Come gli alchimisti trasformavano il ferro in oro… voi potete trasformare l’oscurità in luce. Siete tutte benvenute.

venerdì 25 aprile 2014

Come poter dare una mano a chi ha un DCA

Come avrete già intuito dal titolo, il post di oggi è in effetti dedicato più che altro a genitori/fratelli/sorelle/parenti/amici/etc… che hanno quotidianamente a che fare con una persona affetta da anoressia/bulimia.

Vorrei dunque proporvi alcuni semplici consigli che potrebbero servirvi se dovete relazionarvi ad una ragazza che ha un DCA ma, premessa: mettetevi il cuore in pace, perché non ci sono bacchette magiche. I miei consigli sono tesi semplicemente a darvi qualche suggerimento, ma non sono certo risolutivi… magari potessero esserlo! Quello che state per leggere potrà al più servirvi per smussare alcuni angoli, per migliorare un po’ il vostro rapporto con la persona che ha un DCA e con cui vi relazionate, ma non sono la chiave di volta per i rapporti splendidi e men che meno hanno valenza assoluta ed universale.

Io parto dal presupposto che, per chi non ha mai vissuto un DCA, sia veramente difficile interagire con una figlia/sorella/amica che è affetta da questa malattia. Pur partendo sempre armati delle migliori intenzioni, spesso e volentieri si finiscono per fare autentici disastri, e per peggiorare ulteriormente il rapporto. Non per cattiveria, ci mancherebbe, ma proprio perché io penso che la maggior parte della gente davvero non sappia come interagire con chi ha un DCA. Errori relazionali credo possano essere frustranti per ambo le parti: per chi ha un DCA, perché si sente incompresa in toto e magari anche ferita, e per familiari/amici di chi ha un DCA, che si sentono impotenti di fronte alla malattia e non sanno come poter essere d’aiuto.

Certo, è verissimo che siamo solo noi a poter aiutare noi stesse, e dunque siamo solo noi a poter decidere cosa fare della nostra vita, e se e come combattere il DCA: nessuno può salvare chi non vuol essere salvato. Però è altrettanto vero che, nel momento in cui una persona inizia a precorrere la strada del ricovero, l’avere accanto persone supportive che non parlano e non si comportano a sproposito, può essere significativamente d’aiuto.

Perciò, cari genitori/fratelli/sorelle/parenti/amici/etc… di chi ha un DCA, eccovi qualche suggerimento in merito a come, secondo me, potreste essere d’aiuto a vostra figlia/sorella/amica.

- Informatevi in maniera adeguata. La stragrande maggioranza delle informazioni che si trovano sulle riviste/in TV/su Internet a proposito dei DCA, vengono fornite da persone che non hanno mai avuto un DCA in vita loro. Bene, sfido chiunque non abbia mai avuto una certa malattia ad essere in grado di parlarne con cognizione di causa. Ergo, non fatevi abbindolare dai millemila luoghi comuni assolutamente falsi sull’anoressia/bulimia che potete trovare chissà dove su Internet, e che vengono scritti da cani e porci. Per sapere cosa significa davvero avere un DCA, cercate testimonianze dirette. Chiedete a chi c’è passato in prima persona. Risalite alla fonte autentica. Solo così potrete avere un’informazione corretta e veritiera su cosa significa vivere con un DCA, su cosa si pensa, su cosa si prova, ed eviterete di affidarvi a cliché che non hanno niente di vero ma che, se ci credete e li applicate, sono vere e proprie pugnalate alla schiena di chi ha un DCA.

- Ascoltate ciò che vi viene detto. Per una persona che ha un DCA è molto difficile parlare della sua malattia. Ma se prende l’iniziativa, e vuole condividere con voi qualcosa della sua anoressia/bulima/binge, prendetevi tutto il tempo necessario per ascoltare. Sottolineo: ASCOLTARE. 99 volte su 100, se una persona che ha un DCA vi parla della sua malattia, non lo fa perché si aspetta che voi tiriate fuori la pillola magica che la farà guarire seduta stante. Non lo fa perché si aspetta da voi mirabolanti soluzioni. Lo fa semplicemente perché ha bisogno di sfogarsi a fronte di un qualcosa che la fa stare male. Non siate critici, non giudicate, non commentate: semplicemente, ascoltate. Ascoltate con attenzione. Non abbiate la presunzione di credere di essere in grado di capire che cosa l’altra persona sta provando ed attraversando. E non date per scontato che ciò che la persona dice sia frutto della malattia: il fatto che si ABBIA una malattia, non significa affatto che si E’ quella malattia.

- Chiedete come poter essere d’aiuto. Ogni persona è una storia a sé, e dunque ogni persona con un DCA può avere necessità e bisogni diversi rispetto alle altre. L’unico modo per sapere in che modo potete essere d’aiuto a vostra figlia/sorella/amica è semplicemente chiederglielo. Così le darete un doppio messaggio: innanzitutto, che voi ci siete, e che dunque se ha bisogno può contare su di voi; in secondo luogo che non volete decidere al suo posto, ma che siete pronti ad ascoltare le sue richieste e ad agire di conseguenza.

