venerdì 30 novembre 2012
L' "okay plateau"
In questi giorni ho finito di leggere un libro intitolato “Moonwalking with Einstein”. È un libro che parla della scienza della memoria e di come un giornalista è riuscito a diventare il campione statunitense di memorizzazione. L’autore, Joshua Foer, menziona una cosa che chiama l’ “okay plateau”. Riferisce questo plateau alle proprie capacità di memorizzazione. Dice che l’allentamento continuo nella memorizzazione ha migliorato enormemente le sue capacità in tal senso, ma non abbastanza da competere a livello nazionale.
(Ebbene sì, negli U.S.A. esistono delle gare di memorizzazione…per quanto a noi possa sembrare assurdo, per loro fare queste gare è una cosa assolutamente usuale.)
Dunque, l’ “okay plateau” è una sorta di punto di stallo tra il punto in cui siamo e quello in cui si vorrebbe arrivare. Vai bene, ma non sei eccezionale. Puoi farlo a livello amatoriale, ma non a livello agonistico. Una via di mezzo.
Ecco, secondo me in questo c’è una forte analogia col percorso di ricovero da un DCA. Si possono migliorare molto i nostri comportamenti più esteriori nei confronti del cibo e del corpo, e così molte persone possono pensare che siamo “guarite”. Ma noi in realtà sappiamo di non esserlo… siamo ancora nella via di mezzo. Abbiamo ancora certi pensieri distorti e certe fisse, sebbene la nostra salute fisica non sia più nell’immediato pericolo. Si può funzionare, anche se non in maniera ottimale. Se le persone vi stanno intorno solo per un lasso di tempo non molto lungo, in genere non si rendono conto del vostro DCA. Abbiamo raggiunto l’ “okay plateau”.
Per quelli che sanno la verità, invece, è più facile cogliere i segnali del DCA stesso. La lentezza nel finire i pasti, il non indossare determinati capi d’abbigliamento, la necessità di avere comunque altri tipi di “rituali di controllo”. Forse per qualcuno tutte queste sono cose insignificanti, e se si comporta così una persona che non ha mai avuto un disordine alimentare, il suo comportamento può essere a tutti gli effetti normale, semplice conseguenza della sua caratterialità. Ma questi non sono comportamenti “normali”… non per chi ha e sta combattendo un DCA.
Disconnettere noi stesse dall’ “okay plateau” è difficile. Foer dice: perché esso dà sicurezza. Perché sappiamo come starci, quale precario equilibrio tenere. Chi si sposta da una posizione per raggiungerne un’altra, si espone ad un rischio. Questo fa paura. Quindi si rimane bloccate nell’ “okay plateau” molto a lungo.
È proprio così che va il percorso di ricovero dall’anoressia. Riprendere peso è decisamente difficile, ma non è la cosa peggiore. Nutrendosi in maniera corretta, l’aumento di peso è fisiologico e molto graduale, dunque un qualcosa con cui possiamo tutto sommato relazionarci. I progressi che facciamo in tal senso possono essere facilmente misurati, quantificati. Ma uscire dall’ “okay plateau” a livello mentale, è incredibilmente molto, molto più difficile. Non si tratta semplicemente di seguire l’ “equilibrio alimentare” prescritto dalla dottoressa di turno, ma di lavorare su noi stesse, sulla nostra mentalità, sulla nostra personalità. Occorre sviluppare maggiore flessibilità mentale. Occorre imparare a gestire l’ansia. E, soprattutto, occorre scavare dentro noi stesse per capire quali sono i nostri veri problemi, quelli per i quali abbiamo avuto bisogno di un tampone come l’anoressia. Cose che non hanno niente a che vedere con il cibo, ma che rappresentano i nostri più veri e profondi problemi, ciò che ci ha fatto usare l’anoressia come strategia di coping.
Averne abbastanza – ovvero segnale di pericolo “sto-per-gettare-la-spugna-e-smettere-di-combattere-contro-il-DCA” – è molto facile non solo perchè spostarsi dall’ “okay plateau” richiede una fatica pazzesca, ma anche perchè può subentrare il pensiero scoraggiante che siamo lì bloccate senza possibilità di miglioramento. Ma non è così. Arrivare all’ “okay plateau” è un passo cruciale, ma ciò non significa che siamo arrivate. Ci vuole tanto, ma è possibile renderci pienamente conto di questo, e comprendere la differenza tra dove siamo adesso, e dove potremo essere. Se solo continuiamo a combattere.
(Ebbene sì, negli U.S.A. esistono delle gare di memorizzazione…per quanto a noi possa sembrare assurdo, per loro fare queste gare è una cosa assolutamente usuale.)
