Come gli alchimisti trasformavano il ferro in oro… voi potete trasformare l’oscurità in luce. Siete tutte benvenute.

giovedì 24 febbraio 2011

Passi avanti e indietro

Penso che chiunque intraprenda la strada del ricovero dall’anoressia vada necessariamente incontro ad alti e bassi. Quel che dobbiamo cercare di fare, perciò, è di non sentirci frustrate se a volte avremo delle ricadute. Poiché nessun abisso in cui si precipita è tanto profondo da non potersi rialzare.

La strada del ricovero è una strada molto lunga, poiché il ricovero non è un evento ma un processo. Anche nel momento in cui si sceglie d’intraprendere la strada del ricovero, inevitabilmente ci rimangono dei dubbi, si può aver paura, ci si chiede: davvero questo è un viaggio che sarò in grado di affrontare? Cosa succederà se sarà più dura di quel che posso immaginare? Cosa succederà se non sarò forte abbastanza?

L’insicurezza nei confronti delle nostre capacità di farcela è una temibile nemica. Un qualcosa che coadiuva le ricadute e ci riporta così di nuovo nel nostro solito vecchio inferno. E allora, si prova vergogna di noi stesse perché ci sembra di aver fallito. E ci si chiede se potremo mai sorridere davvero di nuovo, sorridere come quando non avremmo mai immagino di cadere nella spirale discendente dell’anoressia.

Ma, ragazze, lasciate che ve lo dica: una ricaduta NON è assolutamente un fallimento. Significa solo che abbiamo commesso un errore e dobbiamo aggiustare il tiro, tutto qui. Anche le migliori sbagliano, talvolta.

Ma tutte, tutte voi avete ogni capacità di rialzarvi dopo qualsiasi ricaduta. E di sorridere di nuovo. Al di fuori di ogni dubbio che in questo momento può riempire la vostra mente. Perciò, continuiamo comunque a percorrere la strada del ricovero, perché solo così prima o poi troveremo…

SPERANZA.







Non abbiate paura e non siate arrabbiate con voi stesse se talvolta farete dei passi indietro. Fare errori è permesso e naturale: siamo umane, in fin dei conti. Potremo aver paura, anche questo è normale… succede a tutti, anche alle migliori. Ma avete tutta la forza per rialzarvi e per continuare a camminare. Di questo ne sono assolutamente certa. Il coraggio che avete tirato fuori per intraprendere la strada del ricovero è quello stesso coraggio che dovete utilizzare per andare avanti. Sì, dobbiamo solo andare avanti nella strada del ricovero, perché solo così prima o poi troveremo…

FORZA.


Dovete credere in voi stesse e nelle vostre potenzialità. Se state percorrendo la strada del ricovero, siete nella giusta direzione. L’unica cosa veramente importante è continuare a camminare, senza lasciare che i momenti neri fiacchino la nostra voglia di combattere. Ricordate sempre che un’eventuale ricaduta non significa che non state percorrendo la strada del ricovero. Arriverete a raggiungere tutte le tappe, ma c’è bisogno di tanto tempo. E per raggiungerle, c’è solo una cosa da fare: continuiamo a camminare. Perchè solo così prima o poi troveremo…

LIBERTA’.


FELICITA’.


VITA.


Non smettete mai di credere che questa è una battaglia che si può combattere.

venerdì 18 febbraio 2011

Una lezione in dati di fatto

Dato di fatto numero 1: L’anoressia combatterà per sconfiggervi.
Dato di fatto numero 2: L’anoressia avrà la meglio, se le lascerete avere la meglio.
Dato di fatto numero 3: L’anoressia renderà la vostra vita miserabile…
Dato di fatto numero 4: ... e renderà miserabile anche la vita delle persone cui volete bene.
Dato di fatto numero 5: L’anoressia non vi renderà felici…
Dato di fatto numero 6: …ma vi distruggerà, un pezzo dopo l’altro, fisicamente e mentalmente.
Dato di fatto numero 7: L’anoressia fingerà di essere vostra amica…
Dato di fatto numero 8: … e non esiterà a togliervi terreno da sotto i piedi facendovi cadere.
Dato di fatto numero 9: L’anoressia vi mentirà.
Dato di fatto numero 10: L’anoressia cercherà di farvi credere che è più forte di voi.

Questi sono dati di fatto. Non esattamente un meraviglioso quadretto, eh?!...

Ma...

