Come gli alchimisti trasformavano il ferro in oro… voi potete trasformare l’oscurità in luce. Siete tutte benvenute.

sabato 28 febbraio 2009

A voi la parola / 5

L’appuntamento con “A voi la parola” è arrivato… E le parole di oggi sono quelle di Vale.
Un’altra meravigliosa ragazza che ha attraversato l’anoressia e che adesso sta combattendo e che perciò ha deciso di condividere con me e con tutte voi una “catena di immagini” – come lei stessa le definisce – relative soprattutto al periodo in cui l’anoressia minacciava di avere le meglio si di lei illudendola con le sue bugie, lusinghe e false promesse…

Da sempre mi dicono tutti che sono magra. Da piccola ero davvero magra. C’era un periodo che mangiavo tre cose al giorno. Avevo un’ossessione in testa.
Una volta indossavo un top azzurro a fiorellini e dei jeans. Avevo la pancia grossa e la coprivo con la mano per mascherarla. Erano i primi giorni di scuola. Sono salita sulla bilancia marrone. Ho deciso che dovevo dimagrire e ho eliminato la merenda a metà pomeriggio.

Una volta ero seduta sul letto. Di lato c’era l’armadio a specchi e di fronte un tavolino pieghevole con un piatto di pastina. In un’ora avevo mangiato poche stelline di pasta perché avevo la fobia di soffocarmi inghiottendo. Ad un certo punto mi giro di lato e mi specchio e penso che se continua così non riuscirò più a mangiare. Vado da mia mamma e dico che ho mangiato abbastanza. E’ abbastanza quello che ho mangiato, giusto? Non è troppo poco.

Una volta avevo dei jeans e una maglia bianca e blu con le maniche a ¾. Ritornavo a casa da scuola a piedi. Sono salita sulla bilancia marrone e l’ago arrivava quasi a 40. Senza vestiti 39. Ho sorriso. Poi ho pensato che dovevo dimagrire ancora per mantenere agevolmente il mio obiettivo. Così anche se fossi ingrassata, non avrei intaccato i 40.
Una volta mi sono pesata sulla bilancia marrone ed ero 42. Per tutta la giornata ho mangiato di tutto. Poi con una merendina in mano mi sono domandata perché mangiavo se ero 42? E poi mi è sovvenuto. Era domenica ed ormai avrei aspettato lunedì per le tre cose. Ogni cosa che facevo la dovevo giustificare alla mia mente, che mi controllava e non era la mia mente ma un’entità pensante severa che aveva ideato la teoria delle tre cose e per sgarrare dovevi fare la giustificazione, come a scuola.

Una volta avevo il pigiama e ho spezzettato minuziosamente degli involtini di carne crudi buttandoli nello scarico del lavandino ed ho sporcato un piatto ed una teglia da forno.

Una volta ho messo sotto l’acqua calda cinque pennette perché non sapevo cucinare e poi le ho condite con un pesto pronto e con tutto questo ho sporcato il piatto. Non sapevo cucinare ma dovevo avere un modo per fare finta di aver mangiato, perché altrimenti sarei stata costretta a mangiare una quarta cosa e poi dovevo scontare. Non sapevo cucinare ma ho scoperto l’acqua calda.

Una volta ho compilato un elenco di 26 cose da scontare ed ho fatto il calcolo dei giorni che avrei impiegato.

Vorrei sradicare la teoria delle tre cose dalla testa. E’ un’ossessione ossessionante ossessiva. Vorrei dimenticarla, anzi non averla mai avuta. Adesso quando mangio è un’infinita domenica prima del lunedì.


Trovo che le parole di Vale riescano a centrare bene il bersaglio: la descrizione minuziosa di quelle che sono le metodiche ossessive, le ritualità dell’anoressia, tanto personali nello specifico quanto comuni a tutte come meccanismo sottostante. Poi il senso d’insoddisfazione, l’idea che ci si possa spingere sempre più oltre senza tener conto del fatto che si è già varcato il confine da un pezzo… E soprattutto, la lenta presa di consapevolezza, ben evidente nel paragrafo finale, che la vita con l’anoressia non è vita, ma solo un simulacro di vita… che si riduce però a nient’altro che a una perenne attesa di un domani migliore che non verrà mai perché troppe sono le presunte pene da scontare.

