Come gli alchimisti trasformavano il ferro in oro… voi potete trasformare l’oscurità in luce. Siete tutte benvenute.

lunedì 29 settembre 2008

A proposito...

… di quello che ho postato ieri mattina.

La ragione per cui l’ho fatto, fondamentalmente, è perché volevo voi sapeste che non siete sole. Che so come ci si sente perché ci sono passata anch’io… e a volte ci passo tuttora. Lo so che ferisce… lo so che fa pensare di essere matte… lo so che fa venir voglia di urlare anche se poi restiamo in silenzio… lo so che fa star male… lo so che fa venire voglia di piangere… ma dentro di voi c’è la forza per uscirne. Se lo volete veramente, c’è sempre una via d’uscita. E spero, anche se in piccolissima parte, di aiutarvi a trovarla con le mie parole. Con le parole del mio post di ieri.

Perché la ragazza che circa tre anni fa scrisse quelle parole, era decisamente sprofondata in un buco nero… e nessuno poteva lanciarle una corda, perché lei era troppo debole per issarsi. E nessuno poteva allungarle una mano, perché loro non erano forti abbastanza da tirarla su. E, soprattutto, in nessun modo poteva essere fatto qualcosa per farla uscire, perché lei per prima non era del tutto sicura di volerne uscire. Paradossalmente, anche se quel buco era nero e scomodo e freddo, era l’unica cosa che conosceva, l’unica cosa che le era familiare, che le dava sicurezza. Perciò, in fin dei conti, uscirne la terrorizzava. Così quella ragazza trascorreva la giornata in quel buco, studiava in quel buco, restringeva in quel buco, faceva sport in quel buco… viveva in quel buco. E in quel buco soffriva quando gli altri la guardavano con aria preoccupata senza sapere cosa fare per lei. E in quel buco si sentiva in colpa per tutto quello che poteva sentirsi in colpa e soprattutto per non avere la forza di cambiare la situazione.

Non sono arrivati angeli. Non ci sono stati miracoli. Tutto solo un lavoro di unghie e di denti. Unghie che si sono spezzate, e conseguenti ricadute verso il fondo, e poi di nuovo verso l’alto, un’arrampicata che sto ancora compiendo. E adesso che non sono più così sul fondo, comincio ad intravedere raggi di luce. Non è rapido, non è facile, non è indolore. Si tratta di fare una scelta e di mettere tutta la propria determinazione per seguirla fino in fondo. Si tratta di trovare i mezzi giusti e di usarli: mezzi che sono dentro ognuna di voi, basta solo cercarli. La rabbia c’è sempre, ma possiamo decidere come usarla: rivolgendola contro noi stesse e proseguendo un’infinita opera di decostruzione-ricostruzione-decostruzione, oppure buttandola all’esterno e trasformandola in determinazione e forza per proseguire l’arrampicata.

Era tutto nelle mani di quella ragazza. Gli altri potevano farle di contorno, ma solo lei poteva decidere per la sua vita. Doveva usare ogni mezzo, dare fondo a tutta se stessa. Tutta la sua rabbia, la sua determinazione, la sua disperazione, la sua onestà, la sua sopportazione, la sua capacità di reagire, la sua volontà, la sua forza. Dopotutto, quel buco era veramente molto profondo.

Perciò, adesso che riesco a vedere raggi di luce, continuo a mettercela tutta per raggiungere la cima. Fallirò? Cadrò nuovamente verso il basso? O riuscirò ad uscirne una volta per tutte? Sicuramente, continuo la mia battaglia infinita. E, si sa, di questo sono convinta, combattere è già una vittoria.

Un abbraccio forte forte a tutte quante…

domenica 28 settembre 2008

Neverending battle

Ho scritto questo – Neverending Battle – circa tre anni fa. Un momento in cui stavo cercando una via d’uscita… in cui stavo sperando in una via d’uscita. In realtà, tuttora non credo di aver trovato una totale via d’uscita – perciò penso che il titolo di queste mie righe sia stato particolarmente centrato – ma sicuramente questo è stato uno dei primi passi verso un’onesta ed oggettiva comprensione di me stessa e di quello che stavo attraversando… di quello che, immagino, molte di voi stiano adesso attraversando…

La versione originale è quella in Inglese, ma aggiungo una traduzione per chi non lo “mastica”. Preferibilmente omettibile se siete ferrate.

Softly falling like the rain
No one hears or sees my pain…
Will I gain, oh will I gain
As I’m losing?

Echoes in this hollow cave
Don’t allow me to be brave…
I’m a slave, oh I’m a slave
As I’m falling.

In this contest with my mind
I often seek and do not find…
Could it be that I am blind
As I’m losing?

What a sad and lonely tale
Never ever can I fail…
But it is all to no avail
As I’m falling.

I tell myself I will not cry,
Ask and ask why, why, why…
So many must be stronger than I
As I’m losing.

Strange for those who do not know
I try hard not to let it show…
But sometimes days, they are slow
As I’m falling.

Must be pretty, must be smart
Must look like a work of art…
You cannot stop once you start
As I’m losing.

I am empty like a bowl;
It is hard to feel whole…
And it is all about control
As I’m falling.

I know that bowl must be filled
And eaten, yes, never spilled…
I must try; I must build
As I’m losing.

Tell me how I got this way
Counting, nervous every day…
I don’t know, but I can fight again
As I’m falling.

(Luglio 2005)


[Cadendo come la pioggia, morbidamente e senza rumore/nessuno sente o vede il mio dolore…/vincerò, oh, sarò vincente/visto che ora mi ritrovo con niente?/Eco in questa cava vuota/non mi permettono di essere coraggiosa…/sono una schiava, non c’è niente che ottengo/visto che ora sto cadendo./In questa situazione, con la mia mente/spesso nascondo, e non trovo niente…/continuo ad andare avanti ciecamente/visto che ora mi ritrovo con niente?/Che storia triste e solitaria, si può dire/prima o poi potrò fallire/ma non c’è niente di cui dispongo/visto che ora sto cadendo./Mi dico che non piangerò/e mi chiedo perché, perché, perché ma non so…/perché tutti riescano a vivere coraggiosamente/visto che ora mi ritrovo con niente./E’ strano per quelli che non lo sanno/ed io faccio di tutto per non mostrarlo…/Ma qualche volta il giorno trascorre lento/visto che ora sto cadendo./Dovrei essere carina, dovrei essere un tesoro/dovrei sembrare un capolavoro…/Una volta iniziato non ci si ferma veramente/visto che ora mi ritrovo con niente./Sono vuota come un abisso/e intorno a me non c’è un punto fisso…/Volevo il controllo ma non ho neanche quello/visto che ora sto cadendo./So che gli abissi possono essere riempiti/corpi non più odiati ma nutriti…/Devo provarci, costruire veramente/visto che ora mi ritrovo con niente./Dimmi come ho potuto fare tutto questo/contando nervosamente giorno dopo giorno, adesso…/non lo so, ma proverò a resistere lottando/visto che ora sto cadendo.]

venerdì 26 settembre 2008

Un passo dopo l'altro

Ogni mattina, quando mi sveglio, mi chiedo come sia possibile che io sia arrivata dove mi trovo adesso. E poi penso a tutta la fatica che ho fatto e che ancora sto facendo, a tutte le battaglie che ho combattuto e al terreno su cui sto ancora lottando, e cerco di non scoraggiarmi pensando che a poco a poco le cose possono cambiare e che sono solo io l’artefice che ho la vita tra le mie mani: sarà come me la costruirò. La luce non riempie ancora la mia vita, ma sicuramente non tengo più gli occhi chiusi. Diciamo che sono in penombra. È un modo per cominciare.

Tutte le battaglie che ho combattuto sono servite per rendermi più forte. Può sembrare una frase fatta, eppure mai come adesso mi accorgo che è assolutamente vera. E per ogni goccia di forza che ho guadagnato, ho gettato le fondamenta su cui costruire la mia salute, la mia felicità… la mia vita.

La cosa più difficile davvero è aprire gli occhi. Smetterla di vedere soltanto quello che si vuole vedere ed iniziare ad osservare invece in maniera oggettiva. Riconoscere i nostri veri problemi e non nascondercisi dietro, usandoli come scudo, ma affrontandoli. Essere oneste con noi stesse su quello che siamo e su quello che vorremo essere.

Certo, a questo punto voi potrete dirmi: “Bene, e allora io voglio veramente essere magra, o più magra, o più carina, etc…”… ma ricordatevi di una cosa: voi desiderate questo solo perché siete convinte che ciò vi renderà felici. Ma in realtà non lo farà. O meglio, lo farà per un tempo ben breve… rendendo un inferno tutto il resto della vostra esistenza.