- Tenete d’occhio i sintomi. Anche durante il migliore dei percorsi di ricovero possono realizzarsi delle ricadute. Spesso sono scienti, ma quando la persona è ancora molto dentro la malattia perché magari ha iniziato da poco il suo percorso di ricovero, oppure perché sta attraversando una situazione di vita particolarmente stressante, può accadere che la strategia di coping rappresentata dal DCA venga ri-messa in atto di default, senza una precisa intenzionalità. Pertanto, se notate un peggioramento psicofisico di vostra figlia/sorella/amica, fateglielo (con tatto!!) notare subito: può servire per riprendere le redini della situazione, poiché prima si interviene, prima si arresta la ricaduta, più facile sarà rimettersi in piedi.

- Consigliate ma non obbligate (eccetto casi estremi). Un DCA non guarisce da sé. Perché nessuna persona con un DCA è in grado di opporsi in toto ad una malattia che scaturisce dalla propria mente. Quindi, suggerite alternative di psicoterapia e riabilitazione nutrizionale, ma non siate pressanti né coercitivi: come si dice dalle mie parti “per forza non si fa neanche l’aceto”. Non credo che le prese di posizione (esempio: il ricovero coatto) possano essere producenti, perché se una persona non è pronta a lavorare su se stessa, sarà tempo perso. Però, certo, non datevi per vinti: continuate a suggerire alternative di terapia, perché arriva il momento in cui la persona è meno schiava del DCA e più recettiva, e che quindi può iniziare ad accettare l’aiuto che gli state proponendo.
(Questo ovviamente non vale per i casi estremi: è ovvio che se vostra figlia/sorella/amica è in un sottopeso estremo che la mette in pericolo di vita, allora è del tutto opportuno e lecito portarla in ospedale anche contro la sua volontà. Questo non risolverà in alcun modo il DCA – per quello ci vorrà un opportuno percorso – ma almeno nell’immediato le salverà la vita.)

- Niente forzature alimentari su iniziativa personale. Non avete le competenze professionali per stabilire quanto e cosa è giusto che vostra figlia/sorella/amica mangi. Tanto più che, se focalizzate l’attenzione sull’alimentazione, a maggior ragione il cibo diverrà territorio di scontro per tutto quello che non va nei vostri rapporti. Non servono a niente domande, commenti, incitamenti, ricatti, minacce a mangiare: se questo potesse servire a qualcosa, i DCA non sarebbero malattie. Anzi, spesso cose di questo genere sortiscono proprio l’effetto contrario di quello sperato. Una persona che ha un DCA non è stupida, lo sa da sola che non mangia in maniera appropriata, solo che lo fa perché ha una malattia: anziché perdere tempo in costrizioni inutili e controproducenti, consigliate piuttosto un consulto da una dietista.

- Siate espliciti per quanto riguarda l’alimentazione. Se vostra figlia/sorella/amica è seguita da una dietista e mangia secondo un “equilibrio alimentare” prescritto, aiutatela a seguirlo. Siate ligi nella preparazione degli alimenti e nelle quantità, non aggiungete niente anche se siete preoccupati per il sottopeso e vorreste vedere progressi fisici tangibili più rapidamente, non stimolatela a mangiare qualcosa di più o di diverso. Già che all’inizio è difficile seguire l’ “equilibrio alimentare”, non aggiungete stress a stress. Vostra figlia/sorella/amica è seguita da una dietista: quello che mangia è corretto perché previsto da una specialista. Non abbiate fretta e lasciate che il tempo faccia il suo corso.

- Evitate i commenti. I commenti sull’aspetto fisico o sul comportamento nei confronti del cibo per chi ha un DCA non hanno la stessa valenza che possono avere per una qualsiasi altra persona che non ha questa malattia. Un “Sei dimagrita così tanto che sei diventata brutta” può rappresentare un rinforzo positivo per chi ha l’anoressia, oppure “Ma sta benissimo così, non hai mica bisogno di dimagrire!” può spingere la persona con bulimia a compensare di più per tentare di perdere ancora più peso. Inoltre, cosa più importante: il focus di un disturbo alimentare NON è la fisicità. Se fate commenti sul fisico darete l’idea di essere persone superficiali che non capiscono la vera natura della malattia e che sono concentrate solo sull’esteriorità, per cui chi ha un DCA a maggior ragione cercherà di stare male “fuori”, nel tentativo di farvi capire che in realtà sta male “dentro”.

- Non girate la testa dall’altra parte. Non date niente per scontato. Non fate finta di non sapere che vostra figlia/sorella/amica ha un DCA, se questo è palese. Perché un DCA, in alcuni casi, può essere una richiesta d’aiuto non verbale, per cui se fate finta di niente la persona si “impegnerà” ancora di più a sembrare malata. Non abbiate paura di affrontare il problema: anche perché girandovi dall’altra parte state solo procrastinando, un DCA prima o poi emerge comunque, per cui è meglio affrontarlo subito per limitare i danni. E, soprattutto, non cadete nell’errore di voltare la testa dall’altra parte quando il percorso di ricovero è già avviato e la persona ha recuperato peso, non fate l’errore di considerare “guarita” una persona che ha avuto problemi di anoressia solo perché magari è tornata normopeso. Il peso non ha diretta correlazione con la salute mentale. E l’anoressia è una malattia mentale: se la mentalità resta quella della patologia, si può essere malate di anoressia anche se si è nel normopeso più tranquillo del mondo.

