venerdì 28 novembre 2014
Sentirsi/essere "pronte"
Un post che ho recentemente letto nel blog di una ragazza Americana (che si firma Sarah Ravin) che soffre di DCA mi ha dato molto da pensare.
Questa ragazza infatti scrive:
“[…] Come molte malattie psichiatriche, i disordini alimentari sono spesso caratterizzati da periodi di esacerbazione e periodi di remissione – una generale riacutizzazione e riduzione dei sintomi in maniera ciclica col passare del tempo. La sintomatologia può essere anche completamente regredita in un certo periodo della vita, ma la predisposizione ad adottare comportamenti alimentari erronei rimane per tutta la vita. Lo stress di qualsiasi tipo rappresenta un significativo detonatore per le ricadute del DCA.
Tutte abbiamo dei momenti di particolare stress nella nostra vita. In parte lo stress è inevitabile, talvolta viene dall’esterno, talvolta siamo noi stesse che ci auto-stressiamo. Ovviamente non possiamo predire o controllare alcuni grossi stress della vita, come per esempio lo stress che può comparire a seguito della morte di una persona cara, o in caso di catastrofi naturali, etc. Ma possiamo comunque controllare parte dello stress della nostra vita: possiamo decidere come e quando fare dei cambiamenti nella nostra vita. […]”
(mia traduzione)
Io sono d’accordo con ciò che questa ragazza ha scritto. Ed è un qualcosa che gli altri non sono mai stati capaci di spiegarmi veramente quando ero nel pieno dell’anoressia.
Al termine del mio primo (e decisamente disastroso) ricovero in una clinica specializzata nel trattamento di DCA, quando ero ancora estremamente sottopeso e basilarmente con una mentalità ancora totalmente immersa nella malattia, venni incoraggiata a ritornare immediatamente a frequentare la scuola poiché, a detta degli altri, “mi avrebbe fatto bene ri-immergermi tra i miei coetanei e dedicarmi ai miei impegni scolastici per non rischiare di perdere l’anno”. Dopo circa tre settimane il preside mandò una lettera a casa chiedendo per me accertamenti medici visto che ero svenuta 3 volte a scuola nel giro di 20 giorni. (Abbastanza ironico, no?!)
Insomma, dopo aver comunque perso un anno di scuola, dopo aver fatto un secondo ricovero nello stesso centro, ed aver finalmente recuperato qualche chilo (pur restando comunque molto sottopeso), ritornai di nuovo a scuola, e poiché l’anno scolastico era già iniziato da un pezzo, m’impegnai con le unghie e con i denti per non perdere un secondo anno di scuola. Anziché cercare di consolidare i primi esitanti passi che avevo mosso sulla strada del ricovero, mi sottoposi ad un forte stress a causa della scuola. Stavolta fui più resistente, mesi anziché settimane, ma poi l’anoressia ebbe di nuovo la meglio su di me, ricominciai molto gradualmente a restringere l’alimentazione, e la malattia mi catturò di nuovo.
Ad ogni modo, dall’esterno la maggior parte della gente mi giudicava “pronta”. Il mio peso era un po’ risalito, e riuscivo sempre a conseguire dei discreti voti a scuola. Mi comportavo in maniera normale di fronte agli occhi di tutti, avevo ricominciato a fare karate, ero di nuovo in pista. Per lo più, io stessa pensavo di essere pronta. La pazienza non è la mia dote migliore – non lo è mai stata, temo non lo sarà mai.
Il problema ovviamente stava nel modo in cui io valutavo il mio “essere pronta”. Confrontando come stavo in quel periodo rispetto a come stavo quando ero nel pieno dell’anoressia ed avevo toccato il mio peso più basso in assoluto, sicuramente avevo fatto dei passi avanti. Ma se si misura l’ “essere pronta” rispetto a quanto fossi in quel momento in grado di affrontare la vita quando le cose si scostavano anche solo di poco dall’orinaria routine, la valutazione sarebbe stata ben diversa. Avere recupero e poi stabilità ponderale ed emotiva è importante, certo, su questo non si discute. Ma non si può dire che una persona con un DCA sia “pronta” ad affrontare le sfide della vita valutando soltanto questi due parametri.
La cosa più difficile per me, dato che sono una persona basilarmente orgogliosa, è stata l’imparare a chiedere aiuto nei momenti di difficoltà, nonché il capire che la mia anoressia era in sè un problema, e non la strategia di coping giusta da utilizzare di fronte ad ogni qualsiasi altro problema della mia vita. Ho dovuto prendermi calci su calci nel mio arrogante culetto prima di rendermi finalmente conto che avrei potuto solo fingere di stare meglio per un lasso di tempo più o meno lungo, prima che qualcuno non avesse sgamato le mie balle. Dovevo rischiare di apparire inizialmente un po’ stupida per evitare di sembrare una completa idiota parecchi anni più tardi.
