Come gli alchimisti trasformavano il ferro in oro… voi potete trasformare l’oscurità in luce. Siete tutte benvenute.

venerdì 27 febbraio 2015

"ED Awareness Week"... per chi?

Non so se lo sapete o meno, ma negli Stati Uniti d’America questa è la cosiddetta “ED Awareness Week” (tradotto letteralmente: “Settimana di Consapevolezza sui DCA”).
Così come noi in Italia abbiamo la giornata del fiocchetto lilla, negli U.S.A. “ben” 7 giorni all’anno vengono spesi per i DCA.
In questa settimana, bazzicando i più noti siti Internet americani (come quello del NEDA, dell’ANAD, dell’EDC, del NEDIC, giusto per farvi alcuni esempi) in cui si parla di DCA, ho notato come numerose iniziative siano state messe in atto per (cito testualmente, pur traducendo) “implementare la consapevolezza in merito ai DCA

Tuttavia, pur vedendo quanto si siano dati da fare, mi è comunque sorta spontanea una domanda: ma a chi è destinata, veramente, la “ED Awareness Week”? Per chi viene fatta? 

È per la gente che non ha mai vissuto sulla propria pelle un DCA? È per i familiari di chi ha un DCA? È per suscitare l’interesse dei mass media? È per le persone affette da DCA?... Insomma, chi è il target di questa settimana di consapevolezza sui DCA?
E in cosa esattamente spera di rendere la gente consapevole?
Che esistono persone che hanno un disturbo alimentare? A-ha. Embè?

Forse uno degli obiettivi è quello di spiegare che i DCA non sono meramente malattie adolescenziali, ma possono colpire persone di qualsiasi età. Oppure che i DCA non colpiscono soltanto le donne, ma si possono ammalare anche gli uomini. Okay, è bene che la gente venga a sapere questo genere di cose, ma poi... cosa?

Forse la “ED Awareness Week” vuol essere un modo per spingere le persone che hanno un DCA a chiedere aiuto? Sarebbe molto positivo, questo. Ma se andate a dare uno sguardo a come questo aspetto viene presentato in molti di questi siti (tra cui quelli che ho citato prima), vedrete che si tratta per lo più di un fare pubblicità a cliniche private e a psicoterapeuti, che ci guadagnerebbero non poco se un maggior numero di persone affette da DCA si rivolgessero a loro. Bè? E una cosa del genere, a chi dovrebbe essere d’aiuto?

Non che sia una male cercare di spronare le persone che hanno un DCA a rivolgersi a professionisti competenti per farsi affiancare nel loro percorso di ricovero, altro ci mancherebbe: io stessa sono la prima a dire che a mio parere è indispensabile essere seguiti da dietista e psicoterapeuta per poter combattere efficacemente contro l’anoressia. Tuttavia, il modo in cui la cosa viene presentata su quei siti mi appare molto buonista, e quindi mi sembra che ci sia del torbido: mi pare che l’interesse serpeggiante, subliminale, sia molto più quello di far guadagnare cliniche e psicoterapeuti, che non quello di aiutare chi ha un DCA.

E dunque, tornando alla domanda di partenza: a chi serve questa settimana? Vuole forse essere una sorta di “ogni cosa per chiunque”? Stile “La Festa Della Mamma” o “San Valentino”? Perchè questa è un po’ l’impressione che a me scaturisce.
O è forse una cosa del tipo “DCA Pride”?

Insomma, come dovrebbero reagire di fronte a tutto questo le persone che hanno effettivamente l’anoressia/la bulimia/il binge/un DCAnas? Perché la maggior parte delle persone affette da DCA afferisce proprio a questi siti (io stessa talvolta lo faccio, peraltro), per cui quali pensieri una cosa del genere può suscitare? Qual è il messaggio che alle persone con un DCA dovrebbe arrivare? “Tesoro, sei malata, fatti curare!”? Forse potrebbe anche spingere alcune persone in quella direzione, ma ho il sospetto che non sia così probabile come potrebbe sembrare.

Non so, forse è solo una mia impressione, ma tutto ciò che è riferito a questa “ED Awareness Week” mi sembra, come dire… molto monodirezionale, nonché molto cheerleaderesco (Go, ragazze, go! Ricoveratevi in clinica, go!).

Al di là di questo aspetto di “pubblicità” delle varie strutture di ricovero e dei vari psicoterapeuti, non mi sembra ci sia poi tanto altro. Anzi, in diversi siti ho visto, con mio grande disappunto, il fiorire di numerosi luoghi tanto comuni quanto assolutamente falsi sui DCA. Non viene spiegato praticamente niente di approfondito sulle dinamiche mentali di chi ha un disturbo alimentare, c’è solo una passiva raccolta di cliché che chiunque potrebbe leggere su un qualsiasi articolo di “Donna Moderna” o di “Grazia”: MAMMAMIA LE DONNE ODIANO IL LORO CORPO! Due domande: qual è la sensibilizzazione in questo? E che cosa mai questo ha realmente a vedere con i DCA?

Uno dei problemi, secondo me, è che anche questi grandi siti statunitensi che si occupano di DCA non comunicano abbastanza tra di loro: basti vedere di fatto che nella maggior parte di essi non ci sono neanche i link per afferire ad altri siti simili nei contenuti. Io credo che se ci fosse una maggior comunicazione, e una maggiore voglia di far luce sulla vera natura dei DCA, lavorando di squadra si otterrebbero risultati nettamente migliori. Perché anziché rivangare sempre i soliti luoghi comuni non vengono proposti articoli più dettagliati che vanno ad esplorare aspetti come il bisogno di controllo, l’autostima, le problematiche di compliance, le comorbidità, e via dicendo? Forse sarebbero tematiche più difficili da affrontare, più impegnative, più controverse e meno sensazionalistiche rispetto al mettersi a gridare che l’anoressia è causata dalla società che vuole solo donne magre, però credo che alla lunga i risultati conseguiti sarebbero migliori.  

