Come gli alchimisti trasformavano il ferro in oro… voi potete trasformare l’oscurità in luce. Siete tutte benvenute.

venerdì 26 agosto 2011

10 cose che le "pro-ana/mia" non vi dicono

Premetto che non lavoro in un negozio d’abbigliamento o in una profumeria, non sono una modella, e il mio lavoro non richiede alcun peso in particolare. Non faccio parte di una qualche strana setta che venera l’aumento di peso. Non vengo pagata per quello che scrivo su questo blog. Non voglio mettere paura o fare a moralizzatrice. E studio Medicina all’università. In altre parole: non ho alcuna ragione per mentire su quello che sto per scrivervi, e ho delle conoscenze mediche di base che mi permettono di spiegare in maniera attendibile quanto scrivo. Ve lo giuro.

Dunque, vediamo di mettere in luce alcuni aspetti, ovvero 10 cose (tratte proprio da un blog pro-ana che, per ovvi motivi, non linkerò) che le ragazze che si autodefiniscono “pro-ana/mia” vogliono far passare per vere, ma che in effetti sono vere.. BUGIE!

1) Ci sono alcuni cibi che sono “ingrassanti”, ed altri no, perciò bisogna mangiare solo questi ultimi.
Magari fosse vero! La verità è che ogni cibo apporta un certo quantitativo di calorie ma, soprattutto, di nutrienti. È a questi ultimi che bisogna dare una particolare attenzione. La dieta giornaliera dev’essere bilanciata tra carboidrati (60%), proteine(30%), lipidi (10%), vitamine, fibre e sali minerali. Sono tutti necessari affinché il nostro corpo lavori correttamente. Tutti i cibi sono “ingrassanti” se assunti in dosi eccessive, e assolutamente necessari e salutari se mangiati nelle giuste quantità.

2) Bere thè (soprattutto il thè verde) accelera il metabolismo.
Il thè è indubbiamente una buona bevanda, anche perché (specie la qualità “thè verde”) contiene un discreto quantitativo di antiossidanti. Contiene teina, che è un blando eccitante, ma questo non significa che acceleri il metabolismo!

3) Bisogna cercare di perdere peso quanto più rapidamente possibile, quindi ogni giorno bisogna cercare di mangiare quanto meno possibile.
Perdere tanto peso in poco tempo comporta una perdita di massa muscolare e non di tessuto adiposo. Quello che si ottiene non è quindi DIMAGRIMENTO ma EMACIAZIONE. Il corpo, sprovvisto di cibo, inizia a nutrirsi di se stesso. Inoltre, una rapida perdita di peso sfasa il metabolismo, con il che poi basterà mangiare pochissimo per riprendere rapidamente tutto il peso perso.

4) Non bere aiuta a dimagrire più in fretta.
Non bere aiuta unicamente a disidratarsi. Comporta, oltre a rovinare la pelle, perdita di elettroliti essenziali al corretto funzionamento del nostro organismo.

5) Le conseguenze fisiche di un DCA sono reversibili nel momento in cui si ricomincia a mangiare normalmente.
Niente di più falso. E parlo per esperienza personale. Certo, alcuni aspetti possono essere reversibili, ma i danni veri e seri che la restrizione alimentare provoca al nostro corpo non tornano indietro.

6) Vomitare, usare lassativi e diuretici aiuta a tenere il peso sotto controllo.
La prima digestione comincia nella bocca. Nel momento in cui deglutite, parte di essa è già avvenuta. Quindi, nel momento in cui compiete una delle 3 azioni sopraelencate, tutt’al più eliminate un terzo, o, proprio al massimo, la metà di quello che avete ingerito. Anche perché nel momento in cui il cibo raggiunge il vostro colon, è già stato completamente digerito, per cui… tutto quello che perdete prendendo lassativi sono liquidi, acqua. Senza parlare ovviamente di tutte le altre conseguenze fisicamente deleterie che fare uso di queste tre tecniche di purging può avere. Tanto per fare un unico esempio, la disidratazione conseguente stimola ipotalamo e reni a scambiarsi una serie di segnali ormonali che inducono i tubuli renali a operare ritenzione idrica, innescando un circolo vizioso.

