Come gli alchimisti trasformavano il ferro in oro… voi potete trasformare l’oscurità in luce. Siete tutte benvenute.

venerdì 26 febbraio 2010

Gridare

Usiamo le nostre parole per esprimere quello che abbiamo dentro. Non lasciamo più che sia il nostro corpo a parlare per noi.

Quando siamo in balia dell’anoressia, troppo spesso dimentichiamo di utilizzare la nostra voce ed usiamo invece il nostro corpo per esprimere quello che proviamo.
Ho paura. Mi sento sola. Non sto bene con me stessa. Mi sono fatta del male. Sono triste. Mi sento vuota. Mi sento lacerata. Mi sento una nullità.

Di fronte ad emozione che sono così intime e profonde, esternarle utilizzando la voce sembra essere praticamente impossibile. E allora ci limitiamo a rifletterle sul nostro corpo, lasciando che sia questo a parlare per noi, ad esprimere tutta la nostra voce inespressa.

La paura di ferire gli altri ci porta allora a farci del male, provocandoci ferite che lasciano il segno molto a lungo. Il nostro corpo diventa così il nostro capro espiatorio, un collage di dolore, paura, inadeguatezza, problemi, insicurezza, mancanza di autostima.

Adesso, perciò, dobbiamo cominciare a gridare. E farlo utilizzando la nostra VOCE, e non più il nostro CORPO. Dobbiamo gridare la nostra rabbia, la nostra insoddisfazione e il nostro dolore fino a che non avremo più voce. E allora ci accorgeremo che saremo riuscire comunque a farci sentire… e in un modo che non è più dannoso né lesivo per noi stesse.

Usiamo le nostre PAROLE, non il nostro CORPO. Le parole sono molto più potenti.

lunedì 22 febbraio 2010

Maschere

Ieri ero a lavoro nella città dove abita Fighter, così abbiamo colto l’occasione per incontrarci di nuovo. Lei è venuta a trovarmi in palestra, ed avevamo progettato di andare a vedere la sfilata del Carnevale, dopo, ma purtroppo il lavoro si è protratto fino a tarsi e non è stato possibile.

Purtroppo abbiamo avuto poco modo di parlarci, Fighter, ma sappi che io ti ho sentita. Ti ho sentita e ti ho pensata molto anche quando te ne sei andata.
E mi è venuto da pensare che a tanti ho rinfacciato che non hanno il coraggio di soffrire. Subito dopo mi è venuto in mente che non ho mai avuto il coraggio di non soffrire. Forse è questo ciò che ci tiene in sospeso – né di qua e né di là – sai?! Tutta la paura che fa la serenità. Capisco, Fighter, capisco quando mi dici che sorridi a tutti. Capisco quando mi parli di maschere. Come quelle che dovevamo andare a vedere insieme ieri. Le conosco fin troppo bene, le maschere.

Da qando sono entrata nell’anoressia, ho continuato a vestire maschere su maschere per ogni persona che incontro. Bugie. Per giustificare il mio corpo ho raccontato di avere problemi di assimilazione, per giustificare un “no” a qualsiasi torta ho inventato fantasiose intolleranze alimentari. Però non l’ho fatto solo per gli altri come spesso credo, e forse anche tu non l’hai fatto solo per gli altri. A casa mia, dopo 5 ricoveri infiniti a Villa Dei Pini, non c’era modo di essere guardata con una briciola di rispetto e comprensione. Mi arrivava tanta pietà, mi arrivavano occhi attenti, troppo attenti ad ogni mio passo, percepivo un’attesa da parte dei miei dell’ennesimo passo falso, quasi ci rimanevano male se questo passo tardava un po’. Purtroppo sono vissuta molti anni in una situazione al limite. Ma non volevo che, oltre i miei familiari, anche l’altra gente sapesse qualcosa della mia situazione. E così è cominciato il carnevale.

