martedì 26 ottobre 2010
"Io STARO' meglio"
Ho trovato un post su un blog, che penso sia veramente rassicurante. In questo post, l’autrice narra come è riuscita a combattere la sua “profonda, nera apatia” dopo la morte della sua unica figlia. Questa donna, che ha sofferto di depressione per anni ed anni, scrive:
“[…]… Ricordo che mi sentivo così quando ho cominciato ad uscire dal periodo più buio della mia depressione, nel 2007, e talvolta mi sento così tutt’oggi mentre combatto con la mia testa per lasciarmi alle spalle la depressione, allontanandomi dal buco nero della sconsolazione. Quando sento che la depressione minaccia di riafferrarmi, cerco immediatamente di reagire: accetto ogni invito ad uscire da parte delle mie amiche, mi obbligo letteralmente ad uscire di casa. Questo perché mi sono resa conto che, quando sei sprofondata nel buco nero, non desideri altro che isolarti dal resto del mondo e scomparire. Per questo parte della chiave nella battaglia contro la depressione sta proprio nel mantenere le connessioni con gli amici, i vicini di casa, la famiglia, i colleghi di lavoro, i compagni di studio. L’altra cosa che faccio quando sent oil forte desiderio di abbandonarmi di nuovo alla depressione, è ripetere a me stessa una frase, tante volte quante ne ho bisogno: “Io starò meglio”. Mia zia, che pure ha avuto un collasso nervoso quando aveva 35 anni, mi ha detto di continuare a ripeterlo fino a che non inizio a crederci veramente. […]"
(Citazione autorizzata dall’autrice del post, che ringrazio tantissimo)
Penso che queste parole siano in grado di fornire validi spunti anche a chiunque stia combattendo contro l’anoressia. Sembrerebbe abbastanza ovvio il dire: se adesso stai restringendo l’alimentazione, comincia a mangiare di nuovo regolarmente. Questo, tuttavia, non è che l’aspetto più superficiale del percorso di ricovero, e non è comunque così intuitivo e semplice per chiunque abbia un DCA. Il nostro impulso naturale, infatti, è quello di continuare a restringere, a fare esercizio fisico eccessivo, ad evitare, a cercare di celare al resto del mondo quel che stiamo facendo, a controllare con pugno di ferro tutto quel che facciamo e diciamo.
È ovviamente necessario ricordare che i nostri impulsi naturali sono quelli che, in tale ambito, ci mettono nei guai peggiorando ulteriormente la situazione. Perciò penso che non siate sorprese se vi dico che è necessario (almeno temporaneamente) ignorare i nostri impulsi naturali mentre ci accingiamo a percorrere la strada del ricovero.
Lavorando in una palestra, capita che facciamo delle cene in pizzeria, per esempio per festeggiare l’esito positivo di una gara. Sebbene l’abbia fatto diverse volte, tuttora il mangiare con gli altri mi fa strano. Nel piano dell’anoressia, quando mangiavo cercavo di restringere, e comunque non mi sentivo osservata. Quando mangio con i miei colleghi, invece, devo semplicemente sedermi e consumare quello che ho nel piatto. E mi fa strano.
A dire il vero, nei primi tempi è stato estremamente difficile per me. Mi sono dovuta obbligare ad andare in pizzeria con loro. E se sono riuscita a farcela, è stato solo perché non volevo far vedere ai miei colleghi quando stessi combattendo interiormente, non volendo che sapessero della mia anoressia. Più che altro, mi spaventava l’idea che ci fosse qualcosa che non potessi controllare. Anche ora trovo difficoltà, ma sto provando a superarle… e non è esattamente una passeggiata. Aprire questa porta è estremamente difficile.
Quando vedo una gelateria ed è l’ora della merenda (e il gelato è quello che il mio “equilibrio alimentare” prevede per lo spuntino di metà pomeriggio), il primo pensiero che mi balza sempre in testa è: “Non ce la posso fare a mangiare questo gelato anche oggi. Non voglio”. Tuttavia, mi obbligo a farlo. Cerco di tacitare quella vocina, respiro a fondo, trattengo il fiato e mi butto: entro nella gelateria.
Lo so, in entrambi i casi il mio comportamento è innaturale. Ma credo che molte di noi abbiano avuto comportamenti innaturali anche ben prima dell’esordio dell’anoressia (difficoltà nel chiedere aiuto agli altri, difficoltà nel valicare le proprie opinioni, scarsa autostima, difficoltà ad accettare il cambiamento, etc…), ed io sono stata pienamente dentro l’anoressia per così tanto tempo che è stata l’anoressia stessa a diventarmi naturale. L’anoressia è il mio istinto viscerale, non in termini di cibo o di peso, quanto soprattutto in termini di stile di vita; perciò l’idea è quella di elaborare un nuovo e migliore (!) istinto viscerale, uno che giochi in mio favore piuttosto che guidarmi verso l’autodistruzione anoressica.