7) Quando vomitate, non assumete precedentemente cibi rossi, perché così non potrete capire se il rosso che vedete nel vomito è dovuto al cibo o al fatto che state sanguinando perché avete lacerato o lesionato qualche struttura fisica.
Se siete fortunate, nel momento in cui vedete del rosso nel vomito, avete appena il tempo per raggiungere il reparto di emergenza chirurgica in ospedale. Ma non c’è bisogno di vederlo per sapere che avete bisogno d’aiuto. Presenza di sangue nel vomito, comunque, per mettere i puntini sulle “i”, è in primis dovuta a lesioni a carico dell’esofago. Se la lesione è molto estesa, difficilmente avrete modo e soprattutto tempo di farci qualcosa.

8) Prendere pillole ed integratori vitaminici colma la carenza di vitamine derivante dalla restrizione alimentare.
Prendere vitamine artificialmente è un gran bello spreco di soldi e di tempo, ragazze mie. Le vitamine liposolubili per funzionare necessitano di lipidi… che, se restringete, non disponete e non state assumendo, o comunque non in quantità sufficiente. Le vitamine idrosolubili per funzionare necessitano di proteine… che, se restringete, vengono utilizzate del corpo stesso per sostenersi, “bruciando” i vostri stessi muscoli. Quindi figuriamoci se ne avanzano per utilizzare le vitamine! Morale della favola: le vitamine artificiali non sono in grado di fare niente. Non pensate che una pillolina vitaminica colorata possa annullare i danni che con la restrizione state arrecando al vostro organismo: una donna sana non ha bisogno di assumere vitamine artificialmente. Le pillole e gli integratori vitaminici NON sono in alcun modo un sostituto all’alimentazione.

9)Fate una leggera attività fisica prima di fare colazione. L'organismo ha pochissimi zuccheri in circolo da utilizzare come carburante e attinge immediatamente alle riserve di grasso intramuscolare.
No, errato. Attinge immediatamente alle riserve epatiche di glicogeno. Determinando una più o meno severa ipoglicemia che può portare anche allo svenimento. Per attingere alle "riserve di grasso intramuscolare" sarebbe necessario fare una pesante attività fisica per diverse ore... ma, a questo punto, se non avrete ancora fatto colazione, sarete già svenute da un pezzo.

10) Questi consigli non li ho inventati io, li ho trovati su un blog/fotum/sito “pro-ana”, e poiché tante ragazze li seguono con risultati soddisfacenti, non possono che essere utili. Se non ci credete, chiedete a qualche anoressica.
In bocca al lupo a quelle che decideranno di “chiedere a qualche anoressica”, perché nessun’anoressica che io conosca incoraggerebbe qualcuno a seguire tali “consigli”, visto che l’anoressia è la battaglia contro cui dovrà combatter per il resto della sua vita.

Potrei andare avanti ancora per molto, ma penso che questi 10 esempi siano sufficienti a farvi capire che sui blog pro-ana/mia girano molti luoghi comuni, ma che non racchiudono alcuna verità. L’unica verità è che contro l’anoressia bisogna combattere, bisogna scegliere ogni giorno la strada del ricovero. Ricercate la verità ed abbiate cura di voi stesse, perché nessun altro lo farà: solo voi avete tra le mani la vostra vita e potete decidere cosa farne, lottare contro l’anoressia o meno. E delle 2 scelte, solo una ha un futuro.

venerdì 19 agosto 2011

Lasciar andare il "sentirsi speciali"

Leggendo il commento che Ima Sickone ha lasciato al mio post precedente ("[...]Perchè forse per me il DCA è qualcosa che mi fa sentire speciale. Stupidamente, senza dubbio.. hai avuto anche tu la stessa impressione? [...]"), mi è tornata in mente una puntata del telefilm “Dr. House” – nella fattispecie, mi sono poi documentata, il 12° episodio della 7^ stagione. Non mi piace particolarmente questo telefilm, tuttavia in quest’episodio ho trovato un dialogo che mi ha fatto pensare esattamente alle parole scritte da Ima Sickone.