Non ne vado affatto fiera, mi maledico tutti i giorni, ma mi rendo anche conto che per adesso è l’unico modo che ho per custodire uno spazio segreto, inviolabile, e coltivarlo. Mi rendo conto che solo in questo modo riesco ad avvicinare le persone: mettendo una barriera semipermeabile tra me e loro, un volto che lascia passare qualcosa di mio ma non troppo. Però il numero delle maschere non è proporzionale affatto a quello che c’è dietro. E qualcosa dietro c’è, altrimenti non avrebbe senso coprirlo.

Mi hai detto che non ti senti a tuo agio con il tuo corpo, adesso. Tu hai un corpo che non senti, ma ce l’hai. Questa è una constatazione dolorosa ma contemporaneamente può essere un trampolino di lancio. Mi hai parlato di fasi: nelle fasi è implicito un percorso. Anche io avrei voglia di dirti di lottare, di non mollare… ma lo vedi come siamo? Perché non riusciamo mai a dircelo? Perché ci reputiamo così poco credibili? Perché dentro di noi crediamo fermamente che ci sia una ragione per essere qui, per parlarci, e poi fatichiamo così tanto per darle importanza, per renderla il motore di noi stesse? Adesso vorrei tanto avere un corpo che mi faccia respirare in pace. Tutto il dolore fisico che si sente, la debolezza, la stanchezza, dovrebbero essere sufficienti per rendere quell’ “esaltazione nel restringere” qualcosa di estremamente meno potente. Ci sto provando. Ogni chilo è una vittoria da una parte, una sconfitta dall’altra…

Proviamoci insieme, eh, Figher?! (Proviamoci insieme, eh, ragazze?!). Possiamo davvero essere più forti se combattiamo insieme. Combattiamo.

Ti voglio bene, amore. Ma tanto tanto. Spero di riabbracciarti prestissimo.

venerdì 19 febbraio 2010

Non smettere di combattere

Ci sono momento in cui la strada del ricovero si fa particolarmente dura. Momenti in cui non si può fare a meno di pensare che tutto questo non finirà mai. Che l’anoressia avrà sempre la meglio su di noi. Che staremo sempre così male. Che non possiamo farne a meno. Che non riusciremo mai a seguire la strada del ricovero.

Quando questi pensieri minacciano d’invadere la nostra mente, diciamogli subito: STOP.

Non sta scritto da nessuna parte che dev’essere così. Un giorno, sì, un giorno riusciremo a superare questo nostro dolore. Se continuiamo a combattere, ce la faremo. Il ricovero lavora soltanto se noi lavoriamo al ricovero. Perché il ricovero è un processo, non un evento.

Perciò, non smettiamo mai di combattere.

Tu puoi percorrere la strada del ricovero. Sì, proprio tu. Combatti per continuare a percorrere questa strada, fosse anche l’ultima cosa che fai. Anche quando pensi che l’anoressia ti ha portato via tutto e che non ti è rimasto più niente, in realtà una cosa ce l’hai ancora: la speranza. E la forza per combattere. Continua a farlo. Non smettere mai.

martedì 16 febbraio 2010

Orgogliose di noi stesse

Tutte vorremo l’approvazione altrui. Tutte vorremmo essere accettate, amate e rispettate esattamente per quello che siamo.

Ma che cosa succede quando le cose non vanno così? Cosa succede quando le persone che amiamo e dalle quali ricerchiamo disperatamente approvazione non ci accettano per quello che siamo? Che possiamo fare? Dobbiamo provare a compiacerli? Dobbiamo cercare di conformarci al loro standard, annullando quello che siamo, dimenticando i nostri sogni e i nostri obiettivi?

La disapprovazione altrui è un grosso peso da sopportare. È una delle cose che contribuisce a mantenerci legate all’anoressia. Perché, in fin dei conti vorremmo tutte essere guardate, essere accettate per quello che siamo, avere vicino qualcuno che ci dice: “Sono orgoglioso/a di te”. Vorremmo tutte tirare fuori la nostra forza, e pensiamo che l’anoressia possa essere un modo per farlo… ma, in realtà, con l’anoressia stiamo tirando fuori solo la nostra debolezza.