L’altra cosa che mi c’è voluto un sacco di tempo per capire, è stata quanto tempo ci voglia per costruire nuovi pathway neurali e nuove risposte, quanto tempo ci voglia per cominciare ad allontanarsi effettivamente dall’anoressia. L’avevo seriamente sottovalutato. La gente credeva che nel momento in cui riuscivo a mangiare normalmente, allora ero guarita! In realtà, mi ci sono voluti anni ed anni ed anni di severissima auto-imposizione nel consumare quotidianamente l’ “equilibrio alimentare” per acquisire un pochina di flessibilità rispetto alla mia alimentazione. In realtà, sono tuttora molto poco flessibile sia da un punto di vista comportamentale che cognitivo.
Quel che voglio dire è che, fintanto che non succede niente, fintanto che la mia vita è routinaria, me la cavo abbastanza bene. Se non sono particolarmente stressata per un qualche motivo, posso tranquillamente sembrare “normale”, per lo meno ad un’osservazione superficiale. Stress, cambiamenti, e tutte quelle cose incerte di cui la vita è piena, ed ecco che tendo a riscivolare verso la mia strategia di coping preferenziale. Poiché lo stress non era costantemente presente nella mia vita, anche nei periodi in cui ero più legata all’anoressia pensavo che sarei riuscita a gestire tutto. Ma non ci sono poi mai riuscita veramente. Tutte le volte che le cose si facevano più difficili, l’anoressia tornava a fare da padrona nella mia testa, e disconnettere le due cose – stress e anoressia – prima che la seconda avesse di nuovo la meglio su di me, è una cosa che mi ha richiesto anni su anni, ed altri 3 ricoveri. Tuttora devo fare molta attenzione. Sono certamente più brava rispetto a prima, più brava rispetto a quanto non lo sia mai stata finora, ma l’anoressia è ancora lì che mi tenta, e probabilmente ci resterà sempre, in agguato, in attesa che io compia un passo falso.
La morale della storia è: percorrere la strada del ricovero è un incredibile stress. Ma non abbiamo niente da dimostrare a nessuno, e non dobbiamo metterci fretta, bensì prenderci tutto il tempo di cui crediamo di aver bisogno se non ci sentiamo “pronte”. E non preoccuparci di tutto il resto: staccarsi dall’anoressia ora è la priorità. Una volta fatto questo, una volta rotto lo strettissimo legame che ci ancora all’anoressia, l’affrontare tutti gli altri problemi ci sembrerà molto più semplice.
Questa ragazza infatti scrive:
“[…] Come molte malattie psichiatriche, i disordini alimentari sono spesso caratterizzati da periodi di esacerbazione e periodi di remissione – una generale riacutizzazione e riduzione dei sintomi in maniera ciclica col passare del tempo. La sintomatologia può essere anche completamente regredita in un certo periodo della vita, ma la predisposizione ad adottare comportamenti alimentari erronei rimane per tutta la vita. Lo stress di qualsiasi tipo rappresenta un significativo detonatore per le ricadute del DCA.
Tutte abbiamo dei momenti di particolare stress nella nostra vita. In parte lo stress è inevitabile, talvolta viene dall’esterno, talvolta siamo noi stesse che ci auto-stressiamo. Ovviamente non possiamo predire o controllare alcuni grossi stress della vita, come per esempio lo stress che può comparire a seguito della morte di una persona cara, o in caso di catastrofi naturali, etc. Ma possiamo comunque controllare parte dello stress della nostra vita: possiamo decidere come e quando fare dei cambiamenti nella nostra vita. […]”
(mia traduzione)
Io sono d’accordo con ciò che questa ragazza ha scritto. Ed è un qualcosa che gli altri non sono mai stati capaci di spiegarmi veramente quando ero nel pieno dell’anoressia.
Al termine del mio primo (e decisamente disastroso) ricovero in una clinica specializzata nel trattamento di DCA, quando ero ancora estremamente sottopeso e basilarmente con una mentalità ancora totalmente immersa nella malattia, venni incoraggiata a ritornare immediatamente a frequentare la scuola poiché, a detta degli altri, “mi avrebbe fatto bene ri-immergermi tra i miei coetanei e dedicarmi ai miei impegni scolastici per non rischiare di perdere l’anno”. Dopo circa tre settimane il preside mandò una lettera a casa chiedendo per me accertamenti medici visto che ero svenuta 3 volte a scuola nel giro di 20 giorni. (Abbastanza ironico, no?!)