- Chiedete quotidianamente “Ehi, come stai oggi?”. Non pretendete una risposta od una risposta sincera, naturalmente. Però così dimostrate che siete aperti all’ascolto, e che ci siete qualora la persona malata volesse parlarvi. E che ci siete sempre, non solo oggi perché la persona è sottopeso, e quando ritorna normopeso arrivederci e grazie.

- Niente sensi di colpa. Non sono utili a voi, e men che meno a chi ha un DCA. Questo non significa che non possiate essere dispiaciuti, ovviamente, ma scivolare nella spirale dei sensi di colpa è solo deleterio. Il passato non si può cambiare né cancellare: perciò, anziché perdere tempo prezioso a rimuginarci sopra, utilizzatelo per valutare cosa potete fare da ora in poi per dare una mano alla persona che ha un DCA.

- Niente pressing psicologico sui risultati attesi. Sulla base di quella che è stata la mia esperienza, mi sono accorta che, ogni volta che facevo un ricovero, o andavo da una dietista, o iniziavo una nuova psicoterapia, gravavano su di me enormi aspettative: l’anoressia veniva considerata alla stregua di una malattia fisica, quindi c’era l’aspettativa che, una volta tornata a casa dopo quei 3 mesi di ricovero, o una volta fatte TOT sedute di psicoterapia, in me ci fosse un cambiamento sostanziale. Non è così. Un ricovero, una psicoterapia, una riabilitazione nutrizionale sono solo tentativi. Possono andar bene come fallire. E anche se vanno bene, possono volerci anni per muovere un piccolo passo in avanti. Quindi, non fate troppa pressione psicologica e non cercate il “tutto e subito” nel voler vedere dei risultati in termini di miglioramento. Anzi, più una persona si sente pressata in tale direzione, più sale l’ansia e quindi più è difficile andare effettivamente in quella direzione. Un percorso di ricovero richiede i suoi tempi, e sono tempi ben lunghi: siatene consapevoli e rilassatevi.

- Accettate i vostri limiti. Il vostro supporto può essere davvero importantissimo per chi sta combattendo contro un DCA. Ma dare supporto è tutto ciò che potete fare. Non avete la capacità di guarire nessuno, semplicemente perché questo nessuno può umanamente farlo. Non potete essere voi a cambiare quello che passa per la testa di una persona che ha un DCA. Non siete in grado di salvare nessuno. Potete sostenere, questo è tanto. E se lo fate con tutti i crismi, allora questo è tutto.

- Prendetevi cura di voi stessi. Stare accanto ad una persona che ha un DCA è faticoso sotto ogni punto di vista, fisicamente e psicologicamente. Perciò, non annullatevi né ammalatevi a vostra volta per stare vicino a chi ha un DCA: sia perché così non potreste essere più di alcun supporto, sia perché niente è più importante di voi stessi. Se ci rimanete troppo sotto avrete un completo burnout: e questo non sarà di alcuna utilità né per voi, né per vostra figlia/sorella/amica. Prendetevi perciò i tempi necessari per avere cura di voi stessi: solo così potrete continuare ad essere di supporto per gli altri.

(Ragazze, se avete qualche altro consiglio da aggiungere a quanto ho scritto, siete vivamente pregate di lasciarlo nei commenti!... Più suggerimenti per familiari/amici ci sono, più questo post può essere utile!...)

venerdì 18 aprile 2014

Aspettando Pasqua

Per molte persone la Pasqua rappresenta l’occasione per riunirsi con la propria famiglia o con gli amici, passare la giornata tutti insieme, ridere, scherzare, scambiarsi uova di Pasqua… passare del tempo in serenità. Per chi ha un DCA, però, la giornata di Pasqua può non essere altrettanto facile. Anzi, può essere decisamente difficile, fonte di ansia e stress. Perché un pranzo di Pasqua insieme a familiari e parenti può mettere di fronte a quelle che sono le maggiori difficoltà relative tra le altre cose anche all’alimentazione.

Gestire la Pasqua con i propri familiari e parenti può essere difficile sotto molti punti di vista, e può eventualmente catalizzare una ricaduta nel DCA. Non mi riferisco meramente all’aspetto alimentare, ma soprattutto alle difficoltà legate all’avere intorno membri della famiglia che fanno commenti sgradevoli ed indelicati sulla vostra fisicità, e alla necessità di dover gestire il DCA di fronte ad una situazione sociale che coinvolge altre persone. Talora anche le famiglie che sono consapevoli del fatto che un membro ha un DCA possono comunque lasciarsisappare commenti su cosa/come/quanto/quando mangiate. E questo genera una pressione non indifferente, che può spingere vuoi a mangiare più di quel che vorreste solo per compiacere gli altri, vuoi a restringere ancora di più l’alimentazione per timore di lasciarvi sfuggire di mano la situazione.