Purtroppo, ci saranno sempre persone che non ci accetteranno per quello che siamo. Perciò, tutto quello che dovremmo cercare di fare è smetterla di cercare l’altrui approvazione, e cercare di trovare quest’approvazione dentro noi stesse.

Forse il resto del mondo non sarà mai fiero di quello che stiamo facendo… ma questo non significa che ciò per cui stiamo combattendo è un qualcosa per cui non vale la pena. Il fatto che gli altri non vedano il fine delle nostre azioni, non significa che queste siano prive di scopo. Anche se gli altri non riusciranno mai a vedere la nostra forza nella vita di tutti i giorni, non significa che noi quella forza non ce l’abbiamo.

Piacerebbe certo a tutte sentirsi dire dagli altri che sono orgogliosi di noi… ma questo è solo un sogno che non si realizzerà mai. Perciò, ragazze, è arrivato il momento di svegliarsi. E di smetterla di ascoltare e di cercare di attendere le aspettative altrui.

Rendiamoci libere da questa schiavitù del compiacere gli altri ad ogni costo. Rendiamoci libere dall’anoressia. Non abbiamo bisogno degli altri per essere orgogliose di noi stesse. Dobbiamo essere orgogliose di noi stesse. Perché lo meritiamo. Dobbiamo essere fiere di quello che siamo riuscite a fare finora e di quello che riusciremo a costruire in futuro.

La strada del ricovero è lunga e dura, ma solo per il fatto che abbiamo deciso di percorrerla dobbiamo essere orgogliose di noi stesse.

sabato 13 febbraio 2010

Cose da ricordare lungo la strada del ricovero

Ci sono alcune cose che, sebbene magari dentro di noi sappiamo, è comunque sempre bene mantenere fresche a mente, nel momento in cui si sta percorrendo la strada del ricovero.

1 – La nostra vita è solo ed unicamente nelle nostre mani. Possiamo decidere di cambiarla totalmente, e decidere in che modo farlo. Dipende tutto solo da noi.

2 – Il cibo non ha niente a che vedere con i nostri sentimenti.

3 – Se si cade anche per mille volte… dentro di noi abbiamo la forza per rialzarci mille e una volta.

4 – Il nostro futuro è molto più importante dell’anoressia. Perché l’anoressia non ci permette di avere un futuro.

5 – Farci del male non servirà ad altro che ad accrescere il nostro dolore.

6 – L’anoressia comporta seri danni da un punto di vista prettamente fisico: non è decisamente una scelta vantaggiosa.

7 – Ciascuna di noi è capace di essere qualcosa di molto più grande ed importante che non “anoressica”.

8 – Il tempo impiegato per mettere in atto comportamenti disfunzionali può essere viceversa usato per fare qualcosa di positivo e creativo per noi stesse.

9 – Ciascuna di noi ha la possibilità di scegliere se permettere a ciò che ci accade nella vita di crearci o di distruggerci.

10 – Le ricadute sono inevitabili per tutte. Bisogna puntare al progresso, non alla “perfezione”.

11 – Ci vuole tanto tempo perché si sviluppi un DCA… altrettanto è necessario al ricovero.

12 – Talvolta può essere utile persino ridere di noi stesse.

13 – La forza per proseguire la strada del ricovero può essere inaspettatamente tratta da tutto ciò che ci circonda.

14 – La speranza è un qualcosa di concreto. E più si lavora duro, più ne abbiamo.

15 – Quello che gli altri pensano di noi non è un nostro problema. Semmai, è un problema loro.

16 – Non cerchiamo di fare grandi passi tutti insieme, ma tanti piccoli passi delle quali dobbiamo essere felici perché, sommati insieme, danno un grande passo.

17 – Proviamo ad essere aperte a tutto ciò che la vita ci porrà di fronte.

18 – Usiamo la nostra voce per gridare quanto stiamo male, non il nostro corpo.