Insomma, dopo aver comunque perso un anno di scuola, dopo aver fatto un secondo ricovero nello stesso centro, ed aver finalmente recuperato qualche chilo (pur restando comunque molto sottopeso), ritornai di nuovo a scuola, e poiché l’anno scolastico era già iniziato da un pezzo, m’impegnai con le unghie e con i denti per non perdere un secondo anno di scuola. Anziché cercare di consolidare i primi esitanti passi che avevo mosso sulla strada del ricovero, mi sottoposi ad un forte stress a causa della scuola. Stavolta fui più resistente, mesi anziché settimane, ma poi l’anoressia ebbe di nuovo la meglio su di me, ricominciai molto gradualmente a restringere l’alimentazione, e la malattia mi catturò di nuovo.
Ad ogni modo, dall’esterno la maggior parte della gente mi giudicava “pronta”. Il mio peso era un po’ risalito, e riuscivo sempre a conseguire dei discreti voti a scuola. Mi comportavo in maniera normale di fronte agli occhi di tutti, avevo ricominciato a fare karate, ero di nuovo in pista. Per lo più, io stessa pensavo di essere pronta. La pazienza non è la mia dote migliore – non lo è mai stata, temo non lo sarà mai.
Il problema ovviamente stava nel modo in cui io valutavo il mio “essere pronta”. Confrontando come stavo in quel periodo rispetto a come stavo quando ero nel pieno dell’anoressia ed avevo toccato il mio peso più basso in assoluto, sicuramente avevo fatto dei passi avanti. Ma se si misura l’ “essere pronta” rispetto a quanto fossi in quel momento in grado di affrontare la vita quando le cose si scostavano anche solo di poco dall’orinaria routine, la valutazione sarebbe stata ben diversa. Avere recupero e poi stabilità ponderale ed emotiva è importante, certo, su questo non si discute. Ma non si può dire che una persona con un DCA sia “pronta” ad affrontare le sfide della vita valutando soltanto questi due parametri.
La cosa più difficile per me, dato che sono una persona basilarmente orgogliosa, è stata l’imparare a chiedere aiuto nei momenti di difficoltà, nonché il capire che la mia anoressia era in sè un problema, e non la strategia di coping giusta da utilizzare di fronte ad ogni qualsiasi altro problema della mia vita. Ho dovuto prendermi calci su calci nel mio arrogante culetto prima di rendermi finalmente conto che avrei potuto solo fingere di stare meglio per un lasso di tempo più o meno lungo, prima che qualcuno non avesse sgamato le mie balle. Dovevo rischiare di apparire inizialmente un po’ stupida per evitare di sembrare una completa idiota parecchi anni più tardi.
L’altra cosa che mi c’è voluto un sacco di tempo per capire, è stata quanto tempo ci voglia per costruire nuovi pathway neurali e nuove risposte, quanto tempo ci voglia per cominciare ad allontanarsi effettivamente dall’anoressia. L’avevo seriamente sottovalutato. La gente credeva che nel momento in cui riuscivo a mangiare normalmente, allora ero guarita! In realtà, mi ci sono voluti anni ed anni ed anni di severissima auto-imposizione nel consumare quotidianamente l’ “equilibrio alimentare” per acquisire un pochina di flessibilità rispetto alla mia alimentazione. In realtà, sono tuttora molto poco flessibile sia da un punto di vista comportamentale che cognitivo.
Quel che voglio dire è che, fintanto che non succede niente, fintanto che la mia vita è routinaria, me la cavo abbastanza bene. Se non sono particolarmente stressata per un qualche motivo, posso tranquillamente sembrare “normale”, per lo meno ad un’osservazione superficiale. Stress, cambiamenti, e tutte quelle cose incerte di cui la vita è piena, ed ecco che tendo a riscivolare verso la mia strategia di coping preferenziale. Poiché lo stress non era costantemente presente nella mia vita, anche nei periodi in cui ero più legata all’anoressia pensavo che sarei riuscita a gestire tutto. Ma non ci sono poi mai riuscita veramente. Tutte le volte che le cose si facevano più difficili, l’anoressia tornava a fare da padrona nella mia testa, e disconnettere le due cose – stress e anoressia – prima che la seconda avesse di nuovo la meglio su di me, è una cosa che mi ha richiesto anni su anni, ed altri 3 ricoveri. Tuttora devo fare molta attenzione. Sono certamente più brava rispetto a prima, più brava rispetto a quanto non lo sia mai stata finora, ma l’anoressia è ancora lì che mi tenta, e probabilmente ci resterà sempre, in agguato, in attesa che io compia un passo falso.
La morale della storia è: percorrere la strada del ricovero è un incredibile stress. Ma non abbiamo niente da dimostrare a nessuno, e non dobbiamo metterci fretta, bensì prenderci tutto il tempo di cui crediamo di aver bisogno se non ci sentiamo “pronte”. E non preoccuparci di tutto il resto: staccarsi dall’anoressia ora è la priorità. Una volta fatto questo, una volta rotto lo strettissimo legame che ci ancora all’anoressia, l’affrontare tutti gli altri problemi ci sembrerà molto più semplice.