E, soprattutto, se desiderate una cosa del genere, significa che vi state concentrando sul vostro corpo, ma non sulle vere voi stesse, sulle persone che siete realmente: il vostro carattere… la vostra anima… la vostra mente… comunque vogliate chiamarlo… la vostra vera essenza. Oh, certo, magari riuscirete davvero a diventare magre come desiderate, ma forse scoprirete che non è abbastanza, che non vi fa sentire come pensavate, che vi trovate sul filo di un rasoio, che è una conquista effimera. Sì, dimagrirete, ma nel farlo perderete voi stesse. O, forse, non vi troverete mai.

Volete davvero vivere il resto della vostra vita correndo dietro ad un’utopia? Un’utopia è un qualcosa che, per sua definizione, non si può mantenere tale in pianta stabile… e io l’ho capito con tutto il dolore di questo mondo.

Perciò cercate di capire quello che volete veramente, cercando dentro di voi… e portate fuori la vostra vera essenza…

E, ve lo prometto, sarete tutte BELLISSIME.

giovedì 25 settembre 2008

A me

Mi piacciono molto le lingue straniere, sebbene non abbia frequentato il Liceo Linguistico né sia mai stata all’estero. Quella che conosco meglio è l’Inglese, visto che mi ha accompagnata dall’inizio delle elementari alla fine delle superiori, ma so anche qualcosina di Francese e di Russo. Spesso ho scritto e scrivo cose in Inglese perché penso che per ogni cosa che c’è da dire ci sia una lingua in cui può essere detta… una e una soltanto. E allora va scritta in quel modo, perché le parole giuste sono quelle, semplicemente, le uniche con cui potrebbe essere scritta.
Questa, appunto, è una cosa che ho scritto in Inglese. Mi piace molto perché dice tutte le cose giuste… a me.

Per chi non conoscesse l’Inglese, ho aggiunto una traduzione… (non letterale… diciamo, una via di mezzo tra il significato stretto e la necessità di conservare un ritmo…) ma vi dico subito che non rende. Quindi, se con l’Inglese ve la cavate, omettete la traduzione perché la poesia ci perde tantissimo…

I need to tell you what to do
Ask it fast and mean it true
It's for me and it's for you:
Help yourself – it's helping two...
You and me and me and you.
I need to give you what you need,
Bandage up your wounds that bleed,
Hold you up so you succeed.
Stop and know it is not greed
When it is time you will be freed.
Believe, achieve, receive, and grieve
For all of You that you deceive.
Reply and try, do not deny...
Above all, do not leave.
I need to hold you close to me
Breasts and bones and dignity,
I will never let you go,
Because you're me and I am you.
Reaching fingers, awkward knees,
Jutting ribs, despondency...
Aching heart and tired head,
Little soul once so well fed...
I need to hold you close to me
Precocious words and empathy,
Dreams and love and weight and pain,
Creativity and shame...
Promises and fragile skin,
Song and breath and smile and sin...
Panic, pressure, lies and fears,
Worries, wishes, will, and tears.
I need to hold you close to me
The loneliness, anxiety,
Feelings old and feelings new,
Because you're me and I am you.


(Aprile 2008)

[Ho bisogno di dirti ciò che c’è da fare/rapidamente e senza mentire/è per me ed è per te/insieme possiamo aiutarci per tre…/tu ed io, io e te./Ho bisogno di darti ciò di cui hai bisogno/bendare le tue ferite che sanguinano/stringerti forte affinché tu possa farcela/fermarti sapendo che non è avidità/ma solo il momento in cui avrai libertà./Credi, raggiungi, ricevi, stai male/fai per te stessa tutto ciò che puoi fare./Rispondi e prova, non negare…/e soprattutto, non te ne andare./Ho bisogno di stringerti stretta qua/petto, ossa e dignità/non ti lascerò andare mai più/perché tu sei me, ed io sono tu./Le dita raggiungono, le ginocchia tremanti/le anche sporgono, ma non scoraggiarti…/Il cuore rallenta, la testa è trita/una piccola anima non abbastanza nutrita.../Ho bisogno di stringerti stretta, ragazza mia/parole precoci ed empatia/Sogni ed amore, e peso, e dolore/creatività e vergogna…/Promesse e fragilità/canzoni e sospiri, e sorrisi e colpa…/Panico, pressione, dolori e falsità/preoccupazioni, desideri, lacrime e volontà./Ho bisogno di stringerti stretta qua/solitudine ed ansietà/nuovi sentimenti, di vecchi non ce n’è/perché tu sei me, ed io sono te.]

mercoledì 24 settembre 2008

"Di che cosa ho bisogno?"

Qualche volta nella vita c’è bisogno di momenti in cui prendersi una pausa. Respirare a fondo, rilassarsi, allontanare il resto del mondo. Staccare la spina per un po’.
Qualche volta nella vita c’è bisogno di momenti in cui sentire veramente noi stesse, anche il nostro dolore, lo sconforto, i sentimenti negativi. Talvolta abbiamo bisogno di chiudere gli occhi per aprire quelli della mente e leggerci dentro.
C’è bisogno di smettere di preoccuparci di tutto e di tutti, smettere di assecondare i pensieri devianti, smettere di portare il peso del mondo sulle nostre spalle come siamo solite fare, smettere di provare quest’eterna ansia… semplicemente, concentrarci su noi stesse.
Talvolta c’è bisogno di chiederci di che cosa abbiamo bisogno. È una domanda importante. Una domanda che non deve essere sottovalutata.

Perciò, adesso, chiedetevi: “Di che cosa ho bisogno?”.

Chiudete gli occhi, respirate a fondo. Aspettate. Sentite il silenzio. Sentite lo spazio. Sentite voi stesse. E chiedetevi: “Di che cosa ho bisogno?”.

Provate a trovare una risposta, per quanto semplice essa possa essere. Anche una piccola cosa, di cui sentite di avere bisogno.

E poi concedetevela.

lunedì 22 settembre 2008

Inattesi rinforzi

Cercando alcune immagini su Photobucket, mi sono casualmente imbattuta nelle fotografie di alcuni articoli di giornale. La didascalia diceva che si tratta di immagini tratte dalla rivista “Right”, che in ogni numero realizza una lista chiamata “right list”: 12 punti che dicono quello che è giusto, quello che è “right”. Nel numero fotografato, la lista in questione è titolata “12 things in life never to take for granted”.














Mi è piaciuta molto questa lista, ma è stato soprattutto il punto n°4 che mi ha fatto sorridere:














Cosa ne pensate?

Volevo condividerlo con voi, perché è bello sapere che ci sono riviste che danno rinforzi positivi, per quanto piccoli possano essere…

domenica 21 settembre 2008

Se sei giovane

Questa è una sorta di poesia (se così la si può definire…) che ho scritto quando facevo la 5^ superiore. Non è strettamente inerente ai disturbi alimentari, anche se chiaramente l’influenza si risente, però penso rispecchi bene i sentimenti di ogni qualsiasi diciottenne… un’età che è difficile per tutti, DCA o meno!

SE SEI GIOVANE

A chi ti ripete che questi sono gli anni per te più belli
rispondi con la verità dei tuoi giorni,
smaschera questa tradizionale menzogna
che ti vuole felice e senza pensieri.
Gravano su spalle fragili le domande essenziali
sulla tua condizione di piccola donna.
Parla così dei tuoi primi passi verso la comprensione
di ciò che è nascosto e che vale,
parla delle delusioni nel vedere miti appariscenti
che si disfano sotto la tua mano che cerca appoggio.
Racconta le tue giornate di solitudine,
narra le tue timidezze, le difficoltà
di essere accettata dagli altri,
l’incapacità di essere te stessa,
perché non sai chi sei
e che cosa voglia dire essere se stessi.
Ricorda quanto è disinteressata la tua amicizia
e quanto dolorosa ogni delusione.
Ricorda lo stupore di quando hai capito
che la vita è un’opera aperta
e di quante possano essere le “varianti sul tema”.
Parla di quando hai visto che dietro alla libertà
c’è una scelta di comodo per non finire a pezzi.
Parla della fama, ma anche della consolazione che ti ha preso
quando hai capito che ogni tua azione ha un valore per tutti,
e del senso di responsabilità che subito dopo ti ha investito.
Parla del bisogno di amare e della necessità di essere amata;
parla degli altri e di quanto ansiosa è stata la tua scelta,
non temere la difficoltà di ogni incontro sotto il peso
dei tuoi infiniti scrupoli e della tua incredibile incertezza.
Parla di tutte queste cose mostrando il tuo cammino di inquietudine
nella ricerca di una ancora non trovata maturità.