E voi cose ne pensate? Chi pensate siano i veri destinatari della “ED Awareness Week”? A cosa pensate dovrebbe mirare una campagna di sensibilizzazione sui DCA? E come credete si potrebbe agire per cambiare le stato attuale delle cose?

venerdì 20 febbraio 2015

Istamina e Anoressia

Immagino che ad alcune di voi, nella propria vita, sia capitato di assumere degli antistaminici – farmaci che bloccano la degranulazione dei mastociti e l’azione dell’istamina (per esempio: Zirtec, Aerius, Atarax, Trimeton, Cetirizina) – generalmente per bloccare i sintomi di una qualche allergia. Sebbene l’istamina sia fondamentalmente nota per il suo ruolo nella risposta immunitaria, ha anche altre importanti funzioni nel sistema nervoso centrale.

Nel nostro cervello, in rilascio di istamina è importante per l’arousal (ecco perché assumere antistamici ci rende sonnolenti), nonché è impilicato nel regolare l’appetito, la percezione del gusto, l’apprendimento, la memoria, i comportamenti aggressivi, la motivazione e le emozioni (tra le altre cose). (Yoshizawa et al., 2009) Alterazioni nel rilascio di istamina nel cervello sono implicate in una vasta gamma di patologie, tra cui la schizofrenia (Iwabuchi et al., 2005), la depressione (Kano et al., 2004), e la sclerosi multipla.

In ogni caso, dato che il mio blog è centrato sui disturbi alimentari, il mio obiettivo è quello di parlare del ruolo dell’istamina nel controllo dell’appetito. Come Yoshizawa e i suoi colleghi hanno visto dai loro studi:

• Un incremento dei livelli di istamina corrisponde ad un decremeno dell’appetito.
• Bloccare la secrezione di istamina viceversa aumenta l’appetito
• L’attività istaminergica è incrementata dall’assunzioni di cibo dopo un lungo periodo di restrizione alimentare.

In buona sostanza, da questo studio emerge che c’è una relazione di proporzionalità inversa tra attività istaminergica e appetito: un’elevata attività istaminergica sopprime l’appetito e quindi riduce l’assunzione di cibo, mentre una bassa attività istaminergica aumenta l’appetito. Gli effetti dell’istamina sull’alimentazione sono mediati dai recettori istaminergici di tipo H1. Lo studio in questione sottolinea peraltro il fatto che l’attività istaminergica è molto più spiccata nelle donne che non negli uomini, in particolare proprio per quel che riguarda i recettori istaminergici H1, poiché è stato dimostrato che le donne possiedono una più elevata densità di recettori H1.

A partire da queste considerazioni, gli autori di questo studio hanno volute valutare se il sistema istaminergico era alterato nelle donne affette di anoressia, rispetto a donne (ed uomini) non affetti da questa malattia, utilizzando la PET (Tomografia ad Emissione di Positroni), e focalizzandosi proprio sui recettori di tipo H1. Gli autori hanno ipotizzato che perturbazioni dell’attività istaminergica in pazienti affette da anoressia potessero essere in qualche modo correlate alle anomalie del comportamento alimentare o alle emozioni negative provate.

Un rapido flash sulla neurotrasmissione (istaminergica) 

[Se ne sapete già di neurobiologia, saltate pure questa parte che, peraltro, è molto semplificata per venire incontro alle esigenze di lettrici anche molto giovani. Non me ne vogliano gli specialisti per le inevitabili inesattezze.] 

I neuroni comunicano tra di loro rilasciando delle sostanze chimiche chiamate neurotrasmettitori (per esempio: istamina, serotonina, dopamina, etc…). Queste sostanze chimiche esercitano la loro azione legandosi a specifici recettori presenti sulle cellule-bersaglio (i recettori sono schizzinosi: non legano ogni qualsiasi molecola gli capiti a tiro, ma soltanto alcune specifiche molecole che gli sono complementari. La realizzazione di questo legame piò avere molteplici effetti sulle cellule. Per esempio, può rendere queste cellule più o meno favorevoli a partecipare alla comunicazione neuronale con le altre cellule, oppure può attivare/disattivare l’espressione di determinati geni nella cellula (tra le molteplici altre cose…). Esistono 4 recettori per l’istamina, con molta fantasia chiamati H1, H2, H3 e H4, che sono coinvolti in diversi processi e attività (leggete qui)

Quando i medici parlano di variazioni dell’attività istaminergica nel cervello (o dell’attività serotoninergica, dopaminergica, etc…), possono fare riferimento a molteplici cose differenti, che interessano l’intero sistema nervoso. Per esempio, variazioni nella densità dei recettori per l’istamina su una membrana cellulare, variazioni nel metabolismo dell’istamina, variazioni della velocità con cui l’istamina si lega ai propri recettori, comporta un cambiamento della quantità e della frequenza di rilascio dell’istamina e può influenzare l’intera attività istaminergica. Queste variazioni a loro volta possono influenzare le nostre risposte biologiche, psicologiche e comportamentali. Nel caso dell’istamina, nel più semplice degli esempi, questo può significare variazioni della durata e dell’entità dei sintomi di un’allergia.

Lo studio in questione

Per valutare l’attività istaminergica nel cervello, gli autori dello studio hanno utilizzato il radionuclide [(11)C]Doxepina. I radionuclidi sono dei farmaci marcati radioattivamente “che si possono legare ad un recettore, trasportatore, enzima, od un qualsiasi sito d’interesse. Misurare la velocità e l’entità del legame fornisce informazioni sul numero di siti di legame, e la loro affinità ed accessibilità.” (Fonte)

Gli studi condotti con la PET frequentemente misurano una cosa chiamata “potenziale di legame”. Il potenziale di legame fornisce una misura combinata della densità dei recettori (in questo caso nella fattispecie, la densità dei recettori H1 che sono capaci di legare il radionuiclide) e l’affinità del radionuclide per questi recettori. In questo studio, gli autori verificano il potenziale di legame della [(11)C]Doxepina per studiare i recettori H1.

