Come gli alchimisti trasformavano il ferro in oro… voi potete trasformare l’oscurità in luce. Siete tutte benvenute.

venerdì 25 maggio 2012

Dire "SI"

La parola “NO” è una costante dell’anoressia. “No grazie, ho già mangiato”; “No, adesso non mi va”; “No, stasera ho da fare”. Un sacco di evitamenti. Se si viene poste di fronte a qualcosa che possa interferire con il nostro DCA, diciamo di “no” e scappiamo via. La stessa anoressia, del resto, è un castello di carta le cui fondamenta affondano sulla negazione e sul concetto del “no”: no al cibo in quantità normali, no alla perdita dell’apparente controllo, no alla vita sociale, no al raccontare la verità, niente.

Sarà capitato a tutte di trovarsi di fronte a qualcuno che chiede qual è il gusto di qualcosa, o quali sono le nostre preferenze alimentari. Di solito, di fronte a domande del genere, la risposta più spontanea è: “Non lo so, non l’ho mai assaggiato”, oppure si tira fuori una bugia su quali siano le cose che si preferisce mangiare. In realtà, magari dentro di noi immaginiamo pure quale possa essere il gusto di un certo alimento, o cosa si preferirebbe mangiare, cosa ci piacerebbe di più. L’ironia, qui, è: si può facilmente immaginare il gusto di certi alimenti, ma si fa molta più fatica ad immaginare che noi stesse possiamo mangiare quegli alimenti. Non è il cibo in sé per sé che causa ansia, è l’idea di dire “sì” di fronte alla possibilità di mangiare quel cibo.

 Dunque, perchè dire “sì” causa ansia? Penso che questo derivi soprattutto dal timore di non avere più il controllo. Perché in fin dei conti, è questo il tassello fondamentale su cui l’anoressia si basa: il controllo. Finché si dice “no” a qualsiasi cosa, si mantiene il controllo. E se invece il dire “sì” ci strappasse questo controllo? Eccola, la cosa veramente terrorizzante. Ponendo la questione sull’argomento “cibo”, ciò equivale a dire che è relativamente semplice accettare l’idea che si NECESSITA di nutrirsi, ma è molto più difficile accettare l’idea che si VOGLIA nutrirsi.

Credo che la maggior parte delle persone con un DCA siano, per natura, delle persone piuttosto evitanti. La maggior parte dell’evitazione è correlata alla paura. Paura di non poter più controllare tutto quanto, come l’anoressia ci dà l’illusione di poter fare. Questo è ciò che principalmente porta a dire “no”. Dopo un po’, questo rifiutare finisce per diventare un’abitudine – una cattiva abitudine, in effetti – e bisogna lavorarci su per cambiare questa mentalità.

Bisogna perciò combattere contro la tentazione di dire sempre di “no”. Magari mangiando un morso della focaccia che ci offre la nostra amica. Magari rinunciando ad una corsa per rimanere a leggere un libro. Magari riuscendo a seguire l’ “equilibrio alimentare”. Magari mangiando un gelato per merenda se ne abbiamo voglia, senza negarcelo. Bisogna provare a dire di “sì” un po’ più spesso. Sì al cibo, ma soprattutto, sì al cambiamento, sì al sorriso, sì alla voglia di combattere… sì alla vita.

venerdì 18 maggio 2012

Combattere per la vita

Quando si entra in un DCA, si finisce sempre per arrivare a pensare che l’anoressia sia la nostra migliore amica, senza renderci conto che in realtà è la nostra peggior nemica. Questo perché nel momento in cui l’anoressia entra in noi, ci racconta un sacco di bugie e ce le ripete così tanto spesso e con un tono talmente convincente, che noi stesse finiamo per crederci. Ma sono comunque tutte bugie.

