Come gli alchimisti trasformavano il ferro in oro… voi potete trasformare l’oscurità in luce. Siete tutte benvenute.

venerdì 13 marzo 2015

Buongiorno ragazze, vorrei aprire questo post raccontandovi una storia. Una storia che inizia con una serie di commenti anonimi vicendevolmente rispondenti lasciati ai miei ultimi post, continua con una lunga sequela di fantasiose ipotesi, e culminata ieri con una lettera altrettanto anonima dai toni piuttosto aggressivi che è stata spedita all’indirizzo dei miei genitori, i quali hanno prontamente provveduto a girarmela, trattandosi ovviamente di un qualcosa che riguarda prettamente me stessa.

Il fil rouge di questa storia è rappresentato dal fatto che tanto i numerosi commenti anonimi scritti a più voci, quanto le immaginose teorie campate in aria, quanto la letterina non firmata sono tutte opera di uno stesso individuo che, per semplicità, chiameremo casualmente Tiziano.

Mi chiederete come faccio a saperlo.
La spiegazione è in effetti di una banalità estrema: vedete, questo blog è dotato di un tracciatore. Un tracciatore è un sito che permette, tramite l’incorporazione di un pezzo di codice HTML, di monitorare tutta l’attività che viene condotta su un blog, e dunque di scandagliare ogni singolo host che anche solo per sbaglio entra nel mio sito. Pertanto, vi propongo alcuni screenshot che ho realizzato sul tracciatore stesso.
 
(Sono solo alcuni perché, dato il numero complessivo di visite realizzate – 1520! come potete vedere dal primo – se ce li mettevo tutti non si finiva più…)

Dunque, dato che la lettera anonima recapitata ai miei genitori da parte di Tiziano aveva il timbro postale di Milano, e che soltanto nell’ultima settimana un host locato in estrema prossimità di Milano ha compiuto la bellezza di 1520 visite al mio blog, fare 2 + 2 è stato semplice.

Chiudo questa prima parte del post dando a Tiziano una piccola delusione: il tuo tanto desiderato “effetto sorpresa” è morto sul nascere, dal momento che hai segnalato ai miei genitori l’esistenza di questo mio blog, che loro già conoscevano da anni.

Okay, detto questo, facciamo un passo indietro nella storia di cui a inizio post, e torniamo alla famigerata lettera che Tiziano ha inviato ai miei genitori. Quando i miei genitori mi hanno riferito quello che era successo, la prima domanda che mi è balzata in mente è stata: com’è possibile risalire al loro indirizzo fisico partendo dal mio blog?

Data la constatazione di questo dato di fatto, il mio primo impulso sul momento è stato quello di dire: okay, elimino il blog. Poi però ci ho pensato su e mi sono accorta che comportandomi in questo modo non avrei fatto altro che darla vinta a Tiziano. Partendo dal presupposto che un’opera diffamatoria mira essenzialmente a dare contro senza alcuno scopo né reale obiettivo, se mi fossi piegata avrei meramente fatto il suo gioco. Se avessi eliminato il blog, lui avrebbe vinto ed io avrei perso. Dunque, mi sono detta, no: il blog rimane tal quale, e scrivo un post in cui lo svelo, perché non esiste colpo che io non restituisca, e dieci volte più forte.