Spero che stiate tutte trascorrendo dei giorni tranquilli… e ricordate che, per qualsiasi cosa – lettere, sfoghi, poesie, domande, riflessioni – io sono sempre qui per voi. Scrivetemi qui sul blog e su veggie.any@alice.it … la mia mail è lontana solo un click!!

sabato 20 settembre 2008

Possibile

Volevo condividere con voi qualcosa che ho scritto alcuni giorni fa. Consideratelo una sorta di… mantra. Una specie di dichiarazione. Un qualcosa che vi dico con tutta convinzione e che spero possiate tenere nel cuore.

Il ricovero è possibile.
Anche se scegliere di ricoverarsi in una clinica specializzata per DCA oppure scegliere di fare dei colloqui con uno psicoterapeuta, oppure decidere di mettersi nelle mani di una dietista, o scegliere di affrontare un disturbo alimentare da sola (qualsiasi cosa voi intendiate per “ricovero”) può far paura, è possibile. Non è una garanzia. È una possibilità. Non è semplice. Affatto. Anzi, è difficile, e talvolta sembra davvero impossibile. Non è un qualcosa di rapido, una corsa di 100 metri in discesa. Al contrario, è una lunga maratona, una corsa in salita con tante curve e strade senza uscita… strade che non sapete imboccare perché non riuscite a vedere dove si trovano. Il ricovero non è uguale per tutte. Non è sempre un processo felice. Non è sempre un processo triste. È un processo che vi rende forti. Che vi fornisce armi per combattere al meglio i disturbi alimentari. Non insegna a compiacere gli altri. Non riguarda gli altri. È un qualcosa che riguarda unicamente VOI. Non riguarda la perfezione. Riguarda le emozioni. Riguarda l’onestà nel leggersi dentro. Riguarda l’autostima e la scoperta di se stesse. Non riguarda ciò che non avete, ma come potete usare al meglio ciò che avete. Non riguarda il nascondere. Riguarda il rivelare e il capire, il rielaborare tutti i vissuti. Non si tratta di un qualcosa che dura un paio di mesi e poi ogni disturbo alimentare sarà risolto. Il ricovero non è una bacchetta magica, i prodigi non esistono. Si tratta di una qualcosa che va avanti per tutta la vita, che passo dopo passo può accompagnarvi nella scoperta di voi stesse e di ciò che può rendervi veramente felici. Non riguarda l’aspetto fisico o quello che si può vedere dal difuori. Riguarda quello che c’è dentro ognuna di voi. Non è una follia. Se solo lo volete, è assolutamente realtà.
Il ricovero è possibile.

Quando l’ho riletto per la prima volta, dopo averlo scritto, ho sentito ogni parola. E quando l’ho riletto di nuovo, stamattina, le ho sentite ancora di più. Penso che rileggere questo “mantra” possa essere un buon modo per continuare a vedere le cose nella giusta prospettiva.

Spero che trascorriate delle belle giornate. Siete costantemente nei miei pensieri.

venerdì 19 settembre 2008

Una taglia in meno non è un premio

Shopping: lo ami e lo detesti. Può essere meraviglioso o ansiogeno, divertente o triste, bello o disastroso.

Molte di queste emozioni contraddittorie provengono dal dualismo tra il voler trovare l’abito perfetto e il provare paia su paia di jeans, nessuno dei quali in grado di vestire come si vorrebbe.

Spesso, sembra proprio che siano i negozi a dirci che il nostro corpo, in un modo o nell’altro, non è “giusto”. Siamo troppo magre, troppo grasse, abbiamo i fianchi troppo larghi, il sedere troppo cascante, le cosce troppo tornite, e così via… Così finiamo inevitabilmente per cercare di rendere i nostri corpi a misura di vestiti, anziché i vestiti a misura dei nostri corpi. Inutile dirlo, è estremamente frustrante. Fa diventare lo shopping un qualcosa di veramente odioso. E fa nascere pensieri negativi sul proprio corpo. Reitera una volta di più che i nostri corpi non sono come dovrebbero essere.

Poi, ci sono i numeri. Tanti numeri, come i numeri che stanno scritti sulla bilancia, i numeri che dettano l’umore: le taglie dei vestiti.

Innanzitutto, pare che le taglie siano variabili di negozio in negozio, non è vero?! Entrate in un negozio e vestite una 42, poi andate in un altro e scoprite che la 42 è troppo piccola. Così dovete necessariamente provare una taglia superiore, e vi sentite uno schifo. Bene, perché? Se quel paio di jeans vi sta bene, perché vi sentite uno schifo? Perché date importanza ai numeri. Perché avete attribuito ai numeri un significato particolare. Se salgono significa che siete troppo grasse, se scendono che state dimagrendo e che quindi va tutto bene.

E questo è il primo errore. Perché voi state dando a questi numeri – a queste taglie, cazzo – un’importanza enorme, un potere enorme. E invece non significano niente! Quel che conta è come voi vi sentite in un determinato vestito, se quel vestito ve lo sentite bene addosso o meno! Se il paio di jeans che volete comprare ha una taglia 42, e vi piace il modo in cui vi vestono – vi piacerebbe comunque anche se sull’etichetta ci fosse scritto 46! Sono solo i disturbi alimentari che stanno cercando di fregarvi, di farvi pensare diversamente, che stanno cercando di farvi sentire brutte, grasse e inadeguate!

Il mio suggerimento – se vi sentite forti abbastanza – è di tagliare le etichette dai vestiti che comprate. Certo, in negozio le etichette sono necessarie, ma non lasciate che continuino a condizionarvi anche a casa. Perciò, tagliate e buttate quelle dannate etichette! Non lasciate che siano quei numeri ad etichettarvi. Non avete bisogno di etichette che vi dicano come sentirvi quando indossate quei jeans. Guardate ai vestiti per quello che sono – se vi piacciono o meno – e non alla loro taglia.
Se siete come me, probabilmente gli indumenti nel vostro armadio sono di taglie differenti. Normale, dato che li ho acquistati in negozi diversi e che sono fatti con materiali differenti. La taglia dei miei jeans non corrisponde a quella dei pantaloni della tuta. Perciò, tagliate quelle etichette. Che ce le tenete a fare? Scommetto che mai nessuno, guardandovi un paio di pantaloni che stavate indossando, la prima cosa che vi ha chiesto è stata: “Oh, di che taglia sono?”. Se qualcuno ha commentato i vostri jeans, molto più probabilmente avrà detto qualcosa del tipo: “Carini i tuoi pantaloni!”, oppure: “Dove li hai comprati?”.
Pensateci.

E quando vorrete o avrete bisogno di andare a fare shopping nuovamente, valutate quelli che sono gli abiti che davvero vi vestono bene, senza tener conto di qual è la loro taglia, se una 40 o una 48. Valutate ad occhio se un paio di pantaloni che vi piacciono possono starvi o meno, e provateveli. Se non sono giusti, sceglietene un paio che, sempre a colpo d’occhio, vi sembrano più grandi o più piccoli. Se avete tolto le etichette dei vostri vestiti a casa, provate ad immaginare di aver fatto la stessa cosa anche con gli abiti del negozio. Così non sarà tanto terribile se un paio di jeans non vi veste. Trovate vestiti a misura dei vostri corpi, non abiti di taglie che avete già scelto nella vostra testa decidendo che è quella che vi deve vestire.

So che tagliare le etichette dei vestiti può sembrare un gesto abbastanza estremo. E forse lo è. Ma qualche volta arrivare all’estremo è necessario per cambiare il nostro modo di pensare e ritrovare la giusta rotta. In fin dei conti, non è forse estremo digiunare per entrare in una particolare taglia? Non è forse estremo chiudersi in camera a piangere quando una taglia – un numero che non significa niente – è maggiore di quello che avremmo voluto? E allora, se quella taglia proprio non va, provate quella superiore. E se a questo punto i jeans vi cadono bene, comprateli. Non permettete ad un etichetta di avere la meglio su di voi. Poi andate a casa e tagliate tutte le etichette fintanto che la vostra testa non sia in grado di pensare razionalmente.

Lo so, è una cosa difficile da fare – usare le forbici sugli abiti e tagliare quel che costituisce il problema. Potrebbe sembrare facile, ma non lo è. Però, lo sapete: una volta che l’avete fatto, non potete tornare indietro. I numeri non torneranno indietro. E forse respirare sarà più semplice… e inizierete a guardare ai vostri vestiti per quello che sono – parte del vostro stile.

