Come gli alchimisti trasformavano il ferro in oro… voi potete trasformare l’oscurità in luce. Siete tutte benvenute.

venerdì 31 maggio 2013

Quando gli amici non capiscono il tuo DCA

I rapporti con gli amici sono così carichi di emozioni, che spesso rendono impossibile il riuscire a vedere la persona che si ha di fronte in maniera del tutto oggettiva. E, come molte di noi ben sanno, spesso l’anoressia intorbida ancora di più le acqua dell’amicizia.

C’è una bella differenza tra il rimanere a guardare qualcuno che si auto-distrugge, e il provare a supportare una persona che decide di percorrere la strada del ricovero. Il fatto è che è molto difficile per un sacco di gente comprendere un DCA o la lotta contro di esso, per il semplice fatto che non l’hanno provato sulla propria pelle, e quindi non riescono a percepire fino in fondo le mille e poi mille sfumature correlate a queste malattie. È per questo che, in certi casi, capita che gli amici diano una sorta di ultimatum: o ci decidiamo a stare meglio, preservando così l’amicizia, o continuiamo a stare male, e gli amici se ne andranno per la loro strada. Non perché siano persone cattive o perché non ci vogliano bene, ma per il semplice fatto che si trovano posti di fronte ad una situazione che non conoscono, e quindi ad una situazione difficile da gestire, che li fa sentire incapaci di rimanere nel rapporto.

È impossibile far capire ad un amico cosa significhi veramente avere un DCA, perchè si capiace solo quello che si è provato sulla propria pelle, per il resto si può solo provare ad empatizzare; quindi tutto quello che possiamo fare è cercare di spiegarglielo come meglio riusciamo (se proprio dobbiamo), e sperare che la persona che abbiamo di fronte sia abbastanza empatica da comprendere, e sufficientemente supportiva da poterci stare vicino e darci una mano. Molto spesso è l’anoressia stessa che ci spinge ad allontanare tutti gli amici che avevamo, perciò, prima di assecondarla, e prima di guardare agli amici che non capiscono il DCA come a persone che non ci vengono incontro e che quindi non s’interessano di noi, sarebbe opportuno cercare di metterci nei loro panni: non si allontanano perché non ci vogliono bene o perché non vogliono che abbiamo un DCA, ma perché siamo noi stesse a mettere dei paletti, a erigere dei muri, ad essere scostanti nei loro confronti, a trasmettergli la sensazione che non li vogliamo vicini e che l’anoressia la farà da padrona in eterno. Questo è frustrante per chiunque, anche per gli amici che ci vogliono più bene. Inoltre, anche loro ci stanno male se vedono che noi stiamo male, e poiché, come si suol dire, “non guardare e non soffrirai”, per loro può essere emotivamente più facile prendere le distanze. È un loro diritto.

Questo, ovviamente, non significa giustificare gli amici in tutto quello che fanno: può capitare che gli amici abbiano aspettative non realistiche sul nostro percorso di ricovero proprio perché non conoscono adeguatamente l’anoressia, e che se noi non siamo aderenti si allontanino perché non sono più in grado di gestire la situazione. Questo può far star male, ma ciò non significa necessariamente che voi abbiate fatto qualcosa di sbagliato, né che non vi state impegnando abbastanza nel vostro percorso di ricovero.

Un amico non può chiedervi di promettergli che non avrete più comportamenti alimentari erronei, e che non permetterete più alla malattia di avere la meglio su di voi. È vero, molti aspetti della strada del ricovero sono sotto il vostro controllo, ma non tutte le cose della vita lo sono. Nessuna può fare promesse così grosse, anche perché l’amicizia non può essere basata su obiettivi da raggiungere.

Ad ogni modo, se un amico decide di voltarvi le spalle mentre voi siete alle prese con un DCA, è un suo diritto. Non tutti sono in grado di gestire la difficile relazione d’amicizia che si viene a creare con una persona che ha un DCA. Non è colpa loro. Ma non è neanche interamente colpa vostra.

Provate ad immaginare questo. Ci sono un ragazzo ed una ragazza che sono sposati da alcuni anni, stanno bene insieme, e non hanno particolari problemi. Ad un certo punto, a poco a poco la ragazza diventa tossicodipendente, e per il ragazzo diventa difficile gestire la situazione. Ad ogni modo, continua a volerle bene e a supportarla nel suo tentativo di fare a meno della droga giorno dopo giorno. Lei magari chiede aiuto ad un Se.R.T., e lui continua a volerle bene e a starle vicino. Forse le cose le vanno bene per un po’, poi ha una ricaduta. Questo diventa ancora più difficile da gestire, per il ragazzo. La cosa si ripercuote anche nella sua vita. Magari la ragazza vuole fare davvero a meno della droga e continua a cercare di combattere, tenta nuovamente d’intraprendere la strada del ricovero, le cose migliorano un’altra volta, ma ha anche le sue giornate-NO. Ogni tanto ha delle ricadute. Si rialza, e poi ricade. Ogni singola ricaduta è sempre più difficile da gestire per il suo ragazzo. Alla fine, dopo anni in cui si trascina questa situazione di alti e bassi, anche se il ragazzo sa che la ragazza sta continuando a cercare di lasciarsi alle spalle la sua tossicodipendenza, non ce la fa più a tenere duro, a resistere. Così vuole che la ragazza gli prometta di non assumere droga nuovamente, o lui se ne andrà una volta per tutte. Lei non riesce a fare questa promessa, perché è terrorizzata dall’idea di poterla infrangere. Tutto quello che può fare è provare a fare del suo meglio giorno dopo giorno e a chiedergli di supportarla ancora. Ma lui non riesce più a stare nella situazione, perché ha anche la sua vita da vivere e non riesce più a gestire i suoi sentimenti, così decide di lasciarla.

