Come gli alchimisti trasformavano il ferro in oro… voi potete trasformare l’oscurità in luce. Siete tutte benvenute.

venerdì 30 dicembre 2011

Per Lucy May - Buon 2012...

Per finire in bellezza questo 2011, ed iniziare il 2012 in positività, ho incontrato Lucy May.

E perciò, Lucy May, questo post è per te.

Perché si arriva ad un punto in cui capisci che altro non puoi fare. Nient’altro, tranne continuare a combattere contro l’anoressia. Quello che dovevi dire l'hai detto. Veramente, anche quello che non dovevi dire. Ma, Lucy May, sbagliare è umano. E anche aver paura, sentirsi in ansia, pensare di non farcela… tutto questo fa parte del nostro percorso. Sono stata così felice di poter passare un po’ di tempo con te, anche se temo che tu abbia visto in me molto più di quella che io sento di essere. Ma forse è normale che sia così.

Non è mai facile avere a che fare con una persona che ha un DCA, e questo lo sai bene anche tu. Non è facile per gli “esterni”, e a volte neanche per chi l’ha vissuta sulla propria pelle. Ma volevo solo dirti che per me il tuo abbraccio e il tuo sorriso valevano più di quanto si possa esprimere a parole.

Ti penso. Ti scrivo. Condividiamo. Combattiamo insieme. A volte va meglio, altre va peggio, e ci sentiamo come se fosse tutto come prima. Ma in realtà qualcosa cambia sempre.

Sono stata davvero felice di poterti parlare faccia a faccia, di poterti tenere per mano. Sei veramente unica e meravigliosa per me. Ti svaluti un sacco, eppure sei sempre te, quella speciale. Impulsiva, sorridente, silenziosa, dolce, forte, fragile, semplice, sensibile, diretta, viva e coraggiosa. Sai vivere. Tu pensi di no, ma io ti dico di sì, sai vivere. Non so da chi l'hai imparato. Che non si decide di essere così. Hai quella capacità d'incantare con le tue parole e il tuo alone di mistero tipica delle persone speciali. Dovresti vederti quando parli, quando gesticoli. Sei fatta per attirare l'attenzione. Brilli. Credo che, in fondo in fondo, sia uno dei tuoi scopi, temuti ed agognati.

Mi hai detto che hai avuto la sensazione di poter imparare tante cose da me. Ma arrivate a questo punto, sono io quella che ha imparato di più da te. Sono felicissima ed orgogliosa di averti come amica. Non vedo l’ora di poterti riabbracciare. Ti voglio un bene dell'anima.

E per questo nuovo anno che sta per cominciare, ti auguro (e auguro a tutte voi, ragazze) sogni a non finire, e la voglia di mettercela tutta per realizzarne qualcuno. Auguro di amare ciò che si deve amare, e di dimenticare ciò che si deve dimenticare. Auguro forza, coraggio, passioni, silenzi, un raggio di sole al risveglio e un sorriso sincero sulle labbra. Auguro di resistere alle mille e poi mille difficoltà quotidiane, e di rialzarsi dopo ogni caduta. Auguro soprattutto di essere sempre e solo noi stesse…


P.S.= Se vi va, date un’occhiata a QUESTO POST che ho trovato su un blog… Credo che troverete il post e la mia risposta alquanto interessanti… E se qualcuna vuole aggiungere al mio il proprio commento… ^__^”

venerdì 23 dicembre 2011

Natale: soprav/vivere

Come sopravvivere al Natale quando si ha un DCA? Che tu sia anoressica, bulimica, o che tu sia un genitore/fratello/sorella/amico/amica di qualcuno che ha un DCA, DCAmocelo chiaramente, il Natale può essere fonte di complicazioni e di stress. E lo stress tende a peggiorare il quadro di chi ha un DCA, sia da un punto di vista alimentare, sia in termini di relazioni con gli altri.

Per prima cosa, perciò, se avete un DCA, è importante cercare di allentare la presa, ed essere consapevoli del fatto che ci saranno momenti in cui ci si sentirà completamente incapaci di esercitare il benché minimo controllo. Attraversare il Natale significa molto spesso sentirsi obbligate a fare cose che non ci va di fare, perciò è importante pianificare in anticipo dei getaway, in modo da non sentirci con l’acqua alla gola.

Se si ha un DCA, il Natale può essere terrorizzante. Perché si potrebbe essere costretto a viverlo lontano da un contesto casalingo e, quindi, protetto. Oppure può essere ansiogeno anche l’avere tutto il parentado riunito, e il dover fingere di essere felici, l’ostentare falsi sorrisi, desiderando soltanto scappare veloce, lontano e da qualche altra parte.

L’ansia a Natale è in definitiva una costante per chi ha un DCA, ma non deve rovinare questa giornata. Bisogna sempre ricordare che la comunicazione – come in qualsiasi altro giorno dell’anno – può aiutare a ridurre lo stress. Perciò, circondatevi di persone cui volete bene e con cui state bene, affinché esse stesse possano aiutarvi a superare le vostre difficoltà.

Consigli per chi ha un DCA:

• Telefonare al Numero Verde SOS Disturbi Alimentari: 800180969 per parlare delle proprie difficoltà. (Vi ricordo che potete rimanere anche anonime, non vi è richiesto d’identificarvi, quindi sentitevi libere di parlare di tutti i vostri timori).

• Pianificate in anticipo. Identificate una persona supportiva che possa starvi vicino durante la giornata (vuoi fisicamente, vuoi telefonicamente), e che sapete essere pronta in ogni momento ad ascoltare le vostre ansie. Parlateci immediatamente, non appena sentite che le cose si stanno mettendo male.

• Parlate con i vostri familiari (o comunque con le persone con cui trascorrete la giornata natalizia) del vostro DCA, e spiegategli cosa dovrebbero fare, come dovrebbero comportarsi, per non farvi venire troppa ansia.

• Pianificate le visite a casa di familiari e amici, e provate ad immaginare cosa potrebbe succedere in questi contesti. Pensate a cosa potrebbero dirvi, e a quali risposte potreste dargli.

• Se trascorrete il Natale a casa, pianificate il momento in cui i vostri familiari e i vostri amici possono venire a farvi visita, così sarete psicologicamente preparate al loro arrivo, e minimizzerete lo stress relativo a questi incontri. Se dovete prendere parte a un “pranzo di famiglia”, pianificate quello che mangerete magari cucinandovelo in anticipo, e se vi fa sentire più tranquille, continuate a seguire il vostro “equilibrio alimentare”.

• Se siete a mangiare a casa di amici o parenti e non avete la possibilità di seguire l’ “equilibrio alimentare”, contattate la persona incaricata di preparare il pasto, e chiedetegli cosa cucinerà, affinché possiate poi telefonare alla vostra dietista e chiedere quali quantità di questi cibi mangiare. Altrimenti, portate qualcosa di preparato da voi, che vi sentite di mangiare senza avere troppa ansia.

• Ricordate che, a differenza di ciò che potete pensare, non è vero che tutti gli occhi sono puntati su di voi, pronti a controllare cosa/quanto mangiate. Per lo più la gente pensa a ciò che c’è sul proprio piatto, e a chiacchierare con gli altri.

• Se qualcuno si mette a fare commenti su cosa quanto mangiate, ricordate che quelle parole non sono affatto importanti: voi seguite il vostro “equilibrio alimentare” e perciò sapete che state mangiando quel che è giusto mangiare, dunque i commenti degli altri sono insignificanti.

• Trovatevi un po’ di tempo per voi stesse – ascoltate il vostro CD musicale preferito, telefonate alla vostra migliore amica, andate a fare una passeggiata, andate a fare un giro in auto. È importante che facciate qualcosa che vi faccia star bene e vi rilassi.

• Fate presente quelle che sono le vostre difficoltà in maniera tranquilla e serena, senza fare scenate che fanno poi stare peggio sia voi sia chi vi sta intorno.

• Datevi la possibilità di vivere le vostre emozioni per quello che sono. Ricordate che non avete l’obbligo di essere felici e sorridere per tutto il tempo – nessuno si aspetta questo da voi.

• Se anche esagerate col cibo… il Natale dura un giorno. Un giorno in cui si mangia di più, nel computo totale dell’alimentazione, non cambia assolutamente niente.

Consigli per chi ha a che fare con chi ha un DCA:

• Pianificate in anticipo. Informate i vostri parenti e chi sarà presente al pranzo di Natale, che vi partecipa anche una persona con un DCA, e aiutateli a capire cosa è meglio fare/non fare, e in cosa consiste veramente un DCA. Purtroppo queste patologie sono spesso minimizzate o trattate in maniera superficiale dai media, e ciò non aiuta certo chi sta male.

• La tensione che si viene a generare nel periodo natalizio reduce l’effettiva capacità di comunicare tra i membri di una famiglia. Consapevoli di questo, cercate di conservare la calma e di comunicare in maniera diretta con chi vi circonda. Considerate che una persona che ha un DCA è molto sensibile ai segnali subliminali, quindi parlate con tranquillità e chiarezza.

• Se siete voi che avete il compito di occuparvi del cibo, chiedete alla persona che ha un DCA cosa preferirebbe mangiare.

• Non riponete irrealistiche aspettative su ciò che mangerà la persona che ha un DCA. Cercate di ricordare che ognuno si relaziona con le situazioni, le emozioni e i sentimenti in maniera differente, e che una persona che ha un DCA tende a scaricare tutto sul cibo. Perciò, non pressatele con commenti sull’alimentazione, magari dicendo di mangiare un po’ di più. Non dovete “salvare” nessuno.

• Non parlate di cibo o di diete durante il pasto, e non fate commenti sull’aspetto fisico di nessuno dei partecipanti al pranzo. Viceversa, se si deve fare un commento su una persona che ha un DCA, è meglio orientarsi su cose come: “E’ bello che anche tu sia qui”, “sei forte perché ce la metti tutta”, “sembri più felice, ora” o “ci sei mancata”. Insomma, messaggi d’affetto… che è ciò di cui tutti (e chi ha un DCA in particolar modo) hanno bisogno. Critiche, falsi pietismi, e commenti sull’aspetto fisico o sul tipo di alimentazione sono assolutamente improduttivi, anzi, persino dannosi.

• Il Natale è un giorno come tutti gli altri, e se ve lo aspettate “perfetto”, andrete incontro a grosse delusioni. Una persona che ha un DCA non “guarisce” perché è Natale, anzi, per Natale avrà ancora più problemi col cibo. Siate consapevoli di questo, e cercate di essere più supportavi possibile: lei non sta cercando di rovinare il vostro Natale, sta cercando di sopravvivere al Natale.

• Non vi focalizzate sul cibo, su quanto la persona col DCA mangia o meno, cercate semplicemente di apprezzare il tempo che potete trascorrere insieme.

Consigli per tutti quanti:

• Ascoltate le sensazioni trasmesse dal vostro corpo – imparate a dire “no” se una cosa non vi va, e “sì” se invece volete mangiarla. Il corpo sa molto meglio della testa ciò di cui ha bisogno.

• Imparate a riconoscere i segnali che il vostro corpo vi manda – ascoltare voi stesse, e non agite solo per ciò che gli altri si aspettano da voi.

• Comunicate le vostre emozioni e i vostri sentimenti. Non tenetevi dentro cose che vi fanno stare male. Parlatene con qualcuno di cui avete fiducia. Tenete un diario o un blog in cui sfogarvi. Buttare fuori le emozioni significa non inchiodarle più sul proprio corpo…

• Non cercate la perfezione: siate semplicemente voi stesse. Siate fiere di quello che siete, non perdete tempo a cercare di essere perfette… non ci riuscireste comunque, ed in ogni caso non ne vale la pena. Datevi la possibilità di essere voi stesse, anche in un giorno difficile come il Natale. Non c’è niente di meglio al mondo.

P.S.= Buon Natale a tutte, ragazze...