La trama (molto in breve): la paziente dell’episodio è una cameriera (Nadia) che ha una memoria assolutamente straordinaria, e il team di medici del dottor House cerca di capirne le motivazioni, e cerca di capire come questa “super-memoria” possa essere correlata agli altri sintomi presentati dalla donna. La diagnosi che viene fatta è che questa speciale memoria sia una sorta di forma di OCD (DOC) secondario ad una mutazione genetica. Dopo che la paziente è stata messa al corrente della diagnosi, uno dei dottori (Chase) entra nella sua stanza per parlare con lei. Qui si svolge il seguente dialogo:

Chase: Hai detto che non hai avuto la possibilità di scegliere di essere quel che sei. Adesso, ce l’hai. [Tira fuori un piccolo contenitore di SSRI]. Questi si sono dimostrati efficaci nel trattamento dei disturbi ossessivo-compulsivi.
Nadia: Intendi dire che assumendoli perderò la mia memoria?
Chase: Non del tutto… Avrai una memoria come quella della maggior parte della gente.
Nadia: La mia memoria è l’unica cosa che mi abbia mai resa speciale…
Chase: Sei vuoi essere speciale, sarai sempre condannata alla solitudine. [Lascia le pillole tolte dal contenitore sul vassoio ed esce dalla stanza]


E’ un sentimento che conosco molto bene – e realizzare che la cosa che ci fa sentire speciali è tanto una malattia quanto una cosa che distrugge il resto della nostra vita è una realizzazione estremamente importante.

Quando si è nel pieno dell’anoressia, è facile dimenticare che la restrizione alimentare non è un qualcosa che ci rende davvero speciali. È semplicemente un qualcosa che ci rende malate. Ma siamo solo noi a non capirlo. In fin dei conti, una delle cose più frustranti dell’anoressia è che quando si è nel pieno della malattia non ci si rende conto che questo nostro “sentirsi speciali” – l’unica cosa di cui ci si sente orgogliose, l’unica cosa che sembra essere in grado di dare un senso alla nostra vita – non è in realtà niente di così speciale. È semplicemente uno dei sintomi di una malattia.

Questo “sentirsi speciali” costituisce uno dei maggiori ostacoli all’intraprendere un percorso di ricovero. Perché pur riuscendo successivamente a razionalizzare l’anoressia come una malattia, permane sempre la sensazione che questa fosse l’unica cosa in grado di renderci speciali. In fin dei conti, web e riviste pullulano di diete che la maggior parte delle persone non riesce a seguire. E invece noi siamo brave a farlo, e questo ci illude di essere in qualche modo speciali.

In realtà, però, quello che ci rende veramente speciali è la decisione d’intraprendere la strada del ricovero. L’anoressia ci impedisce di vivere a pieno, e combatterla significa darci una possibilità di relazionarci davvero con il resto del mondo e di raggiungere un equilibrio più stabile e sano. In fin dei conti, ci sono solo 2 possibilità: combattere contro l’anoressia, o morire per lo più per quelle che sono le complicanze fisiche dell’anoressia. Certo, l’illusione di essere speciali indotta dall’anoressia è molto potente e permane a lungo. Se non si restringe l’alimentazione, che resta? Ci si sente come se non valessimo più niente. E così, anche se l’anoressia alla fin fine devasta la nostra vita, si esita a fare un cambiamento perché si ha paura che si torni ad essere insignificanti, prive dell’unica cosa che pensavamo ci rendesse speciali.