Nessuna delle due persone, in questa situazione, è colpevole. Una ha un serio problema, che tenta costantemente di combattere. L’altro può dare affetto e supporto, ma solo fino ad un certo punto, perché poi deve anche pensare a preservare se stesso e la sua vita. La ragazza ha tutto il diritto di dire che tutto ciò che può fare è cercare di fare del suo meglio per percorrere la strada del ricovero giorno dopo giorno, perché non vuole più essere schiava della tossicodipendenza. Il ragazzo ha tutto il diritto di dire che non riesce più a reggere una situazione così difficile, e non ce la fa a starle dietro perché ne va della sua qualità della vita. È un bivio.

Rapportate questa storiella alla vostra relazione con i vostri amici ed amiche. I ruoli sono essenzialmente gli stessi. Arriva un momento in cui l’anoressia porta inevitabilmente un’amicizia alla chiusura. Forse l’amico che oggi vi sbatte la porta in faccia, un domani vedrà i vostri cambiamenti, i vostri progressi, il vostro impegno, e capirà che tutto quello che potete fare è combattere un giorno alla volta, e deciderà di rientrare nella vostra vita. Forse deciderà di staccare per un po’, di prendere le distanze per un po’, per poter tornare da voi con rinnovata speranza, aspettative più ragionevoli, e consapevolezza della necessità di supportarvi nonostante la scostanza che produce l’anoressia.

Combattere contro l’anoressia e, allo stesso tempo, mantenere un’amicizia è un duro lavoro. L’amicizia richiede tempo, emozioni, dedizione, fiducia e comunicazione. Spesso gli strappi che si vengono a creare tra chi ha un DCA e i suoi amici non dipendono dal fatto che una ha un DCA e l’altro no, ma perché entrambi si vogliono bene, ed è difficile gestire l’affetto quando c’è l’anoressia di mezzo.

Ci sono passata, perciò so quanto sia brutto perdere degli amici a causa dell’anoressia, anche perché percorrere la strada del ricovero è già abbastanza difficile anche senza perdere un amico durante il percorso, ma tutto quello che si può fare è prendere ogni giorno come viene, e lavorarci su. In ogni caso, qualsiasi cosa succeda, sappiate che fintanto che sceglierete ogni giorno la strada del ricovero, starete facendo la cosa più importante. Quello che gli amici fanno e pensano, esce dalla sfera delle cose che è possibile controllare. Potete certamente provare a parlare con loro, se sono persone a cui davvero tenete, e provare a spiegare cosa significhi avere un DCA e cosa comporti ma, alla fine, la persona che avrete di fronte farà comunque la sua scelta. Ma percorrere la strada del ricovero da sole è ancora più difficile, perciò… quale che sia la sua scelta, mettetecela tutta per cercare di avere un futuro insieme… perché io davvero credo che l’amicizia (oltre la salute, ovviamente) sia la cosa più bella ed importante della vita.

venerdì 24 maggio 2013

"Quando tutto il resto fallisce, è colpa della paziente"

Oggi vorrei riportarvi un articolo che ho trovato su Internet, che mi ha lasciata piuttosto perplessa, e decisamente discorde.
Si tratta del risultato di un’inchiesta qui riportata, relativa ai casi di morte in giovani donne affette da anoressia, che fa sì che il medico esaminatore concluda:

In conseguenza di ciò che è successo, Mr Hinchliff afferma: “Lei [la paziente in questione affetta da anoressia - nda] non era mai stata completamente compliante alla terapia di rialimentazione, e questo ha causato ripercussioni negative sulla sua salute fisica, che l’hanno condotta alla morte.” 
(mia traduzione) 

Perchè, certo, è tutta e solo colpa della paziente se è morta, vero?!

Chi ha steso tali conclusioni non ha pensato che se la paziente non è stata compliante, è perchè non riusciva ad essere compliante. Quando sei sottopeso, malnutrita e con una mentalità che è ancora completamente in balia dell’anoressia, affrontare una cosa ansiogena come un regime alimentare regolare scandito da 5 pasti quotidiani è un qualcosa che più di una persona non sarebbe in grado di tollerare. Nella stragrande maggioranza dei casi, le ragazze affette da un DCA vorrebbero veramente stare meglio, solo che non riescono a tollerare l’ansia che il distaccarsi dall’anoressia comporta inevitabilmente. Il DCA, perciò, continua ad apparire preferibile di fronte dall’ansia innescata dall’idea di dover affrontare la vita senza mettere in atto questa strategia di coping.

Il problema è che purtroppo è ancora molto diffuso, “grazie” anche a quest’informazione a mio avviso scorretta derivante dai mass-media, il preconcetto che recuperare il peso perso significhi “guarire” dall’anoressia. Certamente la riabilitazione nutrizionale è fondamentale per fare passi avanti sulla strada del ricovero, ma il fatto che una paziente abbia recuperato il peso perso non significa che il DCA è svanito dalla sua mente, anzi, tutt’altro. È per questo che poi si hanno le ricadute, tante ricadute, e la gente che guarda dall’esterno pronta a dire che se non c’è compliance terapeutica non è possibile avere un aiuto. Mah.