Per il momento, ovviamente, l’istinto rimane profondo sebbene cerchi di non utilizzarlo. Lavorandoci sopra col raziocinio, cerco di rendere quest’istinto una cosa non più istintiva. E cerco di raccogliere l’invito della donna che combatte contro la depressione e quando sento che le cose vanno peggio, ripeto a me stessa: “Io STARO’ meglio. Io STARO’ meglio. Ce la farò. Ce la farò”.
Fatelo anche voi!
P.S.= Domenica 31 Ottobre sarò a Lucca per il "Lucca Comics & Games"... Qualcuna di voi vi andrà??...
“[…]… Ricordo che mi sentivo così quando ho cominciato ad uscire dal periodo più buio della mia depressione, nel 2007, e talvolta mi sento così tutt’oggi mentre combatto con la mia testa per lasciarmi alle spalle la depressione, allontanandomi dal buco nero della sconsolazione. Quando sento che la depressione minaccia di riafferrarmi, cerco immediatamente di reagire: accetto ogni invito ad uscire da parte delle mie amiche, mi obbligo letteralmente ad uscire di casa. Questo perché mi sono resa conto che, quando sei sprofondata nel buco nero, non desideri altro che isolarti dal resto del mondo e scomparire. Per questo parte della chiave nella battaglia contro la depressione sta proprio nel mantenere le connessioni con gli amici, i vicini di casa, la famiglia, i colleghi di lavoro, i compagni di studio. L’altra cosa che faccio quando sent oil forte desiderio di abbandonarmi di nuovo alla depressione, è ripetere a me stessa una frase, tante volte quante ne ho bisogno: “Io starò meglio”. Mia zia, che pure ha avuto un collasso nervoso quando aveva 35 anni, mi ha detto di continuare a ripeterlo fino a che non inizio a crederci veramente. […]"
(Citazione autorizzata dall’autrice del post, che ringrazio tantissimo)
Penso che queste parole siano in grado di fornire validi spunti anche a chiunque stia combattendo contro l’anoressia. Sembrerebbe abbastanza ovvio il dire: se adesso stai restringendo l’alimentazione, comincia a mangiare di nuovo regolarmente. Questo, tuttavia, non è che l’aspetto più superficiale del percorso di ricovero, e non è comunque così intuitivo e semplice per chiunque abbia un DCA. Il nostro impulso naturale, infatti, è quello di continuare a restringere, a fare esercizio fisico eccessivo, ad evitare, a cercare di celare al resto del mondo quel che stiamo facendo, a controllare con pugno di ferro tutto quel che facciamo e diciamo.
È ovviamente necessario ricordare che i nostri impulsi naturali sono quelli che, in tale ambito, ci mettono nei guai peggiorando ulteriormente la situazione. Perciò penso che non siate sorprese se vi dico che è necessario (almeno temporaneamente) ignorare i nostri impulsi naturali mentre ci accingiamo a percorrere la strada del ricovero.
Lavorando in una palestra, capita che facciamo delle cene in pizzeria, per esempio per festeggiare l’esito positivo di una gara. Sebbene l’abbia fatto diverse volte, tuttora il mangiare con gli altri mi fa strano. Nel piano dell’anoressia, quando mangiavo cercavo di restringere, e comunque non mi sentivo osservata. Quando mangio con i miei colleghi, invece, devo semplicemente sedermi e consumare quello che ho nel piatto. E mi fa strano.
A dire il vero, nei primi tempi è stato estremamente difficile per me. Mi sono dovuta obbligare ad andare in pizzeria con loro. E se sono riuscita a farcela, è stato solo perché non volevo far vedere ai miei colleghi quando stessi combattendo interiormente, non volendo che sapessero della mia anoressia. Più che altro, mi spaventava l’idea che ci fosse qualcosa che non potessi controllare. Anche ora trovo difficoltà, ma sto provando a superarle… e non è esattamente una passeggiata. Aprire questa porta è estremamente difficile.
Quando vedo una gelateria ed è l’ora della merenda (e il gelato è quello che il mio “equilibrio alimentare” prevede per lo spuntino di metà pomeriggio), il primo pensiero che mi balza sempre in testa è: “Non ce la posso fare a mangiare questo gelato anche oggi. Non voglio”. Tuttavia, mi obbligo a farlo. Cerco di tacitare quella vocina, respiro a fondo, trattengo il fiato e mi butto: entro nella gelateria.