19 – Ci sarà sempre almeno una persona più bella/magra/simpatica/sexy/intelligente di noi. Compariamo e dimentichiamo. Siamo quello che siamo, e non c’è niente di meglio al mondo.

20 – Gli errori altrui non sono giustificazioni per le nostre ricadute.

21 – Percorrere la strada del ricovero vale sempre e comunque la pena.


P.S.= Sono finalmente riuscita a trovare una psicoterapeuta che lavora nella mia zona! Da Mercoledì ricomincio la psicoterapia!!!

mercoledì 10 febbraio 2010

Scusate Superchick!

ATTENZIONE!: POST MOLTO IRONICO.
ATTENTION!: VERY IRONIC POST.
ATTENTION!: POST TRèS IRONIQUE.
ВНИМАНИЕ!: “POST” (-ПOCTь-) ОЧЕНЬ ИРОНИЧЕСКИЙ.

(chiunque conoscesse altre lingue è caldamente pregata di fornire traduzione... ^___^)

Allora, ecco il punto. C’è questa band che si chiama Superchick, che ha scritto, tra le altre, una canzone – appartenente all’album “Beauty from pain” – che io trovo bellissima: “Courage”.

Il soggetto di questa canzone è indubbiamente l’anoressia e, anche se non sono riuscita a capire bene il perché, le ragazze che si definiscono “pro-ana” l’hanno adottata come una sorta di loro “inno nazionale”. Su YouTube, infatti, ci sono centinaia di video “pro-ana/thinspo” che utilizzano questa canzone come colonna sonora. Questo, secondo me, è semplicemente assurdo e insensato.

A parte il fatto che non posso fare a meno di chiedermi come si sentiranno i Superchick se sono venuti al corrente di questa notizia…

Ad ogni modo, sebbene le ragazze che si dicono “pro-ana” abbiano dissacrato in ogni modo questa meravigliosa canzone, io credo che, viceversa, questo sia un pezzo che si limita a dare una descrizione di quella che è la vita quotidiana con l’anoressia, nonché una serie d’incoraggiamenti ad abbandonare questo vicolo cieco per unirsi alle persone che già vi stanno lottando contro, al fine d’intraprendere la strada della luce. Tutto il contrario della "linea di pensiero pro-ana", insomma...

Ve ne riporto alcuni stralci, tanto per farvi capire quello che intendo dire…

“…I don't know the first time I felt unbeautiful / The day I chose not to eat / What I do know is how I've changed my life forever / I know I should know better…”
“…Non so quand’è stata la prima volta in cui mi sono sentita male con me stessa / Il giorno in cui ho deciso d’iniziare a restringere / Quel che so adesso è che ciò ha cambiato per sempre la mia vita / e mi rendo conto che avrei dovuto saperlo meglio…”

E non è forse così? S’inizia quando non ci si sente più a nostro agio con noi stesse. E si continua. E quando ci si rende conto di tutto quello che abbiamo distrutto, ci si chiede come abbiamo fatto a non rendercene conto fin dall’inizio. Questo non è quello che le ragazze “pro-ana” tanto decantano come “delirio d’onnipotenza”… questo è semplicemente delirio d’impotenza.

“…There are days when I'm OK / And for a moment, for a moment I find hope / But there are days when I'm not OK / And I need your help / So I'm letting go…”
“…Ci sono giorni in cui mi sento OK / e per un momento, per un momento trovo la speranza / Ma ci sono giorni in cui non mi sento affatto OK / e ho bisogno del vostro aiuto / per non lasciarmi andare…”

Non è così per tutte la strada del ricovero? Ci sono giorni in cui si sta meglio, giorni in cui camminare per questa via sembra più semplice, giorni in cui ci sembra di riuscire a vedere la luce, e altri giorni in cui ci sentiamo nuovamente risucchiate dalle tenebre dell’anoressia. Ed è proprio in questi momenti che, come dice la canzone, dobbiamo sostenerci a vicenda… per non lasciarci andare.