Perciò, nel post di oggi vorrei condividere con voi alcune idee che potreste mettere in atto, in qualità di strategie di coping diverse dal DCA, nei momenti in cui vi sentite particolarmente sotto pressione.

• Fate una lista delle cose che possono aiutarvi a rilassarvi e a distrarvi, soprattutto nel periodo post-prandiale (per esempio: andare a fare una passeggiata, fare una doccia calda, andare a trovare un amico, farsi un giro in macchina, etc…), e poi mettetele in atto.

• Tenete sotto mano il numero di un amico/terapeuta/collega che sa del vostro DCA, e telefonategli ogni qualvolta sentite che siete sul punto di crollare.

• Se dovete avere a che fare con parenti che fanno commenti sgradevoli sulla vostra fisicità, cercate di stare a contatto con loro il meno possibile, e qualsiasi cosa dicano fate finta di non aver neanche sentito: i provocatori si stancano presto se non ricevono la reazione che si aspetterebbero.

• Siate consapevoli che, per quanto possiate mangiare, il vostro peso rimarrà pressochè costante. Il nostro corpo è infatti dotato di splenditi meccanismi di feedback che tendono ad annullare le sollecitazioni esterne eccessive, per mantenere la propria omeostasi.

• Se anche doveste avere una ricaduta, non vivetela come un fallimento: è un momento particolarmente stressante e difficile, ed è ovvio che una cosa del genere possa favorire le ricadute. Ma una ricaduta di un solo giorno non vuol dir niente, se vi rialzate immediatamente: quando il giorno è finito metteteci una pietra sopra, e dal giorno dopo ricominciate come se niente fosse.

• Se ne avete la possibilità, a prescindere da quello che mangeranno gli altri, continuate a seguire l’ “equilibrio alimentare” che vi ha prescritto la vostra dietista: è il miglior modo per avere la certezza che state mangiando quanto necessario, né più e né meno, e per non avere inutili ansie. E se gli altri storceranno il naso perché non assaggiate i loro manicaretti pasqualizi, paziente: la vostra salute psicofisica è più importante della gratificazione del loro ego.

• Preparatevi in anticipo risposte pronte da dare a chi farà commenti sulla vostra fisicità o sulla vostra alimentazione. La gente ci rimarrà con un palmo di naso, e si zittirà.

• Se ne avete la possibilità, parlate con le persone che condivideranno con voi la Pasqua, e spiegategli le vostre difficoltà, e ditegli come vorreste che si comportassero: magari in questo modo potranno riuscire a venirvi incontro. Nessuno può leggervi nella mente e sapere cosa gradireste e cosa vi darebbe noia, ma se parlate e spiegate le cose con chiarezza, è molto più facile che chi vi sta intorno, specie se vi vuol bene, si impegni per cercare di rispettare quello che avete detto.

• Ritagliatevi almeno 10 minuti in tutta la giornata per poter stare con una persona cui volete bene, o per poter fare qualcosa che vi piace e che vi fa sentire bene: è il modo migliore per prendervi cura di voi stesse al termine di una giornata stressante.

Penso davvero che ognuna di voi debba fare ciò che è giusto per se stessa anche a Pasqua. Non vi fate scalfire dalla pressione di chi vorrebbe che mangiaste come dice lui. Non state mangiando per gli altri… state nutrendovi per voi stesse. E se pensate che la giornata di Pasqua con i parenti possa essere davvero troppo pesante per voi, andate a trascorrerla altrove. Non abbiate timore di dispiacere gli altri: loro farebbero altrettanto, se fossero al vostro posto… anche e soprattutto quelli che vi faranno la morale. Già che la Pasqua può essere molto stressante di per sé per chi ha un DCA, è davvero molto importante che facciate quello che sentite di aver bisogno di fare, al fine vuoi di evitare ricadute, vuoi di trascorrere la giornata il più tranquillamente possibile.

A questo punto, dato che ormai la Pasqua è imminente, posso soltanto augurarvi (di):

B asare il cibo come mera fonte di nutrimento, e non più mezzo per (credere di) controllare la realtà circostante
U tilizzare la parola “peso” unicamente per definire l’importanza delle cose che arricchiscono la vostra vita.
O vviare alla cecità selettiva dei vostri genitori/familiari, facendo loro capire che il vero problema di chi ha un DCA non risiede nella fisicità, e che raggiungere il “normopeso” non significa in alcun modo essere “guarite”.
N on avere più bisogno dell’anoressia/della bulimia come strategia di coping, perché avete trovato in voi la forza di affrontare faccia-a-faccia i vostri veri problemi.
A vere una vita piena di tutto quello che vi pare e piace, senza più posto per il DCA.

