Come gli alchimisti trasformavano il ferro in oro… voi potete trasformare l’oscurità in luce. Siete tutte benvenute.

venerdì 27 aprile 2012

Cose peggiori del riprendere peso

Il post di oggi è ispirato a un post che ho letto sul blog di una ragazza americana. La ragazza in questione, in lotta contro l’anoressia e con il costante timore di prendere troppo peso, ha stilato un lista delle cose che reputa comunque peggiori del riguadagnare chili.

Penso che sia un’idea molto propositiva ed utile: mettere a fuoco che, per quanto riprendere peso possa essere, a suo modo, certamente ansiogeno, ci sono molte cose che sono peggiori di qualche chilo in più. E sono cose che accadono se si resta qualche chilo in meno. Perché è vero: a volte quando si è nel pieno di un DCA si ha l’erronea sensazione che è l’essere “troppo grasse” che ci impedisce di fare tutto nella vita… eppure, in effetti – e lo dico per esperienza personale – anche l’essere troppo magra impedisce di fare tutto.

Credo sia davvero importante renderci conto di questo, e perciò quello che vi invito a fare oggi è stilare la vostra personale lista di ciò che c’è di peggio del dover riprendere peso.

Se vi va, lasciate la vostra lista nei commenti di questo post!

Comincio io, con la mia lista, e dunque…

50 cose peggiori del riprendere peso 

1) Non andare in pizzeria con gli amici
2) Non andare fuori con gli amici
 3) Non avere amici
4) Essere costantemente in ansia
5) Pianificare tutto quello ciò che c’è da fare nel corso della giornata
6) Pianificare cosa, dove e quanto mangiare
7) Andare nel panico se il piano non è rispettato
8) Realizzare che un piatto di spaghetti aveva più controllo sulla mia vita di quanto non ne avessi io stessa
9) Essere fissata con disgusto da qualcuno per l’eccessiva magrezza
10) Fregarsene di essere fissata con disgusto da qualcuno per l’eccessiva magrezza
11) Rompere le promesse con tutti, specialmente con me stessa
12) Dire bugie a tutti, specialmente a me stessa
13) Non andare al mare/in piscina per la vergogna di dovermi mettere in costume
14) La persona che mi piace che mi dice che non sono un granché perchè sono troppo magra
15) Non poter fare sport per l'eccessivo sottopeso
16) Osteoporosi
17) Infertilità
18) Controlli su controlli dalla dietista
19) Non riuscire a guardarmi allo specchio...
20) ...ma guardarmi in ogni superficie riflettente attraversata
21) Sentirmi in colpa
22) Sentirmi in colpa perchè mi sentivo in colpa
23) Inventare scuse
24) Odiarmi
25) Farmi del male
26) Far preoccupare gli altri per me
27) Essere in fondo preoccupata anch’io per me stessa
28) Vivere secondo regole arbitrarie imposte da me stessa
29) Litigare costantemente con me stessa
30) Non riuscire a badare a me stessa
31) Digestione a puttane
32) Metabolismo idem
33) Perdere la mia identità per l’anoressia
34) Abbassare le aspettative
35) Nascondere e negare
36) Deludere tutti, soprattutto me stessa
37) Miglioramento-ricaduta, miglioramento-ricaduta, miglioramento-ricaduta…
38) Dover rispondere sempre alle stesse domande…
39) … e dare sempre le stesse risposte
40) Basare l’autostima sulla capacità di restringere l’alimentazione
41) Andare a fare tirocinio in ospedale e sembrare più malata dei pazienti
42) Perdere la sanità mentale
43) Non sapere se mi sarei svegliata la mattina successiva
44) Non sapere se avrei voluto svegliarmi la mattina successiva
45) Perdere la libertà
46) Perdere l'autonomia
47) Perdere il controllo
48) Perdere tutto ciò che rende la vita degna d'essere vissuta
49) Perdere me stessa
50) Perdere la vita

Cara anoressia, alla faccia tua, io sono ancora qui che combatto affinchè tu non possa avere la meglio su di me. Perché, sì, la mia morte è un’arte… ma la mia vita è un capolavoro.

venerdì 20 aprile 2012

DCA maschili

Anche i ragazzi, gli uomini possono sviluppare un DCA. Ho appena scoperto che esiste anche un sito e un account di Twitter (anche io ho un account di Twitter, tra l'altro) che si occupano proprio di questa problematica. Informazioni di questo tipo si possono trovare anche QUI, un’ulteriore dimostrazione del fatto che anoressia e bulimia non sono un vissuto esclusivamente femminile.

