Come gli alchimisti trasformavano il ferro in oro… voi potete trasformare l’oscurità in luce. Siete tutte benvenute.

venerdì 30 settembre 2011

Trovare la radice

Non è mai facile capire da che cosa sia determinata e causata l’anoressia.

Trattandosi di un sintomo multifattoriale, in effetti, le cause determinanti sono molteplici, e per la maggior parte sommerse. Occorre un lungo e duro lavoro d’introspezione su noi stesse per risalire all’origine di un DCA, e questo può essere estremamente difficile e logorante, poiché ci pone di fronte ad aspetti del nostro passato e della nostra personalità che non vogliamo vedere ed accettare, e che sviluppare l’anoressia ci ha per l’appunto permesso di coprire.

Eppure, penso che sia un “percorso a ritroso” parimenti necessario per andare avanti nella strada del ricovero. Proprio così, ragazze: tornare indietro per poter andare avanti. Perché tornare indietro ci permetterà di prendere la rincorsa. Del resto, è noto che per capire le ragioni del male bisogna ritornare all’origine.

Come riuscire dunque a capire quali sono state le cause e gli eventi scatenanti l’anoressia? Ovviamente non esiste un libretto delle istruzioni, anche perché ogni persona (ed ogni anoressia) è una storia a sé, tuttavia voglio provare ad offrivi delle semplici strategie, nella speranza che queste possano servirvi come spunto di riflessione per rielaborare il passato e cercare d’individuare quello che può stare alla base dell’anoressia.

1) Parlatene. Parlate con qualcuno del vostro DCA. Che sia uno psicoterapeuta, un dietista, un’amica, i vostri genitori… chiunque. Se è una persona di cui sapete di potervi fidare, va bene chiunque. Non tenete i vostri pensieri chiusi dentro di voi, ma esternateli. Raccontate la vostra storia e la vostra interiorità. Questo vi darà modo di rielaborare la vostra esperienza e di vedere più a fondo, magari anche grazie agli input che la persona con cui state conversando sarà in grado di restituirvi.

2) Scrivetene. Va bene un diario, un quaderno, un documento Word su un computer. Ogni qualvolta vi viene in mente qualche pensiero relativo al vostro DCA, mettetelo nero su bianco. Questo vi aiuterà a fare introspezione e ad essere sincere con voi stesse riguardo al vostro vissuto e ai vostri sentimenti. Poi, qualche giorno più tardi, rileggete quello che avete scritto e provate a ragionarci su.

3) Ricordate. Cercate di aprire le porte che in passato vi siete chiuse alle spalle per il timore di quello che vi stava dietro. Aprite quelle porte e cercate di ricordare senza farvi travolgere dal ricordo. Ispezionate, scandagliate il vostro passato alla luce della vostra attuale esperienza e consapevolezza. Vedrete che sarete capaci di trovare utili tracce.

4) Lasciate andare la paura. La paura è controproducente, induce a piangersi addosso, chiude in se stesse e non permette di arrivare da nessuna parte. Ricordatevi che non avete niente da temere, perché nel momento in cui avete deciso di combattere l’anoressia, siete già sulla strada della vittoria.

5) Non fissatevi. Non andate a ricercare qualcosa in particolare, e non aspettatevi di trovare tracce in maniera rapida e semplice. L’introspezione è tutto un lavoro di gomito. Bisogna sudare, ma bisogna anche capire quando è il momento di tirare il freno e pensare ad altro. Questo non annulla il lavoro che avete in precedenza compiuto: una volta recuperate le energie, potrete riprendere a lavorare su ciò che avevate lasciato in stand-by.

6) Trovare la radice dell’anoressia è importante, ma non dimenticate che è molto più importante concentrarvi sulla vostra battaglia quotidiana. Quello che potete fare per voi stesse e che vi proietterà nel futuro, è quello che fate oggi.

7) Non sottovalutatevi. Non sottostimate le vostre capacità. Non pensate di non essere in grado di vederci chiaro o di ragionare. Potete arrivare al cuore di tutto, se solo riuscite a tirare fuori abbastanza determinazione per continuare a scavare e abbastanza coraggio per affrontare il vostro passato.