Vale, ti ringrazio tanto per queste parole. So quant’è duro capire che tutto quello che l’anoressia sembra darti è in realtà tutto quello che ti toglie. So quant’è duro ammettere che tutto quello che sembra di avere non è altro che un’illusione. So quant’è duro cominciare a lottare. Ma tu l’hai fatto. Ci sei riuscita. Non smettere mai. Ti sono vicina.

P.S.= Il prossimo appuntamento con "A voi la parola" va al 27 Marzo... ^__^

mercoledì 25 febbraio 2009

In viaggio sulla strada del ricovero

L’anoressia sembra dare tanto, ma poi si riprende indietro tutto e non restituisce niente.

Tutto quello che resta, sono giorni fatti d’ossessione e di vuoto. Corpo e mente devastati. Strade chiuse. Pensieri distorti. Felicità impossibile. Una vita fatta soltanto da un insieme di regole che noi stesse ci siamo auto-imposte e nelle quali abbiamo finito per restare intrappolate. Nient’altro spazio in testa se non quello per l’ossessione.

Ma la vita è molto, molto più che una vuota ossessione. Possiamo perciò darci una seconda possibilità. Possiamo aprire gli occhi. Possiamo iniziare a percorrere la strada della luce. Possiamo iniziare a percorrere la strada del ricovero e scoprire che è possibile vivere. Vivere non una vita dominata dall’anoressia, ma una vita in cui siamo noi a tenere sotto controllo l’anoressia. Un vita in cui possiamo quotidianamente combattere.

Il ricovero è un lungo processo. Un percorso che dura una vita. Un processo che non è facile iniziare. E si sa che poi non conta la distanza, ma tutto sta nel riuscire a fare il primo passo. Cercate di metterci tutte voi stesse per farlo. Anche se avete un sacco di dubbi e vi sentite incerte, perse, e avete paura… fate il primo passo e poi continuate a camminare. Non fermatevi. Continuate ad andare avanti.
Potrete sentirvi fragili… ma non siete mai così forti come quando combattete contro l’anoressia. E parlo della forza quella vera, non quella illusoria ed effimera che l’anoressia fa provare.

Ogni volta che combatterete i pensieri derivanti dall’anoressia, farete un passo avanti sulla strada del ricovero.

Non riavrete le cose che l’anoressia vi ha rubato… ma imparerete, a poco a poco, a costruirvene delle nuove che possano comunque farvi stare meglio. E vi accorgerete che l’anoressia non è l’unico modo per vivere… ma che ce n’è un altro che è molto più giusto ed importante. Magari non sarete felici, anche perché credo che raggiungere la felicità nel senso proprio del termine sia più che altro un qualcosa di utopico, ma sicuramente sarete serene.

E, allora. vi accorgerete che il mondo è spesso crudele, cattivo e schifoso… ma che, qualche volta, la vita può essere anche inaspettatamente meravigliosa. E, alla fine, vi accorgerete che combattere l’anoressia vale la pena. Che vivere vale la pena.

domenica 22 febbraio 2009

Combattere insieme

Questo post è per Francesca. Sì, la Francesca del video. Che ho avuto modo d’incontrare oggi, in occasione di una mia gara di karate svoltasi nella cittadina dove abitano i suoi nonni.

Cara Francesca, oggi ha fatto brillare il sole nel mio cuore. Credo che sia una di quelle situazioni in cui le parole non bastano per esprimere quello che sento dentro. Perché ci sono i sentimenti, un qualcosa che sta nel cuore e non nella testa.
Sentimenti che si confondono con i tuoi. Tu che non mi guardi come gli altri. Io che sento di non avere niente da nascondere rispetto a quella che sono veramente. Insieme in un momento in cui ho sentito di poter essere la vera Me Stessa. Uno di quei momenti così rari da tirare fuori… che escono soltanto nel momenti in cui qualcuno tira fuori con un abbraccio quello che nascondi.

Io credo che questo sia vivere veramente. Una chiacchiera sui gradini di una palestra. Una persona che mi fa sentire a casa. Un sorriso autentico. Un’ora soltanto, ma un’ora autentica. Un’ora bella.

Tanto tempo. Troppo. Era troppo tempo che il cuore non mi batteva così forte.
Hai sorriso. E il tuo sorriso è bellissimo. Ho sentito che era un sorriso vero. Siamo state semplicemente noi stesse. Si può essere noi stesse.