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venerdì 21 novembre 2014
Forza e ricovero: L'altra faccia dei messaggi positivi
Non è un segreto che io usi Twitter molto spesso. Tutti i giorni faccio un salto sul mio account, e lascio un tweet. È un po’ come la mia seconda casa virtuale, subito dopo il blog.
Alcuni giorni fa, tuttavia, mi sono imbattuta in questo tweet:
[Traduzione: Avere un DCA non è una dimostrazione di “forza”. È forte chi ha la capacità di superare i propri demoni dopo essere stata malata per tanto tempo.]
Ora, generalmente io sono molto a favore delle frasi positive: io stessa spesso e volentieri le posto su Twitter. Non penso ovviamente che queste frasi possano far “guarire” (e sennò si sarebbe trovata la magica medicina per i DCA, e tante grazie…) nessuno, però penso che possano servire da spunto di riflessione. Se non le si lasciano essere fini a se stesse, ma si agiscono, possono condizionare positivamente il nostro comportamento. Anche perché i nostri neuroni sono coazioni a ripetere, per cui fisiologicamente più ci si concentra su quello che c’è di positivo, più il cervello impara a vedere il positivo. Ma il mio gradire le frasi positive è solo la mia opinione. Ci sono persone a cui
queste frasi positive non piacciono, e va bene ugualmente.
Ci sono parimenti senza dubbio un sacco di persone cui piace Demi Lovato ma, forse per la differenza di età, a me questa ragazza non dice granché, e certo non la prenderei a modello. Per carità, mi sembra una brava ragazza, ha fatto un sacco di cose, e sono felice per lei che abbia ottenuto del successo. Se la conoscessi di persona, probabilmente sarebbe una persona che mi piacerebbe pure.
Tuttavia, il tweet sovramensionato che lei hai scritto non mi piace.
Prima di calamitare tutte le peggiori infamate da parte delle fan di Demi Lovato che leggono questo blog, ci tengo a precisare: sono sicura che l’obiettivo di Demi Lovato quando ha scritto questo tweet fosse quello di essere fonte di ispirazione, ed incoraggiare le persone a combattere per superare la malattia. E non c’è niente di male né di sbagliato in questo.
Il mio storcere il naso di fronte a queste parole prende in considerazione l’altra faccia della medaglia: e se una persona, in un determinato momento della sua vita, non riesce a combattere contro l’anoressia per superarla, vuol dire che è una debole?
Conosco diverse persone che si sono fatte culi come rosoni per combattere contro il proprio DCA, ma che ancora non l’hanno superato e non vivono dunque attualmente una fase di remissione. Talvolta queste persone non sono riuscite a ricevere il supporto terapeutico di cui avrebbero avuto bisogno. Talvolta il percorso terapeutico intrapreso non ha funzionato. I DCA sono malattie estremamente difficili da affrontare e da trattare. No, avere l’anoressia non significa in alcun modo essere forti, così come non significa essere forti l’avere ogni qualsiasi malattia. Significa semmai avere erroneamente scelto una strategia di coping patologica, in un momento della vita in cui la sua erroneità non è stata correttamente percepita. Ma non riuscire a superare un DCA non significa che quella persona non ce la stia comunque mettendo tutta nel combattere. Significa solo che in quel momento non riesce a stare meglio.
Quello che non mi piace del tweet di Demi Lovato, è la sua potenziale estrema negatività se si guarda l’altra faccia della medaglia. Di fronte ad una frase apparentemente positiva di questo tipo, è difficile guardare oltre perché queste parole sembrano così, appunto, positive. Il problema nasce nel momento in cui si prende in considerazione il messaggio subliminale che passa alle persone che stanno ancora combattendo contro l’anoressia e non riescono, sul momento, ad avere la meglio. È come dire ad un paziente malato di diabete che non riesce ad avere un buon controllo della propria glicemia, che non si sta impegnando abbastanza a combattere contro la sua malattia. È sciocco. Le persone che combattono contro un DCA e cominciano a stare meglio, possono comunque avere delle ricadute, e devono ricominciare a combattere per riportarsi in una condizione di remissione… ma questo non ha niente a che vedere con la loro forza interiore. Non dice niente in merito a che tipo di persone siano. Ma dice tutto in merito a cosa possa essere l’anoressia/la bulimia/il binge/il DCAnas.
Il mio timore è che qualcuna che sta ancora combattendo contro la fase più acuta dell’anoressia, e sta ancora male, possa leggere la frase di Demi Lovarto e pensare che, poiché è ancora prigioniera dell’anoressia, allora questo significa che non è forte abbastanza per superarla… il che la farebbe soltanto sentire ancora peggio. Questo, per lo meno, è quello che io percepisco.