 E poi mi sono accorta di una cosa: che mi stava sfuggendo il punto. Perché questa non è una delle mie gare di karate, dove chi picchia più duro sale sul gradino più alto del podio, e che perde torna a mettere e a togliere la cera. Anche perché, una persona che si fa scudo dell’anonimato, inventa più persone che dialogano tra di loro nei commenti perché nessuno se lo fila di striscio, e arriva persino a scrivere una lettera inopportuna ai miei genitori pur di non parlare direttamente con me, è un perdente a priori. Mentre una persona che cerca di aiutare chi è in difficoltà, che si tratti di una difficoltà legata al DCA o meno, è una vincente a prescindere. Ma questa non è neanche una gara: questa è la vita. Questa è la vita, e io ho avuto una fortuna con la C maiuscola. Su Internet gira gente di tutti i tipi, questo è innegabile. Gira gente positiva e negativa. Io ho avuto la fortuna sfacciata d’incappare sì in uno di questi ultimi, ma in una persona negativa basilarmente innocua: una lettera anonima finisce nel cestino della raccolta differenziata, carta per la busta, organico per il contenuto. Ma se la persona in questione fosse stata pericolosa? Perché ce ne sono. Se la persona in questione avesse inviato una bomba, anziché una lettera? E se, trovato l’indirizzo, si fosse piazzato davanti casa per danneggiare i miei familiari?

In conclusione: io non so come da questo mio blog sia possibile risalire all’indirizzo fisico dei miei genitori, e neanche m’interessa saperlo. So solo che la mia famiglia, (così come i miei amici), rappresenta l’insieme di persone a cui tengo di più. E se il fatto di tenere un blog – per quanto questo blog sia indubbiamente d’aiuto a millemila ragazze, come più e più volte mi avete detto, e come mi hanno confermato molte associazioni che si occupano di DCA regalandomi l’onore e l’orgoglio di linkare il mio blog sui propri siti – deve anche sono ventilare alla lontana l’ipotesi di poter mettere in qualche modo a rischio le persone che amo… il gioco non vale la candela. Perché nella mia vita la priorità sono io, e il mio mondo. E tutte le persone che posso aiutare, pur con tutto il mio bene, non valgono la mia famiglia, i miei amici, i miei colleghi, le persone che amo. Il mio primo dovere è quello di proteggere e di prendermi cura delle persone cui voglio bene: e se l’esistenza di questo blog contribuisce invece anche solo a teorizzare la possibilità che qualcuno possa fargli del male, allora non c’è blog che tenga… perché la mia priorità è la mia famiglia, insieme a tutte le persone che amo.

Questo non significa in alcun modo, ovviamente, che adesso schioccate le dita e io sparisco. Eh no, non sarà così semplice liberarsi di me. Anche perché siamo una squadra, e squadra che vince non si cambia. Significa solo che, per tutelare la mia famiglia da possibili eventuali futuri malintenzionati, non sarò più fisicamente su questa piattaforma blogger. Ma mi troverete sempre su YouTube e su Twitter, a disposizione per ogni vostro M.P., e naturalmente a disposizione di tutte le associazioni che si occupano di DCA (delle quali mi sento di citare in particolare MiNutroDiVita – contattatemi pure per ogni necessità! Potete contare su di me.) per portare la mia testimonianza, il mio aiuto, il mio sostegno, il mio supporto, la mia partecipazione alle iniziative, per chiunque stia lottando contro l’anoressia.

Perché la vostra lotta quotidiana è la mia lotta. Perché non mi sono liberata dall’anoressia, è ancora lì, ma adesso sta in un angolino della mia mente a guardare, spettatrice immusonita, una vita ed un corpo che non è in alcun modo più in grado di tangere né di controllare. Perché la mia vita adesso appartiene solo a me stessa: la mia famiglia, i miei amici, i miei colleghi, il mio karate, la mia professione, i miei hobby, insomma, tutto quello che con fatica sono riuscita a riconquistarmi, ma che ne è valsa infinitamente la pena perché è tutto ciò che rende la mia vita una vita di qualità. Caro anonimo, pensavi che per vincere bastasse fingere? Hai perso tempo a credere quello che non è. Ed è per questo, semplicemente, che ho vinto: perché ora come ora non vorrei essere nessun altro al mondo che me stessa. Ed è tutto qui. La miglior vendetta non è vendicarsi: la miglior vendetta è stare bene.

Che è quello che auguro a ciascuna di voi, ragazze, di tutto cuore. Perché è l’unica, l’unica cosa che conta.