(Click sull'immagine per ingrandirla)

venerdì 16 dicembre 2011

Trauma e ricovero

Vorrei condividere con voi un discorso che ho letto in un mio libro universitario e che penso racchiuda grandi verità:

“Dopo un trauma, il corpo raggiunge la sua massima vulnerabilità. La tempestività dell’intervento è fondamentale: occorre immediatamente l’operato di medici, infermieri, specialisti, tecnici. L’intervento chirurgico è uno sport di squadra, tutti corrono per tagliare il medesimo traguardo, per guarire il paziente. Ma lo stesso intervento chirurgico è, di per sé, un trauma; e soltanto quando è terminato inizia realmente il processo di guarigione. È quel che viene propriamente definito ricovero”.

Leggendo questa frase, ecco ciò che ho pensato:
Il ricovero dall’anoressia non è uno sport di squadra. È una solitaria corsa di fondo. È lunga, maledettamente faticosa, estenuante, ed estremamente solitaria.

La lunghezza della strada del ricovero è determinata dall’estensione delle nostre ferrite interiori, e non si conclude sempre in un successo. Non conta quanto duramente possiamo lavorarci su, ci sono delle ferite che non si rimargineranno mai completamente. Dobbiamo perciò abituarci a un nuovo modo di vivere: è questo il percorrere la strada del ricovero. E man mano che si va avanti, ci si accorge che si cambia così radicalmente da non poter più tornare al punto di partenza. Talvolta, confrontando quello che siamo con quello che eravamo, si può arrivare persino a non riconoscersi. Perché un processo di ricovero ci cambia. E si diventa delle persone completamente nuove… con la possibilità di costruirci una vita totalmente nuova.

Ecco, io credo sia così.
Molto spesso si sente parlare del legame tra un trauma subìto durante la vita (prese in giro, divorzio dei genitori, morte di una persona cara, violenze, rapporti sbagliati coi genitori, etc…) e lo sviluppo di un DCA, più raro (ma secondo me più realistico ed importante) è il sentir parlare del DCA in qualità di trauma stesso. Certo, non sarà traumatico nello stesso modo in cui può esserlo uno stupro, ma è comunque estremamente traumatico. Un DCA distrugge l’autostima, le sicurezze, la fiducia, gli interessi, gli affetti… distrugge la vita. Il ricovero obbliga ad affrontare le proprie ferite. E questa è la cosa più terrorizzante. E non è un qualcosa da cui si può uscire senza essere cambiate interiormente.

Certamente ognuna di noi ha un background che non può essere cancellato né cambiato, per quanto possiamo provarci. Ma abbiamo comunque la possibilità e la capacità di guardare a quello che è stato in maniera costruttiva, per rimetterci in piedi ed andare avanti costruendo qualcosa di nuovo e di diverso. È difficile trovare un equilibrio tra la nostra naturale tendenza a rimpiangere quello che è stato quando eravamo nel pieno dell’anoressia, e l’impiegare le nostre energie per trovare quanto di positivo può esserci al di là dell’anoressia stessa; anche perché si ha paura che quello che ci aspetta al termine della strada del ricovero sia uguale a ciò da cui avevamo cercato di fuggire scegliendo l’anoressia, e che quindi, alla fine, la nostra vita si riveli solo e soltanto un colossale disastro… ma, allo stesso tempo, bisogna avere la consapevolezza che, per quanto duro, dopo un trauma è sempre necessario un ricovero per ricominciare a vivere.


P.S.= Venerdì prossimo pubblicherò un post con un po' di consigli su come soprav/vivere i/a-l Natale... Stay tuned, gals!

venerdì 9 dicembre 2011

Disaccordo, disobbedienza e diniego

Sto leggendo un libro intitolato “Life Without ED”, scritto da Jenni Schaefer, in cui l’autrice illustra 2 principali strategie per combattere i pensieri che un DCA ci mette in testa:

• Disaccordo: Se l’anoressia ci mette in testa che mangiare un gelato per merenda possa farci prendere peso, occorre contrastare questo pensiero con un altro come: Mangiare il gelato a merenda è una cosa perfettamente normale, e un gelato non cambierà certo il mio peso, inoltre ho fiducia nella mia dietista e nell’ “equilibrio alimentare” che mi ha dato: se c’è scritto che per merenda devo mangiare un gelato, vuol dire che è la cosa giusta da fare.

• Disobbedienza: Nel momento in cui l’anoressia ci dice di non mangiare quel gelato, noi lo mangiamo ugualmente, cazzo.

Le trovo entrambe ottime strategie. Il mio maestro di karate mi diceva sempre che non avrei mai potuto vincere un incontro fino a che non mi fossi decisa a combattere seriamente. Combattere contro noi stesse è estremamente difficile perché c’è un gap tra la nostra razionalità e la nostra emotività, ed è arduo far prevalere la logica.

Anche nel momento in cui si riescono a contrastare i pensieri che l’anoressia ci mette in testa, il lungo braccio di ferro tra la nostra parte sana e la nostra parte malata ci lascia esauste e un po’ demoralizzate: ma è davvero sempre così difficile e stancante?!...

Infatti, non dovrebbe esserlo.
File sottostante: Vittoria di Pirro, definizione di.

Perciò, personalmente ho elaborato un’altra “strategia D” per contrastare i pensieri che l’anoressia mette in testa: Diniego.

Perciò, quando la voce dell’anoressia si presenta nella mia testa e mi dice quello che dovrei fare o non fare, quando mi dice che senza di lei non valgo niente, io non controbatto. Dico solo: “Hmmm…” e fingo di non aver sentito la sua voce. Quando si deve prendere una decisione, non sempre il cervello arriva ad un’unica ed inequivocabile conclusione. Differenti parti del cervello forniscono diversi input, e non tutti questi input sono ugualmente importanti e rilevanti. Questo dobbiamo fare con i pensieri indotti dall’anoressia: siamo coscienti che sono pensieri irrazionali quindi quello che dobbiamo fare è cercare d’ignorarli.

E dato che sappiamo che i pensieri indotti dall’anoressia sono menzogneri, non vale la pena di sprecare il nostro tempo e le nostre energie per controbatterli. Combattere contro qualcosa significa che la riteniamo abbastanza importante da sprecarci le nostre energie. Il fatto è che i pensieri che il DCA ci mette in testa non sono davvero così importanti, proprio perché sono bugie. Per questo è importante cercare di allontanarci mentalmente dal casino di pensieri che l’anoressia ci mette in testa. Può essere più o meno funzionale, e certamente è tutt’altro che facile, ma sicuramente ci lascerà più energie e positività.

venerdì 2 dicembre 2011

Possiamo farcela!

Ne avete abbastanza dell’anoressia? Ne avete abbastanza della restrizione alimentare? Ne avete abbastanza di trascorrere giornate fatte di ossessione e di vuoto? Ne avete abbastanza di tutte le sue bugie?

Bè, allora a questo punto c’è un’altra cosa che avete: una scelta. La scelta d’iniziare a percorrere la strada del ricovero.

L’anoressia vale VERAMENTE la pena? Provate a rispondere a questa domanda, e siate sincere con voi stesse. Indubbiamente l’anoressia trasmette una gran quantità di sensazioni positive e fantastiche nell’immediato… ma a lungo andare? Bisogna aprire gli occhi. Bisogna svegliarsi. Perché la devastazione che alla fine l’anoressia inevitabilmente produce, non vale la pena. Fa stare da dio, ma non vale tutta la merda che ne consegue. E lo dico con tutto il dolore del mondo, ma per lo meno adesso riesco a dirlo.

Lo so che è difficile crederci, ma vi assicuro che ci sono momenti in cui la cosa migliore da fare è arrendersi. Non resistere, non resistere a niente, mollare la presa. La presa dell’anoressia.

Ci vuole molta forza, molto coraggio e molta determinazione per scegliere la dura strada del ricovero… ma noi possiamo farcela!

Purtroppo c’è qualcosa nella psiche umana che fa confusione tra il concetto di “bellezza” e il diritto di essere amate per quello che siamo, ed impasta le due cose anche se in realtà si tratta di cose totalmente differenti: perché, ragazze, ognuna di voi merita di essere amata nonostante le sue imperfezioni. Anzi, di più: ognuna di voi merita di essere amata anche per le sue imperfezioni, che sono proprio quelle che vi rendono belle sotto ogni punto di vista. Siate una SU un milione, non una IN un milione: siate voi stesse.

Scegliete la strada del ricovero, datevi una possibilità, provate a correre il rischio (non il rischio di sbagliare, ma il ben più arduo rischio di farcela): in fin dei conti, non avete niente da perdere e tutto da guadagnare, ed è proprio quando si rischia tutto che non si rischia niente.

Tutto quel che dobbiamo fare è imparare ad ascoltarci, ad accettarci, ad apprezzarci, a farci respirare.

Fino a qualche anno fa pensavo che l’anoressia fosse tutta la mia vita, ma fortunatamente mi sbagliavo. Quindi, se anche voi lo state pensando, sappiate che questa non è che l’ennesima delle bugie che l’anoressia racconta. Lo so che talvolta percorrere la strada del ricovero sembra impossibile… ma non lo è. Dobbiamo farlo per noi stesse e per nessun altro. E noi possiamo farcela!

Se scegliete la strada del ricovero, ragazze, sorridete: è la giusta strada.

venerdì 25 novembre 2011

"F**king Perfect"

Per tutte voi, ragazze.



Traduzione delle canzone - da cui prende il titolo questo post - che fa da soundtrack del video...

FOTTUTAMENTE PERFETTA

Prendere la decisione sbagliata una o due volte
Scoprire la mia strada attraverso sangue e fuoco
Scelte errate sono all’ordine del giorno
benvenuti nella mia stupida vita.
Scansata, fuoriluogo, incompresa,
La signorina “Nessun problema, va sempre tutto bene”.
Niente riuscirà ad abbattermi
Sbagliata, sempre incapace di prevedere le conseguenze, sottovalutata
Ehi, guardate, sono ancora qui

Stellina, stellina, per favore, non sentirti mai
come se tu fossi qualcosa di meno che fottutamente perfetta
Stellina, stellina, per favore, se dovessi sentirti come se non valessi niente
sappi che per me sei fottutamente perfetta.

Sei così severa quando parli di te stessa, ma ti sbagli
Cancella quella vocina che ti critica nella tua testa, insegnale a piacerti
È così difficile, ma ce la puoi fare alla grande,
Per molto tempo ti sei odiata così tanto… è un gioco a perdere
Non ne hai abbastanza?!! Io ho fatto tutto quello che potevo
Per scovare e sconfiggere tutti i miei demoni, e vedo che tu stai facendo lo stesso

Stellina, stellina, per favore, non sentirti mai
come se tu fossi qualcosa di meno che fottutamente perfetta
Stellina, stellina, per favore, se dovessi sentirti come se non valessi niente
sappi che per me sei fottutamente perfetta.

Tutto il mondo sta a guardare mentre cerchiamo di ingoiare la paura
tutto quello che dovremmo bere è un gelido thé freddo
Così brave a mentire, e proviamo proviamo proviamo,
ma questi strenui tentativi sono solo una perdita di tempo
Bisogna ignorare le critiche, perchè ci piovono addosso da ogni direzione
Non gli piacciono i nostri jeans, non approvano la nostra pettinatura
Cercare di cambiare noi stesse in funzione degli altri
è quello che facciamo in continuazione.
Perché lo facciamo?
Perché lo faccio?
Perché lo faccio…?

Stellina, stellina, per favore, non sentirti mai
come se tu fossi qualcosa di meno che fottutamente perfetta
Stellina, stellina, per favore, se dovessi sentirti come se non valessi niente
sappi che per me sei fottutamente perfetta.

Stellina, stellina, per favore, non sentirti mai
come se tu fossi qualcosa di meno che fottutamente perfetta
Stellina, stellina, per favore, se dovessi sentirti come se non valessi niente
sappi che per me sei fottutamente perfetta…

venerdì 18 novembre 2011

Paura del fallimento

L’altro giorno stavo parlando al telefono con una ragazza che ho conosciuto durante uno dei miei ricoveri in clinica specializzata per DCA, e si discuteva di alcuni aspetti del percorso di ricovero che entrambe ci siamo ritrovate a dover fronteggiare. Uno degli argomenti che abbiamo messo in campo è stata la possibilità di fallire nel momento in cui si sceglie d’intraprendere la strada del ricovero.