Forse la mia può sembrare mera pignoleria, ma penso che ci sia un luogo comune diffuso proprio tra le persone che hanno un DCA: il fatto che, se tenti abbastanza volte, tu, sì, proprio TU, puoi superare l’anoressia. Mi dispiace, ma io non credo sia così. Non è la “quantità” di tentativi che permette di arrivare ad una remissione dell’anoressia. Non è così semplice. Ed ho letto peraltro altri tweet che dicono che guarire completamente dall’anoressia è possibile, se si tenta abbastanza. Di nuovo, non credo che sia possibile, e comunque non credo sia una mera questione di numero di tentativi fatti. Io credo che quel che conta sia la “qualità” dei tentativi fatti.
In ogni caso, ripeto: io sono assolutamente a favore dei messaggi positivi come fonte di auto-aiuto nella lotta quotidiana contro l’anoressia, quindi continuate pure a circondarvi di messaggi di questo tipo… semplicemente, tenete a mente il fatto che superare un DCA arrivando ad una remissione non significa che voi siete forti e che chi invece in questo momento non ci riesce non lo è, perché non è segno di debolezza il continuare a combattere, anzi, io credo che il combattere in sé sia già una vittoria.
Alcuni giorni fa, tuttavia, mi sono imbattuta in questo tweet:
[Traduzione: Avere un DCA non è una dimostrazione di “forza”. È forte chi ha la capacità di superare i propri demoni dopo essere stata malata per tanto tempo.]
Ora, generalmente io sono molto a favore delle frasi positive: io stessa spesso e volentieri le posto su Twitter. Non penso ovviamente che queste frasi possano far “guarire” (e sennò si sarebbe trovata la magica medicina per i DCA, e tante grazie…) nessuno, però penso che possano servire da spunto di riflessione. Se non le si lasciano essere fini a se stesse, ma si agiscono, possono condizionare positivamente il nostro comportamento. Anche perché i nostri neuroni sono coazioni a ripetere, per cui fisiologicamente più ci si concentra su quello che c’è di positivo, più il cervello impara a vedere il positivo. Ma il mio gradire le frasi positive è solo la mia opinione. Ci sono persone a cui
queste frasi positive non piacciono, e va bene ugualmente.
Ci sono parimenti senza dubbio un sacco di persone cui piace Demi Lovato ma, forse per la differenza di età, a me questa ragazza non dice granché, e certo non la prenderei a modello. Per carità, mi sembra una brava ragazza, ha fatto un sacco di cose, e sono felice per lei che abbia ottenuto del successo. Se la conoscessi di persona, probabilmente sarebbe una persona che mi piacerebbe pure.
Tuttavia, il tweet sovramensionato che lei hai scritto non mi piace.
Prima di calamitare tutte le peggiori infamate da parte delle fan di Demi Lovato che leggono questo blog, ci tengo a precisare: sono sicura che l’obiettivo di Demi Lovato quando ha scritto questo tweet fosse quello di essere fonte di ispirazione, ed incoraggiare le persone a combattere per superare la malattia. E non c’è niente di male né di sbagliato in questo.
Il mio storcere il naso di fronte a queste parole prende in considerazione l’altra faccia della medaglia: e se una persona, in un determinato momento della sua vita, non riesce a combattere contro l’anoressia per superarla, vuol dire che è una debole?
Conosco diverse persone che si sono fatte culi come rosoni per combattere contro il proprio DCA, ma che ancora non l’hanno superato e non vivono dunque attualmente una fase di remissione. Talvolta queste persone non sono riuscite a ricevere il supporto terapeutico di cui avrebbero avuto bisogno. Talvolta il percorso terapeutico intrapreso non ha funzionato. I DCA sono malattie estremamente difficili da affrontare e da trattare. No, avere l’anoressia non significa in alcun modo essere forti, così come non significa essere forti l’avere ogni qualsiasi malattia. Significa semmai avere erroneamente scelto una strategia di coping patologica, in un momento della vita in cui la sua erroneità non è stata correttamente percepita. Ma non riuscire a superare un DCA non significa che quella persona non ce la stia comunque mettendo tutta nel combattere. Significa solo che in quel momento non riesce a stare meglio.