Francesca, sei bellissima. Hai una bellezza interiore di cui forse neanche ti accorgi, ma che può veramente portarti tanto lontano. Sei meravigliosa, sì, magari non come avresti voluto esserlo, e forse più di quando avresti voluto esserlo.

Si può arrivare a percepire la vita, qualche volta, anche se guizza come un pesce. Noi crediamo di rincorrerla, crediamo di seminarla… poi ci giriamo distrattamente e zac!, eccola qua, un momento, poi sparisce. Eppure resta per un secondo la sua sensazione sulla pelle. Eppure resta per sempre.

Non so neanche se quello che sto scrivendo abbia senso. Lascio che le parole fluiscano senza che io le controlli, una volta tanto, facendo a meno di quel controllo che è stato pilastro di tutta la mia anoressia.

La cosa più bella è che sei reale, che esisti. Che non ti ho immaginata, non mi sono persa ad inseguire i miei pensieri dicendomi “Quanto sarebbe bello incontrare una persona capace di vedere la vera Me Stessa”.

Hai uno sguardo dolce, uno sguardo che ha un mondo da abbracciare, e allo stesso tempo combattivo, uno sguardo che non si vuol lasciar sfuggire altre occasioni.

C’è qualcosa che abbiamo in comune e che ci porteremo dentro sempre, che talvolta grida e spinge per uscire, ma che poi deve fare i conti con la nostra voglia di combattere e con tutto quello che cozza con la sua voglia di riemergere. E tu sei una di quelle cose.
Amica di etichette troppo strette, di taglie troppo strette, di corpi troppo stretti per contenere dolori e vite così grandi… Amica di sorrisi impacciati, di cremine idratanti, di onnipotenza e di battaglia… puoi cambiare la vita a un sacco di persone. Anche a te stessa. Ci vuole tempo, certo, ce ne vuole tanto, a volte sembra perfino troppo. Me lo ripeto anche io, adesso, che mi rivedo attraverso la tua forza e la tua fragilità… il nostro bisogno di leggerezza, che non può essere fisica perché niente è più pesante di un corpo che non pesa.

Quanta fatica combattere ogni giorno. Quanti sorrisi ci sarebbero tra le labbra e quante lacrime nascoste dietro gli occhi. Se solo lasciassimo loro un po’ di spazio. Se solo fossimo capaci di darcene di più. In tutti i sensi.

Francesca, grazie mille. Davvero. Non avrei mai desiderato niente di più meraviglioso di un sorriso sincero. Possiamo tenerci per mano e camminare insieme, anche se siamo lontane, un passo dopo l’altro, anche fermandoci per urlare che, accidenti, siamo stanche.

Stasera sorrido. Non resterò sveglia fino ad oltre la mezzanotte cercando di ridurre il più possibile le ore di sonno per non essere perseguitata dai miei incubi. Stanotte non ce ne saranno. Forse perchè un sogno oggi l’ho già vissuto.
Grazie mille, guerriera della luce. GRAZIE.

Ti voglio veramente tanto bene… Tanto tanto…

giovedì 19 febbraio 2009

Ricordando l'obiettivo...

Questo blog ha uno scopo e un proposito. Non solo, ha un messaggio. Ha un obiettivo. È qui soprattutto per dare una mano alle ragazze con disturbi alimentari. Il mio obiettivo è quello di far capire che è possibile convivere con l’anoressia senza farsene sopraffare, perché è ciò che sto facendo. Perciò voglio che le persone che leggono qui possano dire: “Ehi, se ce la fa lei, allora posso benissimo farcela anch’io!”.

Tutto qui.

Fin dal mio primo ricovero, fin dai miei primi colloqui con psichiatre e psicologhe, ho sempre avuto la sensazione di trovarmi al cospetto di persone estremamente competenti… da un punto di vista teorico. E si sa che il gap tra teoria e pratica è sempre enorme. Sapevo che loro mi comprendevano, ma contemporaneamente mi rendevo pure conto che non potevano capirmi. Semplicemente perché non l’avevano vissuto, solo studiato sui libri. Ed invece avrei tanto voluto una persona che sapesse veramente cosa fosse il mio inferno-paradiso. Perciò, poiché non ho avuto quello che desideravo, sto cercando di trasformarmi in questo per qualcun’altra.

Quando facevo le scuole medie e vedevo ragazze anoressiche in TV o leggevo articoli di giornale in proposito, pensavo che non avrei mai avuto niente a che fare con questo mondo. Ma improvvisamente, prima che me ne rendessi conto, c’ero già dentro. La realtà era diventata TV, e la finzione si era tramutata in realtà.