Facendo qualche ricerca su Internet, ho scoperto che una delle prime descrizioni cliniche dell’anoressia è stata fatta in un ragazzo adolescente. Nel 1689, credeteci o meno. Perciò, l’idea spesso diffusa che i DCA siano un problema sostanzialmente femminile, non è del tutto vera.

Il problema nasce nel momento in cui, dopo che Richiard Morton descrisse per la prima volta l’anoressia nel 1688, altri medici suoi successori associarono la parola “anoressia” ad “isteria”. Il termine “isteria” deriva dalla parola greca utilizzata per indicare l’utero (ecco perché l’operazione di asportazione dell’utero si chiama “isterectomia”) che significa, automaticamente, che gli uomini, non avendo un utero, non possono essere “isterici” nel senso tecnico del termine che veniva già fatto in quel secolo. Ed ecco come il concetto di anoressia è stato distorto.

Anche in tempi più recenti, la società stessa ha continuato a concettualizzare i DCA in maniera tale da escludere la popolazione maschile, perché i disturbi alimentari vengono (erroneamente) visti dall’opinione comune come un qualcosa di legato all’aspetto fisico o a una dieta che poi viene esasperata. L’opinione generale è che gli uomini non siano sottoposti ad una tale pressione sociale, e che non abbiano canoni fissi di bellezza fisica a cui dover rispondere; pertanto, dato che l’uomo non ha una pressione, in merito alla sua immagine corporea, pesante come quella che ha la donna, non svilupperà un DCA.

Sbagliato. Che è uno dei motivi per i quali anche in passato ho scritto che la società e i canoni di bellezza hanno – secondo me – ben poco a che vedere con lo sviluppo di un DCA. Se sei un essere umano, a prescindere dal tuo sesso, allora puoi sviluppare un disordine alimentare.

Scrivo di questo non semplicemente perchè mi è capitato recentemente di leggere alcune cose riguardo allo sviluppo di DCA nei maschi, ma anche perchè ho letto che la IAEDP ha tenuto una conferenza circa 25 giorni fa (21-25 Marzo 2012), che si apriva con l’affermazione:

“Le nostre ultime ricerche mostrano che, tristemente, un uomo su 3 sarebbe disposto a ridurre il proprio lifespan (durata della vita) soltanto per incarnare l’immagine dell’uomo “ideale” per la società attuale”

Eh??...

Voglio dire, penso che ci siano un sacco di cose sbagliate in quest’affermazione. Prima di tutto, I disturbi alimentari esistono da molto più tempo rispetto alla concezione attuale di “aspetto fisico ideale”, perciò non può esserne questa la causa. In secondo luogo, avere un DCA non significa “essere disposti a ridurre la durata della propria vita”: sarebbe come dire che c’è qualcuno che desidera ammalarsi di tumore, per poter perdere peso grazie alla chemioterapia. Un disturbo alimentare non è una scelta consapevole di morte. Non è un qualcosa che ha prettamente a che fare con l’aspetto fisico o con la vanità. E’ una malattia mentale che può uccidere, non perché i messaggi sulla bellezza mandati dai mass-media orientano in una direzione tale per cui la persona non è più in grado di accettare la sua fisicità per quello che è, ma perché c’è di base una patologia ansiosa, un disturbo ossessivo-compulsivo, una mania di controllo, che dev’essere trattata in maniera adeguata.

Inoltre, non sarei affatto sicura della validità scientifica di un’ipotetica “sarebbe disposto a” nel valutare come viene percepita l’immagine corporea o il disturbo alimentare in una qualsiasi popolazione. Perché non è che ci siano persone che “sarebbero disposte a prendersi l’anoressia/la bulimia”. Sono malattie, lo sapevate?

Voglio precisare che non ho assistito alla conferenza succitata, quindi non ne conosco i contenuti, tranne che per quel poco che ho avuto modo di leggere sul web. Quindi quelle che scrivo sono semplicemente mie considerazioni basate su quel poco che ho letto a proposito dell’impostazione di questa conferenza basata sui DCA maschili.

Ritengo semplicemente che l’aspetto relative ai DCA maschili dovrebbe godere della giusta luce, e che la generale opinione diffusa sul fatto che anoressia e bulimia siano malattie prettamente femminili, non aiuta affatto quei pochi – ma pur presenti!! – maschi che invece ne sono affetti. Sì, penso che i DCA maschili dovrebbero godere di più attenzione, e non potremmo cominciare da quello che ho scritto?!

venerdì 13 aprile 2012

Cronicità e DCA non trattabili

Nel post precedente ho scritto che “non complianti” è una delle etichette che può essere assegnata a chi ha un DCA, e che mi fa indispettire non poco. Un’altra etichetta che ci becchiamo noi anoressiche o bulimiche? “Cronica”.