Ora, io non m’intendo particolarmente di studi con la PET, quindi non so se questa sia la prassi comune, ma penso sia abbastanza interessante il fatto che gli autori tengano conto del ciclo mestruale delle donne partecipanti allo studio: tutte le scansioni PET sono state eseguite 1 settimana dopo l’ultima mestruazione.

Partecipanti allo studio 

Le partecipanti allo studio erano 12 donne affette da anoressia sottotipo 1, 12 donne senza alcun tipo di DCA, e 11 uomini senza alcun tipo di DCA. L’età media dei partecipanti allo studio era di circa 20 anni. Le donne affette da anoressia erano malate in media da circa 5,2 anni (range: 3 – 9 anni), ed avevano un B.M.I. medio di 14,7 (vs il B.M.I. medio del gruppo di controllo che era circa 20,35).

Le scoperte principali 

Confermando studi condotti in precedenza, gli autori hanno scoperto che il potenziale di legame della [(11)C]Doxepina era maggiore nelle donne affette da anoressia rispetto al gruppo delle donne di controllo soprattutto in 2 regioni: il nucleo lenticolare sinistro, e la parte destra dell’amigdala. In generale, non c’era una singola regione in cui il potenziale di legame delle donne affette da anoressia fosse inferiore rispetto a quello del gruppo di controllo.

Contrariamente a quanto avevano ipotizzato i ricercatori, invece, non vi era alcuna correlazione positiva tra il potenziale di legame della [(11)C]Doxepina e la gravità/durata del DCA. Ovvero: a prescindere dalla fase del DCA in cui si trovava una donna, non c’era un incremento del potenziale di legame (in altre parole: il potenziale di legame era simile a quello di donne e uomini senza DCA).

Cosa significa tutto questo? 

Come ho detto prima, le donne hanno una densità di recettori H1 maggiore rispetto a quella degli uomini. Gli autori suggeriscono che forse questa differenza gioca un ruolo nell’incrementare la vulnerabilità delle donne rispetto all’anoressia, che può essere associata con l’attività istaminergica nel sistema nervoso centrale.

Come la penso io 

L’ipotesi fatta dagli autori dello studio è interessante, ma è bene tenere a mente che in realtà non sappiamo niente rispetto a quale sia l’effettivo ruolo dell’istamina nello sviluppare l’anoressia, ammesso e non concesso che ne abbia effettivamente uno.

Anche la scoperta che il potenziale di legame è maggiore nei nuclei lenticolari (regione del cervello importante per la regolazione dei movimenti fini, tra le altre cose) e nell’amigdala (il cosiddetto “centro delle emozioni” del cervello) è un qualcosa di interessante. Tuttavia, dal momento che lo studio è unitario e non ci sono stati altri studi miranti a verificare la medesima cosa, non sappiamo se il dato è veritiero o se si tratta semplicemente di una coincidenza.

Per come la vedo io, inoltre, le alterazioni della neurotrasmissione istaminergica sono conseguenza, e NON causa dell’anoressia, o per meglio dire dell’ipoalimentazione, per cui secondo me non è che l’istamina in sé gioca un ruolo nello sviluppo dell’anoressia, è l’anoressia, con la sua restrizione alimentare, che va ad alterare la secrezione di istamina.

Vi faccio inoltre notare che questo studio è stato condotto su pazienti che erano nel pieno della malattia, ma non è stato replicato al migliorare delle loro condizioni psicofisiche, quindi non sappiamo se e cosa sarebbe cambiato una volta che quelle donne fossero state meglio. Per cui, lo studio in questione mi sembra anche un po’ incompleto.

Limitazioni dello studio 

Secondo me questo studio presenta inoltre delle notevoli limitazioni, tra cui:

• un piccolo campione di partecipanti (sono ragionevolmente sicura che questo sia dovuto a motivi economici: la PET è un esame molto costoso) che non può rendere statisticamente significativo lo studio
• comparazione tra molte differenti aree del cervello (il che aumenta il rischio di commettere certi errori statistici)
• incapacità di dimostrare che le variazioni dell’attività istaminergica siano causa o (come credo io) conseguenza dell’anoressia
• incapacità di dire se le differenze nel potenziale di legame siano dovute a cambiamenti della densità o dell’affinità recettoriale (presente la definizione? Il potenziale di legame è un compendio tra le 2 cose…)

Le mie conclusioni 

Come saprete soprattutto se leggete il mio blog da un po’ di tempo, io sono molto favorevole ad ogni qualsiasi genere di studi che possano essere condotti sull’anoressia, per cercare di sviscerare un po’ più a fondo questa malattia. Tuttavia, in questo caso storco un po’ il naso: lo studio è figo, ma non conclude un granché. Gli autori lanciano l’idea che le persone affette da anoressia abbiano una più elevata densità di recettori H1 in diverse regioni del cervello, ma questo input dovrebbe essere approfondito massivamente. Se quanto è venuto fuori è vero, occorrerebbe allora valutare la relazione e i cambiamenti tra pazienti affette da anoressia e gruppo di controllo senza DCA, per capire se questi cambiamenti sono dovuti all’anoressia o meno: valutare cioè se si tratta della causa o dell’effetto.

Il cervello umano è straordinariamente complesso, i DCA sono altrettanto straordinariamente complessi, e i modi che abbiamo finora per studiarli sono generalmente scadenti. La ricerca dovrebbe avere un’importanza preliminare, così come la nostra generale comprensione della neurobiologia dei DCA. Ma la situazione è MOLTO complessa, studiare i DCA è MOLTO arduo, e avere un’interpretazione unitaria data la molteplicità di persone affette è pressoché impossibile.