Vi amo di bene.
Prima. Ora. Sempre.

Veggie

venerdì 6 marzo 2015

Chiunque abbia l'anoressia ha solo paura d'ingrassare? Possiamo incolpare la società occidentale?

Una cosa che trovo divertente dell’aver posto un tracciante sul mio blog, è vedere quali parole conducono le persone al mio angolo virtuale; l’altra faccia della medaglia è ovviamente rappresentata dal fatto che non posso interagire direttamente con queste persone. Questo post rappresenta dunque, per lo meno in parte, un tentativo di rispondere ad una delle più comuni domande che indirizza le persone verso il mio blog. Domande frequenti sono varianti delle seguenti: “le modelle troppo magre causano l’anoressia?”, “relazione tra anoressia e immagini di modelle eccessivamente magre”, “le foto delle modelle nei giornali causano l’anoressia?”, “anoressia e ragazze che vogliono essere come le modelle”, “il ruolo della società nell’anoressia”, “pensieri dei medici su come le modelle magre causano l’anoressia”, “la società e l’eccessiva magrezza sono da incolpare per l’anoressia?”. Ecco, questo è il punto.

Ho già affrontato questa tematica in diversi post, l’ultimo di questi era quello in cui disquisivo su alcuni Case Report che si occupavano dei DCA in donne non vedenti, ma già in passato avevo parlato di come l’idea – ovvero il luogo comune – che va per la maggiore tra la gente sia quello che la società occidentale promuove un’ideale di magrezza che causa l’anoressia e che le ragazze con questa malattia hanno paura d’ingrassare.

Questo luogo comune, insieme all’idea che i DCA non esistano nei paesi non-occidentali (o che compaiano solo quando essi risentano dell’influenza dei mass media occidentali), come è emerso anche dal commento che Rosa ha lasciato al mio post precedente, è spesso accettato come fosse un dato di fatto.

Rieger e i suoi colleghi, in un loro studio, hanno cercato di esaminare se questi luoghi comuni fossero effettivamente fondati o meno. Più nello specifico, il loro obiettivo era quello di: “Esaminare in maniera critica 2 luoghi comuni sulla correlazione tra società, peso e anoressia: 1) che la preoccupazione per il proprio fisico è una specifica manifestazione occidentale contemporanea della malattia e 2) che la diffusione della cultura occidentale è responsabile dello sviluppo dell’anoressia nei Paesi non-occidentali. [Per condurre] una review della letteratura empirica e teoretica sugli aspetti culturali dell’anoressia nervosa e sulle cartelle cliniche di 14 donne asiatiche trattate per DCA a Sydney, in Australia.” (mia traduzione)

In sostanza, questi ricercatori sostengono che è il desiderio di perdere peso come forma di controllo piuttosto che la paura di prendere peso a rappresentare una caratteristica distintiva dell’anoressia, e che l’interazione della cultura occidentale nei paesi non-occidentali non è la sola, e men che meno la principale, causa di anoressia, ma semmai tutt’al più una delle millemila concause che stanno alla base di una malattia notoriamente multifattoriale.

Il loro non è un articolo di primo piano né una review omnicomprensiva, ma credo che sia comunque una review che dà molto da pensare, e che tira fuori degli aspetti veramente convincenti ed importanti.

Per come stanno le cose ad oggi, una diagnosi formale di anoressia nervosa, usando il DSM, richiede che le pazienti presentino:

• “intensa paura di acquistare peso o di diventare grassi, anche quando si è sottopeso.” e
• “Alterazione del modo in cui il soggetto vive il peso o la forma del corpo, o eccessiva influenza del peso e della forma del corpo sui livelli di autostima, o rifiuto di ammettere la gravità della attuale condizione di sottopeso” Il criterio del peso (“al di sotto dell'85% rispetto a quanto previsto”) e l’assenza di mestruazioni (amenorrea) sono altrettanto controversi (ne ho già discusso in passato in altri post, quindi evito di ripetermi).