P rincipiare a capire che è possibile per tutte combattere contro il DCA, e che il farlo migliorerà significativamente la vostra qualità della vita.
A cquisire la consapevolezza che a prescindere dalla vostra fisicità quello che riuscirete a fare di positivo nella vostra vita dipende solo e soltanto dalle vostre capacità e dalla vostra determinazione, che non hanno niente a che vedere col vostro peso o col vostro corpo.
S entire che avete tutta la possibilità di fare una scelta tra il rimanere aggrappate al DCA o il provare a combatterlo, e che
Q ualsiasi delle 2 opzioni decidiate di scegliere, solo una ha un futuro.
U scire vincitrici da qualsiasi battaglia contro il DCA, ed essere capaci di rialzarvi a fronte di ogni eventuale ricaduta, nella consapevolezza che quello che state facendo, per quanto duro e difficile, vale assolutamente la pena.
A rrivare ad afferrare le stelle con le mani – come direbbero le t.A.T.u.:
дотянуться до звезд с руками.

venerdì 11 aprile 2014

Scendere dalla bilancia: Markers di gravità dell'anoressia non basati sul peso

Penso che chiunque abbia un DCA sia perfettamente consapevole che la propria patologia poggia su basi che hanno poco e niente a che vedere col cibo e con la magrezza, ma che sono essenzialmente rappresentate dalle soggettive problematiche presenti in ciascuna persona affetta da DCA. Sebbene sia perciò grande la nostra voglia di gridare: “Il peso non c’entra una mazza, è solo un mero capro espiatorio, i veri problemi sono ben altri e più profondi!”, è un dato di fatto che, in molti casi, il trattamento dei DCA è basato principalmente sul peso corporeo. Questo è tanto più vero in Paesi come gli Stati Uniti d’America dove la sanità è privata e, addirittura, le persone malate di DCA possono accedere alle cliniche specializzate solo se il loro B.M.I. è inferiore a 18 o superiore a 25. Per quelle ragazze che, pur avendo un DCA con tutti i crismi, si mantengono nel range del normopeso… niente posto in clinica!

Ora, penso che siamo tutte d’accordo nel ritenere che, da questo punto di vista, il Sistema Sanitario Privato degli U.S.A. è veramente marcio. Però, nel fare così, propaganda un’idea che credo non sarà ignota a nessuna di voi: l’idea che se non siete gravemente sottopeso, allora non siete “abbastanza malate” da chiedere aiuto. Idea che, ovviamente, reputo SBAGLIATISSIMA. Non fraintendetemi, non sto dicendo che il peso corporeo sia una fattore di rischio irrilevante nel valutare un DCA (è un dato di fatto scientificamente comprovato che più il B.M.I. è basso, maggiore è il rischio di morire… ma questo non significa che, se il B.M.I. è nel range del normopeso, allora questo rischio è scongiurato!), ma ci sono millemila problematiche fisiche e psicologiche legate ai DCA che rappresentano altrettanti fattori di rischio e potenziali cause di morte anche per persone che hanno un B.M.I. non particolarmente basso.

Questo detto, immaginatevi qual è stata la mia sorpresa quando ho scoperto che, nell’imminente DSM-V, il principale marker di gravità per l’anoressia è… rullo di tamburi… il B.M.I.!!

Cioè, seriamente?

Seriamente.

La bulimia e il binge, in questa nuova edizione del DSM, hanno dei marker di gravità che sono prettamente comportamentali: per esempio, il numero di abbuffate, o il numero di episodi di vomito autoindotto per settimana. È pur vero che, anche nel DSM-IV-TR, i criteri diagnostici di queste due patologie non fanno menzione alle variazioni di peso come invece succede per l’anoressia, ma tant’è.

Ripeto: non penso che il peso, e la perdita di peso, siano irrilevanti nell’anoressia (certo che non lo sono!), ma da qui a dire che sono l’unico marker di gravità dell’anoressia, ne corre di acqua sotto ai ponti! E mi sembra una valutazione estremamente miope, tra l’altro. Fortunatamente, non sono l’unica a pensarla così. Un ampio gruppo di ricercatori ha recentemente pubblicato un articolo su “International Journal of Eating Disorders”, che dimostra come i comportamenti alimentari restrittivi siano un marker indipendente dalla gravità dell’anoressia. (De Young, et al.; 2013).

Per realizzare lo studio su cui è basato l’articolo, i ricercatori hanno reclutato 118 donne cui era stata diagnosticata l’anoressia, e che erano state seguite ambulatorialmente nel Midwest. Queste donne sono state poi suddivise in 2 sottogruppi: il primo comprendente le donne con anoressia di tipo restrittivo (sottotipo 1), il secondo comprendente le donne con anoressia associata a abbuffate/condotte di eliminazione (sottotipo 2).

Alle donne facenti parte dello studio è stato chiesto dai ricercatori quali comportamenti tipici del loro sottotipo di anoressia stessero utilizzando, od avessero utilizzato recentemente, e quanto tempo mentale fosse riversato sul DCA. Il primo risultato di queste interviste è stato rappresentato dall’osservazione che le donne appartenenti al sottogruppo di anoressia con abbuffate/condotte di eliminazione sono quelle con più pensieri ossessivi nei confronti dell’alimentazione, e con più comportamenti disturbati; il che è in linea con i risultati ottenuti in altri precedenti studi simili.