Lo so, in entrambi i casi il mio comportamento è innaturale. Ma credo che molte di noi abbiano avuto comportamenti innaturali anche ben prima dell’esordio dell’anoressia (difficoltà nel chiedere aiuto agli altri, difficoltà nel valicare le proprie opinioni, scarsa autostima, difficoltà ad accettare il cambiamento, etc…), ed io sono stata pienamente dentro l’anoressia per così tanto tempo che è stata l’anoressia stessa a diventarmi naturale. L’anoressia è il mio istinto viscerale, non in termini di cibo o di peso, quanto soprattutto in termini di stile di vita; perciò l’idea è quella di elaborare un nuovo e migliore (!) istinto viscerale, uno che giochi in mio favore piuttosto che guidarmi verso l’autodistruzione anoressica.
Per il momento, ovviamente, l’istinto rimane profondo sebbene cerchi di non utilizzarlo. Lavorandoci sopra col raziocinio, cerco di rendere quest’istinto una cosa non più istintiva. E cerco di raccogliere l’invito della donna che combatte contro la depressione e quando sento che le cose vanno peggio, ripeto a me stessa: “Io STARO’ meglio. Io STARO’ meglio. Ce la farò. Ce la farò”.
Fatelo anche voi!
P.S.= Domenica 31 Ottobre sarò a Lucca per il "Lucca Comics & Games"... Qualcuna di voi vi andrà??...
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giovedì 21 ottobre 2010
Planning dei pasti
Penso che una delle difficoltà del percorso di ricovero dall’anoressia non sia semplicemente ricominciare a mangiare, quanto piuttosto adottare un’alimentazione regolare, bilanciata ed equilibrata. Pur avendo un “equilibrio alimentare” da seguire, le cose possono farsi complicate soprattutto quando, per esempio per lavoro o per studio, capita di doversi trattenere a mangiare fuori da casa. In queste situazioni, il pensiero si focalizza sul cibo e l’anoressia minaccia di averla vinta: è più facile ricadere nella restrizione, o nel mangiare sempre le solite due o tre cose che si trovano più tranquillizzanti. Non è che un modo per lenire l’ansia verso l’alimentazione.
Fare un planning dei pasti può essere dunque utile per evitare l’ansia di dover mangiare fuori da casa, evitare di avere la sensazione di perdita di controllo, e garantire al nostro corpo cibo adeguato quantitativamente e qualitativamente. Ovviamente può essere necessario avere una certa flessibilità, ma organizzare i pasti in anticipo può essere davvero utile per evitare ricadute.
Dunque, qualche dritta su come poter fare un planning dei pasti.
(Magari potete parlarne anche con la vostra dietista affinché vi possa dare una mano nell’organizzazione…)
Batch cooking. Questo può essere utile per chi lavora o studia e deve quindi pranzare fuori da casa dal Lunedì al Venerdì. Il Sabato e la Domenica, fate un planning dei pasti per tutta la settimana. Magari dandovi più alternative, e alternando i nutrienti. La varietà non sarà eccezionale, ma può funzionare. Preparando i pasti la Domenica per tutta la settimana, sarete sicure di alimentarvi in maniera corretta, e non vi sottoporrete ogni sera allo stress di dover pensare e darvi da fare per preparare qualcosa per il giorno dopo. Potete mettere i “pacchetti” che preparate nel freezer, e tirarli fuori giorno dopo giorno. È molto pratico e molto tranquillizzante, dato che avete preparato già tutto a monte.
Planning della notte prima. Per alcune di voi, probabilmente, la cosa più difficile non è tanto il mangiare in sé per sé, quanto il decidere cosa mangiare. Perciò, ritagliarsi un momento ben definito in cui prendere questa decisione – per esempio dalle 22 alle 22.30 del giorno prima – vi permette di non focalizzarvi su questo pensiero per tutta la restante parte della giornata. Sapendo di avere infatti una mezz’ora da dedicare unicamente al pensiero del cibo, durante il giorno potrete rimanere calme e concentrate su quello che avete da fare. Questo, peraltro, vi permetterà di decidere sulla vostra alimentazione in maniera più oculata, perché non dovrete affrontare in contempo il problema di che cosa mangiare, e il problema di mangiare in sé per sé.
Deal meal. Fatevi una lista di tutte le possibili opzioni riguardo a ciò che potreste mangiare a colazione/spuntini/pranzo/cena, e di volta in volta scegliete l’opzione che vi va di più sul momento. Così avrete diverse possibilità, equivalenti da un punto di vista nutrizionale, tra le quali potervi barcamenare. Per esempio, per il secondo piatto del pranzo potreste scegliere tra carne, uova, pesce o formaggio. Cose di questo tipo. In questo modo, non avrete un’estrema rigidità nella scelta di che cosa poter mangiare. Potrete scegliere tra una delle opzioni possibili, garantendo varietà alla vostra alimentazione.