Temiamo di non essere capaci di affrontare il mondo da sole, per questo sentiamo il bisogno del “salvagente” dell’anoressia. La restrizione alimentare dà sicurezza, ci fa sentire come se potessimo tenere tutto sotto controllo, e la soddisfazione che il riuscire a seguire un regime alimentare restrittivo ci genera è un qualcosa d’ineguagliabile. Riuscendo ad avere questo fittizio controllo, si pensa che potremo sentirci più a nostro agio con noi stesse. E poi, l’anoressia è un qualcosa che ci fa sentire speciali. Ho imparato con tutto il dolore del mondo che non c’è gabbia peggiore di ciò che ci fa sentire speciali. Inoltre, in fin dei conti pensiamo spesso di non essere abbastanza, e così si cerca di diventare invisibili solo per poter essere viste. (Il problema è che siamo guardate... ma comunque non viste.) Anche quando le cose volgono al peggio, chiedere aiuto è comunque incredibilmente difficile perché ci fa sentire deboli, perdenti; non come la restrizione alimentare, che invece c’induce tanta forza.

Tutte bugie. Io ho il controllo. Tutte bugie. Io raggiungo quel peso e poi smetto. Tutte bugie. Io posso uscirne quando voglio. Tutte bugie. Restringere l’alimentazione è l’unica cosa che mi dà soddisfazione. Tutte bugie. Se restringo sono forte. Tutte bugie. Se tengo tutto sotto controllo, sono salva. Tutte bugie.

L’anoressia è un vicolo cieco, una strada senza via d’uscita; non ci permetterà mai di ottenere quel che vogliamo, non attenderà mai tutte le sue promesse, non cambierà la nostra vita in meglio, ce la rovinerà. Quindi, l’unica cosa da fare è combatterla. Ma non si può pensare di batterla finché non ci si rende conto di tutto questo. Sottovalutare l’anoressia non aiuta in questa battaglia. Combattere contro l’anoressia significa combattere per la vita. E chiedere aiuto non è segno di debolezza né di fallimento, bensì di intelligenza, maturità e responsabilità. Occorre farsi aiutare da personale specializzato, ma anche dalle persone che ci stanno intorno e che ci vogliono bene, che ci tenderanno sempre le loro mani nel momento in cui saremo pronte ad afferrarle. Occorre mettercela tutta, stringere i denti, rialzarsi dopo ogni ricaduta. Come si suol dire, “Leap and the net will appear”.

L’anoressia non è una cosa che ci rende speciali – è solo una cosa che ci dà sicurezza.

Talvolta, mentre si sta percorrendo la strada del ricovero, può capitare di sentirsi giù, di ricadere e di pensare perciò che non ce la faremo mai perchè non abbiamo nessun tipo di coraggio… ma la verità è che non si può scegliere d’intraprendere la strada del ricovero se non si ha coraggio! Lo so che quando si decide d’intraprendere un percorso di questo tipo, la sensazione prevalente è un vuoto terrificante nel momento in cui si decide di abbandonare il DCA, ma la realtà è che il vuoto terrificante è ciò che abbiamo appena deciso di lasciarci alle spalle!

venerdì 11 maggio 2012

Braccialetto pro-ricovero

Le ragazze che si definiscono “pro-ana/mia” hanno inventato un segno di riconoscimento: un braccialetto che sia rosso per le “pro-ana” o blu/viola per le “pro-mia”, e che possa identificarle in quanto tali e dare loro la forza di andare avanti per la strada (autodistruttiva) in cui si sono avviate, basandosi anche sul senso di appartenenza ad un gruppo che sostiene le loro stesse idee.

In quanto a quel che penso sul fenomeno “pro-ana/mia”, ho già discusso diffusamente su questo blog. In quanto all’idea del braccialetto credo che, se ribaltata (un po’ come fatto con la "Thinspo Reverse" insomma) possa essere effettivamente efficace.

Quindi, se il ricovero è la nostra scelta, perché non procurarci un braccialetto che ci ricordi in ogni momento la decisione che abbiamo preso e con il quale possiamo sentirci parte di un gruppo pro-ricovero che sostiene questa scelta di vita?!

Pensando così, io ho realizzato il mio braccialetto pro-ricovero.


Arancio, perché è un colore vivace, un colore solare contro il buio dell’anoressia. Arancio anche perché è il nome di un frutto, un qualcosa che si mangia.

Ci ho scritto sopra "I bite back", perché è quello che sto cercando di fare, in modo quindi da poterlo leggere ogni volta che mi sento vacillare per ritrovare un po’ di forza. Il doppio senso della frase “I bite back” è ovviamente assolutamente VOLUTO. (Che ne dite, vi piace l’ironia??!...)