Nella stragrande maggioranza dei casi, rimanere vincolate a un DCA anche dopo averne scoperti i lati negativi, non è una scelta. È una necessità di coping. Per cui la gente dovrebbe smetterla di aspettarsi che una paziente affetta da un DCA possa essere completamente compliante a seguire un regime alimentare equilibrato in ogni qualsiasi momento. L’abilità dei terapeuti che si relazionano con persone che hanno un DCA, secondo me, dovrebbe stare nella capacità di capire in quale particolare momento del percorso di ricovero si trova la ragazza, ed agire di conseguenza: giusto per fare un esempio, inutile dare una dieta ipercalorica a una ragazza che fino al giorno prima restringeva l’alimentazione da far paura, e pretendere che la segua per filo e per segno (etichettandola poi come “non compliante” se non lo fa). Meglio provvedere a graduali incrementi calorici, affinché la paziente possa abituarsi poco a poco, e non opporre eccessiva resistenza. È solo così che si possono avere pazienti complianti.
Non è – e non deve essere – un lavoro (e men che mai una colpa!) della paziente.

Voi cosa ne pensate?

venerdì 17 maggio 2013

La strategia del derby perpetuo

[Premessa: Questo post, tra il serio (nella prima parte) e il faceto (nella seconda) si propone semplicemente d’ironizzare sulla difficoltà che quotidianamente incontra chi ha un DCA nel tentativo di sfuggire dai pettegolezzi della gente relativi alla propria malattia. Perché per combattere contro l’anoressia c’è bisogno anche di tanta (auto)ironia. Buona lettura, e… spero di riuscire a strapparvi almeno un sorriso.

“Il cuore dei disturbi alimentari è il silenzio. Rompi il silenzio” – recita uno dei messaggi positivi che ho riportato nella colonnina di destra di questo blog. Sono in accordo con quest’affermazione, perché credo che il non tenersi tutto dentro sia il primo passo per spezzare il circolo vizioso del DCA, che si alimenta anche del nostro silenzio, dando a noi stesse il permesso di cominciare a combattere chiedendo aiuto. Rimanere in silenzio significa infatti cercare di negare a noi stesse per prime che abbiamo un problema, nella puerile auto-convinzione che i panni sporchi si lavino in casa, salvo poi scoprire che le macchie che l’anoressia/la bulimia lasciano nella nostra vita sono un qualcosa che va ben oltre le nostre capacità di operare un auto-sbiancamento. Penso perciò che sia importante, nonché grande atto di coraggio e responsabilità verso noi stesse, il riuscire a tirare fuori il DCA, cominciando così ad impedirgli di fungere da padrone incontrastato dei nostri pensieri.

Tuttavia, ritengo che questa frase debba anche essere opportunamente interpretata: rompere il silenzio, infatti, non deve essere inteso come sinonimo di prendere un megafono ed andare a spiattellare il nostro DCA in pubblica piazza. È ottimo il riuscire a parlarne con dietisti e psicoterapeuti, perché sono persone professionalmente preparate ed in grado di darci una mano in maniera concreta per combattere contro l’anoressia. Va benissimo anche il riuscire a parlarne con familiari e amici veramente fidati, perché credo che comunque un percorso di ricovero affrontato avendo accanto persone supportive possa essere almeno un pochino più facile. Sì, okay, “facile” per modo di dire, credo che sappiamo tutte benissimo quanto sia dura percorrere la strada del ricovero giorno dopo giorno, inutile che mi ripeta, però, a parità di lotta da sostenere, magari se ci affianca qualcuno che fa il tifo per noi e che tenta nel suo piccolo di darci una mano quando siamo più in difficoltà, male non fa.

Penso però che sia opportuno non allargare ulteriormente la cerchia. Soprattutto, penso sia importante non diffondere la notizia che abbiamo un DCA tra i nostri colleghi di lavoro/colleghi universitari/compagni di classe/compagne di squadra. Questo non perché il DCA sia un qualcosa di cui dobbiamo vergognarci, ma semplicemente perché, purtroppo, la maggior parte delle persone è estremamente disinformata e tenacemente ancorata ad una montagna di luoghi comuni quando si parla di disturbi alimentari. Per cui, se nel vostro ambiente lavorativo/universitario/scolastico/sportivo viene fuori che avete un DCA, sarete inesorabilmente vittime di un’etichettatura che non vi gioverà affatto. Sarete immediatamente schedate come la “Jessica l’anoressica” della scuola/dell’ufficio, vi sparleranno alle spalle, diventerete “quella matta”, infantile, viziata, a causa di tutti i luoghi comuni che girano sui DCA, e sarà molto difficile recuperare un briciolo di considerazione. Verrete ostracizzate e stigmatizzate. Lo dico sia per esperienza personale, sia per cose che mi sono state raccontate.

Ovviamente immagino che nessuna di voi abbia la benché minima intenzione di raccontare ai quattro venti del proprio DCA, tuttavia a volte la fisicità e i comportamenti che si tengono nei confronti del cibo sono tali per cui chiunque ci sta intorno capisce comunque che abbiamo un problema dell’alimentazione.