…You should know you're not on your own / These secrets are walls that keep us alone / I don't know when but I know now / Together we'll make it through somehow…”
“…Devi sapere che non sei sola / Questi segreti sono mura che ci isolano lasciandoci da sole / Io non so quando, ma lo so con certezza / Insieme possiamo andare avanti in un modo o nell’altro…”

E queste sono le parole che vorrei rivolgere a tutte voi, ragazze. Non siete sole. Io sono qui. Noi tutte siamo qui. Forse non sarà oggi, nè domani, nè tra un anno… ma possiamo continuare a camminare. E, insieme, possiamo farcela.

“…I need you to know / I'm not through the night / Some days I'm still fighting to walk towards the light / I need you to know / That we'll be OK / Together we can make it through another day…”
“…Voglio che voi sappiate / che non sto più nelle tenebre / ogni giorno combatto per camminare verso la luce / Voglio che voi sappiate / che andrà tutto bene / Insieme possiamo andare avanti almeno per un altro giorno…”

Che sono le parole che auguro a tutte di riuscire a pronunciare, prima o poi. Sì, ragazze, insieme possiamo riuscire ad andare avanti almeno per un altro giorno. E per un altro ancora. E per tutti quelli a venire.

Questa, in conclusione, non mi sembra per niente una canzone “pro-ana”! E se queste ragazze la vedono come tale… bè, Sucperchick, vi chiedo scusa anche a nome loro… del resto, è noto che la malnutrizione altera i circuiti neuronali causa carenza di serotonina, quindi… SCUSATE!!

Del resto, ci vuole un ENORME “COURAGE” per intraprendere la strada del ricovero e continuare a percorrerla giorno dopo giorno… perciò, questa canzone non può in alcun modo essere “pro-ana”! ^___^

domenica 7 febbraio 2010

Definizioni...

Che cos’è l’anoressia?

Il DSM-IV la definisce come una perdita dell’appetito e un incapacità di alimentarsi, con tanto di criteri clinici correlati per la diagnosi.

Ma chi ha vissuto (e sta vivendo) sulla propria belle l’anoressia, sa che questa è ben altro e va molto oltre la sua definizione tecnica.

L’anoressia è dolore.
L’anoressia è solitudine.
L’anoressia è delirio d’onnipotenza che si trasforma in impotenza.
L’anoressia è ossessione.
L’anoressia è sfida.
L’anoressia è vuoto.
L’anoressia è morte. In tutti i sensi.

Ma noi possiamo scegliere di percorrere la strada del ricovero, ed è quello che dobbiamo fare. Tener duro anche quando ci sentiamo perse. L’anoressia è una notte scura, una strada senza uscita. La scelta del ricovero è l’alba di un nuovo giorno, una strada lunga, ripida ed accidentata, che porta alla sommità di una montagna dalla quale potremmo ammirare uno splendido panorama.

Percorrere la strada del ricovero è la cosa più difficile che ci ritroveremo mai a dover fare in tutta la nostra vita, e ci saranno tanti momenti in cui ci verrà voglia di arrenderci perché sembra molto più semplice ricominciare a restringere l’alimentazione, molto più estemporaneamente gratificante. Ma, alla lunga, non l’ho è. Perché l’esaltazione della restrizione non vale l’inferno che ci predispone ineluttabilmente davanti.