8) Siate consapevoli che quello che troverete nel vostro percorso d’introspezione alla ricerca delle radici dell’anoressia, molto spesso non vi piacerà affatto. Ma affrontare quello che è stato è l’unica cosa che vi permetterà e vi aiuterà ad andare avanti nella strada del ricovero.

venerdì 23 settembre 2011

Anoressia - What is left of the body

Quello che voglio proporvi oggi è uno dei primi video che ho realizzato, come si potrà facilmente notare dalla scarsa qualità tecnica. Eppure, nonostante sia un po’ datato, penso che molte di voi potranno comunque rispecchiarcisi.

Quando l’ho realizzato ero ancora abbastanza dentro all’anoressia, ma già avevo mosso i miei primi passi in avanti sulla strada della luce, come la frase di speranza che il video alla fine lascia.

Tutte possiamo fare dei passi avanti, nessuna esclusa. Basta solo volerlo veramente.



Testo della canzone che fa da “soundtrack” al video + traduzione…

I'm so tired of being here, suppressed by all my childish fears
And if you have to leave, I wish that you would just leave
Your presence still lingers here and it won't leave me alone
RIT1: [These wounds won't seem to heal, this pain is just too real
There's just too much that time cannot erase]
RIT2: [When you cried, I'd wipe away all of your tears
When you'd scream, I'd fight away all of your fears
And I held your hand through all of these years
But you still have all of me]
You used to captivate me by your resonating light
Now, I'm bound by the life you left behind
Your face it haunts my once pleasant dreams
Your voice it chased away all the sanity in me
RIT1: [These wounds…]
RIT2: [When you cried…]
I've tried so hard to tell myself that you're gone
But though you're still with me, I've been alone all along
RIT2: [When you cried…]


(Sono così stanca di stare qui / Oppressa da tutte le mie paure infantili / E se proprio devi andartene / Vorrei che tu te ne andassi e basta / Perchè la tua presenza ancora indugia qui / E non vuole lasciarmi sola / RIT1: [Queste ferite sembrano non voler guarire / Questo dolore è troppo così reale / C'è semplicemente troppo che il tempo non può cancellare.] / RIT2: [Quando piangevi, ho asciugato tutte le tue lacrime / Quando urlavi, ho combattuto tutte le tue paure / E ti ho tenuta per mano durante tutti questi anni / Ma tu hai ancora tutto di me.] / Mi hai attratta con la tua luce che sembrava così ragionevole, convincente / Adesso sono legata alla vita che hai lasciato indietro, distrutta / La tua immagine ossessiona / I miei sogni, una volta piacevoli / La tua voce ha cacciato via / Tutto quel che c’era di sano in me. / RIT1: [Queste ferite…] / RIT2: [Quando piangevi…] / Ho provato così tanto a dirmi che te ne sei andata / Ma sebbene tu sia ancora con me / Io sono stata sola fin dall’inizio. / RIT2: [Quando piangevi…])

venerdì 16 settembre 2011

Continuare a combattere

Una cosa che dovremo fare ogni giorno della nostra vita è continuare a combattere contro l’anoressia, continuare a percorrere la strada del ricovero.

Perché farlo? Per tantissime ragioni, ragioni che possono essere differenti per ognuna di noi, ma che dimostrano comunque che questa è una battaglia che vale la pena di combattere.

Dunque, per rinforzare la nostra motivazione giornaliera, oggi voglio proporvi 9 ragioni per continuare a combattere.

9 – L’anoressia ci fa perdere energia, vitalità, voglia di fare, e cambia la nostra personalità. Scegliendo la strada del ricovero, possiamo ricominciare a brillare.

8 – Mi sono accorta che nel momento in cui mi do attivamente da fare contro l’anoressia mi sento meglio con me stessa e riesco a fare tante piccole cose in grado di cambiare positivamente la mia vita.

7 – L’industria dei prodotti dietetici cerca di convincere le donne che se lavorano abbastanza duro, se seguono determinate diete, potranno indossare qualsiasi taglia ed assumere qualsiasi corporatura. In realtà, questo è totalmente falso. La corporatura che avete al vostro set-point di peso è la corporatura che il vostro corpo necessita di avere per essere in salute. Combattere per mantenere il vostro corpo ad una forma innaturale è stancante e pericoloso.