Una delle cose che c’intrappola nell’anoressia, infatti, è la sensazione che questa sia un qualcosa in cui riusciamo molto bene, che la restrizione alimentare sia un qualcosa che ci viene davvero bene. Certo, magari gli altri ci dicono che siamo brave anche in molte altre cose, ma la differenza sta nel fatto che, con l’anoressia, siamo noi le prime a dirci che siamo brave, e non temiamo, come succede per tutte le altre cose, che gli altri stiano solo facendo complimenti senza pensare davvero quello che dicono. Non abbiamo bisogno di nessuno che ci dica quanto siamo brave nel restringere l’alimentazione: è una certezza che abbiamo. Sappiamo che possiamo continuare a restringere l’alimentazione anche qualora ogni altro aspetto della nostra vita dovesse andare a puttane.

La strada del ricovero, d’altro canto, è un qualcosa di totalmente diverso. Sappiamo perfettamente come perdere peso, è molto semplice: basta mangiare di meno e fare più attività fisica. Così facendo, non si può certamente fallire. Il ricovero non è così semplice. Restringere l’alimentazione è molto più facile che mangiare seguendo l’ “equilibrio alimentare” che ci dà la dietista. Parafrasando: percorrere la strada dell’anoressia è come buttarsi giù da un dirupo. E’ facile, perché ci aiuta la forza di gravità. Percorrere la strada del ricovero, invece, è come risalire da quel dirupo. È difficile, perché bisogna contrastare la forza di gravità.

Questo è il punto: tutte abbiamo paura del fallimento. Molta, molta paura. E intraprendere la strada del ricovero mette in campo la possibilità di poter fallire. E il fare qualcosa sulle cui possibilità di successo non siamo del tutto sicure, mette addosso sempre certo una grande ansia. È lo stesso motivo per cui a volte rifiutiamo delle sfide – in ambito scolastico, lavorativo, o sportivo. Perché si ha paura del fallimento.

È anche per questo che è più facile rimanere nell’anoressia: è una cosa nella quale, indubbiamente, abbiamo dimostrato di essere estremamente abili nell’avere successo. E a causa di ciò, non siamo abituate al fallimento. Per questo è così difficile relazionarsi con un qualcosa che apre la possibilità al fallimento stesso. E poiché il fallimento non ci piace, preferiamo evitare le situazioni che potrebbero determinarlo. Ecco un altro motivo per cui è così dura intraprendere la strada del ricovero.

Ecco perchè si è così caute, ecco perchè si esita così tanto prima d’intraprendere la strada del ricovero. Perché non si sa come la cosa potrà evolvere. Perchè non siamo sicure che potremo farcela. Perchè, in fin dei conti, spesso all’inizio non siamo neanche sicure che vorremo farcela.

Questo è uno scoglio che bisogna superare per fare progressi. La paura del fallimento, in realtà, ci frena soltanto dal tentare di fare nuove esperienze, dal lasciare la strada vecchia per la nuova. Ci intrappola. Ovviamente, ci vuole la consapevolezza che se si decide d’intraprendere la strada del ricovero non ci saranno solo rose e fiori, anzi, sarà estremamente probabile andare incontro a delle ricadute. Non tutti i tentativi che faremo avranno successo. Ma se ci rifiutiamo di fare tentativi fino a che non siamo sicure al 100% che questi andranno a segno, allora non faremo mai niente. Del resto, non c’è modo di capire veramente se un tentativo possa avere successo o meno, fino a che non ci decidiamo a metterlo in pratica.

Paradossalmente, è proprio sbagliando che s’impara. E questo vale anche per la strada del ricovero. E per l’anoressia.

venerdì 11 novembre 2011

Mentre il tempo continua a scorrere

Mentre il tempo continua a scorrere, noi continuiamo a combattere contro l’anoressia. Ci sono giorni migliori, giorni in cui le cose vanno un po’ meglio, in cui lottare sembra più facile, in cui ci pare di riuscire a vedere una luce in fondo al tunnel e in cui ci sembra di sapere quello che stiamo facendo e perché; e giorni più difficili, giorni neri, giorni in cui sembra che il mondo ci crolli addosso, e allora si ha paura ad andare avanti perché si teme di non essere forti abbastanza per sopportare quello che ci attende.

Quando eravamo nell’anoressia, tutto quello che volevamo era sentirci in controllo, forti, soddisfatte, sicure di noi stesse… in una parola, onnipotenti. Ma adesso sappiamo che questa è solo un’illusione. Che quella dell’anoressia non è l’autostrada che prometteva di essere, ma soltanto un vicolo cieco, che ha come unico destino quello di farci sbattere contro un muro.

Bugie svelate, quindi. Abbiamo così iniziato a percorrere la dura e difficile strada del ricovero. E il tempo continua a scorrere. Il sole sorge ogni mattina. Le tempeste arrivano e passano via. Le battaglie continuiamo a combatterle giorno dopo giorno. Le lacrime scorrono e si asciugano. E noi continuiamo ad andare avanti. E dove c’è movimento sulla strada della luce, c’è speranza.

Ragazze, finché continueremo a combattere, l’anoressia non vincerà! Chi vince è perché non si è arreso, e chi si arrende all’anoressia non potrà mai vincere.

Tutte voi, ragazze, siete come delle stelle preziose, brillanti ed uniche. Non abbiate timore nel mostrare la vostra luce. Mentre il tempo continua a scorrere, potete illuminare la vostra vita e la strada del ricovero.

venerdì 4 novembre 2011

Amare il nostro corpo

Quando sono entrata nella spirale discendente dell’anoressia avevo solo 14 – 15 anni. Successivamente, si è aggiunto l’autolesionismo. Ho lottato a lungo col mio corpo, lo sto facendo tuttora. Sono arrivata a pesare XX Kg, come una bambina, ma adesso ho recuperato e il mio peso è XX Kg. Tuttavia ho imparato che non sono le dimensioni del mio corpo, il suo peso, la taglia ad essere importanti. Sono una persona valida a prescindere da quanto peso o dalla taglia dei miei jeans. E lo stesso vale per ciascuna di voi, ragazze.

Non è facile amare il nostro corpo, lo so, anzi, per lo più è estremamente difficile, ma dobbiamo sempre ricordare che noi siamo molto più del semplice nostro corpo! Siamo persone con una testa, un carattere, delle idee, delle passioni, degli interessi.

Perciò, nel momento in cui vi capiterà di odiare particolarmente il vostro corpo, cercate di focalizzarvi su quelle che sono le cose che contano veramente nella vita:

L’amicizia.
Le passioni.
L’aiuto reciproco.
La salute.


La strenua lotta che combattiamo contro il nostro corpo non vale la pena. Credo che ormai tutte voi sappiate benissimo che non sono 10 Kg in più o in meno a cambiarci la vita, a darci veramente quello che desideriamo e a farci essere quel che realmente vorremo essere. La verità è che essere 30 Kg o essere 80 Kg non cambierà la persona che siamo, non ci renderà una persona migliore/peggiore. Non ci renderà più desiderabili, più simpatiche o più intelligenti.

L’unica cosa di noi che il nostro peso – sottopeso – dimostra, è che siamo capaci di controllare cosa entra nella nostra bocca. Ma penso che siano altre le cose che vale davvero la pena di riuscire a controllare… e per poterlo fare, abbiamo bisogno che il nostro corpo sia in salute, perciò cerchiamo di averne cura. Anche nei momenti in cui vi sentite più giù, cercate di pensare al vostro corpo come al risultato del lavoro di un artista: chi desidererebbe distruggere il lavoro di un artista?

Il nostro corpo non ci definisce. La nostra immagine corporea non ha realmente tutta questa importanza, ma solo quella che le attribuiamo noi. L’unica immagine cui dobbiamo cercare di aderire, semmai, è l’immagine di un corpo in salute. Perchè è questo ciò che veramente ci serve.

La trasformazione del nostro corpo che con l’anoressia abbiamo cercato di operare, non è altro che una strategia di coping. Ma adesso è arrivato il momento di guardare i problemi dritti in faccia e di affrontarli, senza più rimanere nella stretta dolce e soffocante del DCA. Sfidiamo noi stesse a cambiare il nostro punto di vista: è possibile. Difficile, tremendamente difficile, ma possibile. Cerchiamo di canalizzare le nostre energie in una direzione positiva, cominciando a fare qualcosa per noi stesse, e iniziando e continuando a percorrere la strada del ricovero.

Cominciamo ad inseguire i nostri sogni. E, da tener sempre bene a mente: il ricovero è un PROCESSO, non un EVENTO. Sta a noi costruirlo giorno dopo giorno.

venerdì 28 ottobre 2011

Faking it or making it?

Non siete mai sole nella lotta contro l’anoressia. Io sto combattendo insieme a voi.

Percorro la strada del ricovero, ma certi giorni è talmente difficile che non so nemmeno dove sto andando. L’anoressia ha riempito così tanti anni della mia vita, mi ha rubato così tante cose, è stata l’unica cosa che mi ha definita, rassicurata e resa felice, che a volte temo di abbandonare questa strada e fare inversione di marcia. Non sono sempre motivata e convinta al 100% che la scelta del ricovero sia quella giusta… so soltanto che quella dell’anoressia è la scelta sbagliata.

Scegliere la strada del ricovero è decidere di darsi una possibilità. In fin dei conti, provate a pensare che non avete nulla da perdere nel fare un tentativo. Non è molto, lo so, ma è abbastanza. Dovete solo trovare una ragione per intraprendere questo percorso, e rinnovare giorno dopo giorno la vostra motivazione.

La strada del ricovero è in salita: dura e difficile. Chiunque vi dica il contrario vi sta mentendo. Ma, come si suol dire, “Fake it until you make it!”. (Che, tra l’altro, è la new entry tra le frasi scritte sui Post-It che ho applicato sull’armadio della mia camera). In altre parole, capiterà inevitabilmente di cadere. Bene, quello che dobbiamo fare è rialzarci dopo ogni caduta, e ripartire, riprovare, continuare a camminare fino a meta. Osare ricominciare a sognare. E sarete stupite nel vedere come il rialzarsi dopo ogni caduta fa aumentare il coraggio, la forza e la speranza.

FAKE IT UNTIL YOU MAKE IT!
(Giusto per tenerlo ben presente)

E arriverà il giorno in cui non avrete più bisogno di rialzarvi, perché sarete abbastanza salde sulle vostre gambe da non cadere più.

Non preoccupatevi per eventuali ricadute, e soprattutto non deprimetevi, non sentitevi delle fallite, non rimproveratevi se ce ne sono: sono assolutamente naturali nel percorso del ricovero. Tenete solo a mente che non c’è ricaduta così terribile da non potersi rialzare. Che avete tutta la forza per potervi rialzare. E che se state percorrendo la strada del ricovero, qualsiasi siano i vostri tempi o il numero delle vostre ricadute, state andando BENE.

FAKE IT UNTIL YOU MAKE IT!
(Ripetere e ripetere e ripetere)

E un giorno ce la farete. Perché quando avete capito questo, avete capito tutto: la ricaduta è parte integrante e fondamentale del percorso di ricovero. Serve per imparare a non ripetere gli stessi errori. Un giorno vi guarderete indietro, e rimarrete meravigliate di quanta strada avrete percorso tra uno scivolone e l’altro.

FAKE IT UNTIL YOU MAKE IT!!!

venerdì 21 ottobre 2011

"Running far away from anorexia"

Questa è una poesia che ho scritto qualche anno fa, quando per la prima volta ho deciso d’impegnarmi seriamente a percorrere la strada del ricovero, facendolo per me stessa e per nessun altro. Spero che le mie parole possano significare qualcosa anche per noi, che vi prendano per mano e vi accompagnino durante il vostro percorso di ricovero.