Quello che non mi piace del tweet di Demi Lovato, è la sua potenziale estrema negatività se si guarda l’altra faccia della medaglia. Di fronte ad una frase apparentemente positiva di questo tipo, è difficile guardare oltre perché queste parole sembrano così, appunto, positive. Il problema nasce nel momento in cui si prende in considerazione il messaggio subliminale che passa alle persone che stanno ancora combattendo contro l’anoressia e non riescono, sul momento, ad avere la meglio. È come dire ad un paziente malato di diabete che non riesce ad avere un buon controllo della propria glicemia, che non si sta impegnando abbastanza a combattere contro la sua malattia. È sciocco. Le persone che combattono contro un DCA e cominciano a stare meglio, possono comunque avere delle ricadute, e devono ricominciare a combattere per riportarsi in una condizione di remissione… ma questo non ha niente a che vedere con la loro forza interiore. Non dice niente in merito a che tipo di persone siano. Ma dice tutto in merito a cosa possa essere l’anoressia/la bulimia/il binge/il DCAnas.
Il mio timore è che qualcuna che sta ancora combattendo contro la fase più acuta dell’anoressia, e sta ancora male, possa leggere la frase di Demi Lovarto e pensare che, poiché è ancora prigioniera dell’anoressia, allora questo significa che non è forte abbastanza per superarla… il che la farebbe soltanto sentire ancora peggio. Questo, per lo meno, è quello che io percepisco.
Forse la mia può sembrare mera pignoleria, ma penso che ci sia un luogo comune diffuso proprio tra le persone che hanno un DCA: il fatto che, se tenti abbastanza volte, tu, sì, proprio TU, puoi superare l’anoressia. Mi dispiace, ma io non credo sia così. Non è la “quantità” di tentativi che permette di arrivare ad una remissione dell’anoressia. Non è così semplice. Ed ho letto peraltro altri tweet che dicono che guarire completamente dall’anoressia è possibile, se si tenta abbastanza. Di nuovo, non credo che sia possibile, e comunque non credo sia una mera questione di numero di tentativi fatti. Io credo che quel che conta sia la “qualità” dei tentativi fatti.
In ogni caso, ripeto: io sono assolutamente a favore dei messaggi positivi come fonte di auto-aiuto nella lotta quotidiana contro l’anoressia, quindi continuate pure a circondarvi di messaggi di questo tipo… semplicemente, tenete a mente il fatto che superare un DCA arrivando ad una remissione non significa che voi siete forti e che chi invece in questo momento non ci riesce non lo è, perché non è segno di debolezza il continuare a combattere, anzi, io credo che il combattere in sé sia già una vittoria.
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venerdì 14 novembre 2014
R: Cosa si cerca con l'anoressia + varie & eventuali
Il post di oggi prende spunto da un commento che mi ha lasciato ButterflyAnna nel post di Venerdì scorso. Volevo risponderle direttamente nel format dei commenti come generalmente faccio con chiunque scriva su questo blog, ma poi mi sono resa conto che ne sarebbe venuto fuori un mezzo poema, quindi ho deciso di trasformarlo in un post… anche perché tratta la quantomai controversa tematica del peso inteso come parametro di malattia/guarigione dall’anoressia, che è inevitabilmente oggetto di innumerevoli discussioni, per cui colgo la palla al balzo per dire la mia e condividere con voi la mia esperienza.
Nel suo commento, ButterflyAnna scrive: “sfido chiunque di voi a dire che all'inizio di questa malattia non avete pensato che perdere chili su chili e non mangiare fosse la cosa più giusta del mondo […] era solo voler dimagrire e voler restringere a tutti i costi […]Perché il pensiero era quello e i comportamenti erano quelli di una ragazza che voleva diventare sempre più magra a ogni costo […]Poi a quei 36 chili ci sono arrivata e non mi hanno portato felicità solo a quel punto ho capito di essere malata”.
In rigoroso ordine random, partiamo da valle per arrivare a monte.
Io credo che la fisicità non sia un parametro poi così strettamente attendibile per valutare la “malattia”/“guarigione” da un DCA. Anche perché sono dell’idea che ciò che rende una persona affetta da anoressia non è il peso ma i pensieri, cioè il pattern mentale – essendo l’anoressia malattia mentale per psichiatrica definizione. Per cui, come ho già scritto altrove, ritengo che una persona possa essere malata di anoressia anche se pesa 150 Kg, se la sua forma mentis è quella propria dell’anoressia, perché è il quadro mentale che connota l’anoressia, non la fisicità.
È ovvio, e lo capisce anche un bambino, che ci sono certi livelli di sottopeso che per forza non sono compatibili con la salute. Riprendendo l’esperienza raccontata da ButterflyAnna, è palese che una donna che pesa 36 Kg (a meno che non sia alta un metro e un cavolo) non può essere in salute e deve recuperare, su questo credo non ci sia neanche da discutere.