6 – Il cibo è un qualcosa con cui dobbiamo avere ogni giorno necessariamente a che fare. Avere una relazione erronea con il cibo porta ad ansia e isolamento, impedendoci di vivere situazioni che potrebbero essere altrimenti molto divertenti.

5 – L’anoressia finisce ben presto per riempire ogni ambito della nostra vita. Tutto quello che facciamo è subordinato all’anoressia. Le ossessioni aumentano a dismisura. Quello che pensavamo di controllare finisce per controllarci. Ma io penso che la vita, la vita quella vera, intendo, sia ben altro oltre questo.

4 – TUTTE VOI avete il potenziale di rendere la vostra vita esattamente quello che volete che sia. Vivere implica crescere, cambiare, fare nuove esperienze, mettersi alla prova, assumersi la responsabilità delle proprie scelte e dei propri errori, lottare contro quello che ci fa stare male. Percorrere la strada del ricovero può essere ben più che una lotta, può sembrare un inferno, ma quando sarete sopravvissute a quelle fiamme vi riscoprirete più temperate.

3 – L’anoressia danneggia mentalmente, e fisicamente il corpo, molto spesso in maniera irreversibile.

2 – Quando non mangiamo abbastanza e solo una ristretta gamma di cibi, non si fornisce al corpo il giusto apporto di nutrienti. Di questo ne risente anche il cervello, a causa della mancata capacità di sintesi di neurotrasmettitori come la serotonina e la dopamina. Il che comporta un mantenimento del DCA e può portare a sviluppare anche altri problemi collaterali.

1 – Ma soprattutto: l’anoressia ruba il nostro tempo. Ci frega facendoci credere di essere un vantaggio, di essere tutto ciò che possiamo desiderare dalla vita, tutto ciò che ci fa sentire bene. Ruba anni ed anni della nostra vita chiudendoci in un circolo vizioso che alla fine risulta essere completamente futile. Ragazze, il nostro tempo è limitato, e la nostra vita è troppo preziosa per sciuparla così.

Scegliete la strada del ricovero. Scegliete di lottare contro l’anoressia. Fatelo ogni giorno. Ne vale la pena. Riprendetevi il vostro tempo. Riprendetevi la vostra vita. Quella vera.

venerdì 9 settembre 2011

Questione di standard

E dunque, non ho mai ristretto l’alimentazione oggi: ho seguito con scrupolosa attenzione l’ “equilibrio alimentare”! Non sono forse stata bravissima??!

Penso che, come ricompensa, mi concederò di mangiare un po’ meno stasera a cena.

Lo so che c'è chi bisbiglia che sono un’anoressica. La dottoressa mi ha detto che potrei morire per questo, ma i miei organi non hanno ancora dato segni evidenti di cedimento, perciò penso che posso andare avanti ancora per un po’.

E comunque, non è che io restringa sempre l’alimentazione. Cerco di togliere qualcosa a colazione, ed infine qualcosa a cena. Dormo meglio se vado a letto più leggera, sapete?

Alcuni dei miei colleghi di lavoro hanno notato che sono un po’ pallida e smagrita, ma questo potrebbe dipendere da un sacco di cose, non vuol dire niente. Non sono certo l’unica pallida, in questa palestra. In fin dei conti, non faccio mica del male a nessuno, non do mica noia a nessuno. Non è come se mi mettessi ubriaca al volante e rischiassi di investire qualcuno, non faccio niente di pericoloso.

Questo pomeriggio devo andare a farmi le analisi del sangue. Non penso di averne bisogno, comunque, anche se l’ha detto il dottore. Sono anch’io una studentessa di Medicina, me ne accorgerei se fossi davvero malata. E anche se sono un po’ dimagrita, perciò, so per certo che ora come ora non sono abbastanza malata da averne bisogno. Ho solo fatto la cresta alla colazione, allo spuntino e al pranzo, non è che abbia saltato un pasto in toto, quindi non ho ristretto un granché.

So che dovrei ripensare a come mi sono comportata nei confronti del cibo nei giorni scorsi, ma è difficile. La vita è difficile quando non restringo l’alimentazione, e oggi devo andare all’università e fare tirocinio. Sì, ho decisamente bisogno di restringere un po’ a colazione. Il pranzo me lo porterò dietro da casa, così non dovrò andare a mensa, e gli altri penseranno che comunque mangio qualcosa. Qualche volta potrò avere un piccolo svenimento, ma sarà colpa del caldo, mi riprenderò subito. Se non dovessi riprendermi subito, il tirocinio comunque lo faccio in un Pronto Soccorso. Per cui non potrebbe succedermi niente di male.