Questi criteri sarebbero dovuti cambiare nell’ultima edizione del DSM, e nella fattispecie il criterio dell’amenorrea avrebbe dovuto essere eliminato… in realtà, però, leggendo il DSM-V si vede che detti criteri sono rimasti per lo più invariati:

• “Intensa paura di aumentare di peso o di ingrassare, o comportamento persistente che interferisce con l’aumento di peso, nonostante un peso significativamente basso.”
• “Anomalia nel modo in cui è percepito il peso o la forma del proprio corpo; inappropriata influenza del peso o della forma del corpo sulla propria autostima, o persistente perdita della capacità di valutare la gravità della attuale perdita di peso.”

In sostanza, Rieger e i suoi colleghi valutano se questi criteri siano validi (Non esattamente, in effetti, perché quest’articolo è stato pubblicato nel 2001, dunque prima della revisione della corrente edizione del DSM, ma francamente penso che i redattori del DSM avrebbero tratto grosso beneficio dal leggere questo articolo).

Com’era già chiaro dal 1995, quando uno psichiatra inglese, Gerald Russell, scrisse:  
“Può darsi che si stia avvicinando il momento in cui sarà opportuno rivedere i nostri criteri diagnostici per l’anoressia nervosa, perché credo ci sia una falsa precisione nella formulazione attuale.” (mia traduzione)

Tra l’altro, Russell è stato il primo a pubblicare una descrizione della bulimia nervosa (e, sì, il “Segno di Russell” ha proprio preso il nome da lui).  

Natura delle preoccupazioni per il peso nell’anoressia 

Studi cross-culturali suggeriscono che la preoccupazione per il peso è minore nelle pazienti non-occidentali rispetto a quelle occidentali. Per esempio, in uno studio di 70 pazienti cinesi di Hong Kong, meno della metà riportavano preoccupazione per il proprio peso durante la fase più acuta della malattia. Tuttavia, queste donne attribuivano la loro perdita di peso ad inappetenza, epigastralgie o dolori addominali, il che suggerisce che la diagnosi di anoressia nervosa poteva essere del tutto inappropriata: una perdita di peso legata a perdita di appetito (nota bene: nel gergo medico l’ “inappetenza” si traduce con “anoressia” – ma NON “anoressia nervosa”!!) è piuttosto un segno di depressione – non di anoressia nervosa.

Rieger suggerisce che quello che è estremamente comune (universale?) nei casi di anoressia nervosa (“ciò che la distingue da ogni altra condizione patologica”) è la natura egosintonica del disturbo. Più specificatamente, il fatto che “la magrezza estrema non è percepita dalle pazienti come un reale problema: per quanto consapevoli che potrebbero averne dei danni di salute, continuano comunque a perseguirla perché questo le fa stare bene e le fa sentire come se avessero tutto sotto controllo”.

Rieger quota la descrizione di una paziente fatta da Charles Lasègue nel lontano 1873:
[…] soprattutto, lo stato di quiete, potrei quasi dire uno stato di appagamento davvero patologico. Non solo [la paziente] non mostrava alcun interesse nel farsi curare, ma era sostanzialmente soddisfatta della sua condizione, pur comprendendo i potenziali rischi per la sua salute. Comparando questo stato di soddisfazione con l’ostinazione a proseguire un percorso patologico, non credo che arriverò molto lontano. Comparando invece tutto questo con le altre forme di anoressia, non posso che osservare quale enorme divario vi sia. […]” (mia traduzione)

Nota a margine: la parola “magrezza” NON è contemplata nella prima descrizione dell’anoressia nervosa da parte di Lasègue.