E voi, quali planning dei pasti utilizzate, che vi aiutano a mantenervi sulla strada del ricovero? Avete trovato qualcosa di particolarmente utile? O viceversa, avete da mettere in guardia su qualcosa di particolarmente inutile che può accentuare il rischio di ricadute?
Fare un planning dei pasti può essere dunque utile per evitare l’ansia di dover mangiare fuori da casa, evitare di avere la sensazione di perdita di controllo, e garantire al nostro corpo cibo adeguato quantitativamente e qualitativamente. Ovviamente può essere necessario avere una certa flessibilità, ma organizzare i pasti in anticipo può essere davvero utile per evitare ricadute.
Dunque, qualche dritta su come poter fare un planning dei pasti.
(Magari potete parlarne anche con la vostra dietista affinché vi possa dare una mano nell’organizzazione…)
Batch cooking. Questo può essere utile per chi lavora o studia e deve quindi pranzare fuori da casa dal Lunedì al Venerdì. Il Sabato e la Domenica, fate un planning dei pasti per tutta la settimana. Magari dandovi più alternative, e alternando i nutrienti. La varietà non sarà eccezionale, ma può funzionare. Preparando i pasti la Domenica per tutta la settimana, sarete sicure di alimentarvi in maniera corretta, e non vi sottoporrete ogni sera allo stress di dover pensare e darvi da fare per preparare qualcosa per il giorno dopo. Potete mettere i “pacchetti” che preparate nel freezer, e tirarli fuori giorno dopo giorno. È molto pratico e molto tranquillizzante, dato che avete preparato già tutto a monte.
Planning della notte prima. Per alcune di voi, probabilmente, la cosa più difficile non è tanto il mangiare in sé per sé, quanto il decidere cosa mangiare. Perciò, ritagliarsi un momento ben definito in cui prendere questa decisione – per esempio dalle 22 alle 22.30 del giorno prima – vi permette di non focalizzarvi su questo pensiero per tutta la restante parte della giornata. Sapendo di avere infatti una mezz’ora da dedicare unicamente al pensiero del cibo, durante il giorno potrete rimanere calme e concentrate su quello che avete da fare. Questo, peraltro, vi permetterà di decidere sulla vostra alimentazione in maniera più oculata, perché non dovrete affrontare in contempo il problema di che cosa mangiare, e il problema di mangiare in sé per sé.
Deal meal. Fatevi una lista di tutte le possibili opzioni riguardo a ciò che potreste mangiare a colazione/spuntini/pranzo/cena, e di volta in volta scegliete l’opzione che vi va di più sul momento. Così avrete diverse possibilità, equivalenti da un punto di vista nutrizionale, tra le quali potervi barcamenare. Per esempio, per il secondo piatto del pranzo potreste scegliere tra carne, uova, pesce o formaggio. Cose di questo tipo. In questo modo, non avrete un’estrema rigidità nella scelta di che cosa poter mangiare. Potrete scegliere tra una delle opzioni possibili, garantendo varietà alla vostra alimentazione.
E voi, quali planning dei pasti utilizzate, che vi aiutano a mantenervi sulla strada del ricovero? Avete trovato qualcosa di particolarmente utile? O viceversa, avete da mettere in guardia su qualcosa di particolarmente inutile che può accentuare il rischio di ricadute?
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sabato 16 ottobre 2010
Ricovero in blu e violetto
"Chi può disegnare in un arcobaleno la linea che demarca la fine della tinta blu e l'inizio di quella violetto? Noi vediamo in maniera distinta i due colori, ma dove, esattamente, l'uno blenda nell'altro? E lo stesso vale per il sano e il patologico"
H. Melville, "Billy Budd"
E lo stesso vale anche per l'anoressia e la strada del ricovero. "Da quanto tempo stai percorrendo la strada del ricovero?" mi viene chiesto. Non lo so esattamente. In realtà non so esattamente neanche quando sono scivolata nell'anoressia. Ricordo quando ho cominciato a restringere l'alimentazione. Ricordo quando sono stata ricoverata in clinica per la prima volta, e poi le 4 volte successive. Ricordo quando ho messo piede nello studio di una dietista. Ma non ricordo con precisione quando sono entrata nell'anoressia. Credo sia perchè questo è successo gradualmente - restringere molto lentamente i quantitativi di ogni tipo di alimento, e alla fine mi sono ritrovata a XX chili.