Dunque, l’ “okay plateau” è una sorta di punto di stallo tra il punto in cui siamo e quello in cui si vorrebbe arrivare. Vai bene, ma non sei eccezionale. Puoi farlo a livello amatoriale, ma non a livello agonistico. Una via di mezzo.
Ecco, secondo me in questo c’è una forte analogia col percorso di ricovero da un DCA. Si possono migliorare molto i nostri comportamenti più esteriori nei confronti del cibo e del corpo, e così molte persone possono pensare che siamo “guarite”. Ma noi in realtà sappiamo di non esserlo… siamo ancora nella via di mezzo. Abbiamo ancora certi pensieri distorti e certe fisse, sebbene la nostra salute fisica non sia più nell’immediato pericolo. Si può funzionare, anche se non in maniera ottimale. Se le persone vi stanno intorno solo per un lasso di tempo non molto lungo, in genere non si rendono conto del vostro DCA. Abbiamo raggiunto l’ “okay plateau”.
Per quelli che sanno la verità, invece, è più facile cogliere i segnali del DCA stesso. La lentezza nel finire i pasti, il non indossare determinati capi d’abbigliamento, la necessità di avere comunque altri tipi di “rituali di controllo”. Forse per qualcuno tutte queste sono cose insignificanti, e se si comporta così una persona che non ha mai avuto un disordine alimentare, il suo comportamento può essere a tutti gli effetti normale, semplice conseguenza della sua caratterialità. Ma questi non sono comportamenti “normali”… non per chi ha e sta combattendo un DCA.
Disconnettere noi stesse dall’ “okay plateau” è difficile. Foer dice: perché esso dà sicurezza. Perché sappiamo come starci, quale precario equilibrio tenere. Chi si sposta da una posizione per raggiungerne un’altra, si espone ad un rischio. Questo fa paura. Quindi si rimane bloccate nell’ “okay plateau” molto a lungo.
È proprio così che va il percorso di ricovero dall’anoressia. Riprendere peso è decisamente difficile, ma non è la cosa peggiore. Nutrendosi in maniera corretta, l’aumento di peso è fisiologico e molto graduale, dunque un qualcosa con cui possiamo tutto sommato relazionarci. I progressi che facciamo in tal senso possono essere facilmente misurati, quantificati. Ma uscire dall’ “okay plateau” a livello mentale, è incredibilmente molto, molto più difficile. Non si tratta semplicemente di seguire l’ “equilibrio alimentare” prescritto dalla dottoressa di turno, ma di lavorare su noi stesse, sulla nostra mentalità, sulla nostra personalità. Occorre sviluppare maggiore flessibilità mentale. Occorre imparare a gestire l’ansia. E, soprattutto, occorre scavare dentro noi stesse per capire quali sono i nostri veri problemi, quelli per i quali abbiamo avuto bisogno di un tampone come l’anoressia. Cose che non hanno niente a che vedere con il cibo, ma che rappresentano i nostri più veri e profondi problemi, ciò che ci ha fatto usare l’anoressia come strategia di coping.
Averne abbastanza – ovvero segnale di pericolo “sto-per-gettare-la-spugna-e-smettere-di-combattere-contro-il-DCA” – è molto facile non solo perchè spostarsi dall’ “okay plateau” richiede una fatica pazzesca, ma anche perchè può subentrare il pensiero scoraggiante che siamo lì bloccate senza possibilità di miglioramento. Ma non è così. Arrivare all’ “okay plateau” è un passo cruciale, ma ciò non significa che siamo arrivate. Ci vuole tanto, ma è possibile renderci pienamente conto di questo, e comprendere la differenza tra dove siamo adesso, e dove potremo essere. Se solo continuiamo a combattere.
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13 commenti:
...proprio oggi ne parlavo con la mia psicoterapeuta...forza ragazze, lasciamo questa coperta di linus dell'anoressiaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa!!!!crescere può non essere così male....
Non avevo mai sentito parlare dell'okay plateau... in effetti è uno status mentale molto diffuso, e ammetto che dà sicurezza (in tutti i campi, ovviamente). E' sempre difficile trovare la forza per prendere quella decisione in più, che ti permetta di eccellere... forse perché si ha paura del fallimento.
Allora, voglia andare a vivere in America solo per fare le gare di memoria!!!!!!!!!!!
No, sto scherzando ovviamente!!!!!!!!!!!