Fintanto che mi limito a ridurre le dosi di quello che dovrei mangiare, ci può stare. Non è come se saltassi completamente un pasto. E quindi, non è che io sia proprio malata. Non sono una di quelle donne tutte pelle-e-ossa che si vedono sui libri di medicina sotto la voce “anoressia” e che sembrano proprio giunte ad uno stadio terminale. Non faccio chissà quale attività fisica forsennata per perdere ulteriore peso. Non vomito, e non prendo diuretici né lassativi. Perciò, io non ho veramente un problema.

Ho solo bisogno di mangiare qualcosina di meno, adesso. E non sto facendo nulla di male a nessuno. In fin dei conti, vado a letto ogni sera e mi sveglio ogni mattina. Può capitare che mi senta un po’ debole, ogni tanto, ma che sarà mai prendersi una giornata di ferie da lavoro? Tutti possono stancarsi.

Posso contare solo su me stessa. Quelli che dicevano di essere miei amici si sono tutti allontanati. Va bene, tanto non avrebbero potuto capirmi, avrebbero solo continuato a dirmi che dovevo mangiare un po’ di più. Meglio se non esco più con loro, meglio se sto da sola: così nessuno potrà più fare alcuna osservazione sulla mia alimentazione. Figuriamoci che alcuni di loro erano così preoccupati che mi hanno detto che dovrei parlare con un dottore… non capsico proprio perché. Non sono eccessivamente emaciata, non mi cadono montagne di capelli, la mia pelle non è eccessivamente disidratata, e i miei organi non danno evidenti segni di cedimento. Dunque non sono certo malata abbastanza da aver bisogno di ricorrere ad un medico!

Non svengo in continuazione. Certo, qualche giorno capita, ma solo una volta ho avuto bisogno di andare al Pronto Soccorso. In ogni caso, ho visto ragazze che stanno molto peggio di me: passano giornate in cui mangiano solo una mela e uno yogurt magro, fanno ore ed ore di cyclette, sono in amenorrea da anni, indossano vestiti con taglie da bambine, sembrano scheletri ambulanti, e hanno attacchi di bradicardia tutti i giorni. A me non capita molto spesso di avere bradicardia, il che significa che sto comunque bene. È una perdita di tempo andare dal dottore, perché non sono malata come quelle altre ragazze, me ne preoccuperò se mai dovessi raggiungere quello stadio.

O-ops, sto restringendo l’alimentazione anche stasera a cena. Meglio ridurre solo un pochino, adesso, e poi magari semmai toglierò qualche altra cosina domani. Ma va tutto bene, perché so quello che sto facendo, è tutto sotto controllo e sto bene. Non capisco perché le persone si preoccupino. Non sto mangiando esageratamente poco, va bene anche se mangio così, e comunque ho visto che se mangio così ce la faccio a tirare avanti per tutta la giornata, quindi posso farlo anche domani.



Okay…

Ovviamente stavo scherzando. Questo voleva essere un post ironico, un’estremizzazione.

Ma avete capito qual è il punto?

Immagino che la maggior parte di voi l’avessero già capito. Però, perché quando siamo alle prese con l’anoressia facciamo continuamente discorsi del genere, e ci sembrano normali? Perchè lasciamo che la malattia alteri il nostro standard di ciò che è accettabile/sano e ciò che non lo è? Perché tentiamo di giustificarla, di normalizzarla, e di provare ad essere ancora più malate?
La trappola peggiore dell’anoressia è proprio questa: che ci fa credere di andare bene, di essere normale, ci illude della sua stessa bugia di finzione.

“Non sono malata abbastanza”. Questa frase credo sia storia per ognuna di noi. Certo, ci sarà sempre qualcuna più malata di noi. E quelle persone saranno morte.

venerdì 2 settembre 2011

Turning



Can’t read my, cant’ read my, no you can’t read my poker face… She’s got to love nobody.