Postilla: Non sono un medico di diagnostica nucleare, per cui quello che so in merito alla PET è necessariamente limitato. Ergo, se ne sapete più di me, o se trovate degli errori in quello che ho scritto in questo post, o conoscete altri studi di questo tipo, fatemelo notare senza problemi! E, naturalmente, se vi va ditemi come la pensate… mi farebbe molto piacere.

venerdì 13 febbraio 2015

Tenete duro e mirate bene

Come potete vedere dai commenti del post precedente, ieri mi è stato lasciato un commento in anonimo da una ragazza che si definisce Pro Ana. Mi riferisco a questo commento:

“Qsto post è veramente noioso, così come trovo molto noioso tutto in generale di qsto blog. Tu dici ke combatti l’anoressia e pensi ke fai la cosa giusta, ma allora come te lo spieghi ke non ti legge quasi nessuno? I tuoi post hanno circa 15 commenti l’uno (a volte comprese le tue risp) e ci sono anke persone ke nn approvano, io invece ho un blog pro ana e ti assicuro ke di solito ci sono almeno una quarantina di commenti a post come minimo, e ti assicuro ke le altre sono daccordo con me, anke se tu disprezzi qllo ke facciamo. Tu dici ke le cose come il D.A. o i consigli per nn mangiare o quelli x vomitare sono kavolate, ma guarda caso il post con i consigli x vomitare è qllo + gettonato sul mio blog, quindi forse nn è tutta qsta kavolata come dici. Quindi, se tu pensi ke hai ragione e ke noi pro ana abbiamo torto, come spieghi ke io ho + consensi di te? Come spieghi ke ci sono molto più blog pro ana ke nn blog come il tuo? Come spieghi ke il mio blog viene letto e commentato molto + del tuo? …Forse xkè nn hai tutta la ragione ke credi.”

Ora, non so come la pensiate voi, ma a me pare abbastanza evidente che si tratti di una palese provocazione. E di fronte alle provocazioni, in genere, si aprono 2 scuole di pensiero: da una parte c’è chi suggerisce di ignorarle di sana pianta affinché la persona provocatrice si cuocia da sola nel suo brodo, dall’altra c’è chi dice di rispondere al fuoco col fuoco per non lasciare la provocazione impunita e tenere testa a quella persona facendole abbassare la cresta. Non nego che ambedue le possibilità abbiano un senso logico, e non nego che, quando ho finito di leggere quel commento, avevo già deciso quale delle 2 strade imboccare. Tuttavia, mentre stavo per partire per la mia tangente, mi è tornata in mente una cosa: mi è tornato in mente quando, durante il mio primo periodo di tirocinio in Pronto Soccorso, quando il Dr. Tommaso B. era ancora il mio tutor, c’era un’infermiera che era veramente intollerabile. Innumerevoli volte sono stata sul punto di produrmi in sclerate magistrali di fronte a suddetta infermiera, ed altrettante volte Tommaso mi ha fermata semplicemente dicendomi: “Vincila in gentilezza”. Ecco, queste sue parole mi sono tornate in mente anche ieri, quando ho letto il commento in questione. Mi tornano in mente anche adesso, ed io mi fido al 100% di Tommaso. Per cui, ecco quello che voglio fare: vincere in gentilezza. Non voglio ignorare la provocazione come niente fosse, perché dedico risposte a chiunque commenti sul mio blog, favorevolmente o meno. Ma non voglio neanche ribattere alla provocazione con altra provocazione, perché mi sembra un comportamento infantile e fine a se stesso, che mi pone allo stesso – infimo – livello di chi ha lasciato un commento del genere. Però, voglio vincere in gentilezza: ecco perché voglio dare a questo commento marcatamente provocatorio una risposta seria.
(Don’t worry, ragazze, l’ironia non mancherà comunque…) 

E dunque, mia cara anonima Pro Ana, eccomi qua a rispondere al tuo commento.
Mi chiedi perché il tuo blog attira più lettrici rispetto al mio, e perché ottieni molti più consensi di me. Per poter rispondere, a te e alle mie scarsissime lettrici, a questa domanda, ho bisogno di un esempio. Vi ricordate il Caso Stamina? Davide Vannoni propagandava un metodo di cura per la malattie neurodegenerative, che diceva essere basato sulla conversione delle cellule staminali mesenchimali in neuroni. Il caso è arrivato (dopo tanto, troppo tempo) ad un processo, che ha concluso che questo psicologo della comunicazione, che tanto si vantava del suo metodo miracoloso che avrebbe salvato vite umane – ma che si rifiutava di pubblicare, nota bene – era in realtà un mero truffatore. Prima di arrivare a questa sentenza, tuttavia, c’è stato un lungo periodo di incertezza, con cui i mass media sono andati a nozze, e che ha visto l’opinione pubblica spaccarsi in due: soprattutto il Web era pieno di sostenitori del Metodo Stamina, mentre la contraria opinione scientifica (su una problematica medica, eh, non sulla letteratura del Rinascimento!) faceva fatica ad affermarsi, stile “siamo riprecipitati nel Medioevo”.

Ecco, questo esempio ricalca perfettamente quella che è la contrapposizione tra il mio blog e i blog Pro Ana: mia cara commentatrice Pro Ana, il morivo per cui il tuo blog riceve più visualizzazioni e più consensi del mio, è meramente perché il tuo blog è ricco di pathos, di scritti sensazionalistici, di thispo allucinanti, di fantasiosi resoconti sulla tua alimentazione e sul tuo peso, mentre il mio si limita ad essere una raccolta di consigli di auto-aiuto per combattere contro l’anoressia, e un piccolo compendio di studi scientifici esposti in maniera semplificata su vari aspetti dei DCA. Detto in maniera più terra-terra: il tuo blog è pieno di BALLE ROBOANTI, mentre sul mio blog viene scritta la ben più MODESTA VERITA’.