Okay, certo, da un punto di vista strettamente medico i disturbi alimentari sono patologie croniche, indicando come cronica (cito un mio libro universitario) “un’affezione che non guarisce nel giro di alcuni mesi”. Molte malattie psichiatriche sono in effetti croniche, e i DCA non fanno eccezione. Le statistiche dicono che le adolescenti con anoressia/bulimia/binge/DCAnas che ricevono il tradizionale pacchetto psicoterapia + visite con dietista necessitano comunque dai 5 ai 7 anni per avere un netto miglioramento. Ad oggi, con le più moderne tipologie di terapie psicologiche, questi tempi possono essersi un po’ ridotti, ma non c’è nessun dato certo a tal proposito. Non è che una, semplicemente, “guarisce” dall’anoressia – non è come prendersi l’influenza.

Il problema del beccarsi l’etichetta di “cronica”, è che questa parola generalmente sta per un’altra: “non trattabile”. È un po’ la maniera che la Medicina – gli psichiatri nella fattispecie – ha per dire “non vogliamo avere a che fare con te”, ovvero: “pensiamo che non ci siano speranze di miglioramento per te”. Un’etichettatura di questo tipo non può che scoraggiare una paziente che soffre di anoressia/bulimia: chi avrebbe la tempra di proseguire una psicoterapia con qualcuno che gli ha detto una cosa del genere? Chi continuerebbe a fare psicoterapia quando qualcuno gli ha detto che il tempo impiegato con loro è visto come una perdita di tempo? “Devi solo imparare a vivere con un DCA” viene detto a queste pazienti.

Quel che non viene detto è che un’affermazione del genere essenzialmente sottintende: “Tutto quello che succederà è che morirai lentamente a causa del tuo DCA”.

Il che è – devo proprio dirlo – una cafonata.

Non credo che possa riuscirci in maniera estremamente efficace in tempi brevi. Ma ci sono un sacco di malattie delle quali la gente continua a morire perché ancora non abbiamo le competenze scientifiche per combatterle, e cionnonostante non viene mai rifiutato il tentativo di provare a curarle. Che è ciò che invece viene fatto con i DCA: gli psicoterapeuti, se la paziente è particolarmente resistente, si sdanno. Rinunciano. Prescrivono cure palliative.

Francamente, credo che questo sia sbagliato. Penso sia il frutto di scelte erronee di terapeuti che non conoscono bene l’intrinseca natura di un disturbo alimentare, o che non vogliono affrontare una simile difficoltà che li porterebbe a mettere in discussione la loro stessa capacità professionale. È certamente più facile per un terapeuta “incolpare” la paziente di un mancato miglioramento, che non ammettere che ci sono delle situazioni con cui non si sa relazionare, e delle risposte che non riesce a fornire.

L’etichetta “cronica”, inoltre, può diventare per chi soffre di DCA come una sorta di profezia che si auto-avvera. Le ragazze anoressiche/bulimiche spesso pensano di non meritare aiuto, o che possono farcela da sole anche senza bisogno d’aiuto (sono tutti auto-inganni indotti dalla malattia stessa, ovviamente); per cui vedersi classificate come “croniche” non può che rafforzare questa visione che le anoressiche/bulimiche hanno di se stesse, confermando la loro sensazione d’inutilità, di mancato valore, e la loro incapacità di stare meglio. Personalmente ritengo che barriere di questo tipo possano contribuire nel determinare l’alto tasso di suicidi correlato ai DCA: le cose non andranno mai meglio e non c’è nessuno disposto ad aiutarmi. Sono qui, da sola, nell’oscurità, a notte fonda, insonne, il cuscino ancora una volta rigato dalle mie lacrime. Questa non è vita e non lo sarà mai, dunque non mi resta altro da fare che darci un taglio. Alle vene.

Il punto è che: anche le persone che sono state etichettate come “croniche” hanno la possibilità di fare enormi passi avanti nella loro lotta contro l’anoressia. Anch’io. Anche tutte voi che mi state leggendo. Con la voglia di non arrendersi e il giusto supporto terapeutico, tutte noi possiamo migliorare nettamente la nostra condizione, e continuare a combattere contro l’anoressia.