Tuttavia, da questo studio sono stati tratti altri risultati decisamente interessanti.
Le persone affette da anoressia con abbuffate/condotte di eliminazione, pur avendo un B.M.I. tendenzialmente superiore rispetto a quello delle donne affette da anoressia restrittiva, presentavano dei marker decisamente differenti per quel che concerne la gravità del DCA. Il primo gruppo, infatti, presentava:

• un numero maggiore di episodi di abbuffate e condotte di eliminazione per settimana (il che, okay, è ovvio, visto che chi ha un’anoressia di tipo prettamente restrittivo non ha affatto episodi di abbuffate nè condotte di eliminazione.);
 • più momenti di digiuno completo;
• più pasti saltati a piè pari;
• maggiore entità di restrizione alimentare ad ogni pasto;
• maggiore dichiarazione di volontà di “mangiare il meno possibile”;
• maggior tempo dedicato ai pensieri ossessivi tipici dell’anoressia;
• maggiori livelli di ansia.

Peraltro, questi comportamenti non venivano riferiti come necessariamente conseguenti ad un’abbuffata (ci sono degli studi che dimostrano che più è repentina e di maggiore entità la restrizione alimentare, più è facile cadere nell’abbuffata), e che, di conseguenza, aggravavano le condizioni fisiche della persona, e dunque erano markers di gravità del DCA, indipendentemente dal peso della persona. In effetti, erano proprio le donne con i valori di B.M.I. più elevati ad avere una maggior quantità di pensieri ossessivi, a digiunare di più, ad abbuffarsi per poi provocarsi il vomito di più, ad avere più pensieri ossessivi e dunque ad essere, in definitiva, molto più preda del DCA, il che ovviamente configura di fatto una situazione di gravità della patologia maggiore.

Gli autori dello studio concludono:

“Per l’anoressia, generalmente il marker di gravità di patologia più utilizzato è il B.M.I..Il peso corporeo è un marker indiscutibile in merito alla gravità da un punto di vista prettamente medico-fisico dell’anoressia, anche perché è strettamente associato con il rischio di mortalità. I risultati di questo studio, tuttavia, indicano che i due sottotipi di anoressia presentano markers di gravità differenti, e che si distaccano dal peso in sé per sé: markers che vanno a valutare i sintomi comportamentali. Ebbene, è proprio la frequenza di questi comportamenti patologici, che può rappresentare un marker di gravità dell’anoressia, indipendentemente dal B.M.I. [...] I professionisti che lavorano clinicamente con le persone affette da anoressia potrebbero dunque valutare e monitorare la varietà di comportamenti con cui le loro pazienti si approcciano all’alimentazione, nonché l’entità e l’ossessività dei pensieri propri del DCA, notando così che la configurazione di questi comportamenti e di questi pensieri può variare a seconda sottotipo e rappresentare un marker di gravità dell’anoressia non basato sul peso.” 
(mia traduzione) 

Con questo, non voglio dire che il peso corporeo non possa essere considerato come un marker di gravità per l’anoressia, ci mancherebbe altro, però voglio dire che NON DEVE essere considerato come L’UNICO marker. Dire che la gravità dell’anoressia si basa solo su quanto pesa la persona malata, corrisponde al giudicare la gravità di una malattia mentale basandosi su criteri somatici. È una contraddizione in termini, mi sembra ovvio. Nessuno penserebbe mai di fare una cosa del genere per altre malattie mentali come la depressione o l’ansia generalizzata. Per cui, a mio parere, sarebbe molto importante porre l’accento su quelli che sono gli aspetti comportamentali e i pensieri ossessivi tipici del DCA per valutare l’effettiva gravità dell’anoressia, perché queste sono cose che hanno un enorme impatto nella vita quotidiana della persona, e dunque sono importantissimi determinanti della qualità della vita. E questo indipendentemente dal peso. Perciò, è su questi nuovi marker, più che su peso, che dovemmo concentrarci per valutare la gravità dell’anoressia, e per fornire così alla ragazza malata il livello e la tipologia di cure di cui necessita.

venerdì 4 aprile 2014

Non è oro tutto quel che luccica

Il post odierno nasce da un commento anonimo lasciato al mio post della settimana scorsa. Mi riferisco a questo:

"Non è affatto vero che le immagini delle modelle magre o cose così sono sempre dovute a del fotoritocco! Se andate su google immagini e cercate “real girl thinspo” trovate delle foto di ragazze magrissime con un fisico perfetto che sono vere, non ritoccate, sono foto reali! Se le fanno allo specchio! In alcuni casi ci sono proprio i confronti delle foto prima e dopo essere dimagrite, che dimostrano quanto la persona è riuscita a perdere peso! Se delle ragazze ci riescono a perdere così tanti chili e a diventare così magre, è normale desiderare di poterci riuscire e di diventare come loro, perché non sono fotoritocchi, sono reali!"

Alcune di voi hanno replicato a questo commento, e anch’io ho provato a dare la mia risposta. Nel frattempo ho ricevuto l’e-mail di Jonny. Che voglio oggi riproporvi pari-pari, senza cambiare una virgola.  