Lo stesso riscorso vale per il ricovero. Sì, certo, c'è stato un momento, circa 2 anni fa, in cui ho timidamente accettato la necessità di riprendere peso per tornare al mio standard fisiologico. E c'è stato un momento, non molto tempo fa, in cui questo è successo. Queste possono essere considerate "pietre miliari" del percorso, ma non dicono molto sui miei progressi effettivi nel percorrere la strada del ricovero. Dopotutto, anche in passato c'erano stati momenti in cui, sotto la guida della dietista, avevo ripreso peso, per poi perderlo nuovamente causa ricadute. Tuttavia, più a lungo ci si mantiene sulla strada del ricovero, più si può notare una (molto) lenta attenuazione dei pensieri e dei comportamenti strettamente legati all'anoressia. Si comincia a rispettare le dosi prescritte dall' "equilibrio alimentare" anche se nessuno ci sta col fiato sul collo, si fa esercizio fisico in maniera meno compulsiva, si smette di fare checking, si riesce a sfruttare meglio la psicoterapia. E questo sebbene magari possano rimanere ancora molti aspetti legati al DCA: la paura dei pasti "non pianificati", la difficoltà a mostrare il proprio corpo, e così via.
Se invece guardo a circa 2 anni fa (quando ho finalmente deciso d'intraprendere sul serio la strada del ricovero) e confronto questi ultimi 2 anni con gli 8 - 9 precedenti, riesco a vedere spiccate differenze. Se quello di adesso è il violetto, quello di prima era indubbiamente il blu. Colori diversi, ovvio. Ma dov'è che il blu è diventato violetto? Questo non riesco ad identificarlo con chiarezza.
Non credo abbia molta importanza, del resto. Quel che conta è che la transizione sia avvenuta. E forse la strada del ricovero non è soltanto un "colore", ma il blendaggio di diversi colori man mano che ci si sposta dall'anoressia verso la vita.
H. Melville, "Billy Budd"
E lo stesso vale anche per l'anoressia e la strada del ricovero. "Da quanto tempo stai percorrendo la strada del ricovero?" mi viene chiesto. Non lo so esattamente. In realtà non so esattamente neanche quando sono scivolata nell'anoressia. Ricordo quando ho cominciato a restringere l'alimentazione. Ricordo quando sono stata ricoverata in clinica per la prima volta, e poi le 4 volte successive. Ricordo quando ho messo piede nello studio di una dietista. Ma non ricordo con precisione quando sono entrata nell'anoressia. Credo sia perchè questo è successo gradualmente - restringere molto lentamente i quantitativi di ogni tipo di alimento, e alla fine mi sono ritrovata a XX chili.
Lo stesso riscorso vale per il ricovero. Sì, certo, c'è stato un momento, circa 2 anni fa, in cui ho timidamente accettato la necessità di riprendere peso per tornare al mio standard fisiologico. E c'è stato un momento, non molto tempo fa, in cui questo è successo. Queste possono essere considerate "pietre miliari" del percorso, ma non dicono molto sui miei progressi effettivi nel percorrere la strada del ricovero. Dopotutto, anche in passato c'erano stati momenti in cui, sotto la guida della dietista, avevo ripreso peso, per poi perderlo nuovamente causa ricadute. Tuttavia, più a lungo ci si mantiene sulla strada del ricovero, più si può notare una (molto) lenta attenuazione dei pensieri e dei comportamenti strettamente legati all'anoressia. Si comincia a rispettare le dosi prescritte dall' "equilibrio alimentare" anche se nessuno ci sta col fiato sul collo, si fa esercizio fisico in maniera meno compulsiva, si smette di fare checking, si riesce a sfruttare meglio la psicoterapia. E questo sebbene magari possano rimanere ancora molti aspetti legati al DCA: la paura dei pasti "non pianificati", la difficoltà a mostrare il proprio corpo, e così via.
Se invece guardo a circa 2 anni fa (quando ho finalmente deciso d'intraprendere sul serio la strada del ricovero) e confronto questi ultimi 2 anni con gli 8 - 9 precedenti, riesco a vedere spiccate differenze. Se quello di adesso è il violetto, quello di prima era indubbiamente il blu. Colori diversi, ovvio. Ma dov'è che il blu è diventato violetto? Questo non riesco ad identificarlo con chiarezza.
Non credo abbia molta importanza, del resto. Quel che conta è che la transizione sia avvenuta. E forse la strada del ricovero non è soltanto un "colore", ma il blendaggio di diversi colori man mano che ci si sposta dall'anoressia verso la vita.
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lunedì 11 ottobre 2010
Domanda #18: Normale VS Normalità
La domanda di oggi è quella di Kia, che mi chiede:
“Dopo tanti anni di anoressia, ho iniziato una psicoterapia in un centro per persone che hanno DCA. Mi chiedo però quanto tempo ci vorrà affinché la mia vita torni ad essere di nuovo normale. Quand’è che la mia vita smetterà di essere regolata da un disturbo alimentare? Quando comincerò a sentirmi di nuovo normale?”