Nella vita, quella vera, intendo, quella oltre l’anoressia, c’è molto più di quel che immaginiamo. Dobbiamo solo aprire gli occhi ed iniziare a cercare di vederlo.
L’anoressia ha cercato di strappare alla nostra vita tutto quello che aveva un significato, tutto quello che era importante: famiglia, amicizia, hobby, sport, studio, lavoro… tutto quello che rendeva la nostra vita degna di essere vissuta. Abbiamo lasciato che questo demone ci controllasse perchè eravamo troppo spaventate da come avrebbe potuto essere la nostra vita senza di lei. Perciò ci siamo auto-ingannate dicendoci che senza l’anoressia non avremmo avuto alcuna possibilità, senza renderci conto che era l’anoressia stessa a toglierci ogni qualsiasi opportunità. E le abbiamo creduto, abbiamo creduto a tutte le sue bugie. Le abbiamo creduto quando ci ha detto che dovevamo andare ancora avanti in questa strada distruttiva, perché sarebbe andato tutto bene, e non abbiamo saputo vedere la nostra vera bellezza, quella interiore. L’anoressia non potrà mai darci quello che promette, con lei possiamo solo distruggerci cercando di raggiungere l’impossibile. Ma voi, ragazze, TUTTE VOI siete bellissime, meravigliose, speciali, uniche, e molto, MOLTO più di quel che l’anoressia vi ha fatte diventare.

Nella mia vita non ho mai fatto niente di più difficile che cercare di continuare a precorrere giorno dopo giorno la strada del ricovero. Talvolta inciampo, barcollo, cado, ma cerco sempre di rialzarmi quanto più rapidamente possibile. Ricordatevi sempre che non è importante quante ricadute avrete, ma quante volte sarete capaci di rialzarvi. Le ricadute sono parte naturale del percorso di ricovero, ci ricordano dov’eravamo prima e dove non vogliamo tornare di nuovo. Quando restringevamo l’alimentazione non eravamo noi stesse, non stavamo dando il meglio di noi. Certo, magari andavamo a scuola o a lavoro, facevamo sport, ma eravamo funzionanti solo in parte, perché la nostra mente era per lo più dominata da pensieri anoressici. Ma noi siamo molto più e molto meglio dell’anoressia, perciò non dobbiamo più essere schiave di un mostro che c’inchioda a pensieri relativi a corpo/peso/cibo. Noi non dobbiamo più credere alle bugie dell’anoressia, siamo ben più intelligenti.

Probabilmente dovremmo lottare con l’anoressia per il resto della nostra vita, ma fintanto che non molliamo, saremo noi a mettere l’anoressia in catene.

Non mollate mai, anche quando tutto vi sembra perso. Vi prometto che la strada del ricovero vale tutte le sue avversità. Da qui in poi le cose non potranno che andare meglio.

giovedì 4 febbraio 2010

Ricovero & Autostima - Rimediare agli errori

Penso che migliorare la propria autostima sia una parte importante del processo di ricovero da un DCA. Questo perchè noi ragazze con un passato-presente di DCA tendiamo molto spesso a svalutarci, nonché a rimproverare noi stesse per gli errori che abbiamo commesso in passato. E così finiamo in balia del DCA che tenta di farci pagare, espiare tutti gli errori che abbiamo commesso.

Bene, ragazze, è giunto il momento di puntualizzare 6 cose fondamentali riguardo gli errori:

1 – Gli errori sono maestri di vita. Se si “fallisce” in qualcosa, e si continua ad auto-accusarci per l’errore commesso, senza riuscire a fare nient’altro, non stiamo imparando la lezione che l’errore cercava d’insegnarci.

2 – Gli errori possono essere segnali. Per esempio, se avete un piccolo incidente in auto, un qualcosa come il prendere una curva troppo stretta all’angolo di una casa, rompendo così uno specchietto, quest’errore dovrebbe servirvi NON per deprimervi dicendovi che non siete capaci neanche a guidare ma, viceversa, per mettervi in allerta la prossima volta che tornerete a guidare.

3 – Gli errori sono parte dell’essere spontanee… e quindi, in definitiva, vive. Se si ha troppa paura di “fallire” e di fare errori, e si cerca di controllare assolutamente tutto ciò che ci circonda affinché ciò non accada, perderemo tutta la nostra spontaneità ed innalzeremo un muro tra noi e le persone che ci stanno intorno, impedendoci sempre e comunque di essere semplicemente noi stesse, e quindi apprezzate ed amate unicamente per quello che siamo.