RUNNING FAR AWAY FROM ANOREXIA

Making the run.
I’m breaking out of here
I refuse to let myself disappear
So sick of your words and promises
They never got me anywhere.
I guess it’s time for me to run away from here
You thought you had me in your control
But I refuse to loose it all
I’m jumping in
Just watch me, watch me.
In life I have one chance to find
The one thing I don’t want to miss
I can’t wait no more
So here I go…
I refuse to relapse fully
Even if I have to fight for the rest of my life
And – yes – your power terrifies me
But you won’t take me back
I can’t take it anymore
I don’t want to be dead, but breathing
For once I want to be good enough for myself.
You make me fall apart
Yet I crawl back to you
So sick of playing the game I will never win
So sick of it, I’m off to find
A way to bring you down.
I make for it
I’m gone, I’m going
I’m so over you
I’ll no longer do what you tell me to.
And I won’t look back because I know
If I do I won’t make it.
No matter how hard you make it
I’m going to get my life back
I won’t look back no more
And I will find myself.


[Decidere di correre./Sto rompendo questo circolo vizioso/mi rifiuto di scomparire/sono stanca delle tue parole e delle tue promesse/non mi portano da nessuna parte./Penso che sia arrivato per me il momento di correre via da te/pensavi di tenermi sotto controllo/ma io rifiuto di perdere il mio controllo/sto saltando via/guardami, guardami/In questa vita ho solo un possibilità di trovare/l’unica cosa che non voglio perdere/non posso più aspettare/perciò, adesso parto…/Mi rifiuto di ricaderci/anche se dovrò combattere per il resto della mia vita/e – sì – il tuo potere mi terrorizza/ma non mi riavrai/non posso più averti/non voglio morire dentro, ma respirare/per una volta voglio andare bene per me stessa./Mi hai fatto andare in pezzi/eppure già mi sento nuovamente attratta da te/ma sono stanca di giocare al gioco che non vinco mai/stanca, adesso sto cercando/un modo per avere la meglio su di te./Ce la farò/sono andata, sto andando/ti supererò/non farò più quel che mi dici di fare./E non voglio voltarmi indietro perché so/che se lo facessi non riuscirei a combatterti./Non m’importa quanto sarà dura/mi riprenderò la mia vita/non mi guarderò indietro/e troverò la vera me stessa.]

venerdì 14 ottobre 2011

Il coraggio di sorridere

Ci vuole coraggio per sorridere. Soprattutto quando siamo preda dell’anoressia, momento in cui ci si dimentica cosa sorridere significhi veramente, e ci si appiccica sulle labbra un qualcosa di artificioso che s’incolla e non vuole più andarsene.

Tornare a sorridere veramente non è un passo semplice. Sembra impossibile distaccarsi da quel sorriso falso che funge da barriera contro il resto del mondo, un mondo che non ha vissuto un DCA in prima persona e che quindi non può capire, un mondo contro cui bisogna proteggersi mediante un sorriso di circostanza.

Come possiamo riappropriarci del nostro vero sorriso? Possiamo iniziare cercando, giorno dopo giorno, anche solo una piccola cosa ma che ci renda felici per noi stesse, senza che gli altri neanche lo sappiano, e per la quale sentiamo che vale la pena di sorridere. Magari adesso vi sembra impossibile, ma io sono certa che ognuna di voi ha ancora solo una minuscola cosa che la fa essere veramente felice, che le dà una ragione per andare avanti giorno dopo giorno.

Quando si è nel pieno dell’anoressia e si sorride falsamente ripetendo agli altri che “va tutto bene”, sembra che loro credano in questa bugia e non indagano oltre. Sembra che ritengano reale il nostro sorriso artificioso. E questo, lo so, questa loro cecità fa veramente arrabbiare. Ma io lo so che molto spesso dietro ai vostri sorrisi ci sono le lacrime. Lo so che spesso il vostro sorriso è una diga che serve ad arginare il vostro dolore. Sappiate che questo vostro dolore non è inespresso: io lo sento, perché l’ho vissuto e lo vivo in prima persona. E sappiate anche che se oggi riuscirete a sorridere, anche solo per un attimo, ma unicamente per voi stesse, io sarò fiera di voi.

So quant’è difficile sorridere davvero per il semplice fatto che anch’io sto combattendo questa battaglia contro l’anoressia giorno dopo giorno insieme a voi. Perciò, se state ricercando un sorriso sincero, sappiate che vi ammiro per la vostra tenacia, la vostra perseveranza e la vostra forza. Avete un coraggio incredibile. E lo so perché per combattere contro l’anoressia giorno dopo giorno ce ne vuole. Questo stesso coraggio potete utilizzarlo anche per riscoprire il piacere di un sorriso sincero.

Forse chi non ha mai vissuto un DCA non si accorgerà mai di questo vostro enorme coraggio, ma io lo vedo ogni giorno. E sapere che, anche se a distanza, ci sono tante ragazze che stanno combattendo la mia stessa battaglia contro l’anoressia e stanno cercando di sorridere veramente, mi fa sentire più forte e rende meno dura la giornata, perché mi fa sentire che non sono l’unica a cercare di fare qualcosa che sembra essere impossibile.

Perciò, se oggi non riuscite a trovare un sorriso sincero e vi sentite costrette ad indossare la maschera di falsa compiacenza indotta dal vostro DCA, continuate comunque a cercare nella vostra vita quelle piccole cose che possano strapparvi un vero sorriso. Perché non siete sole. Perché siamo in tante a provarci. Il vostro sorriso può essere reale, nonostante le avversità chela vita ci ha posto, ci pone e ci porrà di fronte. Il vostro sorriso può essere genuino. Voi potete riuscirci.

Sorridete… il sorriso è il vostro vestito perfetto: non ha taglia, e vi calza meravigliosamente.

venerdì 7 ottobre 2011

Analysis Paralysis

Qualche giorno fa, all’Università, io ed i miei colleghi del 5° anno di Medicina, abbiamo avuto una lezione molto interessante.

La parte più interessante di detta lezione è stata quella indicata come “Chi è Chi nel Cervello?”, che si occupava di spiegarci quali siano le malfunzioni cui va incontro la rete neurale nel momento in cui una persona sviluppa un disturbo ossessivo-compulsivo… e, come tutte voi già saprete, anche l’anoressia e la bulimia rientrano nella famiglia dei DOC. Ora, cercare di riassumere il contenuto della lezione, soprattutto considerato che molte di voi non hanno conoscenze di Medicina, sarebbe assurdo e vi farebbe immediatamente smettere di leggere questo post. Tuttavia, voglio provare ad illustrarvi in modo semplice la parte interattiva della lezione, che ritengo sia stata tra l’altro la più interessante. (Chiedo scusa ad eventuali medici e studenti di Medicina che leggono questo blog per l’estrema semplificazione ed approssimazione di ciò che segue… vorrei però che fosse comprensibile a tutti). Fondamentalmente, i 2 professori che tenevano la lezione ci hanno divisi in gruppi, e ad ognuno di questi gruppi è stato assegnato il ruolo di un gruppo neuronale: dal nucleo accumbens (il centro del piacere) alla corteccia prefrontale (CPF, il centro “esecutivo”, ovvero la parte del cervello deputata a prendere decisioni).

Il compito che ci hanno assegnato era quello di provare a decidere dove incontrarci per andare a pranzare. Ogni gruppo doveva comportarsi come la parte del cervello che gli era stata assegnata (io appartenevo al gruppo dei gangli basali, che sono coinvolti nel movimento/esercizio fisico, precisione, e anche le malfunzioni che vengono fuori durante un DOC… un ruolo che mi calzava a pennello, insomma…) nel decidere dove incontrarci per andare a pranzare. In quanto ganglio basale, dunque, io dovevo conoscere alla perfezione quando e dove incontrarci – come se avessi avuto un GPS che mi dava le coordinate – le persone presenti, e quanto si sarebbe dovuto spendere. Un po’ nevrotico, se vogliamo, ma ero determinata ad acquisire tutte queste informazioni con un buon margine di anticipo.

I membri degli altri gruppi hanno aggiunto i loro feedback, il gruppo dell’insula ha riferito tutti i nostri messaggi al gruppo della corteccia prefrontale, che ha preso la decisione finale: ci saremo incontrati tutti quanti davanti al Bar del Cubo alle 12.50 per prendere un panino e qualcosa da bere. Ta-dah! Decisione presa.

Adesso dovevamo ripetere il tutto fingendo di essere un cervello malfunzionante a causa della presenza di un DOC. “Casualmente” ho proposto di utilizzare come DOC di riferimento l’anoressia, e quindi abbiamo iniziato a fingere di essere i gruppi neuronali del cervello di una ragazza anoressica. In quanto ganglio basale, non sono riuscita a trovare il bar “perfetto” o la compagnia “perfetta”, né ad essere sicura che gli altri membri del mio gruppo sarebbero stati d’accordo. La corteccia prefrontale, anch’essa malfunzionante, non ha fatto altro che non prendere alcuna decisione, e quindi lasciare che tra le altre parti del cervello (gli altri gruppi) regnasse l’anarchia. L’insula ha semplicemente smesso di trasmettere i vari messaggi, cosicché le altre parti del cervello non potevano comunicare tra loro senza la sua mediazione.

La nostra decisione?

Saltare il pranzo. In tutta la stanza, i vari gruppi hanno elaborato lo stesso verdetto: nessun pranzo. Se il cervello non funziona bene a causa della presenza di un DOC e le varie parti del cervello non sono in grado di comunicare adeguatamente tra loro, prendere una decisione diventa estremamente complicato, perciò semplicemente le reti neuronali vanno in stand-by, e di default il cervello “sceglie” di non mangiare.

Il mio gruppo ha deciso che, durante la pausa pranzo, saremmo andati a provarci con l’infermiera (l’avevamo presa sullo scherzoso in quel momento – e l’abbiamo trovato estremamente divertente, anche se non molto professionale, in effetti). Un altro gruppo ha deciso di impiegare la pausa pranzo andando in palestra. La maggior parte degli altri gruppi ha deciso di tornare a casa e di evitare il contatto con altre persone rimanendo chiusi nella propria stanza a leggere o a guardare la TV, o comunque isolandosi dal resto del mondo.

Vi suona familiare?

I nostri 2 professori che tenevano la lezione hanno definito questa situazione – un infinito vociare delle varie parti del cervello mentre la corteccia frontale se ne lavava le mani e l’insula scrollava le spalle – come “analysis paralysis”. Questa definizione la potete trovare anche su Wikipedia:

"Over-analyzing (or over-thinking) a situation, so that a decision or action is never taken, in effect paralyzing the outcome. A decision can be treated as over-complicated, with too many detailed options, so that a choice is never made, rather than try something and change if a major problem arises. A person might be seeking the optimal or "perfect" solution upfront, and fear making any decision which could lead to erroneous results, when on the way to a better solution."

[Analizzare eccessivamente (o pensare eccessivamente, arrovellarsi eccessivamente) una situazione, perciò, alla fine, nessuna decisione o azione viene compiuta, paralizzando ogni possibile risultato. Una decisione che viene percepita come estremamente complicata da prendere, con troppi dettagli o troppe opzioni, non viene in effetti semplicemente mai presa, anziché fare un tentativo e cambiarla qualora dovesse sorgere un problema maggiore. La persona può anche essere in grado di trovare la soluzione “perfetta” da raggiungere, ed essere perciò assalito dalla paura di prendere una decisione che possa portare a risultati erronei, cercando di raggiungere una soluzione migliore.](traduzione mia)

Decidere dove andare a pranzare sembra una decisione abbastanza facile da prendere. Non è certo come decidere dove traslocare, se cambiare lavoro, o quale investimento fare sui titoli azionari. È semplicemente un pranzo. Tuttavia, la procedura neurale che porta a prendere anche questa decisione, che pure avviene in maniera estremamente rapida, è comunque molto complessa. Se le varie parti del cervello non sono in grado di comunicare correttamente tra loro – se l’insula non lavora adeguatamente e non permette questa comunicazione – il cervello si blocca anche sulle decisioni più semplici, diventa incapace di prenderle, un po’ come quando su un CD c’è una pista rovinata e la canzone si “incanta” e non va più avanti.