Ma, ragazze, noi non siamo speciali perché abbiamo una malattia. Siamo speciali nel momento in cui decidiamo di opporci a quella malattia e al suo pattern erroneo di pensieri. Siamo speciali quando decidiamo di affrontare la nostra vita di petto, con tutte le sue difficoltà, le sue sfide… pur essendo “semplicemente” persone “normali”.


P.S.= Ringrazio di cuore tutte le meravigliose ragazze che mi hanno chiesto come sta andando la mia ricerca del nuovo appartamento... Le acque si sono notevolmente smosse in questi ultimi giorni, ma non vorrei cantare vittoria troppo presto... vi terrò informate al riguardo, ovviamente, grazie infinite per la vostra gentilezza, siete meravigliose!...

venerdì 12 agosto 2011

Il mito della motivazione

Il titolo di questo post è anche il titolo che è stato dato alla Conferenza Internazionale sui Disordini Alimentari 2010, tenuta dal clinico britannico Glenn Waller. Ho letto diversi articoli a proposito di questa conferenza, nonché visto alcuni video in cui parlava il Dottor Waller, e devo dire che, sebbene non sempre concordi col suo punto di vista, sicuramente fornisce degli input molto stimolanti.

Nella sua dissertazione, il Dottor Waller tratta anche della difficoltà di trovare la motivazione al ricovero nelle donne che stanno vivendo un DCA. È un discorso spinoso ma molto importante in questo campo, perché trovare e soprattutto mantenere nel tempo la motivazione a percorrere la strada del ricovero è un problema davvero comune con cui credo chiunque combatta contro l’anoressia si sia trovata almeno una volta a dover far fronte. È strettamente correlato alla natura intrinseca dei DCA: l’anoressia è un problema ma, paradossalmente, è anche una soluzione. È una malattia, ma è anche una cura. Arreca tanti svantaggi, ma porta anche dei vantaggi. Questa credo sia la principale ragione per cui i DCA sono così incredibilmente difficili da trattare.

Quando ho cominciato a percorrere la spirale discendente dell’anoressia, non vivevo la cosa come un problema. Anzi, mi sentivo benissimo: forte, soddisfatta, in controllo, sicura di me stessa, migliore del solito, in una parola: onnipotente. Quale mai avrebbe potuto essere, perciò, il problema? Perché mai avrei dovuto intraprendere la strada del ricovero? Come poteva l’anoressia essere una malattia? Semplice: quando non si mangia a sufficienza la salute, fisica e mentale, comincia poco a poco a risentirne. In ultima battuta, sono le limitazioni funzionali e mentali che l’anoressia a poco a poco c’impone che possono essere utilizzate in psicoterapia dai medici per aiutarci a cambiare il nostro atteggiamento.

Il problema è che la motivazione è spesso, per citare le parole del Dottor Waller, un “manifest statement”: è quel che vogliamo fare, piuttosto che quello che avremo effettivamente intenzione di fare (o siamo capaci di fare). Lui compara la dichiarazione dell’orientamento verso la strada del ricovero alle campagne politiche di promesse – non vogliono dir nulla di concreto, e restano solo parole fintanto che non vengono messe in atto. Molto spesso chi ha un DCA si comporta come un politico: alle parole non seguono i fatti.

La risposta del Dottor Waller a questo è una sorta di “aprire gli occhi”. Lui dice agli psicoterapeuti di cercare di smettere di essere parte del problema nella scarsa motivazione al ricovero puntando troppa enfasi sulle dichiarazioni d’intraprendere la strada del ricovero. Facendo così, lo psicoterapeuta ascrive importanza all’anoressia, non alla paziente. “L’anoressia aspetta soltanto che qualcuno gli dia importanza, per sopravvivere” dice il dottore, “e la motivazione d’intraprendere una psicoterapia/percorrere la strada del ricovero non eguaglia l’effettiva motivazione al cambiamento”.