La fine e l’inizio, il bacio di due coni.
Io e te. Perché tu sei me, ma io non sono te. Ora l’ho capito. Che tu non puoi esistere senza di me. Ma io ho tutta la capacità di andare avanti senza di te.
I can do better – without you.

Aggiungo “paranoica” alla lista dei miei difetti mentre per la quarta volta riapro la valigia per controllare se ci ho messo tutto. Sì che ci ho messo tutto, sono stata attenta, e poi ho già ampiamente ricontrollato, quindi cos’è quest’ansia che sale e mi spinge a ripassare in rassegna il contenuto del bagaglio ancora una volta? Ci ho messo tutto, avevo fatto un elenco ed ho spuntato tutte le voci, dunque non può mancare niente all’appello. Eppure poggio la valigia a terra e la apro ancora una volta per essere sicura, ma proprio sicura-sicura di aver preso ogni cosa. Passo in rassegna ogni piega, ogni tasca, ogni scomparto e, sì, c’è proprio tutto. Tutto quello che se ne verrà via con me, penso, è adesso contenuto in quella valigia e nel trolley blu che ho già portato in fondo alle scale. Non ho lasciato niente. Faccio per chiudere la valigia, poi però la riapro di nuovo mentre mi scappa un sorriso involontario perché ho improvvisamente capito la vera ragione di quel quarto controllo. Non per vedere se veramente mancasse qualcosa – già lo sapevo che c’era tutto, in fondo – ma per capire. Per capire che ci sono cose che non posso portare con me, perché otto anni di ricordi non si possono in alcun modo stipare in una valigia, e per capire che ci sono cose che non voglio portare con me.
Get out my mouth, get out my head, get out my mind: you’re nothing but trouble.

Per quanto si possa piangere o gridare a squarciagola, nessuno può fare niente per noi. Non esistono i miracoli. Il vento soffia continuamente, perciò la forza per restare in piedi dobbiamo trovarla da sole.

La prima cosa che mi è venuta in mente, e non sono riuscita a trattenere una risata di fronte all’ennesimo paradosso, è che, in fin dei conti, si trattava di due A. Buffo come due cose tanto opposte possano avere anche punti in comune, no?! Una A prima, e poi ancora una A dopo. Due A a scandire. Così diverse, così uguali. Sembra quasi un segno, non so. La prima A l’ho vista bene, per tanti anni, segnapassi costante della mia vita, così imponente e totalizzante che la seconda A è passata a lungo inosservata. Eppure ha saputo farsi strada a poco a poco, così, senza che io me ne rendessi conto. Perché avevo sempre pensato che la prima A fosse la più forte, quindi non mi ero mai neanche posta il dubbio che potesse esistere qualcosa in grado di contrastarla. Tuttavia, le cose sono lentamente cambiate, dal momento in cui è arrivata la seconda A. E allora, qual è veramente la A più forte? Prima ero sicura di conoscere la risposta. Adesso non ho nemmeno più voglia di pormi la domanda.

E’ umano amare facilmente, vero? Ma lo è altrettanto odiare.

Io sono forte, così pensavo. Così pensavo quando la prima A era l’unica costituente della mia vita. Io sono forte. Non sono una di quelle ragazze deboli che hanno bisogno di essere protette. Io non ho bisogno dell’aiuto di nessuno. Io sono forte. Me la sono cavata sempre da sola. E continuerò a farlo. Proprio così. Non ho bisogno di niente e nessuno.
Avevo la mia A, quindi non avevo bisogno di nient’altro. Bastavo a me stessa.