Comunque è vero, mi sento un po’ in questo “okay plateau” perché c’è stato un primo momento, quando ho iniziato la psicoterapia, in cui in relativamente poco tempo ho fatto significativi progressi e passi avanti, mentre poi le cose sono procedute più lentamente, e talvolta ho timore di essere giunta ad un punto di stallo.
Ma, se ben ci rifletto, in realtà mi sono accorta di una cosa: non è che io mi sia fermata, è solo che sto lavorando su cose differenti.
All’inizio della terapia lavoravo soprattutto sul versante “pratico”, cioè su quello comportamentale, perché in un primo momento era di fondamentale importanza che la smettessi di fare cose come vomitare quotidianamente e perdere lassativi, e fare attività fisica solo per bruciare calorie. Lavorare su questi comportamenti era molto difficile, per me, ma comunque, seppure con molto sforzo, fattibile.
Una volta che le cose sono andate meglio da un punto di vista comportamentale, io e la mia psicologa siamo passate ad affrontare il lato “mentale” della malattia. E qui è sembrato che si riducessero i progressi perché da un punto di vista materiale non facevo nulla di nuovo. Però adesso mi rendo conto che in realtà anche tutto questo tempo in cui faccio cose meno materiali, è perché mi sto concentrando sull’ “essenza” della malattia, ovvero su tutte quelle cose, su tutti quei problemi che mi hanno deviata in passato verso la bulimia.
Non è che i progressi non ci siano, è solo che sono meno visibili, meno tangibili; sono progressi interiori. E nonostante a volte mi senta comunque a un punto di stallo, cercherò comunque di continuare ad andare avanti!!!!!!!!
Forza ragazze. Dobbiamo avere il coraggio di saltare, di voltare pagina, di cambiare posizione.
Ce la possiamo fare, basta rimanere nella solita stabilità, nella solita situazione, è ora di provare a fare un passo in avanti senza farci spaventare. Magari la tappa successiva sarà meglio di quella attuale .
Un abbraccio a tutti
tra l'altro l'autore è il fratello di jonathan safran foer, l'autore di uno dei libri più belli che ho letto sul post 11 Settembre: una famigliola interessante i Foer.
Avevo letto di questo libro tempo fa e l'idea dell'"okay plateau" è interessante ed esperienza comune. Credo che, una volta raggiunta una fase di relativa sicurezza percepita, sia difficile muoversi di nuovo, ma credo anche che queste fasi di stallo, fintanto che rimango, appunto, FASI, siano necessarie per tirare il fiato e rendersi conto di dove si è arrivati. Il punto è sempre e solo ripartire.
continua pure a trasformare l'oscurità in luce ma l'esame del 12 di neurologia non è per te.
Sono d'accordo, l'okay plateau è sicuramente confortevole, ma biosogna trovare dentro di noi la forza e il coraggio per non accontenterci di dove siamo arrivate, e continuare ad andare avanti.
Come sempre apro con una domanda aperta -che quindi non vuole una risposta, perchè a mio parere non può essere che soggettiva-
è possibile uscire totalmente dall' "okay plateau"? ci sono persone che razzolano in questo terreno da una vita. Personalmente è 5 anni che ho determinate abitudini (non dico alimentari!!) , riflessi quasi incondizionati, "tic" che ormai non mi rendo quasi conto di avere. è possibile dimenticarseli tutti? è possibile che non ci sia più quell'ombra quando vedi certe ragazze, dei vestiti, una ciclette, un particolare cibo? IO non posso rispondere, non posso perchè non sono nemmeno lontanamente in quella fase. Però credo di no. Io credo sia possibile andare avanti e vivere eliminando molti gap, ma non dimenticarli tutti.
L'altro giorno leggevo il blog di una ragazza che conosco da tanto tempo
"NON PASSERà MAI. LA SENTO, LA SENTO SOTTO LA PELLE, NELLE VENE, IN BOCCA, NELLE GAMBE CHE CORRONO SU X LE SCALE, CHE PEDALANO.. NELLA MELA CHE SGRANOCCHIO , LA SENTO MENTRE PASSEGGIO CON GIANLUCA.
Una mano stringe quella di G., l'altra è fusa con Lei. Un orecchio ascolta G., l'altro ascolta Lei che ti assicura che x oggi hai camminato abbastanza, oppure no, dipende.
LA SENTO QUANDO MI INFILO IL CONTAPASSI IN TASCA AL MATTINO E TENGO MONITORATI TUTTI I MIEI MOVIMENTI, QUANDO SCELGO COME VESTIRMI , QUANDO MI ADDORMENTO SUL FIANCO X NON COMPRIMERE IL CULO , QUANDO FISSO QUELLE + MAGRE DI ME, QUANDO MI SENTO SERENA XK LA + MAGRA SONO IO, QUANDO MI INNERVOSISCO XK NON HANNO LA COCA LIGHT E IO NON SO COSA PRENDERE....