Il fattore che limita maggiormente il cambiamento è l’ansia dell’ignoto. Il non lasciar la strada vecchia per la nuova, perché al DCA in fondo siamo abituate, fa male ma lo sappiamo gestire, è prevedibile, mentre una vita senza anoressia non riusciamo neppure ad immaginarla, e ci spaventa. Inoltre, soprattutto all’inizio, è difficile riconoscere di avere un problema, e questo limita ulteriormente la motivazione al cambiamento ed al ricovero.

Statistiche alla mano, è impressionante vedere quante persone iniziano un percorso di ricovero e poi abbandonano la psicoterapia. Il Dottor Waller non spiega esattamente come mai questo accada, ma io credo sia perchè il supporto ricevuto non è tale e quale alle aspettative, o perchè la troppa fretta di vedere i risultati acceca la consapevolezza che il ricovero dall’anoressia è un processo estremamente lento e fatto di tanti piccolissimi passi.

Penso che trovare e mantenere la motivazione sia un passo fondamentale del ricovero dall’anoressia. Il Dottor Waller dice che il lavoro sulla motivazione dev’essere incessante per tutta la durata della psicoterapia, e che devono essere a poco a poco acquisite strategie che consentano di mantenere autonomamente la motivazione, imparando a limitare i pensieri che ci ricatapultano dritte dritte dentro la mentalità dell’anoressia. Inoltre, aggiungerei che la motivazione è un qualcosa che, col tempo, può vacillare e addirittura scomparire del tutto, per questo non può essere trattata superficialmente e poi messa via, ma bisogna lavorarci su continuamente.

Certo, poi ci sono anche cose che il Dottor Waller ha detto e su cui io non mi trovo d’accordo, per esempio la sua convinzione che le pazienti che non decidono di fare un cambiamento, scelgono di rimanere malate. Questo può essere anche vero nella maggior parte dei casi, ma non si può fare di tutta l’erba un fascio. Talvolta può accadere che la paziente non scelga di per sé di rimanere malata, ma semplicemente non trova intorno a sé un ambiente che le fornisce un adeguato supporto al cambiamento.

A parte questo, comunque, penso che il Dottor Waller, con le sue parole, fornisca degli input molto importanti, sia a chi sta combattendo contro un DCA, sia aglio psicoterapeuti, in modo che entrambe le figure possano muoversi sinergicamente mantenendo la motivazione sulla strada del ricovero.

sabato 6 agosto 2011

Un articolo di passaggio

Un recente articolo scritto da un'adolescente alle prese con i DCA: "What I wish parents knew about eating disorders". ( <- click sopra per aprire il collegamento)

Sebbene sia scritto in Inglese, ho voluto condividerlo qui perchè penso che molte di noi possano rispecchiarcisi.

Dateci un'occhiata ragazze, genitori, amici, tutti quanti!

lunedì 1 agosto 2011

"Full Mouse, Empty Mouse": ti stimo

Quando, girovagando su Internet, in siti americani inerenti i DCA, ho scoperto che era stato scritto un libro per ragazzini/e intitolato “Full Mouse, Empty Mouse: A Tale of Food and Feelings”, la mia attenzione si è risvegliata, e l’ho immediatamente ordinato su eBay (QUI potete trovare il link se siete interessate all'acquisto).

Finalmente, dopo mesi di attesa, il libro mi è arrivato. L’ho letto, e di fronte a certe cose che vi erano scritte, mi è veramente salito un groppo in gola.

Ora, non è che questo sia un libro eccessivamente sentimentale. Quello che mi ha colpito, piuttosto, è stato il fatto che attualmente esiste un libro che, seppure scritto in Inglese, riesce a parlare ai ragazzini/e dei DCA e delle sensazioni ad essi correlate.