Per il resto, il termine “sottopeso” (come il termine “sovrappeso”, del resto) è molto generico, e pertanto di pressoché impossibile applicazione su vasta scala, data l’estrema soggettività di ognuna di noi. Quello che andrebbe considerato – e che sarebbe in effetti scientificamente corretto considerare, come dimostrano diversi studi recentemente condotti – è il Set-Point di peso corporeo fisiologico, che è un qualcosa di individualizzato per ciascuna di noi, e non risponde propriamente al canonico concetto di “normopeso secondo il B.M.I.” (sebbene sia vero che molte persone hanno un proprio Set-Point che corrisponde ad un valore di B.M.I. compreso nel range del normopeso). Il Set-Point è una sorta di “termostato del peso corporeo” che viene geneticamente determinato, ed è regolato per essere mantenuto intorno ad un punto fisso da complessi meccanismi di feedback (omeostasi). Questi meccanismi di equilibrio tendono a mantenere il valore di peso preimpostato dal Set-Point relativamente costante.
Il peso ovviamente sballa di molto quando, con un DCA, ci alimentiamo in maniera del tutto anomala e pieghiamo l’organismo alterando il metabolismo e dunque perdendo/prendendo peso. Tuttavia, poiché il Set-Point di peso corporeo fisiologico è appunto geneticamente determinato, nel momento in cui si riprende ad alimentarci regolarmente e correttamente, dopo il tempo necessario al metabolismo per riattivarsi e ricominciare a lavorare a regime, il nostro organismo tenderà a riportare il peso ai valori originari.
E questo giusto per chiarire da un punto di vista prettamente medico i discorsi sul sottopeso/sovrappeso.
Per quanto riguarda il concetto di “guarigione”, purtroppo è vero che molte persone che non hanno vissuto un DCA sulla propria pelle si fermano all’esteriorità, che è l’unica cosa che riescono a vedere e quindi a concepire, e pensano che il peso corporeo sia l’unico parametro che possa decretare lo stato di “guarigione” o meno di una persona. Ovviamente chiunque abbia avuto/abbia un DCA credo sappia bene che non è semplicemente così che stanno le cose.
Io penso che si dovrebbe focalizzare un po’ meno l’attenzione sul peso, e concentrarla maggiormente sulla qualità della vita. Quando si parla di “qualità della vita”, infatti, si fa contemporaneamente riferimento sia al campo fisico che a quello psicologico: è indubbio che non si possa avere una buona qualità della vita con un corpo fisicamente non in salute (vuoi per il sottopeso eccessivo in chi è affetta da anoressia, vuoi per i danni prodotti dalle condotte di compensazione in chi è affetta da bulimia, vuoi per le abbuffate in chi soffre di binge, vuoi per l’alimentazione altalenante in chi ha un DCAnas, etc…), e allo stesso tempo è indubbio che non si possa avere una buona qualità della vita con una mentalità pervasa dal DCA... perché tanto più esso è presente nella nostra testa, tanto più si perde in vita sociale, lavoro, studio, sport, e tutte quelle cose che rendono la nostra vita appunto una vita di qualità.
Ergo, secondo me è la qualità della vita che va a valutare quanto una persona sia “guarita” o meno da un DCA, compendiando sia gli aspetti fisici che quelli mentali… ammesso e non concesso che per malattie come i DCA si possa parlare di “guarigione”. Io infatti preferisco il termine “remissione” e sottolineo che, personalmente, non sono “guarita” dall’anoressia nel senso canonico del termine, perché mi capita tuttora di avere talvolta dei pensieri, che però riconosco come malati, e dunque non agisco. So che ci sono, ma li lascio lì, confinati in quell’angolino della mia testa, e non mi condizionano più nè comportamentalmente né mentalmente. È proprio per questo che ormai fortunatamente da diversi anni sto vivendo una remissione della malattia.
Tornando invece a monte, e dunque facendo riferimento alla prima parte del commento di ButterflyAnna, premetto che: quello che sto per scrivere fa parte della mia esperienza personale, ergo non ha alcun valore a carattere generale. Ciò significa che probabilmente alcune di voi si rispecchieranno comunque in ciò che scrivo, ed altre no. In ogni caso, nessuna pretesa di verità assoluta: semplicemente quello che ho vissuto io, e dunque la MIA personale verità, più o meno estendibile agli altri.
Nelle parole di ButterflyAnna, io NON mi ritrovo PER NIENTE.