Ormai valigia e trolley stanno fuori dalla porta: devo solo chiudere a doppia mandata e lasciare le chiavi dietro il vaso di fiori, come da accordi. Poi prenderò l’auto e partirò. Ho fatto un conteggio approssimato, ci sto dentro coi tempi, avevamo detto a mezzogiorno, adesso sono le undici, in un’ora dovrei farcela benissimo, traffico permettendo. E chi se ne frega se il limite di velocità in autostrada è 130 Km/h… quando mai sono stata dentro al limite? Nient’altro da fare, dunque: solo chiudere la porta, caricare i bagagli in macchina, ed andare. Eppure esito ancora. Esito ancora e lancio un’ultima occhiata al corridoio spoglio, alle sue pareti bianche. Ho preso quello che mi serviva, ho messo a posto tutto il resto. Non sembra neanche più l’appartamento in cui ho abitato negli ultimi otto anni, adesso è tutto asettico, non si scorgono tracce di me. Mi mancherà nonostante tutto, mi mancherà anche se non era veramente mio, perché col tempo avevo comunque finito per abituarmici, perché in otto anni succedono tante cose, e perché la mia vita è cambiata tanto negli ultimi otto anni. E negli ultimi otto anni io ero lì, abitavo in quell’appartamento, e ogni mese, ogni settimana, ogni giorno lo trovo scandito in quelle pareti ormai spoglie ed in quell’ordine che non mi appartiene. Forse è normale esitare, è normale provare nostalgia nei confronti del posto in cui si è vissuto per un po’. Ma ora è tempo di essere nuova immagine. Chiudo la porta, giro la chiave. Do le spalle al passato. Mi incammino verso il futuro. Se voglio diventare più forte, è arrivato il momento di svegliarmi.

I was close to a fall line, heaven knows, you found me in time. Was it real? Now I feel like I'm never coming down.

Ti ricordi com’era all’inizio, quando ci siamo conosciuti, al 3° anno di università? Tu che cercavi di attaccare discorso, e io che piazzavo lo zaino sulla sedia di destra e il fonendo su quella di sinistra, affinché non ti sedessi accanto a me. Chissà cos’hai pensato di me, in quel periodo. Di certo devi aver pensato che non avevo alcuna intenzione di fare amicizia con te. Del resto, un giorno te lo dissi anche esplicitamente di andare a rompere da qualche altra parte. Eppure, che strano, non ti sei dato per vinto. Forse è per questo che, col tempo, sei riuscito a cambiarmi. Senza volerlo, poco a poco sono entrata in una nuova misura. Senza volerlo, poco a poco mi sono voltata verso di te. Non è vero che non volessi fare amicizia con te… la verità è che era solo alla prima A che non piacevi. La verità è fino a quel momento la prima A era stata la mia unica amica, e perciò avevo paura di fare amicizia con te. Non riuscivo a sostenere il tuo sguardo non perché non volessi avere a che fare con te, ma perché avevo come l’impressione che tu potessi leggermi dentro. E questo non potevo permetterlo. Non ancora.

“Sai cos’è in realtà la debolezza? E’ dire subito non ci riesco. In realtà non è vero che non ci riesci, la verità è che non ci provi neanche. Non si può dire che non si riesce a fare una cosa se non si prova a farla. Se vuoi diventare più forte, invece di scappare, accetta ogni sfida e combatti fino all’ultimo”.

Le persone non amano facilmente. E altrettanto difficilmente odiano.
Voglio credere in te… per favore, posso crederti almeno un po’?

Sono arrivata per prima, ma fortunatamente l’attesa non è troppo lunga: in capo a 10 minuti lo vedo che sbuca dall’angolo della strada e tenta di salutarmi con un cenno della testa, visto che ha entrambe le mani impegnate da due ingombranti valige. Mi raggiunge, mentre io mi frugo in tasca alla ricerca delle chiavi del portone, e sono così eccitata che quasi me le faccio scivolare di mano. Il nome della via, il numero civico, il portone: la mia nuova casa. La mia nuova avventura. La mia nuova sfida. Che stavolta non devo affrontare da sola, però, perché il mio migliore amico è qui accanto a me. Perché questo nuovo appartamento, questa casa in cui abiteremo da ora in poi, l’abbiamo affittata insieme. E mi viene in mente quel film, e mi tornano in mente quelle parole, quelle stesse parole che vorrei dire mentre fisso il portone di fronte a me: se tu abitassi qui, ora saresti a casa. Cerco di tenere ferma la mano mentre giro la chiave nella toppa: non voglio che lui possa leggere la mia emozione, non mi piace mettere a nudo quello che ho dentro. “Io sono forte e sto bene da sola” ho pensato per molto tempo. Però… in realtà… ho sempre voluto un po’ più di coraggio. Il coraggio di aspettare l’alba senza fuggire. Il coraggio di affrontare la vita. Il coraggio di credere e contare su qualcuno. L’ho sempre voluto. Ma avevo paura che mi dicessero che non avevano bisogno di me, perciò dovevo pensare “Io sono forte”. Tuttavia in realtà volevo che la Veggie che vive dentro di me si accorgesse della propria debolezza, e che smettesse di fingere di essere forte e coraggiosa.
Perciò, per favore… non mi lasciare sola adesso. Adesso che abito qui con te. E, perciò, adesso che sono a casa.