È ad oggi noto che l’insula è malfunzionante in chi è anoressica. La restrizione alimentare, tra le altre cose, riduce anche il flusso ematico al cervello, il che a sua volta comporta la riduzione della funzionalità di numerose altre aree cerebrali. Ovvio che, pertanto, anche la più semplice decisione paralizza il cervello che dà la sua risposta di default: NO. Ho già magiato. Non ho fame. Ho da fare. No, grazie. Meglio di no. No. No. No.

È il nostro modo per evitare di andare incontro ad una analysis paralysis. “Il nostro cervello”, ha detto uno dei professori, “è un po’ come una lezione frontale qui all’Università. Un sacco di domande, necessita di andare avanti e indietro con le spiegazioni, e se non ci fosse un insegnante competente che tiene le redini del tutto, non arriveremmo alla fine di una singola lezione”. Ecco, lo stesso vale per l’anoressia: se l’insula non lavora bene, tutto il cervello ne risente, e si va inevitabilmente incontro ad una situazione di analysis paralysis.

La soluzione che in una situazione di questo tipo può essere fornita dall’esterno – dai genitori, dagli amici, dai medici, dai dietisti, dagli psicoterapeuti – è che queste persone si comportino come l’insula e la corteccia prefrontale di chi, avendo un DCA, non riesce a far funzionare correttamente I propri. Per esempio, per chi ha un DCA, anche se decide d’intraprendere un percorso di ricovero, è estremamente difficile decidere quando e cosa mangiare, per questo è importante l’aiuto di un dietista/nutrizionista che dia un “equilibrio alimentare” che “scelga” al posto nostro come gestire l’alimentazione. Poi, gradualmente, recuperando il peso perso, il cervello riesce a riacquisire una funzionalità tale da riconquistare un’autonomia decisionale, ed essere capaci di prendere facilmente decisioni da sole è uno dei segnali più importanti che ci dice che stiamo davvero percorrendo la strada del ricovero.

venerdì 30 settembre 2011

Trovare la radice

Non è mai facile capire da che cosa sia determinata e causata l’anoressia.

Trattandosi di un sintomo multifattoriale, in effetti, le cause determinanti sono molteplici, e per la maggior parte sommerse. Occorre un lungo e duro lavoro d’introspezione su noi stesse per risalire all’origine di un DCA, e questo può essere estremamente difficile e logorante, poiché ci pone di fronte ad aspetti del nostro passato e della nostra personalità che non vogliamo vedere ed accettare, e che sviluppare l’anoressia ci ha per l’appunto permesso di coprire.

Eppure, penso che sia un “percorso a ritroso” parimenti necessario per andare avanti nella strada del ricovero. Proprio così, ragazze: tornare indietro per poter andare avanti. Perché tornare indietro ci permetterà di prendere la rincorsa. Del resto, è noto che per capire le ragioni del male bisogna ritornare all’origine.

Come riuscire dunque a capire quali sono state le cause e gli eventi scatenanti l’anoressia? Ovviamente non esiste un libretto delle istruzioni, anche perché ogni persona (ed ogni anoressia) è una storia a sé, tuttavia voglio provare ad offrivi delle semplici strategie, nella speranza che queste possano servirvi come spunto di riflessione per rielaborare il passato e cercare d’individuare quello che può stare alla base dell’anoressia.

1) Parlatene. Parlate con qualcuno del vostro DCA. Che sia uno psicoterapeuta, un dietista, un’amica, i vostri genitori… chiunque. Se è una persona di cui sapete di potervi fidare, va bene chiunque. Non tenete i vostri pensieri chiusi dentro di voi, ma esternateli. Raccontate la vostra storia e la vostra interiorità. Questo vi darà modo di rielaborare la vostra esperienza e di vedere più a fondo, magari anche grazie agli input che la persona con cui state conversando sarà in grado di restituirvi.

2) Scrivetene. Va bene un diario, un quaderno, un documento Word su un computer. Ogni qualvolta vi viene in mente qualche pensiero relativo al vostro DCA, mettetelo nero su bianco. Questo vi aiuterà a fare introspezione e ad essere sincere con voi stesse riguardo al vostro vissuto e ai vostri sentimenti. Poi, qualche giorno più tardi, rileggete quello che avete scritto e provate a ragionarci su.

3) Ricordate. Cercate di aprire le porte che in passato vi siete chiuse alle spalle per il timore di quello che vi stava dietro. Aprite quelle porte e cercate di ricordare senza farvi travolgere dal ricordo. Ispezionate, scandagliate il vostro passato alla luce della vostra attuale esperienza e consapevolezza. Vedrete che sarete capaci di trovare utili tracce.

4) Lasciate andare la paura. La paura è controproducente, induce a piangersi addosso, chiude in se stesse e non permette di arrivare da nessuna parte. Ricordatevi che non avete niente da temere, perché nel momento in cui avete deciso di combattere l’anoressia, siete già sulla strada della vittoria.

5) Non fissatevi. Non andate a ricercare qualcosa in particolare, e non aspettatevi di trovare tracce in maniera rapida e semplice. L’introspezione è tutto un lavoro di gomito. Bisogna sudare, ma bisogna anche capire quando è il momento di tirare il freno e pensare ad altro. Questo non annulla il lavoro che avete in precedenza compiuto: una volta recuperate le energie, potrete riprendere a lavorare su ciò che avevate lasciato in stand-by.

6) Trovare la radice dell’anoressia è importante, ma non dimenticate che è molto più importante concentrarvi sulla vostra battaglia quotidiana. Quello che potete fare per voi stesse e che vi proietterà nel futuro, è quello che fate oggi.

7) Non sottovalutatevi. Non sottostimate le vostre capacità. Non pensate di non essere in grado di vederci chiaro o di ragionare. Potete arrivare al cuore di tutto, se solo riuscite a tirare fuori abbastanza determinazione per continuare a scavare e abbastanza coraggio per affrontare il vostro passato.

8) Siate consapevoli che quello che troverete nel vostro percorso d’introspezione alla ricerca delle radici dell’anoressia, molto spesso non vi piacerà affatto. Ma affrontare quello che è stato è l’unica cosa che vi permetterà e vi aiuterà ad andare avanti nella strada del ricovero.

venerdì 23 settembre 2011

Anoressia - What is left of the body

Quello che voglio proporvi oggi è uno dei primi video che ho realizzato, come si potrà facilmente notare dalla scarsa qualità tecnica. Eppure, nonostante sia un po’ datato, penso che molte di voi potranno comunque rispecchiarcisi.

Quando l’ho realizzato ero ancora abbastanza dentro all’anoressia, ma già avevo mosso i miei primi passi in avanti sulla strada della luce, come la frase di speranza che il video alla fine lascia.

Tutte possiamo fare dei passi avanti, nessuna esclusa. Basta solo volerlo veramente.



Testo della canzone che fa da “soundtrack” al video + traduzione…

I'm so tired of being here, suppressed by all my childish fears
And if you have to leave, I wish that you would just leave
Your presence still lingers here and it won't leave me alone
RIT1: [These wounds won't seem to heal, this pain is just too real
There's just too much that time cannot erase]
RIT2: [When you cried, I'd wipe away all of your tears
When you'd scream, I'd fight away all of your fears
And I held your hand through all of these years
But you still have all of me]
You used to captivate me by your resonating light
Now, I'm bound by the life you left behind
Your face it haunts my once pleasant dreams
Your voice it chased away all the sanity in me
RIT1: [These wounds…]
RIT2: [When you cried…]
I've tried so hard to tell myself that you're gone
But though you're still with me, I've been alone all along
RIT2: [When you cried…]


(Sono così stanca di stare qui / Oppressa da tutte le mie paure infantili / E se proprio devi andartene / Vorrei che tu te ne andassi e basta / Perchè la tua presenza ancora indugia qui / E non vuole lasciarmi sola / RIT1: [Queste ferite sembrano non voler guarire / Questo dolore è troppo così reale / C'è semplicemente troppo che il tempo non può cancellare.] / RIT2: [Quando piangevi, ho asciugato tutte le tue lacrime / Quando urlavi, ho combattuto tutte le tue paure / E ti ho tenuta per mano durante tutti questi anni / Ma tu hai ancora tutto di me.] / Mi hai attratta con la tua luce che sembrava così ragionevole, convincente / Adesso sono legata alla vita che hai lasciato indietro, distrutta / La tua immagine ossessiona / I miei sogni, una volta piacevoli / La tua voce ha cacciato via / Tutto quel che c’era di sano in me. / RIT1: [Queste ferite…] / RIT2: [Quando piangevi…] / Ho provato così tanto a dirmi che te ne sei andata / Ma sebbene tu sia ancora con me / Io sono stata sola fin dall’inizio. / RIT2: [Quando piangevi…])

venerdì 16 settembre 2011

Continuare a combattere

Una cosa che dovremo fare ogni giorno della nostra vita è continuare a combattere contro l’anoressia, continuare a percorrere la strada del ricovero.

Perché farlo? Per tantissime ragioni, ragioni che possono essere differenti per ognuna di noi, ma che dimostrano comunque che questa è una battaglia che vale la pena di combattere.

Dunque, per rinforzare la nostra motivazione giornaliera, oggi voglio proporvi 9 ragioni per continuare a combattere.

9 – L’anoressia ci fa perdere energia, vitalità, voglia di fare, e cambia la nostra personalità. Scegliendo la strada del ricovero, possiamo ricominciare a brillare.

8 – Mi sono accorta che nel momento in cui mi do attivamente da fare contro l’anoressia mi sento meglio con me stessa e riesco a fare tante piccole cose in grado di cambiare positivamente la mia vita.

7 – L’industria dei prodotti dietetici cerca di convincere le donne che se lavorano abbastanza duro, se seguono determinate diete, potranno indossare qualsiasi taglia ed assumere qualsiasi corporatura. In realtà, questo è totalmente falso. La corporatura che avete al vostro set-point di peso è la corporatura che il vostro corpo necessita di avere per essere in salute. Combattere per mantenere il vostro corpo ad una forma innaturale è stancante e pericoloso.

6 – Il cibo è un qualcosa con cui dobbiamo avere ogni giorno necessariamente a che fare. Avere una relazione erronea con il cibo porta ad ansia e isolamento, impedendoci di vivere situazioni che potrebbero essere altrimenti molto divertenti.

5 – L’anoressia finisce ben presto per riempire ogni ambito della nostra vita. Tutto quello che facciamo è subordinato all’anoressia. Le ossessioni aumentano a dismisura. Quello che pensavamo di controllare finisce per controllarci. Ma io penso che la vita, la vita quella vera, intendo, sia ben altro oltre questo.

4 – TUTTE VOI avete il potenziale di rendere la vostra vita esattamente quello che volete che sia. Vivere implica crescere, cambiare, fare nuove esperienze, mettersi alla prova, assumersi la responsabilità delle proprie scelte e dei propri errori, lottare contro quello che ci fa stare male. Percorrere la strada del ricovero può essere ben più che una lotta, può sembrare un inferno, ma quando sarete sopravvissute a quelle fiamme vi riscoprirete più temperate.

3 – L’anoressia danneggia mentalmente, e fisicamente il corpo, molto spesso in maniera irreversibile.

2 – Quando non mangiamo abbastanza e solo una ristretta gamma di cibi, non si fornisce al corpo il giusto apporto di nutrienti. Di questo ne risente anche il cervello, a causa della mancata capacità di sintesi di neurotrasmettitori come la serotonina e la dopamina. Il che comporta un mantenimento del DCA e può portare a sviluppare anche altri problemi collaterali.

1 – Ma soprattutto: l’anoressia ruba il nostro tempo. Ci frega facendoci credere di essere un vantaggio, di essere tutto ciò che possiamo desiderare dalla vita, tutto ciò che ci fa sentire bene. Ruba anni ed anni della nostra vita chiudendoci in un circolo vizioso che alla fine risulta essere completamente futile. Ragazze, il nostro tempo è limitato, e la nostra vita è troppo preziosa per sciuparla così.