Quando sono arrivata a pesare XX Kg, sono stata ricoverata per la prima volta. E, l’ho già scritto, non è stato che il primo dei miei ricoveri. Ho fatto passi avanti e poi sono tornata indietro, ho visto la luce e sono sprofondata ancora nelle tenebre, sono stata peggio prima di stare meglio e poi ancora peggio. Talvolta stavo peggio solo perché questo mi faceva sentire meglio.

Per tanto tempo non c’era niente che scattasse dentro la mia testa, per questo finivo inevitabilmente per ricadere negli stessi errori. Non volevo guarire sul serio, anche se era quello che dicevo. La restrizione e l’anoressia erano diventate tali costanti nella mia vita che avevo finito per considerarle normali e, a loro modo, confortanti. Rassicuranti. Restringere, tenere sotto controllo il cibo, mi faceva sentire in grado di tenere sotto controllo molti altri aspetti della mia vita. E, soprattutto, mi faceva sentire speciale. Anche se sapevo che era distorto, non volevo smettere perché non c’era mai stato nient’altro nella mia vita in grado di farmi sentire così speciale. Perciò mi arrabbiavo ogni qualvolta la dietista mi diceva che sarei dovuta arrivare a pesare almeno XX Kg, era un qualcosa di estremamente ansiogeno per me, perché continuavo a pensare a quale sarebbe stato il mio aspetto se avessi raggiunto quel peso, pur sapendo, in qualche recondito angolo della mia mente che mi ostinavo a mettere a tacere, che una donna avrebbe dovuto pesare pure di più di quanto pronosticava per me la dietista… e, ovviamente, anche avere molte più curve. Sembrare una donna. Non una ragazzina.

Anche quando ho cominciato a migliorare e a mangiare abbastanza da poter essere considerata “okay”, ho continuato sempre e comunque a combattere con gli aspetti mentali dell’anoressia: le fondamenta dell’ice-berg. Quello che mi ha sempre dato più noia è che nel momento in cui riacquisti un peso “normale” tutti pensano che stai di nuovo bene e che è finito tutto e che non hai più niente. Non è assolutamente vero, ovviamente, ma gli altri non lo capiscono. È una delle cose più lontane che ci siano dalla verità. L’anoressia è tutta una questione di testa, e si può essere anoressiche a qualsiasi peso. Ma è difficile spiegare a chi non l’ha vissuto sulla propria pelle.

Io sono sempre stata una di quelle persone capaci di fare buon viso a cattivo gioco – di sorridere quando avrei voluto piangere, di parlare sottovoce quando avrei voluto gridare, di dire che andava tutto bene quando stavo da cani – e se questo da una parte può avermi aiutata a fare in modo che nessuno sapesse esplicitamente della mia anoressia, dall’altra sicuramente è stato un fattore di mantenimento del sintomo. Un po’ come se, poiché nessuno conosceva i miei problemi, allora i miei problemi non esistevano, e potevo far finta di essere “normale” e di vivere una vita “normale” almeno per un po’. Ma era un po’ triste. Perché dentro di me mi sentivo continuamente andare in pezzi. Volevo essere felice con gli altri, ma non potevo essere me stessa. Quindi solo la mia maschera era felice. Ma io? Dov’ero finita io?

Mi sentivo come confinata in un angolo a guardare una ragazza che faceva finta di essere me che faceva finta che fosse tutto a posto, di essere felice e di divertirsi.
Mi ero costruita il mio mondo perfetto, avevo fatto in modo di non destare sospetti in nessuno, ed io credevo di essere appagata. Però, ogni tanto, mi sembrava di sentire una voce. “Va davvero tutto bene, Veggie?”. Era come se dentro di me ci fosse stato un blocco di ghiaccio che non si scioglieva mai. Ero lontana anni-luce da tutti, anche quando ero circondata dalla gente. Anche se non volevo ammetterlo, questo mi metteva a disagio, perché mi faceva pensare di essere incapace di provare ogni qualsiasi sentimento. Qualsiasi cosa succedesse, avevo come l’impressione che niente potesse realmente toccarmi. A parte l’anoressia, l’inebriante senso di potere derivato dalla restrizione, tutto mi sembrava indifferente. Ma dentro di me ero tormentata da un grande dubbio. “La realtà è che io non esisto più? Anche se sono tecnicamente viva, la vera me stessa è già morta da un pezzo…”. Se l’era portata via l’anoressia. E io ero rimasta sola. Incastrata da qualche parte nella mia mente, e sola.