Se ripenso a me stessa quando facevo il 1° anno di Università, vedo uno scheletrino che a mensa mangiava a malapena un paio di bocconi di pasta, una sottiletta di carne, una mela e uno yogurt. Scontato che chiunque mi abbia vista in quel periodo abbia capito quale fosse il mio problema.

La gente non è cieca, certe cose sono talmente palesi che anche chi non è esperto in DCA le capisce. Se si è fortunate, le persone che hanno capito tutto si terranno per sé questa consapevolezza, e tireranno avanti facendo finta di niente. Se si è un po’ meno fortunate, le persone che hanno capito tutto si metteranno a starnazzare in giro relativamente al nostro DCA. Arriviamo dunque al punto di questo post: come mettere a tacere i colleghi/i compagni che hanno capito che abbiamo un DCA e sono pronti a diffondere la notizia in mondovisione? Scommetto che molte di voi stanno già rispondendo mentalmente con un qualcosa come: bisogna negare. Negare anche l’evidenza. Negare sempre, tutto e comunque. Okay, basilarmente è corretto. Solo che a volte non basta. Perché le rivelazioni dei nostri colleghi/compagni relativamente al fatto che noi abbiamo un DCA spesso e volentieri ci piombano addosso all’improvviso, quando meno ce l’aspettiamo, per esempio mentre stiamo facendo il riscaldamento con tutta la nostra squadra di [inserire sport] in attesa dell’allenamento, e allora, colte totalmente alla sprovvista, è difficile avere la freddezza di negare tutto come se niente fosse, e molto più probabilmente ci ritroveremo incerte a balbettare qualcosa come: “Ma, no, veramente io… bè, ultimamente mi è capitato qualche volta di mangiare un po’ meno, ma non vuol dire niente, è solo che avevo meno fame del solito… e poi non sono mica dimagrita, forse è la maglietta nera che mi snellisce…”. Mettere in piedi una difesa incerta così equivale al firmare la vostra condanna a morte. La persona che ha lanciato l’esca avrà la certezza che state nascondendo qualcosa, e non ci penserà due volte a diffondere lo scoop di cui è appena venuta a conoscenza.

Come riuscire dunque a gestire situazioni spinose di questo tipo?

A mio avviso, per pararsi il culo in maniera efficace quando qualcuno tira fuori l’alzata d’ingegno relativamente al fatto che noi potremmo avere un DCA, occorre mettere in atto quella tattica comunicativa che può essere definita come “teoria del derby perpetuo” o “strategia delle scimmie urlatrici”. È in effetti un qualcosa che tutte noi conosciamo molto bene, poiché è entrato a far parte del vivere quotidiano, in particolare tra i mass-media (TV in primis).

Vorrei quindi spiegarvi un po’ come funziona. Il meccanismo è semplicissimo: alzare immediatamente il livello dello scontro. Anzi, di fatto si fa ben più di questo: si rende impossibile lo scontro prendendo la realtà e rivoltandola come un calzino, usando toni eccessivi e sbalorditivi allo scopo di lasciare completamente interdetto il vostro interlocutore. È una tattica comunicativa ad oggi decisamente in auge.

Vi faccio un esempio che possa aiutarvi a comprendere meglio il meccanismo.

È l’ora di pranzo e tu, mia cara lettrice, sei seduta ad un tavolo della mensa universitaria/scolastica/lavorativa. “Grazie” al tuo DCA il tuo peso è decisamente molto basso, e tutto quello che hai nel tuo vassoietto è un’insalatina scondita ed uno yogurt magro. È un pasto assolutamente insufficiente rispetto al tuo fabbisogno, e tu lo sai benissimo (chiunque abbia un DCA sa benissimo che mangia in maniera scorretta, così come gli allenatori sanno benissimo quando la loro squadra ha fatto cagare), tuttavia non aggiungi altro al tuo pranzo, perché la voce dell’anoressia che ti rimbomba sempre in testa non te lo permette.

Poniamo che di fronte a te sia seduta la tua compagna/collega Pinca Pallina, che vede il tuo pallore cadaverico, il tuo fisico emaciato, il tuo vassoietto semivuoto, e ti faccia un’osservazione ponderata, diciamo più o meno sulla falsariga di: “Ma hai qualche problema? Ti vedo così deperita, e non mangi mai niente, anche oggi hai preso solo quest’insalata e lo yogurt, mi sembra un po’ pochino. Sono preoccupata, perché qualche tempo fa ho letto un articolo al riguardo, e mi viene da pensare che anche tu possa essere anoressica”. Le altre persone sedute allo stesso tavolo si girano e ti fissano, perché hanno subito captato il potenziale pettegolezzo. A questo punto, tu potresti rispondere in diversi modi – non ultimo, ringraziando Pinca Pallina per il suo interessamento, e cercando di spiegarle che è solo un periodo in cui non hai molto appetito – ma potresti anche risponderle così: “Ma te un mazzetto di cazzi tuoi non te li fai mai, eh?! Che diamine ne sai di anoressia e di articoli che parlano di anoressia, tu, che sei un’illetterata analfabeta, come tutte le terrone, del resto, perciò non mi sembra proprio il caso di accettare illazioni da chi in vita sua ha letto probabilmente soltanto la biografia di Francesco Totti e fa addirittura fatica a leggere la composizione chimica sul fustino del Dash le poche volte che sta seduta sul cesso senza aver vicino una copia di "Top Girl"”. Una risposta di una violenza verbale tale, contiene insulti gratuiti tanto fastidiosi e provocatori che rende impossibile una replica che non sia un’accorata, indignata – o magari persino sconcertata e balbettante – difesa.