Scegliete la strada del ricovero. Scegliete di lottare contro l’anoressia. Fatelo ogni giorno. Ne vale la pena. Riprendetevi il vostro tempo. Riprendetevi la vostra vita. Quella vera.

venerdì 9 settembre 2011

Questione di standard

E dunque, non ho mai ristretto l’alimentazione oggi: ho seguito con scrupolosa attenzione l’ “equilibrio alimentare”! Non sono forse stata bravissima??!

Penso che, come ricompensa, mi concederò di mangiare un po’ meno stasera a cena.

Lo so che c'è chi bisbiglia che sono un’anoressica. La dottoressa mi ha detto che potrei morire per questo, ma i miei organi non hanno ancora dato segni evidenti di cedimento, perciò penso che posso andare avanti ancora per un po’.

E comunque, non è che io restringa sempre l’alimentazione. Cerco di togliere qualcosa a colazione, ed infine qualcosa a cena. Dormo meglio se vado a letto più leggera, sapete?

Alcuni dei miei colleghi di lavoro hanno notato che sono un po’ pallida e smagrita, ma questo potrebbe dipendere da un sacco di cose, non vuol dire niente. Non sono certo l’unica pallida, in questa palestra. In fin dei conti, non faccio mica del male a nessuno, non do mica noia a nessuno. Non è come se mi mettessi ubriaca al volante e rischiassi di investire qualcuno, non faccio niente di pericoloso.

Questo pomeriggio devo andare a farmi le analisi del sangue. Non penso di averne bisogno, comunque, anche se l’ha detto il dottore. Sono anch’io una studentessa di Medicina, me ne accorgerei se fossi davvero malata. E anche se sono un po’ dimagrita, perciò, so per certo che ora come ora non sono abbastanza malata da averne bisogno. Ho solo fatto la cresta alla colazione, allo spuntino e al pranzo, non è che abbia saltato un pasto in toto, quindi non ho ristretto un granché.

So che dovrei ripensare a come mi sono comportata nei confronti del cibo nei giorni scorsi, ma è difficile. La vita è difficile quando non restringo l’alimentazione, e oggi devo andare all’università e fare tirocinio. Sì, ho decisamente bisogno di restringere un po’ a colazione. Il pranzo me lo porterò dietro da casa, così non dovrò andare a mensa, e gli altri penseranno che comunque mangio qualcosa. Qualche volta potrò avere un piccolo svenimento, ma sarà colpa del caldo, mi riprenderò subito. Se non dovessi riprendermi subito, il tirocinio comunque lo faccio in un Pronto Soccorso. Per cui non potrebbe succedermi niente di male.

Fintanto che mi limito a ridurre le dosi di quello che dovrei mangiare, ci può stare. Non è come se saltassi completamente un pasto. E quindi, non è che io sia proprio malata. Non sono una di quelle donne tutte pelle-e-ossa che si vedono sui libri di medicina sotto la voce “anoressia” e che sembrano proprio giunte ad uno stadio terminale. Non faccio chissà quale attività fisica forsennata per perdere ulteriore peso. Non vomito, e non prendo diuretici né lassativi. Perciò, io non ho veramente un problema.

Ho solo bisogno di mangiare qualcosina di meno, adesso. E non sto facendo nulla di male a nessuno. In fin dei conti, vado a letto ogni sera e mi sveglio ogni mattina. Può capitare che mi senta un po’ debole, ogni tanto, ma che sarà mai prendersi una giornata di ferie da lavoro? Tutti possono stancarsi.

Posso contare solo su me stessa. Quelli che dicevano di essere miei amici si sono tutti allontanati. Va bene, tanto non avrebbero potuto capirmi, avrebbero solo continuato a dirmi che dovevo mangiare un po’ di più. Meglio se non esco più con loro, meglio se sto da sola: così nessuno potrà più fare alcuna osservazione sulla mia alimentazione. Figuriamoci che alcuni di loro erano così preoccupati che mi hanno detto che dovrei parlare con un dottore… non capsico proprio perché. Non sono eccessivamente emaciata, non mi cadono montagne di capelli, la mia pelle non è eccessivamente disidratata, e i miei organi non danno evidenti segni di cedimento. Dunque non sono certo malata abbastanza da aver bisogno di ricorrere ad un medico!

Non svengo in continuazione. Certo, qualche giorno capita, ma solo una volta ho avuto bisogno di andare al Pronto Soccorso. In ogni caso, ho visto ragazze che stanno molto peggio di me: passano giornate in cui mangiano solo una mela e uno yogurt magro, fanno ore ed ore di cyclette, sono in amenorrea da anni, indossano vestiti con taglie da bambine, sembrano scheletri ambulanti, e hanno attacchi di bradicardia tutti i giorni. A me non capita molto spesso di avere bradicardia, il che significa che sto comunque bene. È una perdita di tempo andare dal dottore, perché non sono malata come quelle altre ragazze, me ne preoccuperò se mai dovessi raggiungere quello stadio.

O-ops, sto restringendo l’alimentazione anche stasera a cena. Meglio ridurre solo un pochino, adesso, e poi magari semmai toglierò qualche altra cosina domani. Ma va tutto bene, perché so quello che sto facendo, è tutto sotto controllo e sto bene. Non capisco perché le persone si preoccupino. Non sto mangiando esageratamente poco, va bene anche se mangio così, e comunque ho visto che se mangio così ce la faccio a tirare avanti per tutta la giornata, quindi posso farlo anche domani.



Okay…

Ovviamente stavo scherzando. Questo voleva essere un post ironico, un’estremizzazione.

Ma avete capito qual è il punto?

Immagino che la maggior parte di voi l’avessero già capito. Però, perché quando siamo alle prese con l’anoressia facciamo continuamente discorsi del genere, e ci sembrano normali? Perchè lasciamo che la malattia alteri il nostro standard di ciò che è accettabile/sano e ciò che non lo è? Perché tentiamo di giustificarla, di normalizzarla, e di provare ad essere ancora più malate?
La trappola peggiore dell’anoressia è proprio questa: che ci fa credere di andare bene, di essere normale, ci illude della sua stessa bugia di finzione.

“Non sono malata abbastanza”. Questa frase credo sia storia per ognuna di noi. Certo, ci sarà sempre qualcuna più malata di noi. E quelle persone saranno morte.

venerdì 2 settembre 2011

Turning



Can’t read my, cant’ read my, no you can’t read my poker face… She’s got to love nobody.

La fine e l’inizio, il bacio di due coni.
Io e te. Perché tu sei me, ma io non sono te. Ora l’ho capito. Che tu non puoi esistere senza di me. Ma io ho tutta la capacità di andare avanti senza di te.
I can do better – without you.

Aggiungo “paranoica” alla lista dei miei difetti mentre per la quarta volta riapro la valigia per controllare se ci ho messo tutto. Sì che ci ho messo tutto, sono stata attenta, e poi ho già ampiamente ricontrollato, quindi cos’è quest’ansia che sale e mi spinge a ripassare in rassegna il contenuto del bagaglio ancora una volta? Ci ho messo tutto, avevo fatto un elenco ed ho spuntato tutte le voci, dunque non può mancare niente all’appello. Eppure poggio la valigia a terra e la apro ancora una volta per essere sicura, ma proprio sicura-sicura di aver preso ogni cosa. Passo in rassegna ogni piega, ogni tasca, ogni scomparto e, sì, c’è proprio tutto. Tutto quello che se ne verrà via con me, penso, è adesso contenuto in quella valigia e nel trolley blu che ho già portato in fondo alle scale. Non ho lasciato niente. Faccio per chiudere la valigia, poi però la riapro di nuovo mentre mi scappa un sorriso involontario perché ho improvvisamente capito la vera ragione di quel quarto controllo. Non per vedere se veramente mancasse qualcosa – già lo sapevo che c’era tutto, in fondo – ma per capire. Per capire che ci sono cose che non posso portare con me, perché otto anni di ricordi non si possono in alcun modo stipare in una valigia, e per capire che ci sono cose che non voglio portare con me.
Get out my mouth, get out my head, get out my mind: you’re nothing but trouble.

Per quanto si possa piangere o gridare a squarciagola, nessuno può fare niente per noi. Non esistono i miracoli. Il vento soffia continuamente, perciò la forza per restare in piedi dobbiamo trovarla da sole.

La prima cosa che mi è venuta in mente, e non sono riuscita a trattenere una risata di fronte all’ennesimo paradosso, è che, in fin dei conti, si trattava di due A. Buffo come due cose tanto opposte possano avere anche punti in comune, no?! Una A prima, e poi ancora una A dopo. Due A a scandire. Così diverse, così uguali. Sembra quasi un segno, non so. La prima A l’ho vista bene, per tanti anni, segnapassi costante della mia vita, così imponente e totalizzante che la seconda A è passata a lungo inosservata. Eppure ha saputo farsi strada a poco a poco, così, senza che io me ne rendessi conto. Perché avevo sempre pensato che la prima A fosse la più forte, quindi non mi ero mai neanche posta il dubbio che potesse esistere qualcosa in grado di contrastarla. Tuttavia, le cose sono lentamente cambiate, dal momento in cui è arrivata la seconda A. E allora, qual è veramente la A più forte? Prima ero sicura di conoscere la risposta. Adesso non ho nemmeno più voglia di pormi la domanda.

E’ umano amare facilmente, vero? Ma lo è altrettanto odiare.

Io sono forte, così pensavo. Così pensavo quando la prima A era l’unica costituente della mia vita. Io sono forte. Non sono una di quelle ragazze deboli che hanno bisogno di essere protette. Io non ho bisogno dell’aiuto di nessuno. Io sono forte. Me la sono cavata sempre da sola. E continuerò a farlo. Proprio così. Non ho bisogno di niente e nessuno.
Avevo la mia A, quindi non avevo bisogno di nient’altro. Bastavo a me stessa.

Ormai valigia e trolley stanno fuori dalla porta: devo solo chiudere a doppia mandata e lasciare le chiavi dietro il vaso di fiori, come da accordi. Poi prenderò l’auto e partirò. Ho fatto un conteggio approssimato, ci sto dentro coi tempi, avevamo detto a mezzogiorno, adesso sono le undici, in un’ora dovrei farcela benissimo, traffico permettendo. E chi se ne frega se il limite di velocità in autostrada è 130 Km/h… quando mai sono stata dentro al limite? Nient’altro da fare, dunque: solo chiudere la porta, caricare i bagagli in macchina, ed andare. Eppure esito ancora. Esito ancora e lancio un’ultima occhiata al corridoio spoglio, alle sue pareti bianche. Ho preso quello che mi serviva, ho messo a posto tutto il resto. Non sembra neanche più l’appartamento in cui ho abitato negli ultimi otto anni, adesso è tutto asettico, non si scorgono tracce di me. Mi mancherà nonostante tutto, mi mancherà anche se non era veramente mio, perché col tempo avevo comunque finito per abituarmici, perché in otto anni succedono tante cose, e perché la mia vita è cambiata tanto negli ultimi otto anni. E negli ultimi otto anni io ero lì, abitavo in quell’appartamento, e ogni mese, ogni settimana, ogni giorno lo trovo scandito in quelle pareti ormai spoglie ed in quell’ordine che non mi appartiene. Forse è normale esitare, è normale provare nostalgia nei confronti del posto in cui si è vissuto per un po’. Ma ora è tempo di essere nuova immagine. Chiudo la porta, giro la chiave. Do le spalle al passato. Mi incammino verso il futuro. Se voglio diventare più forte, è arrivato il momento di svegliarmi.

I was close to a fall line, heaven knows, you found me in time. Was it real? Now I feel like I'm never coming down.

Ti ricordi com’era all’inizio, quando ci siamo conosciuti, al 3° anno di università? Tu che cercavi di attaccare discorso, e io che piazzavo lo zaino sulla sedia di destra e il fonendo su quella di sinistra, affinché non ti sedessi accanto a me. Chissà cos’hai pensato di me, in quel periodo. Di certo devi aver pensato che non avevo alcuna intenzione di fare amicizia con te. Del resto, un giorno te lo dissi anche esplicitamente di andare a rompere da qualche altra parte. Eppure, che strano, non ti sei dato per vinto. Forse è per questo che, col tempo, sei riuscito a cambiarmi. Senza volerlo, poco a poco sono entrata in una nuova misura. Senza volerlo, poco a poco mi sono voltata verso di te. Non è vero che non volessi fare amicizia con te… la verità è che era solo alla prima A che non piacevi. La verità è fino a quel momento la prima A era stata la mia unica amica, e perciò avevo paura di fare amicizia con te. Non riuscivo a sostenere il tuo sguardo non perché non volessi avere a che fare con te, ma perché avevo come l’impressione che tu potessi leggermi dentro. E questo non potevo permetterlo. Non ancora.