[A seguire, lungo pippone sul perché su Internet le balle proliferano a sfare, e sul perché la verità non ce la può fare: vi ho avvertite, siete ancora in tempo a cliccare la “X” rossa in alto a destra.] 

Di fronte ad un commento come quello succitato, mi sono posta qualche interrogativo: perché nel Web è così difficile parlare dei DCA in modo serio, e le bufale scritte dalle Pro Ana sembrano avere un inspiegabile successo? La gente ha svenduto neuroni ultimamente, o si faceva prendere per i fondelli così facilmente anche prima? Come mai la gente si lascia abbindolare da un metodo fumoso e approssimativo come quello Stamina, o da una lista di consigli “per diventare anoressica”? Perché leggono cose del tutto aleatorie e discutibilissime, su un blog a caso scritto da una sconosciuta, e ci credono al volo? Cos’è, un incantesimo?

Okay, andiamo con ordine. E dunque, consideriamo in primis la problematica del contesto.
Il contesto medico/scientifico consta di una sorta di competizione tra colleghi ricercatori, che fanno a gara a che fa per primo la migliore scoperta. In questo tipo di sfida non devi apparire intelligente, ma devi esserlo veramente, mettendo in campo argomentazioni che resistano alla prova dei fatti, poiché questi verranno incontrovertibilmente messi alla prova da tutti i tuoi colleghi. Se propagandi in maniera sensazionalistica e fumosa argomentazioni che possono essere smontate con dati di fatto, sarai destinato alla sconfitta, e potrai dire ciao-ciao alla tua carriera. Detto meccanismo serve tuttavia per far confrontare tra di loro i ricercatori, e determina una selezione naturale in cui le teorie più fallaci soccombono, mentre le teorie dimostrabili vincono.
Spostiamoci adesso in altro contesto: il bar. Al bar non occorre dimostrare niente di serio: le ipotesi strillate di fronte a cappuccino e cornetto alla marmellata non sono destinate a riviste specialistiche, e non aiutano a far carriera. La competizione rappresenta dunque solo uno sfogo, un modo per gasarsi di fronte ai presenti. In una sfida da bar vince chi riesce meglio ad apparire intelligente, chi simula meglio conoscenze che non ha. Tragico? No, ci mancherebbe. Che importanza ha se al bar una cricca di italiani medi sputano sentenze su tematiche di cui non hanno competenze? Il nostro è un Paese libero, per cui chiunque è liberissimo di dire ogni qualsiasi cagata gli passi per la testa, perché rimane a livello di chiacchiera.

In passato, i ricercatori scientifici e i frequentatori di bar rappresentavano 2 mondi a sé stanti: la caciara dei bar non si mescolava in alcun modo con un serio confronto tra varie ipotesi scientifiche destinate alla pubblicazione e alla divulgazione. Da nessun bar è mai uscita alcuna pubblicazione scritta in stampatello, con le “K” al posto del “CH” e gli errori ortografici. Poi però è arrivato Internet, che ha cambiato le carte in tavola. Il Web permette un’ampissima condivisione delle informazioni, chiunque può leggere qualsiasi cosa, chiunque può scrivere, condividere, commentare ed esprimere giudizi. Giudizi – e qui sta il problema – scritti.

Le balle, le balle scritte sui blog Pro Ana nella fattispecie, e i commenti a sostegno delle balle, sul Web sono scritti, non più orali come le ciance da bar. Di conseguenza, subiscono il fascino delle cose scritte: anche se sono emerite cazzabubbole, come una serie di consigli per vomitare o per non mangiare, hanno l’apparenza di cose serie, hanno tutto il carisma del Verbo (sì, pur essendo atea lo intendo stavolta in senso biblico: la Parola scritta). Su Internet ogni qualsiasi opinione, poiché scritta, ha la pretesa di essere seria come nel contesto scientifico, anche se la modalità espressiva è quella del bar: niente carriere da perseguire, per cui basta apparire intelligenti, tanto chi mai redigerà un saggio con le tue sclerate su blogger? Quando si va nel mondo virtuale, quello che conta è vincere, riuscire ad avere l’ultima parola, e a volte anche le parolacce e le offese (spesso e volentieri coperte dall’anonimato) sono d’aiuto: se ti trovi in difficoltà e ti metti ad infamare l’altra persona, magari quella si allontana disgustata, e tu vinci. D’altronde, non stiamo mica a Stanford: questa è l’arena di Internet.

Inoltre, chiunque tenga un blog Pro Ana si sente investita dall’incarico di scrivere post – e un post è come un articolo, sembra sempre ufficiale e serio – utilizzando una miriade di enfasi (MI TENGO SOTTO LE 700 KCAL AL GIORNO! SONO RIUSCITA A VOMITARE! MIA MAMMA MI CONTROLLAVA MA IO L’HO FREGATA! HO PERSO ALTRI 2 KG!) e focalizzandosi tantissimo sull’emozione. Tutto ciò dovrebbe già iniziare a far suonare un campanello d’allarme: una balla che punta sull’emotività riduce le difese del raziocinio, produce trasporto emotivo, fa perdere il lume della ragione. Un medico, un ricercatore, uno scienziato, quando lavorano, non devono emozionarsi: se cedono all’emozione, e pensano di avere tra le mani la verità senza averla testata più e più volte, potrebbero perdere nella competizione tra intelligenti e rigorosi, con tanti cari saluti alla carriera. Se io scrivo un post su come l’anoressia può svilupparsi in donne non vedenti, o sulla multifattorialità causale dell’anoressia, occorre che lo faccia citando fonti ben precise e rintracciabili, altrimenti il mio blog perde di credibilità, e tutto quello che scrivo può essere opinabile. Quando si scende nel campo dell’opinabilità, diventa giusto tutto e il contrario di tutto, per cui in tale campo chiunque venga a dirmi che l’anoressia è la malattia delle ragazzine sceme che vogliono fare le modelle potrebbe pure avere ragione. Ecco perché ho scelto di impostare il mio blog diversamente, aiutandomi con fonti scientifiche nella redazione dei miei post, anche se questo può risultare pesante o noioso.