Hai costretto Pinca Pallina ad incazzarsi per l’orrenda generalizzazione sui meridionali e, al contempo, la costringi anche a difendersi dall’accusa di leggere soltanto "Top Girl" e i fustini del Dash. Inoltre, se hai la possibilità di amplificare ulteriormente la tua invettiva coinvolgendo le altre persone che sono sedute al vostro stesso tavolo, puoi recitare la parte della vittima (“Pinca Pallina mi sta dando dell’anoressica solo perché lei non è riuscita a seguire la sua dieta!”) inducendo gli altri a schierarsi dalla tua parte, e ottenendo così il risultato desiderato: della tua presunta anoressia non parlerà più nessuno. Ci saranno i pro-Pinca Pallina e quelli che si schiereranno dalla tua parte, gli anti-terroni e i meridionali orgogliosi, e tutto finirebbe in una caciara facendo svanire completamente l’originale motivo del discutere.

Poi, in un secondo momento, puoi anche modificare la tua versione dei fatti. Puoi benissimo ritrattare la tua stupida frase sui meridionali. Ci si mette a posto la coscienza (in realtà no, diciamo che si sistemano eventuali pendenze future), ma intanto l’obiettivo è stato raggiunto. E le smentite, in questo Paese, stanno solitamente in un trafiletto a margine a pagina 25, mentre gli insulti e le diffamazioni occupano 9 colonne in prima.

Il meccanismo è semplice: prendete la realtà, stravolgetela il più possibile, usate toni offensivi e smaccatamente sopra le righe.

Se qualcuno vi dice: “Mi sembri decisamente troppo magra”, tirategli un cazzotto da muratore in faccia all’improvviso. Se la volta successiva, invece di tirargli una cartella nei denti, gli dite soltanto: “Vaffanculo, demente”, quasi quasi vi ringrazierà.

Alzare i toni dello scontro per rendere il confronto e le spiegazioni impossibili.
Funziona.

(La nostra classe politica ne è il più fulgido esempio.)

venerdì 10 maggio 2013

Il fenomeno "pro Ana" su Twitter

Non faro nomi qui. Non voglio dare soddisfazione. Ma ho letto su Internet un articolo in cui si diceva che una persona del mondo dello spettacolo americano ha aperto su Twitter un account dichiaratamente pro ana. Così sono andata a verificare se quanto riportato da questo articolo fosse vero ed ho scoperto che, purtroppo, lo è.

Insomma, secondo quanto riportato dall’articolo che ho letto, questa persona qualche settimana fa ha cambiato look del suo account di Twitter, e l’ha impostato sulla promozione della cosiddetta “size 0” (che, in italiano, corrisponderebbe alla 36), incoraggiando tutti i suoi followers a non mangiare, saltare i pasti, vomitarli e cercare di dimagrire quanto più possibile. La cosa che mi ha lasciata più allibita è che questa persona crede in quella che chiama “gestione dell’anoressia”. Ma su questo ci tornerò dopo.

Dunque, come dicevo, dopo aver letto l’articolo, sono andata a controllare su Twitter e, sì, effettivamente è tutto proprio come l’articolo lo descrive. Ora, io non ho la più pallida idea se questa persona crede effettivamente a tutte le cazzate che ha scritto, o se lo fa solo per fomentare il gossip (cose tipo “o bene o male, l’importante è che si parli di me, così rimango sulla cresta dell’onda”) e sentirsi al centro dell’attenzione. Non lo so e non è di questo che voglio parlare, anche perché probabilmente è proprio ciò che questa persona vuole – che si parli di lei – quindi mi limito semplicemente ad alcune osservazioni in merito al fatto, e ad esprimere la mia opinione personale.

La cosa che mi lascia più interdetta è che la sua “iniziativa” ha avuto un discreto successo. Quando ho dato un’occhiata per la prima volta al suo disgustoso account di Twitter, questa persona del mondo dello spettacolo statunitense aveva circa 10.000 followers. In meno di una settimana, il numero è pressoché raddoppiato. Io spero che la maggior parte di questi followers siano fake o siano comunque persone che ne sono state attratte semplicemente perché il suo nome è stato uno degli hashtag di maggior trend della scorsa settimana, e quindi si siano chieste: “Chi? Cosa? Perché?” e abbiano volute curiosare e seguire questa bizzarra vicenda. Purtroppo, dando una scorsa rapida ai profili dei followers, è innegabile che molti siano di ragazze giovani e vulnerabili a certi tipi di stimoli, persone che hanno già un DCA che viene senza dubbio alimentato e stimolato dalle thinspiration linkate da questa persona, persone che stanno cercando di combattere contro l’anoressia nelle quali leggere e vedere cose del genere può facilmente innescare una ricaduta. Ma non sono le sole persone malate, naturalmente. La cosa va oltre l’ovvio. Nessuno è soddisfatto al 100% del proprio aspetto fisico, ma questo non significa che svilupperà necessariamente un disturbo alimentare, e certo non sarà un account di Twitter pro ana a determinare il suo ingresso nella malattia. Ma immaginatevi un’adolescente insicura, insoddisfatta sia del proprio aspetto che della propria personalità, sulla quale magari già gravano fattori predisponenti allo sviluppo dell’anoressia… quale pensate possa essere l’effetto su una persona del genere di un tale account?

