo giorno della nostra vita. Avete mai desiderato essere qualcun altro? Vi siete mai sentiti stanchi di essere tralasciati? Avete mai disperato di riuscire a trovare qualcosa in più prima che la vostra vita sia finita? Vi siete mai sentiti nei guai fino al collo? Vi siete mai sentiti prigionieri di un mondo che odiate? Siete mai stanchi di tutti quelli che vi stanno intorno, con grandi sorrisi contraffatti e stupide bugie mentre nel profondo state sanguinando? No, voi non sapete com’è quando niente va come dovrebbe. No, voi non sapete com’è essere come noi. Essere feriti. Sentirsi completamente persi. Essere lasciati fuori nel buio. Essere colpiti quando si è giù di morale. Sentirsi come essere comandati a bacchetta. Essere sull’orlo del crollo quando non c’è nessuno che possa salvarvi. No, voi non sapete com’è. Ma dovreste provare a comprendere quello che mai potrete comprendere. Dovreste provare a vivere un solo giorno della nostra vita. Nessuno vi ha mai mentito guardandovi dritti in faccia. Nessuno vi ha chiesto un dito e si è preso un braccio. Nessuno vi ha spinto dentro l’abisso lasciandovi soli nell’ardua impresa di risalire. Nessuno vi ha pugnalato alle spalle. Nessuno vi ha etichettato e messo nello scaffale più basso del supermercato. Nessuno vi ha inflitto una grande sofferenza facendovi provare la difficile impresa di staccarsi da una dipendenza. Avete sempre avuto tutto quello che volevate senza mai lavorare, era tutto lì. Avete avuto amici, amore, gioia, senza un grammo di vera sofferenza. Avete avuto le vostre vite brillanti, divertenti, quasi perfette. No, voi non sapete com’è quando niente va come dovrebbe. No, voi non sapete com’è essere come noi. Essere feriti. Sentirsi completamente persi. Essere lasciati fuori nel buio. Essere colpiti quando si è giù di morale. Sentirsi come essere comandati a bacchetta. Essere sull’orlo del crollo quando non c’è nessuno che possa salvarvi. No, voi non sapete com’è. Ma dovreste provare a comprendere quello che mai potrete comprendere. Dovreste provare a vivere un solo giorno della nostra vita. No, voi non sapete com’è quando niente va come dovrebbe. No, voi non sapete com’è essere come noi. Essere feriti. Sentirsi completamente persi. Essere lasciati fuori nel buio. Essere colpiti quando si è giù di morale. Sentirsi come essere comandati a bacchetta. Essere sull’orlo del crollo quando non c’è nessuno che possa salvarvi. No, voi non sapete com’è. Ma dovreste provare a comprendere quello che mai potrete comprendere. Dovreste provare a vivere un solo giorno della nostra vita. Dovreste provare a vivere anche un solo giorno della nostra vita. Dovreste provare a vivere un solo giorno della nostra vita. Dovreste provare a vivere un solo giorno della nostra vita. Dovreste provare a vivere un solo giorno della nostra vita.

La vita comunque continua a scorrere, giorno dopo giorno, con la stessa meccanica ripetitiva. La gente che vive una vita “perfetta” continua a lagnarsi dei propri quotidiani problemi da niente, il treno in ritardo, il caffè troppo zuccherato, i colleghi di lavoro scemi, e continua a dare giudizi negativi ed offensivi sui video che parlano con schiettezza dell’anoressia. Nessuno sente niente, nessuno vede niente oltre se stesso. Ma la sofferenza e il dolore, quelli veri, esistono. Il gioco del “facciamo finta che” può protrarsi all’infinito. Ma le cicatrici ci sono. Dovreste vederle.

venerdì 3 ottobre 2008

Aiutami a vivere

Questa l’ho scritta cinque anni fa – è passato un bel po’ di tempo… Eppure, in un certo qualmodo, la trovo sempre attuale. All’epoca, credo, era un qualcosa dedicato a una qualsiasi persona che avrebbe potuto tirarmi fuori dall’abisso in cui ero precipitata. Rileggendola adesso, tuttavia, mi rendo conto che stavo semplicemente scrivendo a me stessa. A quella parte di me che avrebbe potuto tirarmi fuori dall’abisso in cui ero precipitata, l’unica in grado di fare una cosa del genere. Stavo chiedendo a me stessa di aiutarmi a vivere.

Help me live
To face the day
Look around
And be okay.
Help me live
To face the night
Think alone
And be all right.
Help me live
To face the me
In the mirror
That I see.
Help me live
To face the crowd
Beat the battle
Make them proud.
Help me live
To face the day
Look around
And be okay

(Dicembre 2003)


Anche qui, ecco la traduzione in Italiano. È uscita piuttosto diversa, ma altrimenti non mi rispettava il ritmo. È un esperimento interessante, comunque. Dateci un’occhiata, se vi va.

[Aiutami a vivere/a non mollare/a guardarmi intorno/e a non rinunciare./Aiutami a vivere/ad attraversare la notte/a pensare con la mia testa/idee non distorte./Aiutami a vivere/ad affrontare/il mio riflesso nello specchio/senza star male./Aiutami a vivere/ad affrontare la folla/a combattere la giusta battaglia/facendo scattare la molla./Aiutami a vivere/a non mollare/a guardarmi intorno/e a non rinunciare.]

E tuttora sto cercando di aiutare me stessa a vivere… sto facendo proprio quel che mi ero chiesta. Non è semplice. Non è divertente. Non è una strada in discesa. È un qualcosa che mi fa stringere i denti ogni mattina che mi sveglio, quando vorrei rimanere sotto le coperte e invece mi spingo ad aprire le finestre. E guardo il sole penetrare nella stanza. E spero che un giorno il suo calore riuscirà ad entrare anche dentro di me. Intanto continuo a lottare, e continuo a cercare. Continuo a muovere un passo dopo l’altro, movimenti semplici. E cerco di lasciarmi alle spalle il passato, cerco di pensare, cerco di sorridere, cerco di capire, cerco di essere onesta con me stessa, cerco di ascoltarmi e, alla fine, cerco di vivere.

mercoledì 1 ottobre 2008

Contraddizioni

Oggi voglio condividere con voi un disegno che ho realizzato poco più di un anno fa.

Risale ad un momento in cui mi sentivo di fronte ad un bivio: volevo impegnarmi seriamente col ricovero, ma contemporaneamente avevo paura ad abbandonare quello che mi sembrava ancora il "porto sicuro" dell'anoressia. Dentro di me vivevano quindi emozioni e pensieri contraddittori che si sono concretizzati in questo disegno.

(Scusate la qualità non molto buona del formato, il mio scanner è un po' vecchiotto...)



(Giugno 2007)
 
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