Anche se cercavo di mentire a me stessa, sapevo che non mi piaceva affatto l’idea di poter vivere tutta la mia vita in questo modo. Del resto, a chi piacerebbe?

Sapevo, del resto, che se non fossi cambiata io, se non avessi deciso di fare qualcosa, la situazione non sarebbe cambiata. Sapevo che se non avessi deciso di cominciare ad arrampicarmi, dentro quel buco ci sarei rimasta. Che se non avessi cercato di salvare me stessa, nessuno mi avrebbe salvata. E che se non fossi riuscita a salvare me stessa, non sarei stata mai in grado di salvare nessuno.

Soltanto durante l’ultimo periodo del mio 2° anno di università sono riuscita a capirlo fino in fondo. E a reagire. Dopo anni ed anni in cui ero rimasta sul fondo. Dopo anni ed anni di ricoveri. Dopo anni e anni di “equilibri alimentari” prescritti dalla dietista e mai seguiti fino in fondo. Dopo anni ed anni di bugie. Dopo anni ed anni di scorno con la mia famiglia. Dopo anni ed anni di psicoterapia a singhiozzo, assolutamente inconcludente. Dopo anni e anni di una vita che non era vita. Dopo anni ed anni, ho cominciato ad insegnare a me stessa come spezzare il circolo vizioso che stavo ostinandomi a percorrere.

Capendo finalmente che.

Non. Ho. Bisogno. Dell’. Anoressia. Per. Essere. Speciale.

Perché, è vero, non sono speciale. Sono normale. E va bene così. Perché non c’è niente di più speciale del riuscire ad affrontare la vita giorno dopo giorno essendo una persona normale.
E questo vale per tutte voi.

E questo può cominciare con tutte voi.

Ma, soprattutto, questo può cominciare.

lunedì 16 febbraio 2009

Quando il ricovero si fa duro

Talvolta il percorso di ricovero si fa veramente duro. Ci sono giorni che sembrano essere particolarmente difficili… e magari sono la maggior parte.

Ma non volete dimenticare che la vita vi sta chiamando… la vita vera, quella libera dall’ossessione dell’anoressia.

Il ricovero è difficile. È incredibilmente difficile. È la cosa più difficile che dovremmo mai affrontare. Ma noi siamo più forti dell’anoressia. Noi siamo abbastanza forti da continuare a percorrere la strada della luce. Dobbiamo solo continuare ad andare avanti.

In realtà, nel momento in cui ci si rende conto di avere un DCA, sono soltanto due le scelte che ci si prospettano:

1 – Si può continuare a restringere, oppure ad abbuffarci e a vomitare, finché non si provocano al nostro corpo danni tanto seri da morirne.

2 – Oppure si può scegliere la vita… e iniziare a combattere contro l’anoressia, sebbene questa sia la cosa che continua ad attirarci maggiormente.

L’anoressia dà sicuramente una felicità, una soddisfazione enorme… ma è illusoria. E, soprattutto, è effimera. Non si possono provare questi sentimenti appaganti per tutta la vita con un DCA. È semplicemente impossibile. La “luna di miele” dura solo per un po’… poi l’anoressia mostra l’altra sua faccia. Quella vera.

E allora non si può più cantare perché la voce si affievolisce a poco a poco. Perciò, prima che svanisca del tutto, cerchiamo d’iniziare a parlare. Si tratta di cercare un procedere a piccoli passi, giorno dopo giorno. Ed è così difficile… ma niente che vale veramente la pena di essere vissuto arriva facilmente.

Il ricovero è una lunga, lunga strada. Ci vuole tempo per rialzarsi, per lasciarsi alle spalle tutto il dolore e la sofferenza. Ci vuole tempo per non mollare.

Ma quando sentite che state per cedere, cercate di ricordare che voi siete molto più dell’anoressia. Siete un qualcosa d’infinitamente migliore. Perciò, continuate ad andare avanti. Di certo c’è da combattere per mantenersi in carreggiata… ma delle due scelte, solo una ha un futuro.