Dato di fatto numero 1: Potete combattere contro l’anoressia, e vincere.
Dato di fatto numero 2: L’anoressia avrà la meglio, se le lascerete avere la meglio. Ma voi non dovete lasciarle avere la meglio.
Dato di fatto numero 3: Voi avete tutte le capacità di cambiare la vostra vita…
Dato di fatto numero 4: … e di combattere insieme a tutte le persone che vi vogliono bene e credono in voi.
Dato di fatto numero 5: L’anoressia non vi renderà felici. Ma avrete un sacco di altre cose che potranno rendervi felici...
Dato di fatto numero 6: … e potrete ricostruire voi stesse, un pezzo dopo l’altro, fisicamente e mentalmente.
Dato di fatto numero 7: L’anoressia fingerà di essere vostra amica, ma voi potete essere le migliori amiche di voi stesse. Prendendovi cura di voi stesse.
Dato di fatto numero 8: … e non esiterà a togliervi terreno da sotto i piedi facendovi cadere. Ma voi potete sempre rialzarvi.
Dato di fatto numero 9: L’anoressia vi mentirà. Ma voi sapete qual è la verità.
Dato di fatto numero 10: L’anoressia cercherà di farvi credere che è più forte di voi. Ma VOI siete LE PIU’ FORTI. E sempre lo sarete, se continuerete a combattere.

E anche questi sono dati di fatto.

domenica 13 febbraio 2011

Aprite bene le orecchie

Ieri sera stavo leggendo le dispense inerenti un esame che dovrò dare nella sessione estiva. Il professore ci ha fornito parte del materiale in Italiano e parte in Inglese, con il che attualmente sono impegnata in una certosina opera di traduzione delle pagine in lingua straniera.

Durante la lettura preliminare che ho dato ieri sera, tuttavia, ho letto una frase che vorrei chiunque avesse sentito almeno una volta nella sua vita. Sulle dispense, infatti, ad un certo punto c’era scritto:

Mental illness is the same as physical illenss, except a mental illness causes psychological symptoms.

Ecco, questo è ciò che vorrei un maggior numero di persone riuscisse a comprendere: che l’anoressia è una malattia psichica che si riverbera solo in un secondo momento sul corpo, e che comunque, pur essendo una malattia mentale, è estremamente reale, come reale è la sofferenza che ne scaturisce.

Non è un capriccio infantile, non è una mancanza di forza di volontà, non è un modo per attirare l’attenzione, non è perché si vuole fare le modelle o le ballerine, non è perché si pensa di raggiungere un ideale di bellezza o di “perfezione”.

E’ una risposta forte ad una condizione che ci troviamo a dover subire e che non riusciamo passivamente ad accettare, è una sfida con noi stesse fino al limite estremo, una ricerca del modo per stare a nostro agio con noi stesse, una pletora di sensazioni tanto illusorie quanto meravigliose che ci troviamo in un certo momento a provare. Credetemi. Ci sono passata. Ci sto passando.

L’esistenza di un maggior numero di persone che capiscono questo certo non cambierà la sofferenza, le difficoltà e la durezza di quello che dobbiamo affrontare quotidianamente nella nostra lotta contro l’anoressia, ma renderebbe secondo me più facile l’andare avanti e il sentirsi un po’ meglio.

lunedì 7 febbraio 2011

Vivere nella soluzione

Ieri sera guardavo in TV un programma in cui una ragazza in terapia per alcoolismo raccontava la sua storia e l’importanza dell’auto-aiuto e del supporto reciproco trovato negli Alcoolisti Anonimi. Sebbene possa quotare in pieno l’importanza del mutuo aiuto e del sostegno tra persone che si trovano a dover affrontare uno stesso problema – se non la pensassi così, questo blog non sarebbe mai nato! – è stata un’altra la frase pronunciata da questa ragazza che ha attirato la mia attenzione:
“Non c’è cura per l’alcoolismo” ha detto “ma c’è una soluzione. Ed è quella di rimanere sobri”.

E’ veramente raro trovare una combinazione di realismo e speranza in una vasta esposizione riguardo le dipendenze, ma questa frase ha rispecchiato perfettamente il mio punto di vista in merito alla strada del ricovero dall’anoressia: non c’è una cura, ma c’è una soluzione. E la soluzione è continuare a nutrirmi seguendo il “regime alimentare” che mi ha assegnato la mia dietista, mantenendo così un peso adeguato (e per “peso adeguato” intendo dire “peso fisiologico”, lasciando un attimo da parte tutti i discorsi inerenti il BMI), evitando di restringere l’alimentazione, e cercando aiuto nel momento in cui sento che sto per avere una ricaduta.