Hola girls, voglio proprio farvi vedere questo collage di mie fotografie. Penso che siano particolarmente significative tra tutte quelle che ho nel mio album fotografico sparso per l’etere del Web, perciò ho deciso di montarle insieme organizzandole in stile “prima e dopo la dieta”, nella mia personale versione “prima e dopo l’anoressia” (click sulla foto per ingrandire).


Come potete vedere nelle varie fasi di dimagrimento illustrate da queste 4 foto, dopo mesi, mesi e mesi di restrizione alimentare senza il benché minimo sgarro, ho perso più di 10 chili e mi sono trasformata da ragazza qualsiasi normopeso senza alcuna caratteristica di rilievo, a ragazza magrissima e presumibilmente aspirante “real girl thinspo”. Avete visto a cosa può portare la restrizione alimentare conseguente all’anoressia? Tanta roba, eh?! 

Okay, vi sto prendendo per il culo. Cioè, è vero che sono malata di anoressia, ma per quel che riguarda le fotografie… beh, come la prendereste se vi dicessi che quelle 4 foto sono state scattate tutte nell’arco di una sola giornata? Ebbene sì. E vi assicuro che, per quanto in passato possa averci dato dentro con la restrizione alimentare, è impossibile perdere più di 10 chili nell’arco di 24 ore – don’t try it at home, girls. 

Che trasformazione, eh?!, nel mero lasso di tempo di una giornata. Volete sapere dove sta il trucco? Okay, allora, con ordine. 

Partiamo dalla prima foto, quella sulla sinistra (foto che, cronologicamente parlando, è stata in realtà scattata per ultima, nel tardo pomeriggio). Innanzitutto, la posizione. Sono seduta, raccolta, il che già di per sé fa effetto massa. Con i gomiti e con le punte dei piedi faccio forza contro i gradini delle scale, mettendo così in contrazione la muscolatura: è dato di fatto che se si contrae un muscolo le sue dimensioni aumentano rispetto a quando tale muscolo è rilassato. Inoltre le gambe sono schiacciate l’una all’altra, e le braccia sono schiacciate contro il busto, appiattendosi e slargandosi. Da qui, a colpo d’occhio, le mie gambe e le mie braccia sembrano ben tornite. Inoltre ho il volto girato a ¾ verso l’obiettivo della macchina fotografica: in questo modo si espone la massima superficie faciale possibile, per cui il mio viso dà l’impressione di essere più “largo”. Peraltro in quella foto indosso un vestitino bianco piuttosto ampio, con una gonna che nasconde gran parte delle mie curve, e poiché la stoffa disegna delle curve molto morbide, il messaggio subliminale che trasmette – e cui il nostro cervello l’associa – è che anche al disotto di essa ci siano curve morbide. È un meccanismo inconscio, ma potentissimo: se vediamo l’immagine di un cubetto di ghiaccio, l’associamo spontaneamente a “freddo”. Allo stesso modo, se vediamo una persona che indossa una capo d’abbigliamento ampio, penseremo di default che quella persona abbia qualche chilo di troppo da celare. Anche i miei capelli sono sciolti e “morbidi”, naturali, il che contribuisce ulteriormente all’idea di “morbidezza” generale che la mia immagine trasmette. Aiuta infine la luce: una penombra omogenea che non mette nessun particolare del mio corpo in risalto. 

Nella seconda fotografia (scattata nel primo pomeriggio) sembro già un po’ più magra. Ma è tutta un’illusione dovuta ad una serie di accorgimenti che falsano la percezione: innanzitutto, sono in piedi e porto dei sandali con i tacchi, il che contribuisce già di per sé a slanciare la mia figura. Il mio volto è quasi in profilo completo, il che rende le linee più dure, e i capelli, più spioventi, accentuano questa sensazione. Indosso un paio di shorts neri che mettono ben in mostra le gambe, volutamente divaricate per far sembrare più distanziate le cosce. La mia gamba sinistra e leggermente ruotata verso l’esterno, e un sapiente gioco di luci mette in evidenza una tenue ombra sulla coscia che fa sembrare la coscia stessa un po’ incavata. Le braccia sono seminascoste dalle bottiglie e dal busto, per cui è impossibile capirne le vere dimensioni. Il push-up sembra dare l’idea che io abbia un discreto seno (in realtà porto a malapena una prima misura) ancora, nonostante il “dimagrimento”. 

Nella terza fotografia (scattata di prima mattina) sembro ancora più magra: di nuovo in piedi, stivaletti coi tacchi, e un look total black – perché è vero che il nero snellisce – sono gli elementi che accentuano la mia figura slanciata. I capelli sono raccolti, per permettere di vedere meglio un viso che è a mezzo profilo ed investito da una luce fredda che mette in risalto tutti gli spigoli e crea un gioco d’ombre che mette in evidenza i tendini tesi del collo e le dita delle mani che paiono particolarmente affusolate. Tengo una mano sul fianco per far risaltare il braccio bello sottile, e le spalle ben dritte. Inoltre indosso gli occhiali da sole che mi fanno sembrare particolarmente sicura di me stessa nella mia “magrezza conquistata con taaaaanti sacrifici”. Sullo sfondo le scale contro cui poggio il braccio destro producono delle ombre oblique che contribuiscono a far sembrare il mio fisico particolarmente longilineo. 