Il ricovero può talvolta far paura perché distacca da quelle che, per quanto distorte, erano quelle che consideravamo le nostre sicurezze, e che ci sembrava di poter controllare. Ma era solo un illusione. Soltanto il ricovero è sinonimo di vera forza e controllo. È l’unica cosa che può renderci libere, alla fine… e farci vivere quella che è la vita vera, e non il simulacro di vita che ci creiamo con l’anoressia.

La vita vera… è quella che tutte voi meritate, ragazze. La vostra vita vale la pena. Il ricovero vale la pena. Anche quando è difficile. Soprattutto quando è difficile. Continuiamo a lottare…

venerdì 13 febbraio 2009

Side by side

Mi piace tantissimo questa immagine, perchè penso descriva perfettamente il percorso che tutte noi in questo momento stiamo facendo...

Una accanto all'altra, aiutandoci a vicenda, mano nella mano, lontane eppure vicine, unite nella nostra comune lotta, continuiamo a camminare tutte insieme senza lasciare mai la presa.


















Ricordatevi sempre che è facile tagliare uno per uno mille fili, ma è praticamente impossibile tagliarli se essi sono intrecciati tra di loro, in un'unica corda...

martedì 10 febbraio 2009

Non

Quella che voglio proporvi oggi è una poesia che ho scritto durante il mio secondo ricovero.

Nonostante i buoni propositi, non ero ancora veramente motivata ad uscire dall’anoressia, che continuavo perciò a considerare ancora come una sorta di “porto sicuro”, un qualcosa che mi dava forza, mi dava la sensazione di riuscire ad esercitare un certo controllo sulla mia vita.

Fondamentalmente, sebbene mettessi pure un certo impegno nel ricovero, nel mio profondo continuavo a pensare che l’anoressia fosse la risposta, e perciò mi sembrava che tutti quelli che mi stavano intorno e cercavano di farmi cambiare idea non capissero niente di quello che provavo.

In realtà, mi sentivo sola. Sola con l’anoressia. E non credevo veramente che qualcosa, che qualcuno (io stessa) avrebbe potuto salvarmi da quella che reputavo come l’unica via percorribile.

Penso perciò che questa breve poesia fosse una sorta di grido solitario, un tentativo di farmi sentire rimanendo in silenzio; una via di mezzo tra la consapevolezza del percorso di ricovero che mi attendeva e la serietà con cui sarebbe stato corretto affrontarlo, e la tentazione di rimanere schermata nella mia solitudine anoressica che mi dava sicurezza e mi faceva sentire speciale.

Ma adesso lo so: nessuna è veramente sola in questa lotta… e sentirsi speciali è la peggiore delle gabbie che una possa costruirsi…

NON

Vedi quello ch’io vedo?
No, non penso che tu possa.
Vedo soltanto il nulla
e a quel nulla tento
di dare significato.
Ma per quanto mi sforzi
non c’è che il nulla e quel nulla
non ha significato.
Sono altrove, ormai, e
intorno a me c’è gente e
c’è il cielo. Vedo la gente e
l’azzurro del cielo
ma ancora nulla è cambiato.
Ogni cosa rimane la stessa.
E sono ancora sola.


P.S.= Vi ricordo che il prossimo appuntamento con "A voi la parola" è fissato per il 28 Febbraio... Qualora vogliate scrivermi, mi trovate sempre qui: veggie.any@alice.it

sabato 7 febbraio 2009

Le tre "H"

Il problema: Come rapportarsi con persone che parlano costantemente di cibo/peso/dieta/forme corporee, considerando che questi anche per noi rappresentano dei grossi problemi.

Questo può suscitare:

- Ansia
- Tristezza
- Spirito di emulazione
- Richiamo ai disturbi alimentari
- Rabbia
- Senso di ricaduta
- Impotenza
- Dolore
- Panico
- Etc…
- Tutte le cose sopraelencate

Tanto più che, molto spesso, la persona in questione è una persona a cui tenete ma che non sa del vostro disturbo alimentare, del quale non volete comunque parlare. E allora può diventare veramente complesso relazionarsi a questa persona.

Possibile soluzione: Personalmente, tendo a suggerire la strategia delle 3 “H”.

Le 3 “H”:

- Humor
- Honesty
- Heart to heart

Adesso vi spiego.

Supponiamo che la persona in questione vi dica: “Oddio, non ci posso credere, ho preso 3 chili!”.
Voi potreste ridere e ribattere: “Oh, bè, probabilmente hai solo bisogno di un gabinetto!”, e risollevare la situazione con un po’ di humor, dopodiché dire alla persona di stare tranquilla perché non è decisamente niente d’irreparabile, in maniera tale da non metterla di cattivo umore ma, contemporaneamente, di non mettervici voi.