Tagliare le etichette dei vestiti è un po’ come andare dalla dietista e farsi pesare volgendo le spalle alla sbarra del peso. Se sapete che conoscere il numero che indica il vostro peso sulla bilancia condiziona i vostri comportamenti, vi mantiene ancorate al disturbo alimentare, significa che state dando a quel numero sin troppo potere. Perciò, pesatevi girate. Senza vedere il peso. Può sembrare strano, può sembrare ansiogeno, ma vi assicuro che è molto, molto, molto utile. Io lo faccio sempre. Non lasciate che un numero condizioni il vostro umore e vi dica cosa dovete fare, cosa dovete pensare, e come vi dovete sentire.

Ma capisco che è difficile farlo. Difficile essere forte abbastanza da salire su una bilancia, voltarsi, farsi pesare, e poi scendere senza sapere quale numero ha segnato. All’inizio, e ve lo dico per esperienza, sareste pronte ad uccidere pur di conoscere il vostro peso. Ma, successivamente, vi accorgerete che quello del peso è solo un numero che non ha nessuna importanza. Perché l’importante è come vi sentite col vostro corpo, qualsiasi sia il vostro peso. Poiché ci si può sentire a disagio a 80 Kg come a 30 Kg. E, ad equivalenti pesi, sentirsi bene.

Quindi, cercate di combattere l’impulso di conoscere il vostro peso. Non pesatevi affatto. Lo so, ci vuole un sacco di forza. Un sacco di volontà. Un sacco di determinazione. A non conoscere il proprio peso. A pesarsi a spalle voltate. A tagliare le etichette degli abiti. A fare in modo che i numeri NON siano un problema.
Ma voi potete farcela. Avete questo potere. E siete le sole che possono farcela. E quando starete bene con voi stesse, vi accorgerete che quei numeri davvero non contano niente. E potrete guardarli di nuovo senza che scalfiscano il vostro umore. Perché voi avete davvero questo potere.

Il vostro potere è un premio.

Non una taglia in meno.

giovedì 18 settembre 2008

Lettera per me stessa

Ho scritto questa lettera a me stessa circa un anno e mezzo fa. È come se la me stessa cresciuta avesse scritto alla me stessa bambina, sapendo che la piccola Veggie aveva bisogno di qualche parola di conforto. Ogni volta che la rileggo, vengo percorsa da un brivido. Non è niente di speciale, eppure è un tributo a quella bambina cresciuta troppo in fretta, per farle capire quanto le voglio bene e quanto lei significa per me.

Veggie,
lo so che quello che hai passato negli ultimi sei anni non è stato affatto semplice. Se è stata una passeggiata, allora hai camminato tra le fiamme dell’inferno. Ma è proprio per questo che devi continuare a camminare. Per darti almeno la possibilità di uscirne.
Il passato non può essere dimenticato, ma può essere superato. Tutto ciò che ti occorre è qualcuno che ti prenda per mano e ti aiuti a continuare il tuo percorso. E la mia mano è tesa perciò, ti prego, afferrala. Non c’è bisogno di girarsi indietro per vedere l’anoressia, parte di te la vedrà per sempre, vivrà sempre con te, la amerai sempre. Non è stata la miglior parte di te, ma è stata la depositaria di tutto ciò che avresti potuto essere e a cui hai deciso di opporti. Sappi che ti ammiro per il tuo coraggio.
Lo so che ogni tanto la superficie dell’acqua s’increspa. Non posso cancellare la disperazione dell’inferno vissuto sulla tua pelle. Tutte quelle sensazioni positive provate durante il periodo della restrizione, tutto il dolore dei ricoveri, tutta la fatica di vivere, tutto l’odore dell’odiata/amata morte che si avvicinava lentamente. Per tutta la vita, non riuscirò a cancellarlo da te.
Però… sono sempre fuggita via da te. Perdonami. Avrei voluto abbracciarti un po’ più a lungo. Sono ancora in tempo per rimediare?
Non aver paura. Voglio solo abbracciarti. Non con uno di quegli abbracci che stringono e che sembrano una trappola, ma abbracciarti con leggerezza, appena sfiorarti. Per riuscire a trattenerti senza stringerti.
Ti mostrerò cosa significa vivere per te stessa e non per gli altri e per quello che fanno e che dicono. Ti lascerò libera di piangere quando ne avrai voglia senza che tu debba vergognarti per questo o considerarlo un segno di debolezza. Ti starò vicina nei momenti più felici e soprattutto in quelli più difficili. Ti terrò per mano, e se cadi ti aiuterò a rialzarti.
Non sarò mai troppo impegnata per non sentire quello che hai da dirmi, mai troppo lontana da non raggiungerti se mi chiamerai. Non ti farò mai sentire sola, indesiderata o incompresa. Ti lascerò essere matura quando lo vorrai, e bambina quando ti servirà. Rispetterò ogni promessa che ti farò.
Ti pettinerò i capelli facendoti le trecce, ti canterò le canzoni che vorrai sentire, ti ascolterò quando avrai voglia di parlare. Non ti cancellerò e non ti lascerò mai più sola. Conto su di te.
Sei la cosa più importante per me… perché tu sei me.
Ti voglio tanto bene,
Veggie

(Aprile 2007)


P.S.= Vorrei che tutte voi, cambiando il nome all'inizio e alla fine della lettera, potreste scriverne una analoga...

mercoledì 17 settembre 2008

Messaggi positivi

Il paesetto in cui abito è attraversato da un fiume, che è costeggiato su entrambe le sponde da due viali alberati dove la gente va spesso a fare passeggiate o a fare jogging. In effetti questi due viali sono bellissimi, soprattutto adesso che arriva l'autunno, quando un letto di foglie gialle-arancio-rosse ricopre la strada. Vado spesso a passeggiare lungo il viale che si trova dalla “mia” sponda del fiume, perciò mi capita sempre di vedere persone (soprattutto ragazze e donne) che vengono a fare jogging qui, quindi mi è sembrato un buon posto per condividere alcune note positive…

Ieri pomeriggio, dunque, sono andata a fare una passeggiata lungo l’argine portandomi dietro un Post-It su cui avevo già scritto qualcosa, ovvero: “La bellezza non è quella che si vede, è quella che si sente: sei come sei, e non c’è niente di meglio al mondo”. A cui ho aggiunto l’indirizzo di questo mio blog.
Ho attaccato questo Post-It su un albero con una piccola puntina (era davvero molto piccola e non credo che l’albero abbia sentito male), e poi ho continuato la mia passeggiata.


























Quando sono tornata indietro, ho visto che c’era una ragazza in tenuta da jogging che stava correndo in direzione opposta alla mia e che di lì a poco sarebbe passata davanti a quell’albero.

Sono tornata a casa sentendomi bene.

martedì 16 settembre 2008

Combattere la giusta battaglia

In certi momenti è difficile capire quello che si vuole. Si ha paura a lasciarsi il passato alle spalle, anche se doloroso, perché rappresenta comunque un vissuto noto e quindi rassicurante rispetto alle incognite che il futuro ci pone davanti. È questo il momento più critico, il momento in cui rischiamo maggiormente di compiere degli errori, rincorrendo qualcosa di sbagliato che non potrà mai farci ottenere ciò che promette.

Perciò, anche quando è più difficile – proprio quando è più difficile – c’è solo una cosa da fare: cercare di tenere gli occhi aperti e i piedi piantati per terra. Ricordatevi di tener duro e di continuare sempre a combattere la giusta battaglia, nella consapevolezza che tutte possiamo compiere degli errori, ma che anche questo è importante per imparare a non ripeterli.

Provate perciò a riempire il vuoto a scacciare il buio, e a cercare sempre la strada della luce. La vita non è una corsa di 100 metri, ma una lunga maratona, e ogni mattina bisogna alzarsi da letto e partire di nuovo e cercare di capire dov’è che possiamo andare, seguendo il richiamo del proprio desiderio. I disturbi alimentari, in fin dei conti, rappresentano un posto di blocco, un qualcosa in cui si rimane incastrate senza la possibilità di andare né avanti né indietro. Ma, ragazze, ricordatevi che per morire bisogna prima vivere. Perciò non smettete mai di cercare le ragioni per cui vale la pena farlo. E gridate, e arrabbiatevi, e piangete, e ridete, e correte, e fate tutto quello che potete per sentirvi vive. Ma non c’è fretta.

Non si può pretendere che la vita cambi dall’oggi al domani, ci vuole tanto lavoro, tanta fatica, e tanta pazienza. Quindi prendetevi tutto il tempo di cui avete bisogno e non preoccupatevi di niente. Non c’è montagna così alta da non poter essere scalata. E un giorno vi accorgerete di essere arrivate esattamente dove volevate.