L’altra verità è che la soluzione all’alcolismo, a un DCA, o ad una qualsiasi altra forma di dipendenza, non è come la soluzione di un problema di matematica. Quando risolvi un problema di matematica, identifichi i dati utili, applichi la formula predefinita, e quello che esce è il risultato. La Risposta. Puoi aver risolto il problema correttamente o puoi aver fatto un errore di calcolo che porta il risultato a sballare, ma in ogni caso puoi procedere all’esercizio successivo. Viceversa, la soluzione all’anoressia e ai vissuti ad essa connessi, non è un qualcosa che si può trovare applicando una qualche procedura o prendendo un qualche farmaco specifico. Siamo noi stesse che ogni giorno dobbiamo elaborare una procedura che ci permetta di andare avanti, un giorno dopo l’altro, per il resto della nostra vita. Ed è una sfida difficile da affrontare. Veramente difficile. Così difficile che la scelta di una singola soluzione sembra semplicemente ridicola. Ma quando si affronta un percorso di ricovero dall’anoressia, ci sono milioni e milioni di soluzione, soluzioni che bisogna scovare e scegliere giorno dopo giorno.

Sinceramente? Quando andavo alle scuole superiori, la mia materia preferita è sempre stata la matematica. ^__^”

Per la maggior parte della gente che non ha vissuto sulla propria pelle una dipendenza, la “soluzione” appare ovvia: Non vuoi più essere tossicodipendente? Smettila di farti le pere! Non vuoi più essere depressa? Smettila di essere triste! Non vuoi più essere anoressica? Smettila di restringere l’alimentazione! Non vuoi più essere bulimica? Smettila di vomitare! Non vuoi più avere binge? Smettila di abbuffarti! Esteriorità e superfici. Quante di voi si sono sentite dire frasi del genere? Per anni ed anni ho sentito gente che mi diceva che se volevo guarire dall’anoressia dovevo semplicemente mangiare e riprendere peso. In un certo senso, poteva pure avere la sua parte di ragione, perché è ovvio che quando pesavo XX chili ero sul filo di un rasoio per quanto inerente la salute. Ma, alle persone che dicono cose del genere, io vorrei fare una domanda: Mangiare di più e recuperare il normopeso fa davvero stare meglio sotto ogni punto di vista e guarisce dall’anoressia? Secondo me, la “soluzione” non sta nel mangiare adeguatamente raggiungendo un peso decente, la “soluzione” sta nel capire cosa ci ha portato all’anoressia e di cosa abbiamo bisogno veramente per stare meglio con noi stesse e continuare a nutrirci anche quando è l’ultima cosa che vorremo fare. Trovare la “soluzione” non significa non avere più il desiderio di perdere peso di nuovo, o approcciarsi con gusto ad un pasto. Significa piuttosto riuscire ad approcciarsi al pasto.

Mi piacerebbe da pazzi che ci fosse una medicina in grado di guarire dall’anoressia, ma purtroppo non esiste. Perciò dobbiamo essere noi stesse la nostra medicina. Ci sono tante cose che ancora non sappiamo del nostro percorso di ricovero. Ma fintanto che giorno dopo giorno riusciamo a trovare una soluzione, possiamo continuare ad andare avanti lavorando su noi stesse.

mercoledì 2 febbraio 2011

Scegliere uno psicoterapeuta

Noi tutte siamo persone diverse perciò, necessariamente, nel momento in cui ci si trova ad affrontare un percorso di ricovero, si ha bisogno di strategie differenti: ciò che può essere funzionale per qualcuna, infatti, può non esserlo per altre.

Tuttavia, ritengo che una buona psicoterapia sia un passo d’importanza fondamentale per combattere contro l’anoressia. Il fatto è che la bontà di una psicoterapia dipende inevitabilmente dallo psicoterapeuta che ci si trova di fronte: ognuna di noi ha bisogno di uno psicoterapeuta diverso che sia quello “giusto per se stessa”.

Perciò, come fare a trovare uno psicoterapeuta che possa essere effettivamente in grado di sostenerci nel nostro percorso di ricovero? Come capire se la persona di cui abbiamo il recapito e alla quale vogliamo telefonare, o la persona con cui si è appena iniziato un trattamento, potrebbe essere davvero quella giusta per noi, anziché una perdita di tempo e di soldi?

Voglio provare a dare qualche suggerimento…

1 – Chiedete informazioni sullo psicoterapeuta a persone che vi hanno avuto a che fare, persone che conoscete e di cui vi fidate. Potete chiedere informazioni al vostro medico di base. A qualche vostra amica che vi ha già fatto psicoterapia. A una persona che è stata in trattamento per DCA da quello psicoterapeuta. A un qualche collega di quello psicoterapeuta. Cercate di saperne di più: così già avrete un idea del tipo di persona con cui avrete a che fare, dei metodi che usa, dell’approccio che ha al DCA, e così via.

2 – Non badate alle “chiacchiere di corridoio”. Le opinioni sono opinioni, e non tutti vedono le stesse cose in uno stesso psicoterapeuta. Ciò che qualcuna può trovare rassicurante, qualcun’altra può ritenerlo terrorizzante. È importante, quando ricevete info sul terapeuta, separare i dati di fatto dalle opinioni personali. L’utilizzo da parte del terapeuta di un modello cognitivo-comportamentale è un dato di fatto. Il fatto che una persona dica che quel terapeuta è un emerito incompetente è un’opinione.