Giusto per darvi un’idea, ecco il contenuto di alcuni dei tweet pubblicati da questa persona (mia traduzione):

“Non ascoltare quello che ti dicono. Stanno solo cercando di farti ingrassare. Ti vogliono mandare in confusione, non cascarci. Rifiuta il cibo. Così sarai molto più felice.” 

“[Nome], ciò che lo rende accettabile per le persone magre a livello globale è chiamare le persone grasse quello che sono: disgustose.” 

“Tutte voi ragazze che non indossate ancora una taglia zero dovete tenere un diario alimentare, scrivendoci su tutto quello che mangiate & bevete – rileggetelo tutti i giorni per vedere quanto siete imperfette.”

Okay, mi sembra abbastanza.

Ora, sono consapevole che qualcuno può saltarmi addosso e dirmi che chi ascolta o prende atto di quello che dice è una persona che gioca al suo gioco, che la vede esattamente per come si vuol far vedere, e che quindi gli sto dando corda nel momento in cui scrivo questo post. Se solo fosse così facile da ignorare. Se siete una di quelle persone che non riescono a capire come questa persona potrebbe essere dannosa, piuttosto che commentare dicendo che chiunque si lasci traviare da una persona del genere è debole e stupida, per favore, siatene semplicemente grati.

A prescindere da che questa persona creda o meno in ciò che scrive, quello che fa è stupido, irresponsabile e, soprattutto, potenzialmente pericoloso. Questa persona fa passare l’idea che la taglia zero sia l’unica cosa veramente positiva, e che l’avere una taglia superiore significhi essere grasse e, conseguentemente, inaccettabili. In uno dei suoi tweet afferma che mangiare è un segno di debolezza. Dice che l’anoressia è ciò a cui si dovrebbe puntare – e, tra l’altro, GESTIRLA. Immagino che con il termine “gestire”, questa persona intendesse “controllare”. Okay, lasciate che vi dica che questo è assolutamente l’opposto di ciò che è l’anoressia. Certo, inizialmente la restrizione alimentare trasmette un incredibile senso di controllo… ma, a poco a poco, è l’anoressia che incomincia a controllare spietatamente la vita di chi ne è affetta. L’anoressia non può essere gestita, lei stessa ti porta alla fine fuori controllo, non è un qualcosa di maneggevole, ma un qualcosa che ti porta via tutto quello che prima faceva parte della tua vita… e, in certi casi, anche la vita stessa. Una persona che dice che l’anoressia si può gestire è dunque, a tutti gli effetti, una persona che sta promuovendo un comportamento assolutamente dannoso per la salute e la sopravvivenza.

Comunque, tornando all’articolo che ho letto e che mi ha fatto scoprire questa cosa…
Cos’è successo dopo? Che molti utenti di Twitter, sdegnati per questa cosa, hanno fatto una petizione sul social network stesso, per far sapere agli amministratori cosa stava succedendo. La petizione è stata “firmata” da migliaia di utenti, che hanno rapidamente creato hashtags quali #IsWhatsInsideThatCounts e #CurvesAreSexy. Anche alcune celebrità come Rihanna e Simon Cowell si sono uniti a questo “movimento anti-pro ana su Twitter”. Questo, però, ha creato anche tanto clamore intorno al suo nome, che presumibilmente è ciò che la persona in questione voleva sin dall’inizio – ha vinto il premio “chi-attira-di-più-l’attenzione”, il suo piano del cazzo ha funzionato. Questo l’ha sottolineato anche in alcuni dei suoi tweet. Per questo motivo all’inizio, dopo aver finito di leggere l’articolo, pensavo di non parlarne affatto. Il punto è che adesso, nonostante abbia già destato una massiva attenzione, continua a scrivere i suoi dannosi messaggini. E mi fa rabbia stare qui a leggere e non poter fare niente di concreto, e vedere che nessuno fa niente per fermarla. Certo, so perfettamente che anche questo mio post è fine a se stesso e non cambierà niente. Però non posso stare con le mani in mano, a vedere qualcuno che fa cose dannose consapevolmente, senza dire neanche niente.

Io sono dell’idea che, nella propria quotidianità, ogni singola persona è liberissima di scegliere cosa fare/non fare della propria vita. Se decide di rovinarsela inneggiando ad un’anoressia che desidera solo perché non la conosce, o osannando l’emesi violenta come forma di dimagrimento, sono affari suoi. Non sarà una gran perdita per nessuno, se non per se stessa. Quel che non mi piace, è quando le proprie paturnie vengono gettate in pubblica piazza, alla mercè di chiunque passi di lì. Anche di persone che non sono psicologicamente in grado di rispondere in maniera adeguata a certe sollecitazioni. Perché se una si vuole rovinare la vita di per sé, okay, sono fatti suoi. Ma che eviti di cercare di coinvolgere altre persone nella medesima dannazione, perché questo lo ritengo per lo meno di cattivo gusto (per non usare un’altra parola che inizia per S e finisce per tronzo).