Spero che stiate trascorrendo dei giorni tranquilli (e, se non è così, spero che lo saranno i prossimi) e non dimenticate che potete scrivermi ogni qualvolta lo desideriate.


P.S.= Volevo condividere con voi una cosa che mi ha resa molto felice: ieri sera ho ricevuto il premio "Blog vitaminico A.C.E.”, che è una targa, un riconoscimento di stima e apprezzamento per lo stile, la grafica, i contenuti e l'energia che il premiato trasmette con il suo blog. Mi è stato conferito da una meravigliosa blogger che mi ha fatto il più bello ed insapettato regalo che io abbia mai ricevuto... Perciò: GRAZIE MILLE JESSICA!!!

E voglio ricambiare, perchè anche il suo blog merita davvero un'occhiata attenta: questa ragazza scrive davvero benissimo!
Intanto, vi linko il post del premio in questione sul suo blog...

Blog vitaminico A.C.E.

lunedì 15 settembre 2008

Validazione

Stavo pensando a quello che mi fu detto una volta, da una terapeuta, durante il mio primo ricovero. Mi disse che non ero capace di validare i miei sentimenti.

Validare significa, come probabilmente già saprete, darsi il diritto di provare determinati sentimenti, determinati bisogni, darsi il diritto di fare determinate cose, ritenersi all’altezza di provare certe sensazioni.

Penso che la maggior parte delle persone che hanno un disturbo alimentare cerchino la validazione da parte degli altri. Aspettano cioè che siano gli altri a dirgli se possono o meno sentirsi in un certo modo, concedersi certe cose, come se la loro propria opinione non fosse abbastanza. E, in fin dei conti, è esattamente quello che facciamo: cerchiamo di essere quello che gli altri vorrebbero noi fossimo, tentando così di apparire gradite agli occhi altrui. E soltanto nel momento in cui riceviamo rassicurazioni o complimenti dagli altri, sentiamo di aver fatto un buon lavoro, come se il nostro proprio riconoscimento non fosse sufficiente. Cerchiamo dagli altri quelle conferme e quell’approvazione che non siamo autonomamente in grado di darci.

Il fatto è che le cose possono diventare incredibilmente dure e complicate se facciamo tutto per gli altri senza badare a validare noi stesse: si può finire per fare cose che non vogliamo fare affatto, accumulando così rabbia e frustrazione, solo perché gli altri si aspettano che noi le facciamo. Allora, ricordate questo: la cosa PIU’ IMPORTANTE è quel che VOI pensate, e come VOI vi sentite.

In ogni caso, per quanto mi riguarda, ho cercato di trovare un adeguato compromesso. Credo che, in fin dei conti, valga la pena di fare un tentativo; so che siamo tutte diverse e quindi non è assolutamente detto che possa funzionare per ciascuna di voi, ma certamente può essere una spinta, un primo passo, e può darvi rinforzi positivi.

Personalmente, ho pensato spesso a questa mia ricerca di validazione da parte degli altri, così mi sono accorta di una cosa: nella maggior parte dei casi, qualsiasi cosa io faccia, non è importante quanto pensi di averla fatta bene, non è importante quanto pensi di essere riuscita ad arrivare fino in fondo, non è importante quanto ci tengo, non è importante quanto impegno ci metto… m’importa solo di quello che ne pensano gli altri una volta che l’ho fatta. Ed agisco di conseguenza cercando la loro validazione. Perché io ho quest’anima un po’ da crocerossina, spesso vivo in funzione del riuscire a far felici gli altri. Vorrei essere la migliore. Sono una perfezionista estrema. E so che molte di noi lo sono.

Perciò, ecco qua. Una piccola idea che mi è venuta, e che potrebbe essere d’aiuto…
So che potrà suonare veramente strano, forse anche un po’ stupido, ma provate per alcuni minuti a pensare a voi stesse come se foste delle persone multiple ogni qualvolta sentite il desiderio di fare qualcosa che necessita di una validazione. Scrivete le vostre multiple voi stesse, se può aiutarvi (così potrete vederle più chiaramente, e non ne dimenticherete nessuna!).

Per esempio, per quanto mi riguarda, potrei scrivere:

Io la Ragazza
Io la Figlia
Io la Sorella
Io l’Amica
Io la Cosplayer
Io la Studentessa
Io la Karateka
Etc…


Cercate di trovare tutto quello che potete essere, e separate le varie personalità. Lasciatele divise e diventate più di un’entità. Poi andate a considerarle ciascuna singolarmente. E provate a pensare a cosa ne penserebbero loro della cosa che state per fare, o dell’emozione che sentite di provare. Cosa ne penserebbe Io l’Amica? Cosa ne penserebbe Io la Studentessa? Etc… E’ un po’ come se la validazione venisse da qualcun altro… anche se in realtà sta comunque venendo da voi stesse, perché quei frammenti non sono altro che parti di voi. E, credetemi,VOI siete l’essenza delle vostre validazioni, perciò è ovvio e naturale che la vostra opinione sia, alla fine, la più importante.

Può sembrare sciocco, eppure è una cosa diversa dal semplice pensare “Sì, penso di aver fatto bene”, dacché in realtà il soggetto di “penso” è “io”, e in noi c’è l’implicita convinzione di non valere abbastanza da poter dare un giudizio di questo tipo. Perciò, rendendo l’ “io” delle personalità multiple, in alcuni casi potreste sentirvi meglio. Nella peggiore delle ipotesi, potrebbe essere un buon modo per fare pratica e per cercare di distaccarsi dall’opinione altrui… pur restandone, in un certo senso, aderenti. E facendo questo, potreste cominciare ad apprezzarvi di più, e ad accettare meglio quelli che sono i vostri pensieri o le vostre opinioni, senza affannarvi a respingerli sono perché “agli altri potrebbero non piacere” o perché “gli altri non si aspetterebbero mai pensieri del genere da parte mia”. Autostima, ragazze!! Più facile a dirsi che a farsi, lo so…
… ma un tentativo vale sempre la pena, no?! Non si può mai sapere quanta strada potremmo percorrere se riusciamo a fare il primo passo…

In bocca al lupo a tutte quante!

domenica 14 settembre 2008

Lettera all'anoressia

Questa è una cosa che ho scritto alcuni mesi fa quando, distaccandomi oggettivamente dal sintomo, mi sono accorta quanto mi aveva promesso di darmi, e quanto invece mi ha tolto, senza restituirmelo.