È il mio promemoria giornaliero di forza e determinazione per continuare a percorrere la strada del ricovero e per prendermi cura di me stessa. Simboleggia il viaggio che tutte noi dobbiamo fare alla ricerca delle Vere Noi Stesse.

Perché non realizzate anche voi un braccialetto che, anche se in piccola parte, possa aiutarvi ad andare avanti?! In fin dei conti, sono proprio le piccole cose che possiamo fare per noi stesse tutti i giorni a fare la differenza.

venerdì 4 maggio 2012

Dentro il ricovero

La scelta di percorrere la strada del ricovero non è affatto una scelta rapida ed immediata. Molte (come me) impiegano anni ed anni prima di compierla. Altre non ci riescono mai. Purtroppo le probabilità giocano a nostro sfavore. Ma nel momento in cui si decide che se ne ha abbastanza di ogni qualsiasi tipo di numero, allora anche la probabilità, che non è espressa da altro che da un numero, può andare a farsi fottere.

Quali consigli posso darvi nel momento in cui dunque scegliere d’intraprendere la strada del ricovero? Per quanto paradossale possa a primo acchito sembrare: non lo fate unicamente per salvare la vostra vita, non sarebbe abbastanza convincente. Mi spiego. La scelta dell’anoressia è una scelta di rinuncia alla vita, ed è difficile convincersi che noi valiamo la pena per avere questa vita. Quindi, più che altro, cercate di trovare una cosa che vi piace, un obiettivo cui mirate. Trovate qualcosa che amate più della vostra stessa vita. E lottate per raggiungerla. Fintanto che avrete una ragione per alzarvi da letto ogni mattina cominciando a combattere contro l’anoressia, vi starete dando un’altra possibilità. Ed è per questo che andrà tutto bene. Forse non oggi, forse non domani, e magari neanche tra una settimana, ma alla fine andrà tutto bene. E se le cose non vanno ancora bene, vuol dire che questa non è ancora la fine.

Altre due cose importanti nella strada del ricovero sono la speranza e la perseveranza, due imperativi per impedire all’anoressia di avere di nuovo la meglio su di noi. Voglio precisare che per come la vedo io avere speranza non significa mettersi sedute senza far niente aspettando che la manna dal cielo risolva tutti i nostri problemi, al contrario, avere speranza significa provare a costruire qualcosa ogni giorno credendo fermamente che questo possa aiutarci ad arrivare un passo dopo l’altro verso la meta. Avere speranza significa sapere che un giorno, da qualche parte, in qualche modo, il nostro duro lavoro sarà servito a qualcosa, e potremo essere più forti.

Infine, un’altra cosa importantissima nel percorrere la strada del ricovero è il coraggio. Il coraggio di dirci la verità, di affrontare la realtà, di accettarci per quello che siamo, anche se non siamo come vorremmo essere. Il coraggio è quello che ci mettiamo ogni giorno quando scegliamo di continuare a percorrere questa strada, solidificando gli obiettivi raggiunti, e proiettandoci verso quelli futuri. Coraggio è sognare il nostro futuro e lottare per realizzarlo. Coraggio è capire quali sono gli obiettivi perseguibili e realizzabili, cercando di fare del nostro meglio per raggiungerli, ma senza scoraggiarsi se le cose non tutti i giorni vanno come desidereremmo. Coraggio è saggiare l’acqua con la punta di un piede… e poi saltare dentro al mare della vita tuffandosi di botto senza avere rimorsi.

Certo, non lo nego, percorrendo la strada del ricovero ci saranno da affrontare momenti estremamente difficili, molto più difficili del ben più semplice abbandonarsi all’anoressia. Ci saranno momenti in cui ci sentiremo stanche, sole, avremo paura e voglia di gettare la spugna, momenti in cui le lacrime sembrano essere l’unica cosa che rimane. Ma è proprio in questi momenti che dobbiamo alzare la testa e ricordare a noi stesse chi siamo e quanto valiamo: se siamo riuscite a scegliere la strada del ricovero, abbiamo allora anche tutta a forza e la determinazione per percorrerla giorno dopo giorno.
 
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