Un’altra interessante paziente la troviamo in uno studio condotto da Ciseaux nel 1980: “[…] è come se [la paziente] non capisse cosa significa prendersi cura della propria salute. Sostiene che più dimagrisce, o comunque si mantiene magra, meglio si sente […] orgogliosa delle proprie capacità di controllo […] come se la restrizione alimentare fosse diventata la cosa più importante che abbia mai fatto nella sua vita. […]” (mia traduzione)

Rieger evidenzia altri esempi di pazienti che non contemplano affatto la paura di prendere peso od ingrassare:
 “[…] la restrizione alimentare dà un senso di grande potere, le pazienti provano la sensazione soddisfacente di avere tutto sotto controllo, e questo serve a perpetrare la patologia e a mantenerne la natura egosintonica. […]” (mia traduzione)

Insomma, quello che si evince è che, nelle varie pazienti, la restrizione alimentare e la correlata conseguente perdita di peso viene vissuta come fortemente egosintonica.

Rieger conclude la prima parte dello studio citando Russell: 
La paura di prendere peso sembra essere piuttosto una conseguenza, che non una caratteristica in sé, dell’anoressia nervosa, e non è comunque presente in tutte le pazienti. Quello che invece è costante ed immutabile in tutte le pazienti è il fatto che la natura della patologia è fortemente egosintonica, che è guidata dalla percezione di una sensazione di controllo, e che questo controllo esteso alla propria alimentazione e al proprio corpo permette alle pazienti di venire a capo dei propri conflitti interiori tacitandoli e illudendosi così di averli risolti.” (mia traduzione)

Natura delle preoccupazioni per il peso nell’anoressia in Paesi non-occidentali. 

È stato – e tuttora purtroppo è – luogo comune sui DCA il credere che esistano solo nel mondo occidentale, e che la loro comparsa nelle minoranze di immigrati sia legata all’influenza della cultura e dei mass media occidentali: l’internalizzazione di un ideale di magrezza. Alcuni ricercatori avevano provato ad attribuire la differente prevalenza dei DCA nei vari Paesi non-occidentali al diverso “livello di occidentalizzazione” di suddetti Paesi.

Questo tentativo di attribuzione, ovviamente, non tiene conto dei casi di anoressia che comunque si sono verificati ben prima che il modello di magrezza fosse quello dominante nella società. Quel che è certo è che, quando William Gull e Charles Lasègue descrivevano casi di anoressia, la parola “magrezza” non viene MAI menzionata.

Ad oggi esistono studi che mirano a dimostrare che esiste una correlazione tra modelli proposti dalla civiltà occidentale, preoccupazione per la propria fisicità, e DCA, e allo stesso tempo esistono altrettanti studi che mirano a dimostrate che detta correlazione è inesistente.

Per esempio, uno studio rivela che nelle ragazze asiatiche emigrate in Inghilterra, la restrizione alimentare era correlate a valori tradizionali (e NON occidentali) (Hill & Bhatti, 1995). Questa conclusione è supportata da un ulteriore studio condotto da Mumford e i suoi colleghi nel 1991, che rileva la medesima correlazione. Hoek ed i suoi colleghi, in uno studio del 1998, rivelano che la prevalenza dell’anoressia nella popolazione generale di un’isola caraibica era la medesima dei Paesi occidentali, e uno studio di Apter et al. nel 1994 mostra che in un gruppo di villaggi musulmani le donne mostravano le medesime psicopatologie alimentari di pazienti occidentali affette da anoressia.

Fare studi cross-culturali è, tuttavia, molto difficile: innanzitutto, i test e gli strumenti utilizzati per valutare le pazienti in un Paese, sono applicabili, adeguati e rilevanti per pazienti di un altro Paese? E mentre tali problemi metodologici possono spiegare i risultati contraddittori ottenuti, Rieger suggerisce che questo “può essere dovuto ad una possibilità raramente presa in considerazione: che a prescindere dalla provenienza geografica, l’anoressia può rappresentare comunque una strategia di coping che viene messa in atto a prescindere da tutto.”