4 – Ogni qualsiasi essere vivente ha una certa “ratio” di errori. Sicuramente, ogni 10 decisioni che si prendono, 3 saranno completamente sbagliate, e su 2 rimarrà sempre un certo margine di dubbio. È assolutamente normale, e non fa di noi delle persone sbagliate.

5 – In un mondo ideale, gli errori commessi non avrebbero alcuna relazione con la nostra autostima. Tutti commettono errori. Fare un errore non significa affatto essere “deboli” o “patetiche” o “stupide”… significa essere semplicemente umane. Gli errori ci forniscono informazioni su ciò che va e ciò che non va. Non hanno niente a che vedere con quanto noi valiamo, con quanto siamo intelligenti, con quanto siamo forti. Sono unicamente parte di un processo.

6 – Spesso, quando facciamo qualcosa di cui successivamente ci rimproveriamo, in realtà stiamo solo cercando di fare qualcosa per soddisfare i nostri bisogni nell’unico modo che in quel momento ci sembra possibile. E quello che si fa per amore di noi stesse, è al di là di ogni giudizio di valore… figuriamoci d’errore!

Ragazze, non è facile guardarsi indietro ed amarsi per tutte le cose fatte, e non arrabbiarci per tutte le cose mai dette… Perciò, l’unica cosa che dovremmo provare a fare, semplicemente, è perdonarci. Anche perché, a errore fatto, non si può tornare indietro nel tempo e cambiare le cose, quindi tanto vale cercare il modo di vedere quest’errore in chiave positiva, riuscendo a trarne il meglio, no?!! Farsi venire i sensi di colpa non aiuta. Aiuta invece cercare di capire cosa e dove si è sbagliato, in maniera tale da non ricommettere lo stesso errore in futuro.

Sì, dobbiamo imparare a perdonarci.
Imparare dagli errori e poi lasciarli andare.
E andare avanti.

lunedì 1 febbraio 2010

Il cuore del problema

Perché il corpo che abbiamo non può essere giusto? Perché sentiamo che il nostro corpo non è giusto?

Si potrebbe rispondere:
Perché è troppo grasso.
O
Perché è troppo brutto.

Si potrebbe rispondere:
Perché è troppo basso.
O
Perché è troppo sproporzionato.

Si potrebbe rispondere:
Perché è troppo flaccido.
O
Perché è troppo scarno.

Ma quello che in realtà s’intende veramente è:
Perché è il MIO corpo.

È questo il vero problema, no? Pensateci anche solo per un minuto. La vera ragione per cui odiamo il nostro corpo non è perché esso è troppo quello o troppo quell’altro, o non abbastanza così o non abbastanza cosà. Perché, DCAmoci la verità: se quelle stesse caratteristiche che diciamo di odiare del nostro corpo, le vedessimo su qualcun’altra, non saremo altrettanto severe e critiche nei suoi confronti.

Odiamo il nostro corpo semplicemente perché è il nostro. Semplicemente perché siamo NOI. È questo il cuore del problema. Quel che dovremmo imparare a fare, perciò, è guardarci veramente dentro e provare a canalizzare l’odio verso il nostro corpo in qualcosa di positivo. In fin dei conti, l’esperienza dell’anoressia insegna che non è cambiando quello che non ci piace esteriormente del nostro corpo che si risolve il problema. Perché se davvero il problema fosse quello del peso, persi un tot di chili smetteremmo di restringere. E invece andiamo avanti fino all’estremo. Perché non è il nostro corpo, in realtà, che non va, che non ci piace. È qualcosa che abbiamo dentro che non va, che non ci piace. Ed è qui che bisogna lavorare: sull’interiorità.

Chiedetevelo. Rispondetevi.

Perché il mio corpo non può essere giusto?
Perché sento che il mio corpo non è giusto?
Qual è il problema interiore che scarico sul corpo non vedendolo giusto?
Questo corpo che è MIO.

Perciò, cosa possiamo fare per cambiare le cose?
 
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