Quel che si definisce “normale”, come si suol dire, è relativo. Io credo che questa parola – “normale” – dovrebbe essere cancellata dal vocabolario. “Normale”, per me, è al più il settaggio su cui si può impostare la lavatrice quando si va a fare il bucato. Di certo, io non sono “normale” – non sono neanche sicura di essere psicologicamente capace di essere “normale”. Ma va bene anche così. Continuo a cercare di essere “normale”, qualsiasi cosa questa parola possa significare. Anche perché, oggettivamente, cosa è “normale”? Niente, nessuno lo è. Ognuno usa le proprie regole per definire la realtà circostante, e poiché ognuno ha i propri criteri di valutazione e di percezione, ritengo sia impossibile stabilire un criterio assoluto su ciò che può essere etichettato come “normale”.
Io credo che essere “normale” non è quello che esattamente vogliamo. Non vogliamo in effetti una vita “normale”. Più che altro, io credo che vogliamo un senso di “normalità” nelle nostre vite.
Penso che pure la definizione di “normalità” sia variabile di persona in persona ma che, in generale, chi ha vissuto (e vive) l’anoressia, con questo termine intendo indicare la scomparsa della sensazione che la propria vita sia completamente preda dell’anoressia e di tutte le sue ossessioni; nel senso di vivere una vita autentica, piuttosto che essere ossessionata dalle bugie che l’anoressia racconta.
Certo, credo sia impossibile guardarsi intorno e pensare: “Accipicchia, questa è proprio la vita che desideravo vivere!”. Però è possibile non stare 24 ore su 24 a farci ossessionare dai ricorrenti pensieri tipici del DCA, cercando di fare in modo di prenderci cura di noi stesse e tentando di fare quelle cose che possono permetterci di tornare a vivere davvero. Poiché con l’anoressia non si vive, al più, si sopravvive. Ovviamente, tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare, ovvero quella piccola cosa fastidiosa chiamata “realtà”. Tuttavia, la normalità nella nostra vita aumenta man mano che si va avanti sulla strada del ricovero e ci si rende conto di quanto, in precedenza, l’anoressia regolava tutti i nostri pensieri e le nostre azioni.
Uno dei maggiori vantaggi di questo viraggio verso la normalità è la consapevolezza che non c’è più bisogno di trincearci in un mare di bugie per giustificare agli occhi degli altri il nostro comportamento. La normalità non è il fare quello che fanno gli altri, l’adeguarsi ai canoni, ma semplicemente lasciando il DCA alle spalle ci si può sentire più libere, meno ossessionate da certi pensieri. Normalità significa fare sport senza pensare al dispendio energetico, andare al mare mettendosi in costume, rilassarsi facendo un giro in centro chiacchierando con le amiche. Quando si è all’inizio di un percorso di ricovero si tende sempre a pensare che non rivedremo più la normalità… ma andando avanti, anche senza che noi ce ne accorgiamo sarà essa stessa a scivolare a poco a poco nelle nostre vite.
No, Kia, molto probabilmente non sarai mai “normale”. Così come molto probabilmente anch’io non sarò mai “normale”, così come nessuna di noi lo sarà, ma percorrendo la strada del ricovero è possibile cominciare a trovare sprazzi di normalità.
“Dopo tanti anni di anoressia, ho iniziato una psicoterapia in un centro per persone che hanno DCA. Mi chiedo però quanto tempo ci vorrà affinché la mia vita torni ad essere di nuovo normale. Quand’è che la mia vita smetterà di essere regolata da un disturbo alimentare? Quando comincerò a sentirmi di nuovo normale?”
Quel che si definisce “normale”, come si suol dire, è relativo. Io credo che questa parola – “normale” – dovrebbe essere cancellata dal vocabolario. “Normale”, per me, è al più il settaggio su cui si può impostare la lavatrice quando si va a fare il bucato. Di certo, io non sono “normale” – non sono neanche sicura di essere psicologicamente capace di essere “normale”. Ma va bene anche così. Continuo a cercare di essere “normale”, qualsiasi cosa questa parola possa significare. Anche perché, oggettivamente, cosa è “normale”? Niente, nessuno lo è. Ognuno usa le proprie regole per definire la realtà circostante, e poiché ognuno ha i propri criteri di valutazione e di percezione, ritengo sia impossibile stabilire un criterio assoluto su ciò che può essere etichettato come “normale”.
Io credo che essere “normale” non è quello che esattamente vogliamo. Non vogliamo in effetti una vita “normale”. Più che altro, io credo che vogliamo un senso di “normalità” nelle nostre vite.