Ci vorrebbe una maggiore e soprattutto corretta informazione a livello della popolazione in generale affinché possano essere colte le manifestazioni più precoci di un DCA, e la terapia possa essere iniziata quanto più rapidamente possibile perché, come in tutte le malattie, più un DCA viene preso sul nascere, maggiori sono le possibilità di successo terapeutico. Ci vorrebbero anche più opzioni terapeutiche, affinché ciascuna di noi potesse scegliere quella che le va più a genio. E soprattutto, non dovremmo mai dimenticarci che, al di là di ogni possibile etichettatura, siamo prima di tutto persone, e l’essere tali significa avere un’arma enorme a nostra disposizione: la forza di volontà di cambiare le cose, di lottare contro l’anoressia. E questa consapevolezza deve non farci mai perdere la speranza. Neppure a chi è stata definita “cronica”.

venerdì 6 aprile 2012

Pazienti "non complianti"

“Si definisce “non compliante” un paziente che non partecipi attivamente al proprio trattamento terapeutico. La "non-compliance" costituisce, in frequenti occasioni, uno dei più rilevanti problemi terapeutici poiché ha ricadute sull'efficacia del trattamento, sui costi terapeutici, sul rapporto medico-paziente e sul rapporto dei pazienti con la loro malattia. La sua incidenza è sorprendentemente elevata soprattutto nelle patologie croniche e in psichiatria.” (Dott. Vittorio Ghetti)

Conversando tramite e-mail con molte di voi che hanno un DCA, una delle cose che mi è balzata all’attenzione recentemente è il fatto che molte persone anoressiche/bulimiche vengono frequentemente etichettate come “non complianti” dai medici e dagli psichiatri che le seguono, e quindi abbandonate a se stesse, e questa rappresenta una delle principali motivazioni all’interruzione del trattamento psicoterapeutico.

Il mio primo pensiero, quando ho letto cose del genere, è stato: ma dove diamine stanno le pazienti con un DCA che siano complianti??...

Ho discusso per la prima volta della compliance durante il corso di Farmacologia, al 4° anno di università. Parte del problema, diceva un professore, è che la maggior parte dei dottori pensa al paziente come a una persona che ha un singolo problema, ovvero quello per cui si reca da lui, e ritiene perciò che i pazienti debbano fare automaticamente quello che gli viene detto di fare, senza valutare il più ampio contesto della persona.
Per fare un esempio banale, io ho un’ipercolesterolemia familiare ereditaria. Dunque, secondo un medico da cui mi ero recata qualche anno fa, io avrei dovuto eliminare alcuni cibi dalla mia alimentazione e fare più esercizio fisico per cercare di tenere per quanto possibile un po’ più basso il mio colesterolo. Ovviamente, dato il mio passato/presente di anoressica, questa non era certo la cosa più giusta da fare. Perciò, no, non sempre i medici hanno ragione. La compliance ad una determinata terapia non può prescindere dal quadro globale del paziente.

Con il professore di Farmacologia non abbiamo ovviamente discusso della questione della compliance relativa al contesto dei disturbi alimentari o, più in generale, delle malattie mentali, ma penso che il discorso della compliance alla terapia sia un qualcosa di molto sentito nel contesto della psichiatria. Non dovrebbero le persone essere libere di scegliere se vogliono o meno essere curate? Scegliere un particolare tipo di percorso terapeutico? Scegliere di non seguire nessun tipo di percorso terapeutico?

Sì. Tecnicamente, assolutamente sì. Il problema (e il contenzioso) sta nella capacità delle persone di prendere decisioni senzienti e di essere capaci di seguirle fino in fondo. Perciò, la risposta alle mie domande, in effetti, è: dipende.

((Quel che intendo dire è: quante di noi, magari al lavoro o a scuola, si sono dette con convinzione che una volta tornate a casa avrebbero fatto quella tal cosa, ma poi non l’hanno effettivamente svolta? Eh. Si chiama “parking lot motivation”: l’essere motivate finché non si arriva a salire in macchina al parcheggio, dopodichè la suddetta motivazione è sommersa dall’ansia o da qualsiasi altra cosa che la fa scomparire.))

Non sono certo la persona più qualificata per poter parlare di malattie mentali, ma per quella che è la mia personale esperienza, posso asserire questo: dire che una paziente è “non compliante” è comune in molte diagnosi del DSM-IV. Oltre ad essere stata clinicamente classificata come “anoressica”, io mi porto dietro anche altri problemi, altre potenziali diagnosi, ma non sono mai stata farmacologicamente trattata per questi, perché ho sempre ritenuto di essere in grado di gestirli autonomamente (a differenza dell’anoressia) quindi in effetti anch’io sono stata considerata una paziente “non compilante” dagli psichiatri che mi hanno fatto queste diagnosi, visto che avevo detto loro che non intendevo assumere psicofarmaci. Dire che una paziente non è compilante, in effetti, assolve il medico dalla responsabilità di trattarla: “Non è che io non la curi, è lei che si rifiuta di farsi curare!”. Quando tutto il resto fallisce, è colpa del paziente. A prova di scemo!