L’utente-media che razzola su un blog Pro Ana, altresì, utilizza infondate informazioni come fossero oro colato: ecco che viene coinvolta in una sorta di caccia al tesoro, in cui ci si aggrappa a quella che viene vista come la verità più gustosa, e in cui si cerca di dimostrare con ogni mezzo (diari alimentari, consigli per vomitare, lettere di Ana e di Mia, 10 comandamenti Pro Ana, etc…) che quella verità è migliore delle altre. È chiaro che in un blog del genere la verità non può vincere facile, perché non è sensazionalistica né performante, nel momento in cui ci si trova immersa in un contesto di balle emozionanti e gasanti.

Un articolo dettagliato sui ricercatori che hanno preso un premio Nobel per aver studiato i neuroni che si occupano dell’orientamento è spesso difficile e noioso, e se viene pubblicato su blogger non riceverà molti commenti, così come non riceverà molti “Mi piace” se pubblicato su FaceBook. Tuttavia, un articolo su 5 persone morte dopo essersi fatte il vaccino anti-influenzale, manderà tutti in fibrillazione, verrà letto millemila volte, e condiviso nonché commentato altrettante.

Inoltre, i blog Pro Ana lanciano i loro post con titoli roboanti e fotografie allucinanti: ecco che la cosa funziona ancora meglio, perché c’è ancor più emozione immediata, si riesce meglio ad attirare l’attenzione, si catturano più lettrici fogate e possedute dal demonio digitale che commentano in maniera acefala e impulsiva, condividono, e danno così un’apparente autorevolezza ad ogni post.

In questo modo, tutto si mescola: quando, in passato, Internet non era granché diffuso, e la divulgazione andava per la maggiore tra le aule dell’Università e i laboratori di ricerca, per le balle era difficile affermarsi: arrivavano alla frontiera e venivano fermate e perquisite. Forse il sapere era nelle mani di un numero più ridotto di persone, ma senz’altro era tutto molto più verificato. Attualmente, invece, su Internet si trova di tutto, qualsiasi cosa si voglia sapere è a portata di click, tuttavia così facendo si innesca una tipologia di competizione che porta al prevalere dei contenuti più emotivamente coinvolgenti, non di quelli effettivamente seri e verificati.
L’autorevolezza (nota bene: autorevolezza – NON autorità! – che si guadagna sul campo, e NON viene imposta) che consegue al titolo di studio conseguito, e alla propria competenza professionale, su Internet conta poco e nulla, in quanto i criteri per vincere la competizione su Internet sono differenti.

Un blog Pro Ana non è altro che libera divulgazione di materiale non verificato, e per di più in mano a persone non competenti, destinato a un pubblico di persone altrettanto non competenti, che alla fin fine vogliono solo essere intrattenute per cercare di dimenticare i veri problemi che hanno nella vita quotidiana ma che non riescono altresì ad affrontare: questo mix determina un successo quasi sicuro per ogni qualsiasi balla roboante. Matematico.

Del resto, il successo delle balle non è proprio solo dei blog Pro Ana, ma è comune al Web più in generale, e non è eliminabile, altrimenti ci sarebbe un controllo ed una censura dei contenuti. Certo, si potrebbe comunque scegliere di selezionare i contenuti, oscurando i siti Pro Ana ed altri che propinano altrettante balle, ma in fin dei conti chiunque si dichiarerebbe contrario ad una selezione così stretta: il Web è una sorta di Isola Che Non C’è, e piace perché libero ed anarchico. Se vogliamo una totale libertà d’espressione, dobbiamo anche essere consapevoli che in essa sono comprese la disinformazione e gli strafalcioni.

Per inciso, ho letto circa un mesetto fa un articolo in cui c’era scritto che FaceBook aveva intenzione di inserire un “tasto anti-bufale”. Io non sono registrata a FaceBook, quindi non so se questa cosa sia stata resa operativa o meno ma, in ogni caso, ho i miei seri dubbi sul fatto che una trovata del genere possa funzionare. Immaginate un post scritto da una ragazza che si definisce Pro Ana che riceve delle segnalazioni come bufala: all’autrice basterà sostenere che chi l’ha segnalato non capisce il suo “stile di vita”, è invidiosa della sua magrezza ed è in combutta con quella fazione di blogger rompicoglioni che dicono di essere Pro Recovery, farà la parte della vittima, susciterà un sacco di clamore, e via dicendo. Discussioni no limits, visite per il suo blog a palla, e così le balle non avranno problemi a passare la frontiera.

In conclusione, mia cara anonima Pro Ana: è vero, il tuo blog viene più letto e commentato del mio perché delle balle scritte con pathos fanno più figura della verità semplice. Ma il numero di lettrici – ergo di commenti – niente dice in merito alla qualità, e men che meno alla veridicità e alla ragione, di ciò che viene scritto: il fatto che anche millemila persone possano credere ad un mucchio di balle, questo non le trasforma in alcun modo in verità. E se anche millemila persone affermano una cosa stupida, quella cosa non smette comunque di essere stupida.