Penso che pure la definizione di “normalità” sia variabile di persona in persona ma che, in generale, chi ha vissuto (e vive) l’anoressia, con questo termine intendo indicare la scomparsa della sensazione che la propria vita sia completamente preda dell’anoressia e di tutte le sue ossessioni; nel senso di vivere una vita autentica, piuttosto che essere ossessionata dalle bugie che l’anoressia racconta.
Certo, credo sia impossibile guardarsi intorno e pensare: “Accipicchia, questa è proprio la vita che desideravo vivere!”. Però è possibile non stare 24 ore su 24 a farci ossessionare dai ricorrenti pensieri tipici del DCA, cercando di fare in modo di prenderci cura di noi stesse e tentando di fare quelle cose che possono permetterci di tornare a vivere davvero. Poiché con l’anoressia non si vive, al più, si sopravvive. Ovviamente, tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare, ovvero quella piccola cosa fastidiosa chiamata “realtà”. Tuttavia, la normalità nella nostra vita aumenta man mano che si va avanti sulla strada del ricovero e ci si rende conto di quanto, in precedenza, l’anoressia regolava tutti i nostri pensieri e le nostre azioni.
Uno dei maggiori vantaggi di questo viraggio verso la normalità è la consapevolezza che non c’è più bisogno di trincearci in un mare di bugie per giustificare agli occhi degli altri il nostro comportamento. La normalità non è il fare quello che fanno gli altri, l’adeguarsi ai canoni, ma semplicemente lasciando il DCA alle spalle ci si può sentire più libere, meno ossessionate da certi pensieri. Normalità significa fare sport senza pensare al dispendio energetico, andare al mare mettendosi in costume, rilassarsi facendo un giro in centro chiacchierando con le amiche. Quando si è all’inizio di un percorso di ricovero si tende sempre a pensare che non rivedremo più la normalità… ma andando avanti, anche senza che noi ce ne accorgiamo sarà essa stessa a scivolare a poco a poco nelle nostre vite.
No, Kia, molto probabilmente non sarai mai “normale”. Così come molto probabilmente anch’io non sarò mai “normale”, così come nessuna di noi lo sarà, ma percorrendo la strada del ricovero è possibile cominciare a trovare sprazzi di normalità.
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martedì 5 ottobre 2010
Abbandonare l'idea del "ricovero perfetto"
Quando la mia prima psicoterapeuta m’incontrò, mi disse che iniziando questo percorso non avrei avuto nessun problema, e che sarei semplicemente stata meglio. Non registrai realmente la seconda parte del messaggio, perché ero troppo impegnata a schernire la prima. Penso che quella psicoterapeuta avesse un po’ l’animo della cheerleader dicendomi che avevo un futuro promettente!, che ero intelligente!, che non avevo nessunissima buona ragione per continuare ad essere anoressica!
Al che io le chiesi quale fosse una BUONA ragione per continuare ad essere anoressica. Ci rimase con un palmo di naso, letteralmente a bocca aperta.
Premetto che chiusi quella psicoterapia dopo i primi 5 o 6 incontri. Quella psichiatra non era la persona “giusta per me”. Il problema era che dire a una perfezionista come io ero, che non avrebbe avuto nessun problema nel percorrere la strada del ricovero, non era il modo migliore per assicurare onestà e per dare un’idea realistica di cosa fosse effettivamente percorrere la strada del ricovero. Perché, in questo modo, ogni piccolo errore che avessi fatto l’avrei vissuto come: Lei mi ha detto che non ci sarebbero stati problemi perciò, se ora c’è un problema, vuol dire che io sono incapace di fare questo percorso. Quindi la strada del ricovero non fa per me. Ma allora l’unica strada che fa per me è quella dell’anoressia. Io quindi non avrei dovuto avere problemi – così aveva detto la psichiatra! Ovviamente in realtà il ricovero è ben altro…
Per poter procedere sulla strada del ricovero, occorre innanzitutto abbandonare il perfezionismo nonché l’idea che possa esistere un “ricovero perfetto”. Bisogna sviluppare l’umiltà di mettere tutte le carte sul tavolo e dire a noi stesse: “Ecco, io ora sono questa, e sono qui, a questo punto”. Mettere tutte le carte in tavola significa farlo anche quando capita una mano cattiva, quando cioè quindi è più forte la voglia di bluffare anche con noi stesse, insabbiando le cose che vanno storte. Occorre accettare il fatto che c’è la possibilità di perdere alcuni round e che questo – ed è ciò che ci mette più KO – va bene comunque. Perché essere sconfitte in una battaglia non significa assolutamente aver perso la guerra.