“Sai cos’è in realtà la debolezza? E’ dire subito non ci riesco. In realtà non è vero che non ci riesci, la verità è che non ci provi neanche. Non si può dire che non si riesce a fare una cosa se non si prova a farla. Se vuoi diventare più forte, invece di scappare, accetta ogni sfida e combatti fino all’ultimo”.

Le persone non amano facilmente. E altrettanto difficilmente odiano.
Voglio credere in te… per favore, posso crederti almeno un po’?

Sono arrivata per prima, ma fortunatamente l’attesa non è troppo lunga: in capo a 10 minuti lo vedo che sbuca dall’angolo della strada e tenta di salutarmi con un cenno della testa, visto che ha entrambe le mani impegnate da due ingombranti valige. Mi raggiunge, mentre io mi frugo in tasca alla ricerca delle chiavi del portone, e sono così eccitata che quasi me le faccio scivolare di mano. Il nome della via, il numero civico, il portone: la mia nuova casa. La mia nuova avventura. La mia nuova sfida. Che stavolta non devo affrontare da sola, però, perché il mio migliore amico è qui accanto a me. Perché questo nuovo appartamento, questa casa in cui abiteremo da ora in poi, l’abbiamo affittata insieme. E mi viene in mente quel film, e mi tornano in mente quelle parole, quelle stesse parole che vorrei dire mentre fisso il portone di fronte a me: se tu abitassi qui, ora saresti a casa. Cerco di tenere ferma la mano mentre giro la chiave nella toppa: non voglio che lui possa leggere la mia emozione, non mi piace mettere a nudo quello che ho dentro. “Io sono forte e sto bene da sola” ho pensato per molto tempo. Però… in realtà… ho sempre voluto un po’ più di coraggio. Il coraggio di aspettare l’alba senza fuggire. Il coraggio di affrontare la vita. Il coraggio di credere e contare su qualcuno. L’ho sempre voluto. Ma avevo paura che mi dicessero che non avevano bisogno di me, perciò dovevo pensare “Io sono forte”. Tuttavia in realtà volevo che la Veggie che vive dentro di me si accorgesse della propria debolezza, e che smettesse di fingere di essere forte e coraggiosa.
Perciò, per favore… non mi lasciare sola adesso. Adesso che abito qui con te. E, perciò, adesso che sono a casa.

Tell me how you’ve never felt.

La nostra nuova abitazione. Abbiamo lasciato i bagagli alla rinfusa nel corridoio, e siamo entrati in soggiorno con il timore quasi reverenziale di rompere il silenzio che ci avvolge nella penombra della stanza. Non mi sembra ancora vero che tutto questo stia succedendo sul serio. Non mi sembra ancora vero che questo appartamento al primo piano sarà il posto in cui io ed Alex abiteremo nei prossimi anni. È tutto così bello che non ho parole per descriverlo. È tutto così – come dovrebbe essere. Io ho sempre considerato gli altri come dei nemici, per questo non sono mai riuscita a mostrare a nessuno i miei punti deboli. Per questo ho scelto la mia prima A, l’Anoressia. Perché, in fin dei conti, ho sempre provato una paura fortissima ed inarginabile, ed in qualche modo dovevo porle un contenitore, trovare un modo per controllarla. Ho scelto l’anoressia, e a poco a poco mi sono dannata, sotto i piedi un oceano senza fondo. In tanti allora – medici, psichiatri, psicologi, dietisti – hanno cercato di prendersi cura di me, affinché non cadessi in quell’oceano, e io mi sono spesso augurata di precipitarvi dentro, di affondare e di svanire nel nulla. Ho sempre detestato la mia incapacità di fidarmi degli altri… e di me stessa. E mi detesto perché spesso, per eccesso di paura, ferisco chi mi circonda. Del resto, mi dicevo, anche gli altri la pensano così, no?! Anche loro mi detestano, giusto?! Ma io sono forte, non ho bisogno di loro e non ho alcuna intenzione di arrendermi, in fin dei conti ho l’anoressia. Però poi è arrivata la seconda A, l’Amicizia. E tu, Alex, tu mi hai detto che non vuoi che io me ne vada. Hai detto “no”? Non vuoi vedermi scomparire? Io e te, adesso, in mezzo al soggiorno del nostro nuovo alloggio. Non vuoi vedermi scomparire? Dunque posso davvero restare qui? Ho davvero il diritto di continuare a vivere, in questa casa con te? Perché è qui che voglio restare.

Accettare i miei limiti è il primo passo che devo fare se voglio diventare più forte. Perché sono arrivata all’estremo, e mi sono rialzata. Non c’è spazio per l’autocommiserazione, ma solo per l’azione. Perché quando tutto è perduto, è allora che si progredisce.

Quasi come se ci fossimo letti nel pensiero, allunghiamo entrambi la mano e le nostre dita s’incontrano e s’intrecciano. Sei tu quello che stringe più forte, e mi viene da sorridere perché avevo pensato di essere io quella più nervosa e tu quello più saldo – tu sarai la forza mia – ma forse le cose non stanno proprio così. Siamo emozionati tutti e due, ecco cosa. E tu ti volti verso di me e mi sorridi mentre mi stringi forte la mano. Quando mi sorridi… quel tuo sorriso vorrei preservarlo per sempre. Starting from here. Cerchiamo di costruire qualcosa insieme. Perché la nostra amicizia, nel bene e nel male, è più forte di qualsiasi ostacolo che la vita potrà mai pararci di fronte.

Anche oggi, come sempre, arriverà la notte. Ma con Alex al mio fianco, ormai non ho più paura. Grazie alla nostra amicizia, ormai non ho più paura. Non ho più paura. Voglio vivere molte cose. La luce è dentro di me.

Le valige piazzate ognuno nella propria cameretta, adesso stiamo seduti sul divano del soggiorno. Una volta tanto, non c’è bisogno di parlare. I nostri occhi dicono già tutto. Questo è l’inizio. Questa è una nuova strada che si apre. La fine e l’inizio, il bacio di due coni. E si (ri)comincia da qui. Con una sola A, la seconda. Insieme.
“Alex, ehi, Alex!”
“Dimmi”
“Indovina chi vorrei essere in questo momento, più di ogni altra persona al mondo?”
“Chi vorresti essere?”
“Me stessa”



(click sulle immagini per ingrandire)

venerdì 26 agosto 2011

10 cose che le "pro-ana/mia" non vi dicono

Premetto che non lavoro in un negozio d’abbigliamento o in una profumeria, non sono una modella, e il mio lavoro non richiede alcun peso in particolare. Non faccio parte di una qualche strana setta che venera l’aumento di peso. Non vengo pagata per quello che scrivo su questo blog. Non voglio mettere paura o fare a moralizzatrice. E studio Medicina all’università. In altre parole: non ho alcuna ragione per mentire su quello che sto per scrivervi, e ho delle conoscenze mediche di base che mi permettono di spiegare in maniera attendibile quanto scrivo. Ve lo giuro.

Dunque, vediamo di mettere in luce alcuni aspetti, ovvero 10 cose (tratte proprio da un blog pro-ana che, per ovvi motivi, non linkerò) che le ragazze che si autodefiniscono “pro-ana/mia” vogliono far passare per vere, ma che in effetti sono vere.. BUGIE!

1) Ci sono alcuni cibi che sono “ingrassanti”, ed altri no, perciò bisogna mangiare solo questi ultimi.
Magari fosse vero! La verità è che ogni cibo apporta un certo quantitativo di calorie ma, soprattutto, di nutrienti. È a questi ultimi che bisogna dare una particolare attenzione. La dieta giornaliera dev’essere bilanciata tra carboidrati (60%), proteine(30%), lipidi (10%), vitamine, fibre e sali minerali. Sono tutti necessari affinché il nostro corpo lavori correttamente. Tutti i cibi sono “ingrassanti” se assunti in dosi eccessive, e assolutamente necessari e salutari se mangiati nelle giuste quantità.

2) Bere thè (soprattutto il thè verde) accelera il metabolismo.
Il thè è indubbiamente una buona bevanda, anche perché (specie la qualità “thè verde”) contiene un discreto quantitativo di antiossidanti. Contiene teina, che è un blando eccitante, ma questo non significa che acceleri il metabolismo!

3) Bisogna cercare di perdere peso quanto più rapidamente possibile, quindi ogni giorno bisogna cercare di mangiare quanto meno possibile.
Perdere tanto peso in poco tempo comporta una perdita di massa muscolare e non di tessuto adiposo. Quello che si ottiene non è quindi DIMAGRIMENTO ma EMACIAZIONE. Il corpo, sprovvisto di cibo, inizia a nutrirsi di se stesso. Inoltre, una rapida perdita di peso sfasa il metabolismo, con il che poi basterà mangiare pochissimo per riprendere rapidamente tutto il peso perso.

4) Non bere aiuta a dimagrire più in fretta.
Non bere aiuta unicamente a disidratarsi. Comporta, oltre a rovinare la pelle, perdita di elettroliti essenziali al corretto funzionamento del nostro organismo.

5) Le conseguenze fisiche di un DCA sono reversibili nel momento in cui si ricomincia a mangiare normalmente.
Niente di più falso. E parlo per esperienza personale. Certo, alcuni aspetti possono essere reversibili, ma i danni veri e seri che la restrizione alimentare provoca al nostro corpo non tornano indietro.

6) Vomitare, usare lassativi e diuretici aiuta a tenere il peso sotto controllo.
La prima digestione comincia nella bocca. Nel momento in cui deglutite, parte di essa è già avvenuta. Quindi, nel momento in cui compiete una delle 3 azioni sopraelencate, tutt’al più eliminate un terzo, o, proprio al massimo, la metà di quello che avete ingerito. Anche perché nel momento in cui il cibo raggiunge il vostro colon, è già stato completamente digerito, per cui… tutto quello che perdete prendendo lassativi sono liquidi, acqua. Senza parlare ovviamente di tutte le altre conseguenze fisicamente deleterie che fare uso di queste tre tecniche di purging può avere. Tanto per fare un unico esempio, la disidratazione conseguente stimola ipotalamo e reni a scambiarsi una serie di segnali ormonali che inducono i tubuli renali a operare ritenzione idrica, innescando un circolo vizioso.

7) Quando vomitate, non assumete precedentemente cibi rossi, perché così non potrete capire se il rosso che vedete nel vomito è dovuto al cibo o al fatto che state sanguinando perché avete lacerato o lesionato qualche struttura fisica.
Se siete fortunate, nel momento in cui vedete del rosso nel vomito, avete appena il tempo per raggiungere il reparto di emergenza chirurgica in ospedale. Ma non c’è bisogno di vederlo per sapere che avete bisogno d’aiuto. Presenza di sangue nel vomito, comunque, per mettere i puntini sulle “i”, è in primis dovuta a lesioni a carico dell’esofago. Se la lesione è molto estesa, difficilmente avrete modo e soprattutto tempo di farci qualcosa.

8) Prendere pillole ed integratori vitaminici colma la carenza di vitamine derivante dalla restrizione alimentare.
Prendere vitamine artificialmente è un gran bello spreco di soldi e di tempo, ragazze mie. Le vitamine liposolubili per funzionare necessitano di lipidi… che, se restringete, non disponete e non state assumendo, o comunque non in quantità sufficiente. Le vitamine idrosolubili per funzionare necessitano di proteine… che, se restringete, vengono utilizzate del corpo stesso per sostenersi, “bruciando” i vostri stessi muscoli. Quindi figuriamoci se ne avanzano per utilizzare le vitamine! Morale della favola: le vitamine artificiali non sono in grado di fare niente. Non pensate che una pillolina vitaminica colorata possa annullare i danni che con la restrizione state arrecando al vostro organismo: una donna sana non ha bisogno di assumere vitamine artificialmente. Le pillole e gli integratori vitaminici NON sono in alcun modo un sostituto all’alimentazione.