Cara anoressia,
in realtà non sei affatto “cara”. E neanche semplicemente “anoressia”. Sei l’infernale compagna che ritrovo nel mio letto ogni mattina, ma non ti lasci stringere. Perché adesso mi hai già stretta nella tua morsa, e sono io quella che non riesce a muoversi. E non riesco a respirare perché hai spinto la mia testa sotto l’acqua. L’hai fatto perché, sotto la superfiche dell’acqua, tutti i segnali dal mondo esterno arrivano attutiti, così speravi che io potessi continuare a non accorgermi di niente per tutta la vita. Eppure non mi hai annegata, perché avevi bisogno di me. E io non ho rialzato subito la testa, perché avevo bisogno di te.
Ma adesso lo so: per quanto possiamo somigliarci, non siamo la stessa persona. Per tanto tempo mi hai fatto sognare di essere diversa da tutte le altre ragazze. Mi hai fatto sognare di sentirmi forte, soddisfatta, sicura di me. Allora pensavo che fosse divertente essere differente, ma a lungo termine ho scoperto che non è affatto così. Tanti anni lo stesso sogno… e la cosa peggiore è stata al mattino di quella lunga notte, quando di fronte al tavolo di una dottoressa mi sono svegliata. E allora mi sono accorta che era vero. Che, sì, ero davvero diversa. Ma non diversa come avrei voluto. Non diversa nell’accezione positiva della parola. Non diversa come avevi promesso di farmi diventare.
Perché non hai mantenuto le tue promesse? Perché mi hai fatta salire sulla vetta di una montagna per poi spingermi di sotto? Perché mi hai raccontato bugie così simili alla verità che ho inevitabilmente finito per crederci? E, come al solito, non hai risposte alle mie domande. Mi avevi detto che eri tu la risposta. Ma più vado avanti, più vedo che restano solo interrogativi. Hai preteso e hai preso tante cose da me, ma non me ne hai restituita indietro neanche una. Dov’è la mia adolescenza? Tutte le cose che avrei potuto vivere e che non ho vissuto? Mi hai rinchiusa in una bolla di sapone. Era bella e io lì dentro credevo di essere felice. Ma mi isolava dal resto del mondo. E adesso che la bolla è scoppiata, non rimane niente. Neanche il riflesso. Neanche uno spicchio della felicità che mi avevi promesso.
Sono arrabbiata con te, lo sai? Sì, sono arrabbiata. Sono arrabbiata perché alla fine non ho avuto niente di quello che mi aspettavo da te. Mi hai illusa e presa in giro. Mi hai dato un qualcosa di effimero facendomi credere che fosse granitico. Mi hai mentito. Mi hai ferita. Mi hai fatto passare i momenti peggiori della mia vita. Dovevi essere un nuovo inizio, sei stata l’inizio della fine.
Sono arrabbiata perché hai distrutto quello che ero e quello che avrei potuto essere. Perché tuttora non te ne vai del tutto dalla mia testa e mi fai vivere una vita a metà. Perché mi hai rubato anni, possibilità, scelte. Perché mi hai rubata.
E sono molto arrabbiata con te, sì, molto arrabbiata, non semplicemente per quello che hai fatto a me, ma anche per quello che hai fatto alle presone che mi stavano intorno. Mi hai fatto fare terra bruciata. E hai fatto soffrire la mia famiglia, le uniche persone che mi abbiano mai amata incondizionatamente, gli hai inferto la più grande sofferenza della loro vita, li hai fatti piangere, preoccuparsi, sentirsi in colpa, stare male, passare notti insonni ad interrogarsi sui loro inesistenti sbagli… Loro, che non avevano fatto niente di male, niente di errato… perché ti ci sei accanita? Non glielo dovevi fare. Non ne avevi alcun diritto. Avevi me, ma non ti è bastato. Ti sei voluta riflettere anche su di loro. E sono molto arrabbiata per questo. Perché potevi distruggermi, ma non avresti dovuto sfiorare la mia famiglia neanche con un dito. Era una cosa tra me e te. Ma tu non ti sei tenuta ai patti. Hai voluto colpire anche loro. E io, impotente, sono rimasta a guardare. Sono molto arrabbiata perché mi hai impedito di reagire.
Ma non ti sei fermata qui.
Il mio migliore amico del cuore, quasi un fratello per me… in maniera ancora più subdola, hai trovato il modo di portarmi via anche lui. Come potrei non essere arrabbiata con te? Era come un fratello, e mi hai strappato anche lui.
Ma soprattutto, cara anoressia, la cosa che mi fa più incazzare è un’altra. È un’altra la cosa per cui ti odio. Ti odio perché mi hai resa felice. Ti odio perché mentre restringevo mi hai fatto provare una felicità che non avevo mai provato prima in vita mia e che non ho più ritrovato da quando ho smesso di restringere. Ti odio perché mi hai resa davvero felice, soddisfatta, tranquilla, in pace con me stessa. Ti odio perché mi hai fatta sentire forte, sicura, capace di controllo. Ti odio perché tutto questo è stato effimero, perché per forza di cose non può che esserlo, ma mi davi la sensazione che avrebbe potuto durare per sempre. Ti odio perché mi hai fatto apprezzare il mio corpo solo quando ero a XX Kg. Ti odio perché mi hai fatto passare momenti in cui mi sentivo onnipotente. Ti odio perché tutto questo mi è piaciuto. Ti odio perché, nonostante tutto il male che mi hai fatto, continuo ancora a pensare che il periodo in cui ho ristretto è stato il migliore della mia vita. Lo capisci? Ti odio perché sei stata il mio sbaglio più grande… ma che rifarei. Eppure, cara mia, eppure adesso lo so che non sei altro che un falso. Un falso così verosimile da poter davvero sembrare la realtà. Ma non lo sei. Purtroppo non lo sei. Per fortuna non lo sei. E te lo scrivo con la morte nel cuore… ma con la voglia di trovare una vita davanti. Potrei tornare da te in qualsiasi momento, e sarebbe davvero la cosa più semplice da fare… ma proverò a stare lontana da te per tutto il resto della mia vita, e sarà davvero la cosa più coraggiosa che possa fare. Cara anoressia, mi hai proprio scocciata. Se ti azzardi a farmi venire ancora paranoie, ti mando a quel paese. Hai il barbaro coraggio d’insinuarti subdolamente nella mia testa e di dire a me che non ho capito niente, come se l’avessi fatto tu. Ma cosa vuoi ancora da me? Perché non mi lasci in pace? Vai dove diavolo vuoi, non voglio chiederti più niente.
Ed ora che mi sto arrendendo, ecco qui la risposta.
Ora sì che devo mangiare, e se ti arrabbi, se mi dici di restringere, mangerò te. Puoi reagire come vuoi, puoi cercare di farmi venire tutte le ansie peggiori, non m’interessa, puoi urlare e minacciarmi quanto vuoi, non mi tange minimamente.
Anoressia, lo vuoi capire che adesso sei solo un peso? Sì, proprio tu, un peso! Tu, che hai sempre cercato di non (far) pesare niente… Sei falsa, bugiarda, e non mi va proprio giù questo tuo atteggiamento forzato, non voglio darti la soddisfazione di vedermi restringere, non te lo meriti, non ti meriti le mie lacrime e i miei dolori, perché non devo ancora fare qualcosa per te o darti qualcosa, e tu cosa mi stai dando ora come ora? Dimmelo, perché io adesso non vedo più niente. Solo giorni fatti di ossessione e di vuoto. Oggi sarò cattiva, giuro, e stai attenta a cosa cercherai di mettermi in testa se ti dovessi incavolare, pesa bene le parole, non si sa mai.
Da adesso in poi non te la darò mai più vinta. Certo, alcuni giorni starò peggio, avrò voglia di ricominciare a restringere, di farla finita, ma non mi arrenderò, te lo assicuro. Cadrò e sarò capace di rialzarmi. Sono pronta a dare battaglia.
È bella la tua perfezione, ma è spersonalizzata, dai sicurezza e senso di controllo, ma qui dentro mi lasci solo un gran vuoto e un gran freddo. Vattene, anoressia, non ti permetto più di dominare la mia vita. Oggi vediamo chi è più forte tra noi due, vediamo se occorrono le cattive per ottenere qualcosa da te, lo vedi, mi rimbocco le maniche… ti sto aspettando.
Tua (non più)
Veggie

sabato 13 settembre 2008

Un articolo sui disturbi alimentari

Ho trovato quest’articolo qualche ora fa. So che è un po’ generalizzante (come, del resto, la maggior parte degli articoli di questo tipo lo sono), ma fondamentalmente mi trovo d’accordo con quello che c’è scritto. Anche se risale a qualche anno fa (si tratta di un'intervista del 2001), trovo che ciò che s'è scritto sia sempre attuale. Tra l'altro, vedere come una persona che ha sofferto di disturbi alimentari e ne è uscita riesce adesso a parlarne, fa sentire meno sole e aiuta a vedere le cose da un punto di vista un po’ particolare, interno ed esterno allo stesso tempo... Okay, magari quest’articolo non è niente di che, ma è la dimostrazione che i disturbi alimentari vengono riconosciuti in quanto tali, e non travisati come i capricci di bambine viziate che vogliono mettersi in mostra; e mi piace la visione imparziale che l’articolo ne dà.

Articolo sui disturbi alimentari

venerdì 12 settembre 2008

Ricovero

Ricovero… Cosa significa questa parola? Generalmente, la prima immagine che evoca è quella di una clinica. Forse è la prima cosa che vi balza in testa anche a voi.

Personalmente, credo che l’equazione Ricovero = Clinica sia estremamente limitante.
Certo, si può decidere di andare in una clinica specializzata per DCA per ricoverarsi. Ma c’è altro. C’è molto altro. Personalmente, penso che il ricovero sia più che altro un processo mentale – un qualcosa di interno che ha poco a che vedere con le costruzioni esteriori. Scegliere di ricoverarsi significa scegliere di abbandonare una volta per tutte i disturbi alimentari. È un atteggiamento mentale. Vuol dire decidere d’impegnarsi fino in fondo per abbandonare le logiche perverse dei DCA.

Il ricovero può avvenire ovunque. In una clinica come nella propria cameretta. Dunque ricovero è, sì, essere internate in una clinica. Ma è anche, per esempio, scegliere di frequentare quella clinica in regime di day-hospital. Oppure andare a parlare con uno psicoterapeuta un paio di volte la settimana. O partecipare a dei gruppi con altre ragazze che hanno questi problemi. O anche semplicemente decidere di fare da sole e di usare tutte le nostre forze per combattere i DCA. Che è ciò che io sto facendo in questo momento, seguita soltanto da una dietista che mi monitora da un punto di vista unicamente alimentare. Quando parlo di ricovero, perciò, intendo tutte queste cose messe insieme. Quale che sia il vostro modo di intenderlo, per me il termine “ricovero” è sinonimo di “tentativo di guarigione”. Un tentativo di guarigione serio e determinato. In qualsiasi modo esso venga espletato.