Nella lotta per il numero di visualizzazioni del proprio blog su Internet, le balle hanno terra fertile ed artiglieria pesante. Per i partigiani della verità e della serietà scientifica, invece, c’è solo una malconcia trincea e una decina di carabine arrugginite. Rinforzi? Neanche l’ombra… Perciò, ragazze: tutte voi che leggete/commentate il mio blog, e sapete ancora distinguere il divario che corre tra questo e un blog Pro Ana… tenete duro, e mirate bene.

venerdì 6 febbraio 2015

Il difficile è fare le cose semplici: La complessità dell'anoressia

Chi legge il mio blog da un bel po' di tempo saprà che non ho mai scritto un post in cui elenco le cause, la natura, le esperienze e le terapie dei DCA, poichè in effetti non ho alcuna certezza a tal proposito. Tuttavia, se c'è una cosa di cui sono assolutamente sicura a proposito dei DCA è che sono delle malattie terribilmente complesse e multisfaccettate senza soluzioni univoche che possano andar bene per tutte. Per cui, ho molto apprezzato questo studio scientifico scritto da Michael Strober e Craig Johnson, che mira ad esplorare la complessità dei DCA e del loro trattamento terapeutico.

Per scrivere l'articolo sono stati utilizzati case report, letteratura, e l'esperienza clinica degli autori stessi, al fine di rispondere al alcune delle controversie che circondano l'anoressia ed il suo trattamento terapeutico. Di tutte le controversie esistenti su questo DCA, si sono focalizzati su 2 in particolare.

1 - Cause genetiche/biologiche (Malattie mentali su base biologica) dell'anoressia? 
2 - Terapia familiare come migliore forma di trattamento per le pazienti adolescenti? 

Nell'analizzare questi 2 punti, gli autori hanno posto una fondamentale premessa: concentrarsi sulle singole spiegazioni e soluzioni terapeutiche per l'anoressia, oscura la complessità di questa patologia, e di conseguenza tutto il processo e tutte le possibili soluzioni terapeutiche necessarie per trattarla in maniera efficace. Di questa complessità occorre tenere conto, perchè è fondamentale per capire che l'approccio terapeutico più adatto varia da persona a persona. Dopo aver contestualizzato ed approfondito le tematiche trattate, Stober e Johnson concludono l'articolo suggerendo dei punti di riferimento per il trattamento terapeutico dell'anoressia.  

Controversie come catalizzatori di conversazione

Lungi dal suggerire che le controversie che emergono in merito ai DCA in generale e all'anoressia in particolare debbano essere evitate, gli autori sottolineano che i punti di disaccordo e le discussioni in merito all'eziologia e al trattamento di queste patologie sono servite a mettere in luce aree su cui indagare per imparare qualcosa di nuovo su queste patologie.

Soprattutto, gli autori sottolineano che non sono necessariamente in disaccordo con la recente focalizzazione sugli eventuali aspetti genetici/biologici dei DCA e con la psicoterapia familiare, dicono semplicemente che è necessario ampliare le vedute riducendo l'importanza di questi 2 punti, per lasciare spazio anche ad altro.

Come forse molte di voi sapranno, ultimamente sono stati avviati diversi studi che cercano di correlare la comparsa dell'anoressia all'azione di fattori genetici/biologici. Io non dico che questo sia sbagliato, però mi sembra estremamente limitativo: trattare l'anoressia da un punto di vista gene-centrico mi sembra possa portare, al di là di tutto, alla conclusione che una volta che si è recuperato il peso perso, la psicoterapia è inutile perchè tanto è un problema di DNA.

Inoltre, poichè è noto il fatto che la psicoterapia funziona meglio quando si recupera peso, alcuni psicoterapeuti sono dell'idea che non sia opportuno iniziare il lavoro psicologico, fino a che il peso perso non è stato recuperato. Viceversa, gli autori di quest'articolo (ed io li quoto in pieno) sostengono che per fare psicoterapia non c'è bisogno di aspettare il recupero ponderale.  

Reificazione della genetica

Mentre nella maggior parte dei trials clinici si fa riferimento a dei gold standard presenti in ogni campo cientifico, la rilevanza dei trials randomizzati controllati e degli studi genetici può risultare, come gli autori suggeriscono, in una “reificazione” dei risultati di questi studi. Anche se vi possono essere forti evidenze a favore di un determinato tipo di trattamento, ciò non significa che quel trattamento vada bene sempre, comunque e per tutte le persone affette da anoressia. Come Strober e Johnson fanno notare, rimangono comunque numerose questioni aperte, compresa quella del perchè uno stesso trattamento terapeutico non è ugualmente efficace su tutte le persone, e perchè non sempre la pratica clinica si basa sulle evidenze scientifiche.  

Cause genetiche/biologiche rivistate

Come gli autori suggeriscono, non c'è una specifica evidenza che vi sia un'ereditarietà diretta per l'anoressia. Io non sono certo una genetista nè una neurobiologa, ma effettivamente non riesco a vedere una grande connessione tra malattie genetiche ed anoressia. La maggior incidenza di casi all'interno di una stessa famiglia, la imputo a cause comportamentali piuttosto che genetiche.

Gli autori dello studio danno pertanto dei suggerimenti su come la genetica potrebbe essere, ma solo trasversalmente, implicata nello sviluppo dell'anoressia:

• I geni e l'ambiente che ci circonda sono correlati, tuttavia nessuno di essi singolarmente è in grado di spiegare nè di causare un DCA
• Persone con una predisposizione all'anoressia possono essere esposte a particolari circostanze di vita e determinano l'espressione di quelle caratteristiche alle quali sono predisposte
• La genetica e l'ambiente che ci circonda possono incidere contemporaneamente o separatamente in diversi momenti della vita di un individuo
• I circuiti neuronali si plasmano e si adattano sulla base dell'ambiente che circonda il soggetto
• Lo stress può essere catalizzatore di variazioni neurochimiche che modulano cambiamenti di diverse aree cerebrali e condizionano il comportamento
• Uno stress ambientale porta ad iper-sensibilità delle aree cerebrali implicate nella generazione della paura, d'altro canto queste stesse strutture possono essere riportate alla norma agendo sull'ambiente stesso
• Il carattere e l'ambiente in cui un individuo vive influenzano significativamente il suo comportamento

La discussione degli autori in merito all'interazione tra geni ed ambiente è dettagliata e intrigante; e mi è piaciuto il fatto che fattori ambientali sia positivi che negativi siano stati indicati come possibili concause dell'anoressia, poichè troppo spesso ci si concentra solo sui fattori ambientali negativi, e si tende a tralasciare l'effetto di quelli positivi.