Gli autori hanno preso in esame anche le cartelle cliniche di 14 pazienti asiatiche affette da anoressia e bulimia, trattate a Sydney, in Australia. Tutte le pazienti riferivano di aver vissuto la restrizione alimentare come egosintonica, ma solo alcune di esse riferivano di aver paura di riprendere peso/ingrassare. Pur non mostrando particolare paura nei confronti del riprendere peso, alcune delle pazienti si rifiutavano di prendere in considerazione la gravità clinica della loro condizione di sottopeso.

Parlando della mia esperienza personale (quanto di meno scientifico possa esserci, insomma…), effettivamente io non ho mai avuto paura di riprendere peso, ed ero anche consapevole del fatto che il mio regime di restrizione alimentare era insalubre ed avrebbe potuto recare danni alla mia salute: tuttavia avevo talmente tanto bisogno di sentirmi in controllo, che le preoccupazioni sulla salute scivolavano in secondo piano. Non mi interessava il peso in sé (tant’è che non mi sono mai pesata, nemmeno nella fase più acuta dell’anoressia), anzi, avrei preferito poter continuare a restringere l’alimentazione pur mantenendo costate il mio peso (cosa impossibile, ovviamente) affinchè nessuno se ne accorgesse e io potessi continuare a restringere l’alimentazione per sentire il senso di controllo che mi trasmetteva. Infatti non m’interessava il perdere peso, mi interessava solo il meccanismo della restrizione alimentare perché mi faceva percepire questo (illusorio) senso di controllo: l’anoressia era una strategia di coping strettamente connessa al mio patologico bisogno di controllare ogni singolo ambito della mia vita. Difatti nel momento in cui, durante il mio percorso di ricovero, sono arrivata a comprendere a pieno questo (inizialmente ne avevo una consapevolezza molto parziale), seguire l’ "equilibrio alimentare" è diventato relativamente semplice.

Tornando allo studio in questione, Rieger e i suoi colleghi lanciano anche dei suggerimenti per studi futuri miranti a valutare la validità dei loro assunti. In sostanza, dicono che i futuri studi dovrebbero essere più esplorativi e aperti alle più svariate interpretazioni. Dicono che dovrebbero andare oltre i soliti test per DCA standardizzati nei Paesi occidentali, e affrontare la tematica con meno pregiudizi lasciando aperto il campo a tutte le ipotesi possibili: valutare per esempio se anche nei Paesi non-occidentali ci siano degli ideali di magrezza su basi culturali o religiose o tradizionali, perché affezionarsi ad ipotesi sbagliate può in definitiva limitare la comprensione dell’anoressia, per cui è importante esaminare criticamente ogni possibile ipotesi.

Per come la vedo io, la domanda centrale è: qual è la caratteristica distintiva dell’anoressia? E’ la paura di prendere peso, e dunque chi non ha questa paura rappresenta un caso “atipico” di anoressia, o è l’ampiamente applicabile criterio dell’egosintonico desiderio di restringere l’alimentazione? Io voto a favore dell’egosintonia: ritengo che l’egosintonica natura della patologia sia ciò che veramente definisce l’anoressia. E, egosintonicamente parlando, suppongo anche di aver ragione.

Se mi rifaccio alla mia esperienza, infatti, io non volevo affatto dimagrire (ero magra già in partenza), anche perché questo comprometteva le mie prestazioni sportive, però volevo restringere l’alimentazione perché mi faceva sentire in controllo. A suo modo, mi faceva stare bene. E io volevo sentirmi in quel modo. Secondo me, queste sono ragioni profondamente egosintoniche, anche perchè non m’interessava il peso in sé.

E voi, ragazze, cosa ne pensate? Qual è stata la vostra esperienza? Quale pensate sia il ruolo della paura di riprendere peso nell’anoressia? E dell’egosintonia? Se vi va, scrivetelo nei commenti!
 
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