Il “ricovero perfetto” è solo un’illusione. Le ricadute sono all’ordine del giorno, percorrere la strada del ricovero non è una cosa che viene spontanea e naturale, non c’è nessun momento epifanico, nessun click che cambia le cose dall’oggi al domani, nessun impulso improvviso che porta a riacquisire nel giro di poco tempo un normale rapporto col cibo. Non succede così. Per tutto il tempo che si percorrere la strada del ricovero, nella maggior parte dei casi, non si è nemmeno sicure di volerla percorrere.
Eppure la cosa più importante è continuare ad andare avanti, accontentandosi delle piccolo vittorie quotidiane, e non demonizzando le inevitabili ricadute. È così che si può continuare a percorrere la strada del ricovero. È così che si può continuare a camminare. Non in maniera perfetta, ma si va comunque avanti.
P.S.= Ringrazio di cuore tutte coloro che hanno deciso di aderire all'idea del Calendario 2011 del post precedente... Ringrazio quelle che mi hanno già mandato il materiale, e quelle che lo faranno a breve (e non vedo l'ora di avere il tutto per mettermi a lavorarci su... comunque c'è tempo fino al 20 Ottobre, eh!), e chiunque volesse unirsi è caldamente invitata a farlo! C'è spazio per tutte, e più siamo e meglio è, perchè è proprio vero che l'unione fa la forza... anche e soprattutto nel combattere contro l'anoressia!
GRAZIE A TUTTE!! Siete stupende! ^__^
Al che io le chiesi quale fosse una BUONA ragione per continuare ad essere anoressica. Ci rimase con un palmo di naso, letteralmente a bocca aperta.
Premetto che chiusi quella psicoterapia dopo i primi 5 o 6 incontri. Quella psichiatra non era la persona “giusta per me”. Il problema era che dire a una perfezionista come io ero, che non avrebbe avuto nessun problema nel percorrere la strada del ricovero, non era il modo migliore per assicurare onestà e per dare un’idea realistica di cosa fosse effettivamente percorrere la strada del ricovero. Perché, in questo modo, ogni piccolo errore che avessi fatto l’avrei vissuto come: Lei mi ha detto che non ci sarebbero stati problemi perciò, se ora c’è un problema, vuol dire che io sono incapace di fare questo percorso. Quindi la strada del ricovero non fa per me. Ma allora l’unica strada che fa per me è quella dell’anoressia. Io quindi non avrei dovuto avere problemi – così aveva detto la psichiatra! Ovviamente in realtà il ricovero è ben altro…
Per poter procedere sulla strada del ricovero, occorre innanzitutto abbandonare il perfezionismo nonché l’idea che possa esistere un “ricovero perfetto”. Bisogna sviluppare l’umiltà di mettere tutte le carte sul tavolo e dire a noi stesse: “Ecco, io ora sono questa, e sono qui, a questo punto”. Mettere tutte le carte in tavola significa farlo anche quando capita una mano cattiva, quando cioè quindi è più forte la voglia di bluffare anche con noi stesse, insabbiando le cose che vanno storte. Occorre accettare il fatto che c’è la possibilità di perdere alcuni round e che questo – ed è ciò che ci mette più KO – va bene comunque. Perché essere sconfitte in una battaglia non significa assolutamente aver perso la guerra.
Il “ricovero perfetto” è solo un’illusione. Le ricadute sono all’ordine del giorno, percorrere la strada del ricovero non è una cosa che viene spontanea e naturale, non c’è nessun momento epifanico, nessun click che cambia le cose dall’oggi al domani, nessun impulso improvviso che porta a riacquisire nel giro di poco tempo un normale rapporto col cibo. Non succede così. Per tutto il tempo che si percorrere la strada del ricovero, nella maggior parte dei casi, non si è nemmeno sicure di volerla percorrere.
Eppure la cosa più importante è continuare ad andare avanti, accontentandosi delle piccolo vittorie quotidiane, e non demonizzando le inevitabili ricadute. È così che si può continuare a percorrere la strada del ricovero. È così che si può continuare a camminare. Non in maniera perfetta, ma si va comunque avanti.
P.S.= Ringrazio di cuore tutte coloro che hanno deciso di aderire all'idea del Calendario 2011 del post precedente... Ringrazio quelle che mi hanno già mandato il materiale, e quelle che lo faranno a breve (e non vedo l'ora di avere il tutto per mettermi a lavorarci su... comunque c'è tempo fino al 20 Ottobre, eh!), e chiunque volesse unirsi è caldamente invitata a farlo! C'è spazio per tutte, e più siamo e meglio è, perchè è proprio vero che l'unione fa la forza... anche e soprattutto nel combattere contro l'anoressia!
GRAZIE A TUTTE!! Siete stupende! ^__^
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