L’autrice del libro si chiama Dina Zeuckhausen, che è anche la fondatrice e la direttrice esecutiva dell’ Eating Disorder Information Network. Io vorrei farle un applauso perché: 1) Ha scritto questo libro; 2) Ha scritto questo libro con un’estrema sensibilità e appropriatezza per un pubblico di 10 – 14enni; 3) Ha incluso nel libro delle notazioni per i genitori e delle FAQ (sempre rivolte ai genitori di una ragazzina/o che ha un DCA), nonché gl’inidirizzi di diversi siti Internet che si occupano di DCA.

“Full Mouse, Empty Mouse: A Tale of Food and Feelings” è il miglior libro che io abbia mai letto? No. E’ utile e profondo? .

E’ un libro scritto in versi, come se fosse una sorta di lunga poesia, e anche se in alcuni punti sembra un po’ forzato (o, quantomeno, a me sembra un po’ forzato, poi è ovvio che non ho competenze inglesi tali da poter dare grandi giudizi…), in generale mi pare che riesca a comunicare molto bene con i ragazzini/e, per cui centra in pieno il suo obiettivo. Le illustrazioni (di Brian Boyd) completano splendidamente il quadro ed il messaggio.

Quello che mi è piaciuto di più di questo libro è che non è prettamente rivolto verso le ragazze (come la maggior parte di ciò che inerente i DCA), e non si focalizza unicamente sulla restrizione alimentare o sui problemi connessi al cibo. Parla di un topolino e di una topolina che si abbuffano (per arginare sentimenti/situazioni ansiogene) e restringono l’alimentazione (sempre per arginare sentimenti/situazioni ansiogene) rispettivamente.

Non vengono menzionati comportamenti di compensazione come il vomito autoindotto – e penso che questo sia molto saggio. Laddove prova ad aiutare i più giovani che hanno a che fare con un DCA, non suggerisce la possibilità di “riparare” ad un eventuale abbuffata vomitando, qualora la cosa non fosse venuta in mente al lettore/alla lettrice. Del resto, non sarebbe neanche funzionale per questo tipo di libro mettersi a spulciare ogni singolo comportamento di coping relativo ai DCA.

"Listen to your body.
It's not too hard to read.
Go inside and you will find
The answers that you need.

To find out what you're feeling,
Here's the place to start:
Understand the language
Of your Tummy and your Heart.

Speak up if you're angry,
Get a hug if you feel scared,
And if you're sad, just cry those tears,
'Cause feelings should be shared!"


[“Ascolta il tuo corpo. / Non è troppo difficile comprenderlo. / Scava dentro di te e troverai / le risposte di cui hai bisogno.
Per capire quali sono i tuoi veri sentimenti / c’è un modo per cominciare: / ascolta e separa il linguaggio / del tuo stomaco e del tuo cuore.
Grida se sei arrabbiato/a, / fatti abbracciare se hai paura, / e se sei triste, piangi tutte le tue lacrime / perché i sentimenti devono essere buttati fuori!”]

Sono rimasta piuttosto impressionata. Il libro mi è piaciuto, e se qualcuna di vuoi ne avrà la possibilità, consiglio di leggerlo – ai ragazzini/alle ragazzine che hanno un DCA, ai ragazzini/alle ragazzine che non hanno un DCA, a chi non ha ancora chiaro come possano essere intricate le dinamiche di un DCA, e anche agli adulti. E’ comunque un libro toccante. Sono molto contenta che qualcuno abbia deciso di pubblicare un libro per ragazzini/e che metta in evidenza il coraggio che ci vuole per relazionarsi con i propri sentimenti senza nascondersi dietro un DCA, che incoraggia a parlare con la famiglia delle proprie difficoltà alimentari per quanto questo possa essere estremamente difficile, che consiglia di discernere tra il sentire il corpo e il cuore, e che mostra che nessuno che combatte contro un DCA sia da solo.
 
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