Tell me how you’ve never felt.

La nostra nuova abitazione. Abbiamo lasciato i bagagli alla rinfusa nel corridoio, e siamo entrati in soggiorno con il timore quasi reverenziale di rompere il silenzio che ci avvolge nella penombra della stanza. Non mi sembra ancora vero che tutto questo stia succedendo sul serio. Non mi sembra ancora vero che questo appartamento al primo piano sarà il posto in cui io ed Alex abiteremo nei prossimi anni. È tutto così bello che non ho parole per descriverlo. È tutto così – come dovrebbe essere. Io ho sempre considerato gli altri come dei nemici, per questo non sono mai riuscita a mostrare a nessuno i miei punti deboli. Per questo ho scelto la mia prima A, l’Anoressia. Perché, in fin dei conti, ho sempre provato una paura fortissima ed inarginabile, ed in qualche modo dovevo porle un contenitore, trovare un modo per controllarla. Ho scelto l’anoressia, e a poco a poco mi sono dannata, sotto i piedi un oceano senza fondo. In tanti allora – medici, psichiatri, psicologi, dietisti – hanno cercato di prendersi cura di me, affinché non cadessi in quell’oceano, e io mi sono spesso augurata di precipitarvi dentro, di affondare e di svanire nel nulla. Ho sempre detestato la mia incapacità di fidarmi degli altri… e di me stessa. E mi detesto perché spesso, per eccesso di paura, ferisco chi mi circonda. Del resto, mi dicevo, anche gli altri la pensano così, no?! Anche loro mi detestano, giusto?! Ma io sono forte, non ho bisogno di loro e non ho alcuna intenzione di arrendermi, in fin dei conti ho l’anoressia. Però poi è arrivata la seconda A, l’Amicizia. E tu, Alex, tu mi hai detto che non vuoi che io me ne vada. Hai detto “no”? Non vuoi vedermi scomparire? Io e te, adesso, in mezzo al soggiorno del nostro nuovo alloggio. Non vuoi vedermi scomparire? Dunque posso davvero restare qui? Ho davvero il diritto di continuare a vivere, in questa casa con te? Perché è qui che voglio restare.

Accettare i miei limiti è il primo passo che devo fare se voglio diventare più forte. Perché sono arrivata all’estremo, e mi sono rialzata. Non c’è spazio per l’autocommiserazione, ma solo per l’azione. Perché quando tutto è perduto, è allora che si progredisce.

Quasi come se ci fossimo letti nel pensiero, allunghiamo entrambi la mano e le nostre dita s’incontrano e s’intrecciano. Sei tu quello che stringe più forte, e mi viene da sorridere perché avevo pensato di essere io quella più nervosa e tu quello più saldo – tu sarai la forza mia – ma forse le cose non stanno proprio così. Siamo emozionati tutti e due, ecco cosa. E tu ti volti verso di me e mi sorridi mentre mi stringi forte la mano. Quando mi sorridi… quel tuo sorriso vorrei preservarlo per sempre. Starting from here. Cerchiamo di costruire qualcosa insieme. Perché la nostra amicizia, nel bene e nel male, è più forte di qualsiasi ostacolo che la vita potrà mai pararci di fronte.

Anche oggi, come sempre, arriverà la notte. Ma con Alex al mio fianco, ormai non ho più paura. Grazie alla nostra amicizia, ormai non ho più paura. Non ho più paura. Voglio vivere molte cose. La luce è dentro di me.

Le valige piazzate ognuno nella propria cameretta, adesso stiamo seduti sul divano del soggiorno. Una volta tanto, non c’è bisogno di parlare. I nostri occhi dicono già tutto. Questo è l’inizio. Questa è una nuova strada che si apre. La fine e l’inizio, il bacio di due coni. E si (ri)comincia da qui. Con una sola A, la seconda. Insieme.
“Alex, ehi, Alex!”
“Dimmi”
“Indovina chi vorrei essere in questo momento, più di ogni altra persona al mondo?”
“Chi vorresti essere?”
“Me stessa”



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