Per cui, ciò che vorrei dire a questa persona del mondo dello spettacolo made in U.S.A. è: Vuoi essere un mostro anoressico, bruciare tutti i tuoi problemi in una fiamma di folle autocontrollo malindirizzato che potenzialmente, nella migliore delle ipotesi, rischia di farti morire, e nella peggiore rischia di farti continuare a vivere per il resto dei tuoi giorni in balìa di un DCA? Se sei così stupida da non capire che quello di cui hai bisogno è uno psicologo, e così ignorante da non capire i principi della nutrizione del corpo umano, e non hai nessuno vicino che possa darti una svegliata allora mi dispiace per te, non posso certo essere io la persona che ti farà cambiare idea, non sarò mica la prima idiota che ci prova… ed evidentemente non funziona. Ma dannati per conto tuo, chiudi questo account disgustoso e evita di impressionare ragazzine a disagio con se stesse, invischiate in chissà quali problemi familiari/scolastici/relazionali, che a 13 - 14 anni finiscono qui e per colpa tua credono di essere grasse e finiscono come te: in questo limbo di disperazione e di ossessione. 

Io sono dell’idea che ciascuno debba avere il libero arbitrio sulla propria vita, senza però coinvolgere gli altri nelle proprie scelte. 

Infine, avrei qualcosa da dire anche agli admin di Twitter, chiunque essi siano.
Sono consapevole dell’esistenza della libertà di pensiero e di parola, e trovo che sia un diritto di tutti. Ma anche quando questa libertà viene utilizzata per arrecare danno agli altri? E se questo account desse la spinta finale ad una persona che è già sull’orlo dell’abisso dell’anoressia?... E se anziché essere pro ana questo account fosse stato pro-autolesionismo?... O se ci fossero stati scritti consigli per suicidarsi? Avreste comunque evitato di oscurare l’account, in nome della libertà d’espressione? Perché, no, tra l’altro, se non l’aveste notato, incitare le persone a saltare pasti su pasti è una forma di autolesionismo e può, eventualmente, portare alla morte. Permettere a una persona del genere di continuare a scrivere questi tweet non vi sembra un po’ irresponsabile, da parte vostra? Un account del genere è irrispettoso nei confronti delle persone “sovrappeso”, e spinge verso una malattia. È giusto permettere l’esistenza di cose di questo tipo, in nome della cosiddetta “libertà di parola”, pur non potendone negare l’eventuale potenziale nocivo? Posso sembrare eccessiva, lo so. Ma basta un solo account per far sì che ne nascano molti altri sulla falsariga. Perché molto probabilmente la persona in questione non se ne rende conto, ma di anoressia si può morire. Si può morire anche ben prima di essere riuscite a raggiungere un peso da taglia zero, semplicemente perché i nostri corpi non sono progettati per andare avanti senza cibo. Se solo questa persona avesse vissuto un DCA sulla sua pelle, si renderebbe ben conto dell’entità della stronzata che sta facendo… ma dubito fortemente che una persona che fa una cosa del genere abbia la benché minima conoscenza di ciò che è l’anoressia, e men che meno abbia un paio di neuroni dentro quella cosa che c’ha piazzata sopra il collo, ma che probabilmente gli serve solo per controbilanciare il culo.

Voi come la pensate?

P.S.= Per chi ancora mi chiede se io sono su Twitter, sì, ci sono, e mi trovate QUI.

venerdì 3 maggio 2013

Focalizzare il denominatore

Recentemente ho scoperto una pubblicazione on-line inerente i disturbi alimentari che trovo davvero interessante. Mi riferisco all’ “International Journal of Eating Disorders”. Così, anche ieri mi sono messa a spulciare le novità pubblicate sull’ultima edizione.

Quello che mi ha colpito di più nell’edizione di questo mese è stato uno studio in particolare, non semplicemente per lo studio in sè, ma anche e soprattutto per i commenti che esso ha suscitato in chi lo ha letto, e che sono stati pubblicati dai rispettivi autori.

Cos’è venuto fuori da questo studio 

I ricercatori (un gruppo di ricercatori degli U.S.A.) hanno valutato una serie di 942 adolescenti (età compresa tra i 14 e i 18 anni) che hanno afferito all’infermieria della scuola per varie ragioni (eh sì, non è solo una cosa dei telefilm, nelle scuole americane ci sono davvero delle infermierie!). A questi/e adolescenti è stato dato un questionario standardizzato, mirante a valutare (tra le altre cose) se questi/e ragazzi/e potessero avere o meno un qualsiasi disturbo alimentare. Il test cui mi riferisco è il questionario SCOFF, che vi riporto qua sotto. Rispondere “SI” a 2 o più domande è considerato diagnostico della presenza di un disturbo alimentare.


I ricercatori hanno anche valutato il BMI dei/delle ragazzi/e in questione, e se avessero problemi di alcool, droga, o se fossero fumatori. Interessante notare come il BMI fosse associato alla presenza di un qualche DCA, ma forse non nel modo che vi aspettereste: i/le ragazzi/e con BMI > 28 erano quelli/le che risultavano più frequentemente positivi/e al test – per la precisione, 3.2 volte più frequentemente associate alla presenza di comportamenti tipici da DCA rispetto agli adolescenti di cosiddetto “peso normale”.