LA SENTO IN OGNI CAPO DEL MIO ARMADIO, NELLE MIE FOTO, IN CUCINA, IN BAGNO, IN MACCHINA.."
Bè io adesso mi sento abbastanza mentalmente imbecille per riuscire a scrivere quindi uso le sue parole. è più o meno questo quello a cui alludevo prima. (preso da http://unascienzacircaesatta.blogspot.it/ )
Ti stringo Veggie
e cmq , a proposito dei sassolini nell'oceano.Esiste una teoria fisica, la teoria del Caos, che dice che il battito d'ali di una farfalla ha ripercussioni dall'altro lato del mondo. Ora io da un orecchio non ci sento, diciamo pure che da tutti e due non ci sento. Ma non per questo non considero quello che dici. Non pensare MAI che lo sottovaluti o lo scarti. Davvero.
Sono nell'okay plateau da troppo tempo, Veggie. Sono stanca, voglio vivere la mia vita davvero.
Ma come si fa?
Non so rispondermi, e questo mi tormenta.
Vale
@ Anonima – Penso che tu abbia avuto proprio una buona idea ad affrontare questa tematica con la tua psicoterapeuta… che di certo saprà fornirti gli strumenti adeguati che tu poi potrai utilizzare per combattere contro l’anoressia… Forza, forza, forza: io faccio il tifo per te!...
@ Vele/Ivy – Son d’accordo con te sul fatto che il difficile nello staccarsi dall’ “okay plateau” sta molto anche nella paura del fallimento… Ma occorre lavorare su questo ragionando che passo avanti non è necessariamente sinonimo di fallimento… Quando si fa un passo avanti si ha il 50% di possibilità che sia un passo falso, e il 50% che sia un passo giusto… quindi, dato che almeno la metà delle possibilità è a nostro favore, val la pena di tentare…
@ Wolfie – Brava Wolfie, è questo lo spirito giusto!... Il lavoro che tu definisci “mentale” è certo più tosto di quello meramente comportamentale… ma sono certa che, alla fine, per quanto faticoso, si rivelerà estremamente remunerativo…
@ Pulce – Bravissima Pulce, quoto in pieno quel che hai scritto!...
@ La Ely – Sono pienamente d’accordo con te… Anche il fermarsi a riprendere fiato può essere tranquillamente fisiologico nel momento in cui la pausa non si prolunga in maniera abnorme diventando un qualcosa di perenne… Ed è ovvio che sia difficile ripartire, perché lo stallo comunque a suo modo dà sicurezza… ma non sappiamo mai come potrebbero migliorare le cose se ci fermiamo ad un certo punto…
@ Anonimo – Grazie per l’avvertimento caro collega… Allora, mi sembra giusto avvertirti, in rimando, che il 12 non c’è nessun esame di Neurologia… né di nessun’altra materia del 6° anno, per la precisione… controlla meglio le tue fonti. E, tra l’altro, fatti vedere ogni tanto a lezione… o forse l’obbligo di frequenza non è per te??!...
@ Anna – Hai proprio ragione, occorre continuare ad andare avanti… perché, come qualcuno di più saggio c’insegna, “the best is yet to come”…
@ justvicky – E’ vero, Vicky, la domanda che fai può essere risposta soltanto in maniera soggettiva. Però, leggendo il brano che hai riportato, mi sento di fare qualche considerazione che ritengo possa essere piuttosto oggettiva. La persona che ha scritto quelle parole è una persona certamente molto intelligente e sensibile, come si evince dalle sue proprietà di linguaggio ma, allo stesso tempo, è ancora una persona profondamente legata all’anoressia. E te lo dico semplicemente perché un periodo del genere, seppure a mio modo, con abitudini e tipologie di cose da fare differenti, ce l’ho avuto anch’io… un periodo in cui qualsiasi cosa facessi, che fosse studio, lavoro, sport, lettura, disegno, giro in centro con gli amici, avevo sempre in testa la voce martellante dell’anoressia. Questo non è un punto morto, per carità: il fatto di concedersi altre cose e di non chiudersi nel mondo della malattia è sicuramente un passo avanti rispetto all’attaccamento egosintonico all’anoressia che caratterizza le prime fasi della mamattia. Quindi, no, non è negativo. Ma è certo anche molto lontano ancora da quello che in questo post definisco l’ “okay plateau”. Come ho già scritto molte volte, e come ti ho già scritto molte volte, io non credo che si possa “guarire” dall’anoressia nel senso canonico del termine. Però credo che, sì, tutte si possa arrivare ad uno stato di remissione… ad una sorta di “okay plateau” personalizzato… o meglio, ad una serie progressiva di “okay plateau”, in cui l’anoressia diventa sempre più remota. Ovvio, bisogna stare sempre con la guardia alzata, perché le ricadute sono all’ordine del giorno. Ma anche se non si arriverà ad una guarigione piena e completa, al dimenticare tutto come se si fosse trattato di un’influenza, posso assicurarti per esperienza personale e non solo, che è possibile sempre fare dei passi avanti e migliorare. (Io spero proprio di riuscire a farne ancora, tra l’altro!...) E, sicuramente, che è possibile stare decisamente meglio di come sta adesso la ragazza di cui hai riportato le parole.