In breve, Strober e Johnson argomentano il fatto che i medici (e le persone più in generale) debbano prendere in considerazione come minimo 3 fattori diversi per cercare di comprendere l'anoressia:

• Fattori biologici
• Fattori ambientali
• Personalità e contesto vitale dell'individuo

Senza riuscire a comprendere questi 3 fattori, è veramente difficile trovare un trattamento efficace per l'anoressia. Come illustrano anche i casi clinici studiati in questo articolo “i sintomi delle malattie psichiche non esistono in un vuoto impersonale”, e far riferimento solo a spiegazioni genetico-biologiche è insufficiente a fornire soluzioni che possano essere valide per chi soffre e per i familiari.  

Esperienza, competenza e complessità

Un altro elemento centrale di questo articolo è la focalizzazione sull'importanza di una corretta istruzione teorico-pratica per i medici che avranno a che fare con queste patologie così complesse. Gli autori si lanciano in una disquisizione sulle strategie implicate nella determinazione dell'approccio terapeutico più appropriato per la singola persona affetta da anoressia. Sottolineano come i medici debbano diventare più consapevoli delle loro pecche nel comprendere e nel trattare l'anoressia, tanto quanto la scienza li sottende.

Le stesse pazienti ed i loro familiari devono essere informati (presumibilmente dal team terapeutico) della multifattorialità della patogenesi dell'anoressia: questo è un suggerimento che ho particolarmente apprezzato, perchè mi sembra che troppo spesso i genitori si auto-accusino della genesi dell'anoressia nelle loro figlie, quando magari il loro ruolo è più o meno marginale, e la loro comprensione sull'anoressia molto parziale.

Comprendere che l'anoressia è una malattia a patogenesi multifattoriale non significa che in tutti i casi la famiglia c'entri meno di meno zero nella comparsa di questa patologia, ma significa che il suo ruolo non è così centrale come per molto tempo varie teorie psicologiche hanno detto fosse, e che dunque è necessario concentrare maggiormente il lavoro psicoterapeutico sul singolo individuo, che non sulla sua famiglia.  

Stabilire punti di riferimento

Ovviamente, data la grande complessità dell'anoressia, non è facile determinare dei punti di riferimento durante il corso del trattamento terapeutico.

Gli autori dell'articolo pertanto sottolineano una serie di punti da prendere in considerazione:

• Sintomi lievi che persistono nonostante tentativi terapeutici non devono essere ignorati o sottovalutati.
• La salute fisica e quella mentale sono strettamente correlate: la lucidità di una ragazza affetta da anoressia, e dunque la possibilità di trarre giovamento dalla psicoterapia, aumenta in maniera direttamente proporzionale al recupero del peso perso.
• Una singola strategia terapeutica applicata su un vasto numero di pazienti dà generalmente risultati insoddisfacenti, poichè ogni singola persona risponde bene ad uno specifico tipo di terapia.
• L'inesperienza stessa degli psicoterapeuti, o i preconcetti che essi stessi hanno sull'anoressia possono avere effetti estremamente negativi sul percorso di ricovero di una paziente.
• Più a lungo l'anoressia persiste, peggiore è il suo impatto sulla salute psicofisica delle pazienti.

Mentre dei punti di riferimento possono essere utili in termini di decidere se una ragazza debba essere ricoverata in clinica o meno, e su quale tipologia di percorso terapeutico seguire, senza un team medico che abbia adeguata esperienza nel campo dei DCA e che sia in grado di comprendere quali complessi processi si giocano nell'anoressia, difficilmente un percorso di ricovero risulterà utile.

Con la constatazione che i loro suggerimenti per i punti di riferimento sono una linea di massima piuttosto che soluzioni empiriche, gli autori propongono diversi scenari e punti di riferimento. Questi punti di riferimento sono per lo più centrati sul tipo di DCA, e variano sulla base dell'età e del decorso della patologia.

Non voglio annoiarvi ulteriormente mettendomi ad illustrare singolarmente i vari punti di riferimento: se siete interessate, vi raccomando caldamente di leggere l'articolo per intero.

Implicazioni

A mio avviso, quest'articolo fa un lavoro eccellente nell'illustrare la complessità dell'anoressia. I suggerimenti dati da Strober e Johnson sottolineano quanto sia importante essere a conoscenza di questa complessità, e quanto sia altrettanto fondamentale essere ben informati, e ben coordinati nel trattamento di un DCA.

Inoltre gli autori fanno anche notare come il trattamento più adatto per un DCA non sia generalizzabile, ma variabile da persona a persona, e come in momenti differenti del percorso della strada del ricovero si possa aver bisogno anche di strategie terapeutiche diverse. Inoltre, gli autori fanno notare come non tutti i medici siano ugualmente competenti nel trattare i DCA e quanto sia importante pertanto non arrendersi se si incappa in psicoterapeuti non propriamente centrati, ma continuare a cercare fino a che non si trovano persone realmente competenti ed in grado di darci una mano concretamente.

Infine, gli autori a mio parere fanno un ottimo lavoro anche nel sottolineare le incredibili battaglie che giorno dopo giorno si trova ad affrontare chi ha un DCA, ed anche i familiari. Mi piace molto vedere come questi 2 autori si prendano a cuore la tematica dell'anoressia nella sua totale complessità, e come il loro sguardo sia rivolto ad ampio raggio alle pazienti, alle famiglie, e ai terapeuti, perché è solo coordinando l'azione e lavorando come una squadra che si ottengono i risultati migliori.
 
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