Dunque, vi auguro un buon ricovero… qualsiasi cosa questo significhi per voi.

giovedì 11 settembre 2008

La mia storia - Fall to pieces (and rise again?!)

Ci sono cose della vita che pensi non potranno mai accaderti. Le vedi in TV, le leggi sui giornali, ne senti parlare, ma sono così distanti che non ti sembrano davvero reali. Poi un giorno apri gli occhi e ti accorgi che, invece, sono vere. E che stanno succedendo proprio a te.

Fino ai 14 – 15 anni ho avuto una vita tutto sommato “normale”. Ero una ragazzina brava a scuola, amante dello sport, allegra, vivace… una ragazzina "normale". Eppure, ad un certo punto, è successo. Cosa, esattamente? Neanch’io saprei dirlo. Ma è successo. Avrei potuto avere tutto, tutto quello che una ragazza normale potrebbe avere, ma non era abbastanza. O, forse, era troppo.

Un giorno mi sono guardata allo specchio e non ho visto quel che avrei voluto vedere. Il riflesso che mi rimandava non era quello che avrei voluto che fosse. Non mi piaceva. Non volevo essere quella me stessa. Volevo essere un’altra me stessa. Non mi piaceva quel riflesso. Mi faceva schifo. Non era un problema di esteriorità (sono sempre stata magra, come tutti nella mia famiglia, del resto), era un problema di interiorità. Se avessi potuto, avrei sputato su quel riflesso prima di rompere lo specchio e urlare, tanto mi detestavo. C'erano cose che non andavano. Così ho iniziato a sognare un’altra me stessa, di essere diversa, di essere serena, di essere libera. Perciò ho detto basta. Basta a quella me stessa. Basta a quel detestabile riflesso. Volevo che lo specchio mostrasse quel che realmente c’era dentro di me. Non volevo essere mediocre. Non volevo essere normale. Volevo che tutti, guardandomi, vedessero il mio controllo, e vedessero qualcosa di speciale.

Sapevo che, per fare questo, avrei dovuto distruggere la me stessa dello specchio. Sapevo che sarebbe stata dura. Sapevo che sarebbe stato difficile. Sapevo che avrei dovuto mettere in gioco tutto e riuscire a controllarlo. Sapevo che si sarebbe trattato di camminare sul filo di un rasoio. Ma sapevo anche quel che volevo: diventare la migliore. Volevo controllare ogni qualsiasi aspetto della mia vita, soprattutto. E poi magari trovare anche un modo per sentirmi a mio agio con me stessa. Perciò ho iniziato a guardare dritta davanti a me giurandomi di diventare la migliore, giurandomi che avrei controllato assolutamente tutto, a qualunque prezzo.
Percorrendo quella che al momento mi sembrava l’unica via possibile.

Così ho iniziato. Senza neanche rendermene conto, senza sapere quello che stavo facendo, sono scivolata nella spirale discendente dell’anoressia. L’ho fatto coscientemente, lucidamente, pur non potendo ovviamente in quel momento prevedere quali ne sarebbero state le conseguenze. Ho scelto il sintomo, certo non la malattia.
Ho deciso di cambiare. Ho deciso di restringere. Ho deciso di controllare tutto. Ho deciso di essere forte. Ho deciso di diventare la migliore. E tutto è cominciato.

Mi sono lavata il viso con cura ed ho iniziato a guardarmi allo specchio con soddisfazione. Nel giro di poche settimane sono diventata veramente abile: restringere l’alimentazione, controllare i tipi di alimenti ingeriti non mi dava più nessun problema. Nei primi tempi era stato più difficile, ma poi il periodo critico è passato. Basta con la fame, tutto passato: non stavo mai tanto bene come quando rinunciavo a mangiare qualcosa, come quando riuscivo a seguire il mio programma di restrizione alimentare. Che sollievo sarebbe stato rinunciare, assieme al cibo, anche a me stessa! Ma forse era proprio quel che succedeva, tanto forte era la sensazione di diventare giorno dopo giorno un corpo sempre più sottile, ovvero sempre più sotto controllo, quel controllo che era l'unica cosa che veramente anelassi.
La restrizione alimentare è poco a poco diventata un riflesso automatico e facile da controllare. La fame ha iniziato a non cogliermi più di sorpresa, in luoghi poco adatti o momenti inopportuni. Ho iniziato a dominarla. A controllarla come già controllavo un sacco di cose nella mia vita. E la cosa mi dava un gran senso di potere, una soddisfazione analoga al benessere. Al punto da pensare che ero forte, che ero brava, che riuscivo a fare qualcosa che ben pochi sarebbero stati in grado. Potere e controllo. Controllo in primis. E avanti a porzioni sempre più ridotte di cibo giorno dopo giorno. Mangiare poco, col tempo, ha iniziato a diventare sempre più facile. Un piccolo sforzo di fronte a una grande soddisfazione. Non mi piaceva l'essere dimagrita così tanto in sè, perchè comprometteva negativamente le mie prestazioni sportive, però lo consideravo un sacrificio necessario, pur di poter continuare a provare quell'enorme ed inebriante senso di controllo. Le mie braccia diventavano leggere, aeree: le mie ali. Avessi potuto, sarei voltata via dalla vita. E allora me ne sarei andata da tutto. Tanto nessuno se ne sarebbe accorto in tempo per trovarmi e riprendermi. Forza e controllo, l’essenza. In una parola: onnipotenza.

Non saprei definire l’ossessione. Credo la si porti sempre in sé. Spesso basta un nulla a scatenarla. S’insinua in te silenziosa, attacca lentamente, tortuosa, distorce, ogni parte del tuo essere. Ma è furba, e terribilmente manipolatrice, perché si fa passare per tua amica ma non rinuncia per questo a tradirti. In tutto questo, la sofferenza non è che un effetto secondario. Quasi sempre, quando entri in un disturbo alimentare, non te ne rendi conto perché non fa male, anzi. La cosa più dolorosa è la caduta. Il momento in cui capisci. Inevitabile. Io non volevo vederla arrivare. E poi ho finito necessariamente per atterrare.

Il filo si è spezzato, i miei giochi scoperti, le mie bugie svelate. Il mio universo disintegrato. I miei genitori si sono accorti di quello che stavo facendo e sono corsi ai ripari. A loro modo, si capisce. Mi hanno trascinata dal medico, poi da una dietista, poi da una psichiatra. Mi hanno detto che mi volevano aiutare a stare bene e che, con quello che stavo facendo, li avevo feriti e stavo distruggendo la loro vita. Non si sono accorti che, con ciò che si sono messi a fare “per il mio bene”, hanno iniziato a distruggere quella che in quel momento consideravo la mia vita. Sono stata portata da una psichiatra e il verdetto pronunciato nel suo ufficio dopo più di due ore di colloquio è stato unico, senza possibilità d’appello: Anoressia Nervosa Sottotipo 1. E date le mie condizioni psicofisiche, c’era una sola cosa che bisognava fare, un'unica possibile soluzione alla fine di tutto. Mamma e papà erano perfettamente d’accordo. Ma io l’ho capito in quel momento, nello studio della psichiatra: quella che le proponeva non era la sola soluzione alla fine di tutto. Tutto era già finito.
Chi mi aveva cacciata dal mio personale paradiso? Quale peccato e quale angelo? Chi mi aveva costretta a correre così, senza riposo?

Sono così stata ricoverata in una clinica neuropsichiatria per ragazze con disturbi alimentari. Ed è stato il primo di una lunga serie di ricoveri, più o meno consenzienti. Ricoveri in cui ho avuto a che fare con ogni genere di persone, in cui mi sono state affibbiate ogni genere di etichette. Ogni volta che uscivo da quella clinica le cose sembravano andare un po’ meglio, mi sentivo più forte, più motivata, più decisa a farla finita una volta per tutte con l’anoressia… ma ogni volta ci sono ricaduta, ho resistito un po’ e poi ho ricominciato a restringere, in un circolo vizioso che sembrava veramente non avere mai fine. E mi sentivo stanca, tanto stanca. Stanca di vivere solo per morire. Stanca di morire solo per vivere. Avrei voluto imparare a vivere solo per vivere.