P.S.= Non mi è mai passato neanche per l’anticamera del cervello che tu scartassi o non considerassi quello che scrivo. Se la pensassi così, non mi metterei neanche a scriverlo.
@ Vale – Ciao Vale, non so se segui una qualche psicoterapia… Se non lo fai ancora, io credo che iniziare a farlo, potrebbe essere già un modo per smuovere parecchio le acque… Se invece lo fai già, io credo che potresti farti suggerire dal tuo terapeuta delle modalità, dei modus operandi che ti consentano di rompere, per lo meno in parte e gradualmente, gli schemi cui oggi ti senti vincolata e che ti vanno stretti. Inoltre, prova a pensare a questo: cosa significa per te “vivere la tua vita davvero”?... Trova una risposta a questa domanda: già questo, nel suo piccolo, può suggerirti quali iniziative intraprendere, quali nuove strade provare, per cercare di raggiungere quegli obiettivi che tu configuri nella definizione che dai al “vivere la vita davvero”. Ti abbraccio forte…
ecco,io sono nel mio okay plateau un anno e più ormai.a dire il vero sono quasi due.ci sono arrivata dopo aver sputato sangue nella mia battaglia contro l'anoressia.e ora non so più cosa fare,non so più come muovermi.anoressica per 6 anni e più,tutta la mia adolescenza in una bilancia,un cesso e tagli sulle braccia.poi la luce,la lenta e faticosa(dio quanto è faticosa) strada per uscire dal mio inferno,un blog che mi ha aiutata moltissimo.adesso ho un ragazzo che amo terribilmente,ho costruito n rapporto con i miei genitori che mai avrei potuto immaginare,sono in erasmus in nord europa e mi manca un soffio a laurearmi.eppure ogni giorno mi sveglio e il primo istinto è quello di cercare le ossa,quelle ossa che ormai non sono più così visibili come prima,ogni giorno mi chiedo cosa c'è di sbagliato in me,per quale motivo non riesco a uscirne?e poi mi trovo in giorni come questo due tazze di tè nello stomaco e milioni di sigarette fumate.so che non ci sto ricadendo,almeno nel senso della restrizione alimentare,ma so anche che non ne sono mai uscita perché quando mi concedo una giornata come oggi,una giornata di digiuno,mi faccio un regalo,mi offro una giornata senza battaglie e questo è sbagliato,so che lo è.scusa per questo megacommento,ti ho letta un altro paio di volte e ammiro molto la lucidità con cui scrivi,a volte mi ricorda il mio blog, continua a farlo perché sei un sostegno importante per molt*.
charingcross
@ charingcross – No, un giorno senza combattere non è necessariamente sbagliato. È semmai sbagliata la mentalità con cui lo vedi, perché quello che ti fai non è un regalo, è solo un modo per rimanere ancora incollata a quell’ “okay plateau” in cui adesso ti senti, ma che in fondo ti va stretto. Tu hai fatto grossi passi avanti, e da quello che scrivi ciò è innegabile… perciò, tutto quello che devi fare, semplicemente, è continuare a camminare. Nessuna ne esce nel senso canonico del termine, se tu per “uscire” intendi una guarigione completa, senza più sintomi fisici né pensieri inerenti l’anoressia… però è possibile fare in modo di circoscrivere il più possibile questi pensieri, di farli essere ma senza dargli corpo, senza agirli, ricacciandoli in un angolino della mente, e continuando a combattere nella vita di tutti i giorni. Questa è la remissione, e questa è una vita d’uscita, per quel che è possibile. Cerca pure le tue ossa, ma sorridi nel momento in cui non le senti più: questo è il segno tangibile della dura battaglia che hai fatto, e la dimostrazione che una grande vittoria in realtà l’hai già raggiunta… In bocca al lupo per tutto quanto!...
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