3 – La gentilezza non è la cosa più importante. Certo, credo che chiunque preferirebbe uno psicoterapeuta gentile piuttosto che uno che sbraita e fa la predica ogni volta che si ha una piccola ricaduta. E, certo, ci sono momenti in cui è proprio la gentilezza quella che aiuta ad intraprendere un determinato percorso di ricovero. Ma ci sono anche altri momenti, soprattutto quando siamo in una ricaduta di quelle pesanti, in cui la fermezza e la decisione devono avere la precedenza sulla dolcezza. Percorrere la strada del ricovero è un lavoro sporco e duro, e per andare avanti a volte aiuta più una spinta di una carezza.

4 – Scoprite quale modalità di trattamento lo psicoterapeuta utilizza. Io non sono granché esperta al riguardo, però so che esistono molti modelli su cui si può impostare una psicoterapia: il modello cognitivo-comportamentale, quello costruttivista, quello transazionale, e così via. Tutti i modelli sono molto diversi tra loro, e ognuna di noi, spesso, risponde particolarmente bene ad uno di essi. Perciò, ecco il vostro compito per casa: ricercate info sui vari modelli di psicoterapia, cercate di capire quale vi potrebbe essere più utile per come siete fatte caratterialmente, e cercate uno psicoterapeuta che possa impostare quel modello di terapia.

5 – Chiedetegli la sua opinione a proposito dell’origine di un DCA. Ogni volta che mi sono trovata di fronte a una psicoterapeuta, questa è sempre stata la primissima domanda che le ho rivolto. È la mia “domanda di screening”. Se di fronte alla domanda “Da cosa sorge l’anoressia?” sento che mi rispondono: “il rapporto con i genitori soprattutto durante l’infanzia” o “la società moderna, che propone modelli sbagliati” scappo via di corsa. Una risposta così, secondo me, è sinonimo del fatto che quello psicoterapeuta non ha affatto esperienza in campo di DCA, e non credo sia una buona idea lavorare un qualcuno che di anoressia ne sa meno di me, seppur da esterno. Ora, questo è solo un esempio, ovviamente, ma secondo me ci sono delle domande-chiave da porre a un terapeuta per capire di che pasta è fatto, e se può essere la persona giusta per noi. Trovo sia importante rivolgergli queste domande durante la prima seduta, di modo che non abbia imparato a conoscerci e, quindi, non dia la risposta che vogliamo sentirci dare anziché ciò che pensa lui veramente. (Una cosa del genere sarebbe peraltro ampiamente disonesta – ma anche uno psicoterapeuta è un essere umano...)

6 – Farsi direzionare da persone competenti. Se non avete la benché minima idea di dove trovare uno psicoterapeuta, rivolgetevi al personale di centri specializzati in disturbi alimentari. Altrimenti correrete il rischio di essere indirizzate su psicoterapeuti che, per quanto in gamba, non sono specializzati nel trattamento dell’anoressia/bulimia, e quindi possono non essere in grado di darvi l’aiuto specifico di cui avete bisogno.

7 – Fate domande ipotetiche. No, non del tipo: “Se una farfalla sbattesse le ali a Pechino, ci sarebbe un tornado a New York?”, ma qualcosa come: “Se i miei familiari ti contattassero per chiederti di questa psicoterapia, cosa diresti loro?”, o anche: “Se avessi bisogno di un diverso tipo di supporto, cosa faresti?”, oppure: “Se dovessi peggiorare od avere una ricaduta grave, come ti comporteresti?”. Penso sia positivo conoscere la risposta a certe domande prima di andare incontro al fatto concreto, in modo da avere un’idea di come lo psicoterapeuta possa aiutare ad affrontare certe situazioni difficili.

8 – Non lasciate che una mela marcia rovini la raccolta. Inutile negarlo: i "cattivi" psicoterapeuti esistono. O, quanto meno, esistono gli psicoterapeuti che adottano strategie incompatibili al nostro modo di essere e che, quindi, non ci sono utili nel percorso di ricovero. Bene, se vi trovate di fronte ad una psicoterapia che non fa per voi, mollatela. Ma mettetevi poi subito alla ricerca di un nuovo psicoterapeuta! Quel terapeuta che vi ha fatto più male che bene, era solo UNO. Ce ne sono TANTI al mondo. Il fatto che abbiate trovato una mela marcia non significa assolutamente che tutto il raccolto è da buttare: significa solo che una delle mele era marcita. Dovete solo buttare quella mela – o quelle mele, se sono più di una – e non scoraggiarvi mai nel continuare la vostra raccolta.

C’è qualcosa che avete trovato utile da fare, nella ricerca di uno psicoterapeuta? Se vi va, scrivetelo nei commenti qua sotto!
 
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