Nell’ultima fotografia sulla destra (scattata all’ora di pranzo) sembro aver raggiunto l’apice del dimagrimento. Le mie braccia sono allargate e sollevate verso l’alto, una posizione antigravitaria che le fa sembrare particolarmente lunghe e magre, cosa cui contribuisce anche la luce che crea un’ombra netta che sembra quasi mettere in risalto le ossa delle braccia. La postura è ottima, con le spalle ben dritte, la testa alta per mettere in risalto il collo con i tendini tesi bene in vista, e le gambe ben divaricate, il che dà la sensazione che siano particolarmente magre quando in realtà sono solo più distanti l’una dall’altra. Indosso una vestina bianca aderente, e tutto quello che è aderente già di per sé profila il corpo e quindi accentua l’idea di magrezza, per gli stessi motivi per cui i vestiti larghi fanno pensare ad un fisico robusto. Data l’aderenza della vestina, si notano bene le costole in rilievo, e la pressoché sostanziale assenza di seno, che fanno molto “thinspo”, no?! I capelli sono tirati indietro e il mio volto è frontale, poiché così offre la minor superficie possibile alla macchina fotografica, truccato in maniera tale da far risaltare gli zigomi, che sembrano particolarmente affilati e pronunciati, come se non fosse rimasto nient’altro che ossa a definirli. Anche il trucco degli occhi li fa sembrare più incavati e ravvicinati, cosa che contribuisce all’idea di magrezza. Infine un’espressione decisa e dura stile “sono una vera ganza e sono così orgogliosa dei miei risultati! Guardate come si fa, coglione”. Zoomato indietro e con l’aggiunta di un bel filtro fotografico, visto che i filtri rendono tutto più bello. 

Cosa intendo dire con tutto questo? Per prima cosa, che la mente umana può essere facilmente ingannata da giochi di luci, posture, abbigliamento, trucco e parrucco. Basta davvero poco perché il nostro cervello creda a cosa assolutamente non vere. Penso che le mie 4 foto ne siano la più lampante dimostrazione. Quante di voi, guardandole, a primo acchito hanno pensato che fossero realmente la rappresentazione di un graduale dimagrimento, prima di leggere le dovute spiegazioni? La maggior parte se non tutte, immagino. Come volevasi dimostrare. 

Secondariamente, non fatevi ingannare da ciò che trovate sulle riviste o su Internet: non solo le immagini proposte sono il risultato di un pesante fotoritocco, ma a monte ci sta una selezione tale per cui su centinaia di foto scattate, ne vengono scelte soltanto alcune, le migliori ovviamente, che vengono comunque sottoposte ad un accurato lavoro di Photoshop prima di procedere alla pubblicazione. Non vedrete mai le centinaia di immagini che non erano altrettanto ben riuscite. Photoshop può rendere una vacca più sexy di Kesha. 

Non lasciatevi ingannare dalle etichette né dalle apparenze: chiunque ha dei difetti. Fatevelo dire da una che lavora come modella/fotomodella da quando aveva 15 anni, e che dunque sa quanto le modelle/fotomodelle possano sembrare meravigliose e perfette se truccate, acconciate, vestite e fotografate (e poi magari anche ritoccate!) nel modo giusto. Ma io conosco anche l’altra faccia della medaglia. Brufoli, denti storti, peli superflui, occhiaie, cellulite… ce li abbiamo anche noi! L’unica differenza è che un team di esperti sa come presentarci al meglio, camuffando le nostre imperfezioni ed esaltando i nostri tratti migliori. E quando natura non arriva… arriva in soccorso la grafica computer! 

Svegliatevi ragazze, ché non è oro tutto quel che luccica!

Voi che ne pensate? Io trovo che Jonny abbia avuto un’idea semplicemente geniale, che passa un messaggio più che positivo. Tutte noi abbiamo i nostri pregi e i nostri difetti, solo che noi che non lavoriamo come modelle o fotomodelle spesso e volentieri non abbiamo il tempo, i mezzi, o la voglia per trasformarci nella “versione esteticamente più bella” di noi stesse.

Perciò, ragazze, il messaggio mi sembra forte e chiaro: cerchiamo di non farci fregare da quello che vediamo sulle riviste o su Internet, siamo consapevoli dei nostri difetti, e cerchiamo di lavorarci su se si tratta di cose che veramente c’infastidiscono e che possiamo in qualche modo cambiare, e non dimentichiamoci di mettere in risalto i nostri punti di forza. E ricordiamo sempre una cosa tanto banale quanto vera, e cioè che, al di là dell’apparenza, ciò che conta davvero è la nostra interiorità, che definisce le persone che siamo, e quanto valiamo.

P.S.= A proposito delle prodezze di Photoshop e del fotoritocco, vi lascio questo video che ho trovato su YouTube:
http://www.youtube.com/watch?v=Hnvoz91k8hc
 
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