Oppure, supponiamo che la persona in questione vi dica: “Accidenti, quanto sono grassa!”.
Voi potreste rispondere dicendole: “Ma figurati! Sei meravigliosa per quello che sei. Ed è questa la ragione per cui ti voglio bene”. Questa è honesty, onestà. E le persone talvolta temono la sincerità perché li mette a fronte di cose che non vogliono veramente sentire perché gli fanno paura, specie se sono belle, perché temono di poterle perdere. E poi, e qui parlo anche per esperienza personale, le persone che si fanno problemi col loro peso, molto spesso non sono affatto abituate a sentirsi dire cose del genere in piena serietà e sincerità. Ma se avete a cuore quella persona, dovete combattere i suoi pensieri negativi con qualcosa di REALE.

Un altro esempio. Supponiamo che la persona in questione vi dica: “Ho bisogno di fare una dieta drastica!!”.
La vostra risposta potrebbe essere: “No, non ne hai bisogno. Una dieta non ti farà sentire meglio, se non ti piaci. Perché il dimagrimento non è la risposta ai problemi. È solo un altro problema”. Nient’altro che pura honesty. La gente non è abituata a sentirsi sbattere in faccia con tanta onestà la realtà da qualcun altro. Ma talvolta è la cosa migliore da fare. Talvolta la persona con cui state parlando – anche se lo negherebbe – ha bisogno di sentirsi dire una cosa del genere. Un commento di questo tipo può portare la conversazione in un’altra direzione – in una buona direzione, in una giusta direzione, in una direzione utile.

E, per quanto riguarda l’ultima H.

Supponiamo che la persona in questione vi dica: “Sto provando a dimagrire. Oggi ho mangiato solo un’insalata, una mela, ed ho bevuto un lattina di Coca Cola light…” continuando poi a fornirvi un dettagliato resoconto delle sue abitudini alimentari dell’ultimo periodo. Dato che la cosa finisce per diventare inevitabilmente ansiogena, fatevi un favore parlandole heart to heart, cuore a cuore, e dicendole: “Non voglio dire che quello di cui mi stai parlando non sia importante, e ti sto ascoltando. E non voglio che tu pensi che io sia una persona con cui non si può parlare liberamente. Ma in questo momento per me è particolarmente difficile parlare di cibo, peso e diete. Ciò non significa che non voglio starti a sentire e che tu non sei importante per me, ma semplicemente che io ho un problema al riguardo sul quale devo ancora lavorare. Spero tu possa capirmi”.

Dicendo questo, non vi state giustificando. State dicendo la verità. Vi state preoccupando innanzitutto per voi stesse, ed è giusto che lo facciate. Ciò non significa che non siete delle buone amiche.

Certo, il mio è solo un esempio, poi potrete essere più o meno aperte a seconda della persona con cui state parlando e del rapporto che vi lega a lei. È chiaro che parlarne sarà più facile se la persona è al corrente del vostro disturbo alimentare, ma anche se non lo fosse, ci sono milioni di modi per comunicare in maniera più o meno soft quello che ho scritto qui sopra. E se poi la persona in questione dovesse iniziare a farvi domande alle quali non vi sentite di rispondere, basta che le diciate semplicemente: “Spero che non la consideri un’offesa o un segni di sfiducia, ma non me la sento di parlarne adesso. Però, se ce la farò, spero di poterne parlare con te in futuro”.

Tutte queste cose, lo so, sono difficili, ma quando le avrete fatte vedrete che vi sentirete meglio… e molto più equipaggiate di fronte a situazioni potenzialmente destabilizzanti.

Dopotutto, nella peggiore delle ipotesi, usare le 3 H è comunque meglio che rimanere in silenzio e con un falso sorriso incollato in faccia ad ascoltare cose che vi fanno stare male e vi spingono ad adottare di nuovo comportamenti disfunzionali… non è vero?!