Soprattutto, i ricercatori hanno osservato che ben il 16% delle persone mostrava segni della presenza di un DCA, e di questi circa il 30% erano maschi. Francamente, penso che questi numeri siano stati un po’ “pompati”, poiché a mio avviso il questionario SCOFF valuta più che altro le difficoltà che le persone possono avere nei confronti del proprio corpo e dell’alimentazione, non tanto la presenza di un DCA conclamato – ma questo esula da ciò che volevo dire in questo post.

Ma qual è il denominatore? 

E questa domanda ci riporta ai commenti sottostanti l’articolo che ho letto. Uno in particolare mi ha colpito, ed è quello che dice:

“Trovo molto interessante questo studio relativo alla prevalenza dei DCA tra gli adolescenti di 14 – 18 anni che accedono all’infermieria scolastica. È per me sorprendente vedere che in uno screening di quasi 1000 persone, ben il 16% sono risultate positive per un DCA, perchè a quanto ne sapevo finora, avevo letto dappertutto che l’anoressia interessa circa l’1% della popolazione, la bulimia circa il 3%, e i DCAnas circa il 4%. Dunque, l’incidenza di queste malattie è marcatamente in aumento!!! Inoltre, è assolutamente inatteso per me il vedere che ben il 30% di queste persone sono ragazzi, quando il luogo comune è che i DCA interessino solo lo 0.1% della popolazione maschile. Grazie a questo articolo mi rendo invece conto che anche gli uomini hanno un elevato rischio di sviluppare un DCA.”
(mia traduzione) 

Okay, qual è il punto. Il punto è che la popolazione sottoposta a screening non è, a mio avviso, sufficientemente eterogenea da rendere questo studio valido. Pensateci. Sono state screenate SOLO le persone che accedevano all’infermieria. Il che non significa che il 16% degli adolescenti abbia un DCA… significa soltanto che il 16% delle persone che sono finite in infermieria hanno risposto “SI” ad almeno 2 delle 5 domande del questionario SCOFF.

Ripeto: questo studio NON dimostra che il 16% degli adolescenti ha un DCA. 

Anche se l’autore del commento che vi ho riportato non lo dice direttamente, in quello che scrive è implicito che crede che il 16% dei/delle ragazzi/e tra i 14 e i 18 anni abbia un DCA. Il fatto è che i ragazzi screenati erano solo quelli che accedevano all’infermieria… e in questa piccola popolazione selettiva e relativamente omogenea, pare abbastanza ovvio che chi va in infermieria possa avere un DCA, dati gli elevati livelli di co-morbidità che un disturbo alimentare comporta, sia da un punto di vista fisico che psichico. Oggettivamente, è molto più facile che finisca in infermieria una ragazza con un DCA piuttosto che una ragazza che si alimenta correttamente; il che rende ragione degli alti numeri riportati in questo studio.

Pertanto, secondo me non c’è alcuna dimostrazione che l’incidenza dei DCA sia vertiginosamente in aumento. Non credo che in precedenza siano mai stati fatti altri studi relativi alla percentuale di adolescenti con un effettivo DCA che si recavano nell’infermieria della scuola, quindi è impossibile dire se i numeri siano in aumento o in decremento rispetto al passato. Inoltre, il campione analizzato conta meno di 1000 persone, non è un lavoro fatto su grandi numeri, quindi mi chiedo come da un campione così numericamente limitato si possano estrapolare conclusioni di una qualche validità scientifica. Io immagino che ad oggi ci sia più informazione in merito ai DCA che non in passato, per cui le persone che ne sono affette sono più inclini a cercare aiuto (o vengono mandate dai genitori da qualche terapeuta, da qualsiasi parte si voglia vedere la cosa) ma, di nuovo, questo non significa che i DCA siano più frequenti che in passato.

Quando si legge un qualsiasi studio scientifico, credo sia sempre molto importante focalizzare qual è il denominatore dello stesso, ovvero la porzione, la “fetta” di popolazione che i ricercatori stanno effettivamente esaminando. Qui, la “popolazione” è quella degli adolescenti che si recano in infermieria. Se il questionario SCOFF fosse stato fatto compilare a pazienti ricoverate in un centro specializzato per il trattamento dei DCA, credo proprio che avremmo trovato il 100% di prevalenza all’interno di quella specifica popolazione... ma questo non significa che tutta la gente del mondo abbia un DCA. Perciò, qualora vi capitasse di leggere questo studio, niente allarmismi sul fatto che così tanti/e ragazzi/e abbiano un DCA, considerate le caratteristiche della popolazione che è stata sondata.

Questo studio lo reputo comunque importante perchè mostra che anche le infermierie scolastiche possono avere un ruolo importante nell’identificare una potenziale persona con DCA. Certo, probabilmente avranno millemila altre cose di cui occuparsi e preoccuparsi, ma è comunque utile saperlo, perché è possibile agire in questa direzione. Tra l’altro, a me non piace il questionario SCOFF (non mi piacciono i questionari in generale, perché penso siano riduttivi quantomeno in campo medico) ma ha per lo meno il pregio di essere rapido e diretto, quindi capisco perché possa essere stato deciso di utilizzarlo per uno studio del genere.

Quindi, penso che certamente questo studio abbia la sua utilità, ma stiamo sempre molto attente quando leggiamo gli studi relativi ai DCA, e siamo sempre molto caute nell’interpretarli, perché occorre prima valutare bene le circostanze che hanno portato a certi risultati.
 
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