E poi col tempo mi sono accorta che mi ero fregata da sola. Che l’anoressia non mi avrebbe mai portato tutto quello che prometteva. Anzi, al contrario, avrei dovuto sopportare una vita fatta solo di compromessi, dove non ci sarebbe stata davvero gran differenza tra vivere e morire. Un vita a metà. E mi sono resa conto che l’anoressia aveva promesso di farmi sentire diversa, speciale, forte, e soprattutto in controllo… ma che in realtà la mia infernale compagna mi aveva fatta prigioniera, rubando anni, energie, pensieri, amici, hobby, studio, lavoro. Aveva rubato me stessa, aveva cancellato quello che ero e quello che avrei potuto essere. Aveva portato via la parte migliore di me, le cose che amavo. Perciò mi era rimasta solo una grande stanchezza, una solitudine senza confini, giorni fatti di ossessione e di vuoto. Niente. Non mi era rimasto più niente. Forse è stata questa la molla che mi ha spinto a reagire. Non so bene neppure com’è iniziato. Ma, già, dopo tanti anni, è proprio iniziato. È quasi buffo, no? Ma, chissà, forse è stato perché stava finendo tutto e io non volevo che finisse in quel modo. Sentivo che ogni giorno un pezzo di me se ne andava e io non sapevo più che fare. La cosa più terribile, mi sono accorta in quel momento, non è morire. L’inferno vero è restare, restare senza esserci mai. Restare senza sapere più dove andare. Non volevo vivere in quel modo… in fin dei conti, avevo sempre il desiderio di fare qualcosa di speciale. E allora ho capito che la cosa più speciale che potessi fare era provare ad essere "normale". E a superare, in questa normalità, tutte le sfide quotidiane. Perché è questa la vera forza. Non quella illusoria che l’anoressia sembra dare. L’Estate stava arrivando, e volevo godermi anch’io un giorno di sole sentendomi libera. Perché volevo ancora sperare. Perché volevo ritornare. E allora ho preso il mio “equilibrio alimentare”, cioè la dieta che mi aveva prescritto la dietista, in cui c’era scritto tutto ciò che dovevo mangiare quotidianamente e in quali dosi, e mi sono messa a seguirla sul serio, senza sgarrare. Che è ciò che sto facendo tuttora. E mi sto accorgendo che, effettivamente, una sorta di via d’uscita la si può trovare. Basta volerlo veramente.

Traendo ispirazione da quello che mi circondava, ho cercato di trasformarla in motivazione. Mi sono accorta che non avrei mai potuto fare quello che mi ero programmata, che non avrei potuto guarire nessun altro se prima non avessi provato a guarire me stessa. Che il percorso che avevo intrapreso si sarebbe inevitabilmente rivelato fallimentare nonché un inutile spreco di tempo, che se non avessi iniziato a lavorare su me stessa non avrei mai potuto ostentare la presunzione di poter lavorare su qualcun altro.

L’anoressia è una prigione che non ha odore, che non ha sbarre, che non ha mura: una prigione per la mente… Certo, è una cosa da cui sono passata, e niente potrà cancellarla. Ma la porterò nel doppio fondo dell’anima per sempre, come una contrabbandiera dell’orrore. Sorella morte. Ma la mia vita è ancora nelle mie mani, perciò sta a me decidere cosa farne. Anche se sono arrivata a pesare XX Kg, veramente a un paso dalla morte, mi è stata data una seconda possibilità. E adesso ho deciso di provare a non sprecarla.

Certo, sono ancora malata di anoressia. Lo sarò per tutta la vita, come una persona che ha smesso di bere continuerà comunque a considerarsi un’alcolista. Ma, magari, un alcolista che dice: sono XX anni che non tocco una goccia d’alcool. Bene, mi piacerebbe poter arrivare a dire una cosa del genere. Sono XX anni che non restringo l’alimentazione.

Vivere è possibile. Sta solo a voi scegliere di farlo – e come farlo. Io ho fatto la mia scelta. Spero che sia anche la vostra.

mercoledì 10 settembre 2008

Uscire, respirare

Uscire, respirare. Entrare, affogare. La mia rabbia cresce, ed io sto ancora qui, un salice che oscilla e dice sempre sì. Ma un giorno, un giorno, un giorno rialzerò la testa, e loro vedranno che c’è qualcosa che resta. E parlerò, e parlerò, e parlerò, e loro capiranno che non più debole sarò. Non sarò sola. Non striscerò più, non voglio strisciare, per tagliare il traguardo devo alzare lo sguardo e sentirmi sicura. Perciò scaccerò questa paura. Perché, no, non sono sola. Empatia è ciò che voglio dare, senza più piangere lacrime amare. E adesso sorrido e provo a vedere la gioia che ognuna di noi può provare. Facendo del mio meglio senza mollare, distruggendo ciò che c’è di sbagliato, cerco di salvare il buono che c’è… e può cominciare proprio con te.

(Agosto 2008)


P.S.= Questa è una sorta di "poesia" che ho scritto il mese scorso. Pubblicherò col tempo altre cose che ho scritto; nonchè poesie, racconti, pensieri, consigli per combattere l'anoressia, che ho trovato e troverò su YouTube o su altri blog in Inglese, e che ho tradotto e tradurrò in Italiano perchè penso siano piccole-grandi cose per combattere l'anoressia.

martedì 9 settembre 2008

Per cominciare...

Ho aperto questo blog per aiutare le ragazze che soffrono di disturbi alimentari e di anoressia in particolare, per supportare tutte coloro che stanno percorrendo la dura strada del ricovero, ed anche per tenere me stessa nella giusta corsia dopo tanti anni passati ad andare a 200 Km/h contromano. Mi piacerebbe davvero poter fare qualcosa, anche qualcosa di piccolo, per tutte coloro che si trovano in una posizione che conosco fin troppo bene perché l’ho vissuta e la sto tuttora vivendo. Vorrei che questo fosse veramente un blog per tutte voi, ragazze.

Quando ho attraversato la fase peggiore dell’anoressia – dal primo ricovero agli anni a seguire – ho scritto e disegnato molto. Era l’unico modo che conoscevo per cercare di buttare fuori tutta l’oscurità che mi tenevo dentro e provare a combatterla. Perciò qui vorrei condividere le mie parole e i miei schizzi perché penso che abbiano una voce in grado di dire molte più cose di quante normalmente la gente che sta intorno riesca a fare. Ho scritto racconti, poesie, sfoghi, flussi di coscienza, annotazioni, semplici frasi. E ho disegnato la rabbia, l’ansia, il dolore, la disperazione, il senso di vuoto, gli sbagli. A poco a poco, posterò tutto questo: penso che la condivisione sia importante ed estremamente benefica. Vorrei fare capire a tutte coloro che si stanno dibattendo nella rete dei disturbi alimentari che non sono sole. Vorrei che sapeste che anch’io ho lottato e sto tuttora combattendo. Quando ho attraversato i miei momenti più bui, mi sarebbe piaciuto avere accanto o comunque poter in qualche modo comunicare con qualcuno che avesse passato quello che stavo passando io, e che quindi potesse veramente capirmi. Non semplicemente comprendermi, ma realmente capirmi. Mi sarebbe piaciuto leggere gli scritti di qualcuno che sapeva cosa volesse dire essere ricoverata causa anoressia. Perciò voglio provare a fare questo per tutte voi. È un qualcosa che riguarda la speranza. È un qualcosa che riguarda la forza. È un qualcosa che riguarda i momenti di oscurità che dobbiamo attraversare per raggiungere la strada della luce, un obiettivo veramente importante oltre il dolore e la confusione.

Non ho la presunzione di considerami “guarita” dall’anoressia, anche perché si tratta di un qualcosa di cui non si può “guarire” nel senso canonico del termine. Perciò so che l’anoressia sarà sempre parte di me. La profonda oscurità che mi aveva dominato non è scomparsa… ma cammina al mio fianco. Però ora sono cosciente del fatto che riposi in silenzio nel mio petto. Penso quindi che sia possibile imparare per lo meno a convivere con i disturbi alimentari, senza soffrire e senza esserne succubi. E penso che sia possibile anche imparare a vivere senza i disturbi alimentari: è quello che sto cercando di fare. Ma per ricostruire dopo tanti anni di distruzione c’è bisogno di guardarsi dentro, di capire ciò che veramente si vuole, di darsi la possibilità di cadere e di rialzarsi, di fare un passo dopo l’altro prendendosi tutto il tempo necessario.

Fondamentalmente, quello che sto cercando di dire è: mi piacerebbe poter essere d’aiuto a qualcuna. Non ho la pretesa di salvare il pianeta, si capisce… mi basta provare a salvare il mio angolo di mondo.

Perciò leggete, commentate, e sentitevi libere di mandarmi e-mail. Possiamo aiutarci a vicenda. Perché siamo più forti insieme.

Veggie
 
Clicky Web Analytics Licenza Creative Commons
Anoressia: after dark by Veggie is licensed under a Creative Commons Attribution-NoDerivs 3.0 Unported License.