Resterete sorprese di quanto la vostra voce, le vostre parole, possano fare una differenza. Resterete sorprese anche di quanto sia facile dire le cose una volta iniziato a farlo. Queste discussioni su peso/corpo/forme corporee/diete, capitano molto più spesso di quanto si desidererebbe, perciò sapere come destreggiarcisi è inevitabilmente un must.
Per stare meglio.
Tutte.

mercoledì 4 febbraio 2009

I'll stand by you

Questo post è per tutte le ragazze che hanno camminato a fianco a me durante i miei ricoveri, e che in un modo o nell’altro mi hanno accompagnata tenendomi per mano quando nessuna di noi era abbastanza forte per potersi sostenere da sola.
Per tutte coloro con cui sono rimasta in contatto, e anche per quelle che non sento più da tanto tempo.

Ragazze, non ha importanza se anche non ci vedremo mai più… quello che importa è che nel momento in cui siamo state vicine siamo riuscite a toccarci a vicenda.

Tesori miei, ci siamo conosciute in un momento che per tutte noi era sicuramente estremamente difficile e distorto. Ci stavamo facendo del male. Ci stavamo insultando. Ci stavamo distruggendo. Ci stavamo annientando. Eravamo piene di rabbia e di dolore.

Adesso stiamo combattendo tutte quante. Qualcuno – forse noi stesse, tutte insieme – ci ha fermate e ci ha mostrato i nostri errori e tutto quello che ancora ci attendeva se non fossimo riuscite a lottare contro questa spirale discendente ed autodistruttiva che è l’anoressia. Adesso possiamo andare avanti.

Se ripenso al momento in cui eravamo tutte insieme in clinica, se ripenso alla persona che ero in quel momento, alla mia scarsa volontà di uscirne veramente, provo tanta rabbia, furia, ira verso me stessa. Ma soprattutto, ripensare a quella ragazza – e ripensare a tutte voi – mi spezza il cuore.

Le persone reagiscono alle più dure circostanze che la vita gli può porre davanti sostanzialmente in 2 modi: con l’amore o con la paura. Come dico spesso “in love or in fear”. C’è stato un periodo in cui la nostra reazione è stata “in fear”, un periodo in cui la paura ha avuto la meglio su di noi. Ma adesso dobbiamo tenere bene a mente quello che tale parola significa:

False
Evidence
Appealing
Real

O, nella mia personale versione:

Fuck
Everything
And
Run

C’è stato un momento in cui dentro di noi stavamo piangendo. Un momento in cui stavamo morendo alla ricerca di un benessere così rasente la perfezione da essere pertanto inesistente.
Però… quando ero insieme a voi, io mi sentivo a casa. Perché voi eravate la mia famiglia. Io potevo capire il vostro dolore perché voi capivate il mio. Perciò potevamo comprenderci a vicenda e sentirci accolte.

C’è stato un momento in cui gridavamo ma nessuno pareva sentirci. Perciò avevamo provato a parlare con il nostro corpo, pensando che così forse qualcuno si sarebbe accorto di qualcosa. Le nostre lacrime silenziose, lacrime invisibili che solo gli angeli potevano portare via, echeggiavano dentro di noi anche se fuori non usciva niente. Avevamo perso di vista i nostri veri bisogni: questi erano diventati insignificanti, troppo sottili per poterli trovare. E noi eravamo diventate prigioniere della nostra volontà di ferro. Richiuse in una prigione senza sbarre, né mura, né odore: una prigione per la nostra mente.

Ma poi le cose sono cambiate. Poi abbiamo iniziato a percorrere la strada della luce. Non tutte insieme, ciascuna con i propri tempi… ma tutte con la stessa determinazione. Se adesso mi capita di piangere, è solo per nostalgia di quella che ero. Ma adesso quel momento è passato. Adesso è il momento di combattere. Spero che tutte voi stiate ancora combattendo insieme a me.

Vi voglio bene.

(Questo post è anche per tutte voi che adesso state combattendo e affrontando un percorso di ricovero, proprio come sto facendo io... Che la forza sia con voi... Sempre...)

domenica 1 febbraio 2009

La possibilità di fare una scelta

Buonasera a tutte!

Oggi voglio condividere con voi un’immagine positiva che spero possa darvi un’ulteriore spinta per continuare a proseguire sulla strada del ricovero, sulla strada della luce.

Vi penso sempre… spero che le mie vibrazioni positive possano raggiungervi in un modo o nell’altro…















“Hai sofferto abbastanza / ed hai combattuto con te stessa / adesso è il momento che tu vinca. / Prendi questa barca che sta andando alla deriva e dirigila verso casa / alza la tua voce piena di speranza. / Hai ancora una possibilità di fare una scelta. / Coglila, adesso”
 
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