9)Fate una leggera attività fisica prima di fare colazione. L'organismo ha pochissimi zuccheri in circolo da utilizzare come carburante e attinge immediatamente alle riserve di grasso intramuscolare.
No, errato. Attinge immediatamente alle riserve epatiche di glicogeno. Determinando una più o meno severa ipoglicemia che può portare anche allo svenimento. Per attingere alle "riserve di grasso intramuscolare" sarebbe necessario fare una pesante attività fisica per diverse ore... ma, a questo punto, se non avrete ancora fatto colazione, sarete già svenute da un pezzo.

10) Questi consigli non li ho inventati io, li ho trovati su un blog/fotum/sito “pro-ana”, e poiché tante ragazze li seguono con risultati soddisfacenti, non possono che essere utili. Se non ci credete, chiedete a qualche anoressica.
In bocca al lupo a quelle che decideranno di “chiedere a qualche anoressica”, perché nessun’anoressica che io conosca incoraggerebbe qualcuno a seguire tali “consigli”, visto che l’anoressia è la battaglia contro cui dovrà combatter per il resto della sua vita.

Potrei andare avanti ancora per molto, ma penso che questi 10 esempi siano sufficienti a farvi capire che sui blog pro-ana/mia girano molti luoghi comuni, ma che non racchiudono alcuna verità. L’unica verità è che contro l’anoressia bisogna combattere, bisogna scegliere ogni giorno la strada del ricovero. Ricercate la verità ed abbiate cura di voi stesse, perché nessun altro lo farà: solo voi avete tra le mani la vostra vita e potete decidere cosa farne, lottare contro l’anoressia o meno. E delle 2 scelte, solo una ha un futuro.

venerdì 19 agosto 2011

Lasciar andare il "sentirsi speciali"

Leggendo il commento che Ima Sickone ha lasciato al mio post precedente ("[...]Perchè forse per me il DCA è qualcosa che mi fa sentire speciale. Stupidamente, senza dubbio.. hai avuto anche tu la stessa impressione? [...]"), mi è tornata in mente una puntata del telefilm “Dr. House” – nella fattispecie, mi sono poi documentata, il 12° episodio della 7^ stagione. Non mi piace particolarmente questo telefilm, tuttavia in quest’episodio ho trovato un dialogo che mi ha fatto pensare esattamente alle parole scritte da Ima Sickone.

La trama (molto in breve): la paziente dell’episodio è una cameriera (Nadia) che ha una memoria assolutamente straordinaria, e il team di medici del dottor House cerca di capirne le motivazioni, e cerca di capire come questa “super-memoria” possa essere correlata agli altri sintomi presentati dalla donna. La diagnosi che viene fatta è che questa speciale memoria sia una sorta di forma di OCD (DOC) secondario ad una mutazione genetica. Dopo che la paziente è stata messa al corrente della diagnosi, uno dei dottori (Chase) entra nella sua stanza per parlare con lei. Qui si svolge il seguente dialogo:

Chase: Hai detto che non hai avuto la possibilità di scegliere di essere quel che sei. Adesso, ce l’hai. [Tira fuori un piccolo contenitore di SSRI]. Questi si sono dimostrati efficaci nel trattamento dei disturbi ossessivo-compulsivi.
Nadia: Intendi dire che assumendoli perderò la mia memoria?
Chase: Non del tutto… Avrai una memoria come quella della maggior parte della gente.
Nadia: La mia memoria è l’unica cosa che mi abbia mai resa speciale…
Chase: Sei vuoi essere speciale, sarai sempre condannata alla solitudine. [Lascia le pillole tolte dal contenitore sul vassoio ed esce dalla stanza]


E’ un sentimento che conosco molto bene – e realizzare che la cosa che ci fa sentire speciali è tanto una malattia quanto una cosa che distrugge il resto della nostra vita è una realizzazione estremamente importante.

Quando si è nel pieno dell’anoressia, è facile dimenticare che la restrizione alimentare non è un qualcosa che ci rende davvero speciali. È semplicemente un qualcosa che ci rende malate. Ma siamo solo noi a non capirlo. In fin dei conti, una delle cose più frustranti dell’anoressia è che quando si è nel pieno della malattia non ci si rende conto che questo nostro “sentirsi speciali” – l’unica cosa di cui ci si sente orgogliose, l’unica cosa che sembra essere in grado di dare un senso alla nostra vita – non è in realtà niente di così speciale. È semplicemente uno dei sintomi di una malattia.

Questo “sentirsi speciali” costituisce uno dei maggiori ostacoli all’intraprendere un percorso di ricovero. Perché pur riuscendo successivamente a razionalizzare l’anoressia come una malattia, permane sempre la sensazione che questa fosse l’unica cosa in grado di renderci speciali. In fin dei conti, web e riviste pullulano di diete che la maggior parte delle persone non riesce a seguire. E invece noi siamo brave a farlo, e questo ci illude di essere in qualche modo speciali.

In realtà, però, quello che ci rende veramente speciali è la decisione d’intraprendere la strada del ricovero. L’anoressia ci impedisce di vivere a pieno, e combatterla significa darci una possibilità di relazionarci davvero con il resto del mondo e di raggiungere un equilibrio più stabile e sano. In fin dei conti, ci sono solo 2 possibilità: combattere contro l’anoressia, o morire per lo più per quelle che sono le complicanze fisiche dell’anoressia. Certo, l’illusione di essere speciali indotta dall’anoressia è molto potente e permane a lungo. Se non si restringe l’alimentazione, che resta? Ci si sente come se non valessimo più niente. E così, anche se l’anoressia alla fin fine devasta la nostra vita, si esita a fare un cambiamento perché si ha paura che si torni ad essere insignificanti, prive dell’unica cosa che pensavamo ci rendesse speciali.

Ma, ragazze, noi non siamo speciali perché abbiamo una malattia. Siamo speciali nel momento in cui decidiamo di opporci a quella malattia e al suo pattern erroneo di pensieri. Siamo speciali quando decidiamo di affrontare la nostra vita di petto, con tutte le sue difficoltà, le sue sfide… pur essendo “semplicemente” persone “normali”.


P.S.= Ringrazio di cuore tutte le meravigliose ragazze che mi hanno chiesto come sta andando la mia ricerca del nuovo appartamento... Le acque si sono notevolmente smosse in questi ultimi giorni, ma non vorrei cantare vittoria troppo presto... vi terrò informate al riguardo, ovviamente, grazie infinite per la vostra gentilezza, siete meravigliose!...

venerdì 12 agosto 2011

Il mito della motivazione

Il titolo di questo post è anche il titolo che è stato dato alla Conferenza Internazionale sui Disordini Alimentari 2010, tenuta dal clinico britannico Glenn Waller. Ho letto diversi articoli a proposito di questa conferenza, nonché visto alcuni video in cui parlava il Dottor Waller, e devo dire che, sebbene non sempre concordi col suo punto di vista, sicuramente fornisce degli input molto stimolanti.

Nella sua dissertazione, il Dottor Waller tratta anche della difficoltà di trovare la motivazione al ricovero nelle donne che stanno vivendo un DCA. È un discorso spinoso ma molto importante in questo campo, perché trovare e soprattutto mantenere nel tempo la motivazione a percorrere la strada del ricovero è un problema davvero comune con cui credo chiunque combatta contro l’anoressia si sia trovata almeno una volta a dover far fronte. È strettamente correlato alla natura intrinseca dei DCA: l’anoressia è un problema ma, paradossalmente, è anche una soluzione. È una malattia, ma è anche una cura. Arreca tanti svantaggi, ma porta anche dei vantaggi. Questa credo sia la principale ragione per cui i DCA sono così incredibilmente difficili da trattare.

Quando ho cominciato a percorrere la spirale discendente dell’anoressia, non vivevo la cosa come un problema. Anzi, mi sentivo benissimo: forte, soddisfatta, in controllo, sicura di me stessa, migliore del solito, in una parola: onnipotente. Quale mai avrebbe potuto essere, perciò, il problema? Perché mai avrei dovuto intraprendere la strada del ricovero? Come poteva l’anoressia essere una malattia? Semplice: quando non si mangia a sufficienza la salute, fisica e mentale, comincia poco a poco a risentirne. In ultima battuta, sono le limitazioni funzionali e mentali che l’anoressia a poco a poco c’impone che possono essere utilizzate in psicoterapia dai medici per aiutarci a cambiare il nostro atteggiamento.

Il problema è che la motivazione è spesso, per citare le parole del Dottor Waller, un “manifest statement”: è quel che vogliamo fare, piuttosto che quello che avremo effettivamente intenzione di fare (o siamo capaci di fare). Lui compara la dichiarazione dell’orientamento verso la strada del ricovero alle campagne politiche di promesse – non vogliono dir nulla di concreto, e restano solo parole fintanto che non vengono messe in atto. Molto spesso chi ha un DCA si comporta come un politico: alle parole non seguono i fatti.

La risposta del Dottor Waller a questo è una sorta di “aprire gli occhi”. Lui dice agli psicoterapeuti di cercare di smettere di essere parte del problema nella scarsa motivazione al ricovero puntando troppa enfasi sulle dichiarazioni d’intraprendere la strada del ricovero. Facendo così, lo psicoterapeuta ascrive importanza all’anoressia, non alla paziente. “L’anoressia aspetta soltanto che qualcuno gli dia importanza, per sopravvivere” dice il dottore, “e la motivazione d’intraprendere una psicoterapia/percorrere la strada del ricovero non eguaglia l’effettiva motivazione al cambiamento”.

Il fattore che limita maggiormente il cambiamento è l’ansia dell’ignoto. Il non lasciar la strada vecchia per la nuova, perché al DCA in fondo siamo abituate, fa male ma lo sappiamo gestire, è prevedibile, mentre una vita senza anoressia non riusciamo neppure ad immaginarla, e ci spaventa. Inoltre, soprattutto all’inizio, è difficile riconoscere di avere un problema, e questo limita ulteriormente la motivazione al cambiamento ed al ricovero.

Statistiche alla mano, è impressionante vedere quante persone iniziano un percorso di ricovero e poi abbandonano la psicoterapia. Il Dottor Waller non spiega esattamente come mai questo accada, ma io credo sia perchè il supporto ricevuto non è tale e quale alle aspettative, o perchè la troppa fretta di vedere i risultati acceca la consapevolezza che il ricovero dall’anoressia è un processo estremamente lento e fatto di tanti piccolissimi passi.

Penso che trovare e mantenere la motivazione sia un passo fondamentale del ricovero dall’anoressia. Il Dottor Waller dice che il lavoro sulla motivazione dev’essere incessante per tutta la durata della psicoterapia, e che devono essere a poco a poco acquisite strategie che consentano di mantenere autonomamente la motivazione, imparando a limitare i pensieri che ci ricatapultano dritte dritte dentro la mentalità dell’anoressia. Inoltre, aggiungerei che la motivazione è un qualcosa che, col tempo, può vacillare e addirittura scomparire del tutto, per questo non può essere trattata superficialmente e poi messa via, ma bisogna lavorarci su continuamente.

Certo, poi ci sono anche cose che il Dottor Waller ha detto e su cui io non mi trovo d’accordo, per esempio la sua convinzione che le pazienti che non decidono di fare un cambiamento, scelgono di rimanere malate. Questo può essere anche vero nella maggior parte dei casi, ma non si può fare di tutta l’erba un fascio. Talvolta può accadere che la paziente non scelga di per sé di rimanere malata, ma semplicemente non trova intorno a sé un ambiente che le fornisce un adeguato supporto al cambiamento.

A parte questo, comunque, penso che il Dottor Waller, con le sue parole, fornisca degli input molto importanti, sia a chi sta combattendo contro un DCA, sia aglio psicoterapeuti, in modo che entrambe le figure possano muoversi sinergicamente mantenendo la motivazione sulla strada del ricovero.
 
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