Anche i disturbi alimentari sono oggetto di questo tipo di trattamento. Conosco diverse persone che sono state estromesse dai programmi ospedalieri di riabilitazione alimentare perché non riuscivano ad evitare di nascondere il cibo, perché continuavano a perdere peso, o perché avevano problemi ad attenersi al protocollo terapeutico (cose più che normali all’inizio di un percorso di ricovero). Essere estromesse da una struttura terapeutica suona più come una punizione inflitta ad una bambina disobbediente che non come il modo in cui dovrebbe essere trattata una ragazza che ha un DCA. Certo, avere a che fare con una paziente ancora indecisa che ha appena iniziato a lottare contro il suo DCA e che pertanto tende ancora ad auto-sabotarsi è tutt’altro che semplice, ma credo sarebbe dovere del medico cercare di stare ancor più vicino ad una paziente di questo tipo, piuttosto che lavarsene le mani etichettandola come “non compliante”.

Io credo che determinati comportamenti non siano, nella maggior parte dei casi, risultato di una non-volontà di migliorare della paziente, ma siano dovuti solo al fatto che, soprattutto all’inizio, è più facile che l’anoressia e i suoi comportamenti malati abbiano il sopravvento sulla volontà non ancora perfettamente delineata al miglioramento della paziente. La paziente tenta, tenta eccome, solo che la malattia è ancora più forte di lei, perché da tempo radicata. Voglio dire, nessuno si aspetta che un tumore smetta di crescere solo perché un oncologo ha visitato il paziente affetto, così come non è colpa del paziente se il cancro non risponde alle terapie di prima linea. Nessuno penalizza un paziente oncologico se non reagisce adeguatamente alla terapia, se il suo tumore non regredisce o se ha manifestazioni patologiche associate alla chemio. I dottori non smettono di fare la chemioterapia ad un bambino perché quello piange, o fa una bizza, o si nasconde sotto al letto perché ha paura dell’iniezione. Un comportamento del genere non significa che il bambino non è compliante, ma semplicemente che è un essere umano. La comparsa di un tumore non è colpa del soggetto che lo contrae, e se non riesce a liberarsene non è che lo faccia intenzionalmente. E lo stesso vale per chi ha un DCA.

Ogni medico, ogni psicoterapeuta, nel momento in cui prende in cura una paziente anoressica/bulimica, dovrebbe aspettarsi che questa possa essere (o diventare) non compliante. Dovrebbe aspettarsi un’enorme ansia, il fatto che il cibo possa essere nascosto, il fatto che la paziente faccia attività fisica extra di nascosto, il fatto che la paziente vada a vomitare di nascosto, e così via, in una lista diversa eppure simile per ognuna di noi. Sono tutti sintomi del disturbo alimentare, semplicemente. I DCA sono molto, molto difficili da trattare, questo è il messaggio che vorrei trasmettere a medici e pazienti. So di essere stata piacevole quanto un gatto appeso con le unghie ai coglioni per gli psicoterapeuti che mi hanno avuta in cura. Sono stata arrogante, sfrontata, ho fatto resistenza, ci ho litigato, li ho mandati a fanculo più e più volte, e ho fatto tutto il possibile per rimanere aggrappata all’anoressia. Ma non perché fossi “non compliante”. Bensì perché ero malata. Molto più di adesso. Quando sono stata meglio e quindi sono stata in grado di pensare più lucidamente, mi sono resa conto che già in quei momenti volevo davvero stare meglio, ma dopo anni di malattia l’anoressia era così egosintonica con la mia persona, che non ero in grado di discernerne i sintomi dalla mia personalità.

I medici e gli psichiatri dovrebbero rivedere quest’etichetta di “non compliante”. Molte ragazze che hanno un DCA si aggravano e in alcuni casi addirittura muoiono perché certi medici se ne sono lavati le mani, quando quelle persone avevano disperatamente bisogno del loro aiuto, anche se magari non lo riconoscevano o addirittura lo negavano. È certamente conveniente per il medico semplicemente ignorare le pazienti con disordini alimentari particolarmente difficili da trattare, ma il punto è che, cari medici, noi siamo malate. Noi necessitiamo e meritiamo il vostro aiuto, non importa quanto tentiamo, allo stesso tempo, di combattervi, di opporci a voi. Questa, anche, è parte della malattia. Perciò, non ce ne vogliate. Non la prendete sul personale. Non è per un qualcosa contro di voi. E’ solo un altro sintomo dell’anoressia.
 
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