Se vogliamo considerare il B.M.I. come riferimento, allora è tutta la vita che io sono “sottopeso”. Giusto per dire, se vogliamo considerare il B.M.I. come riferimento, allora tutti i membri della mia famiglia sono “sottopeso” da tutta la vita (eppure nessuno di loro ha un DCA). Sono sempre stata magra (e bassa) credo semplicemente perché, geneticamente, provengo da una famiglia in cui siamo tutti magri (e bassi): se di “sottopeso” vogliamo parlare, è un “sottopeso” del tutto fisiologico, che ci caratterizza tutti quanti. Poi, personalmente, con l’anoressia, ho ovviamente trasceso ogni limite di peso e sono arrivata ad una magrezza assolutamente patologica e del tutto incompatibile con la salute. Tuttavia attualmente, grazie all’aiuto della dietista che tuttora mi segue, ho recuperato il mio Set-Point di peso fisiologico, sto pertanto seguendo un “equilibrio alimentare” mirato proprio al mantenimento di questo peso e naturalmente all’evitamento della riadozione di comportamenti alimentari restrittivi e, salvo i danni permanenti che l’anoressia ha prodotto al mio corpo e che purtroppo mi dovrò portare dietro vita natural durante (mi riferisco a osteopenia e infertilità), sono perfettamente in salute e posso senza alcun problema fare sport, lavorare come istruttrice ed arbitro di karate, lavorare come medico, e se mi avanza un po’ di tempo nelle mie incasinatissime giornate anche prendermi un attimo di pausa per dedicarmi alle cose che mi piacciono come per esempio leggere e disegnare.
Essere perfettamente in salute da un punto di vista prettamente fisico non significa appunto, come dicevo, essere del tutto “guarita” dall’anoressia, perché se così fosse immagino che certi pensieri non mi passerebbero più neanche per l’anticamera del cervello. Ma significa che attualmente ho un corpo in salute e del tutto funzionale che mi permette di vivere a 360°, e che mi ha consentito di tornare ad avere un’ottima qualità della vita.
Io non ho mai avuto dunque il desiderio di essere magra poiché, banalmente, sono sempre stata magra.
Per quanto attiene la mia personale esperienza, il bisogno di controllo è stato il punto focale di tutto il disturbo alimentare. Io volevo avere il controllo assoluto. Su tutto. Su ogni singolo aspetto della mia vita. La cosa è partita da ambiti diversi dall’alimentazione e poi, in un formidabile colpo di coda, anche il versante alimentare è stato tirato dentro questo mio bisogno di programmare – e dunque controllare – ogni singolo secondo delle mie giornate.
Volevo “semplicemente” avere sotto controllo ogni singolo respiro della mia vita, e questo controllo che già mettevo in atto su altre cose, ad un certo punto ha iniziato a passare anche attraverso il canale alimentare. L’obiettivo della mia restrizione, in effetti era proprio questo: elaborare una forma di controllo su quello che mangiavo. Il dimagrimento è stata l’ovvia conseguenza, ma non mi ha mai fatto piacere, anzi, mi metteva a disagio, non avrei voluto (anche perché comprometteva le mie prestazioni sportive, e al tempo facevo agonismo ed ero a buon livello), ma avevo bisogno del controllo, e se “il prezzo da pagare” era quello di perdere chili, allora andava bene tutto, allora accettavo il compromesso, pur di non abbandonare la sensazione di sicurezza e di forza che quel (l’illusorio) controllo mi faceva provare.
Non ho mai avuto, dunque, l’obiettivo di restringere l’alimentazione per dimagrire (difatti non mi sono mai pesata, neanche nella fase più acuta dell’anoressia, proprio perché del peso in sé non me ne poteva fregare di meno, né ho mai contato le calorie o cose del genere), il mio unico pensiero era incentrato sul desiderio di avere il controllo su tutto. Ogni altra cosa era mera conseguenza.
Mai voluto diventare più magra… ma sempre voluto esercitare un controllo sempre più totale.
Salvo poi rendermi conto, ovviamente, che quell’anoressia che credevo di controllare, era proprio ciò che mi controllava in misura spietata.
Nel suo commento, ButterflyAnna scrive: “sfido chiunque di voi a dire che all'inizio di questa malattia non avete pensato che perdere chili su chili e non mangiare fosse la cosa più giusta del mondo […] era solo voler dimagrire e voler restringere a tutti i costi […]Perché il pensiero era quello e i comportamenti erano quelli di una ragazza che voleva diventare sempre più magra a ogni costo […]Poi a quei 36 chili ci sono arrivata e non mi hanno portato felicità solo a quel punto ho capito di essere malata”.
In rigoroso ordine random, partiamo da valle per arrivare a monte.
Io credo che la fisicità non sia un parametro poi così strettamente attendibile per valutare la “malattia”/“guarigione” da un DCA. Anche perché sono dell’idea che ciò che rende una persona affetta da anoressia non è il peso ma i pensieri, cioè il pattern mentale – essendo l’anoressia malattia mentale per psichiatrica definizione. Per cui, come ho già scritto altrove, ritengo che una persona possa essere malata di anoressia anche se pesa 150 Kg, se la sua forma mentis è quella propria dell’anoressia, perché è il quadro mentale che connota l’anoressia, non la fisicità.
È ovvio, e lo capisce anche un bambino, che ci sono certi livelli di sottopeso che per forza non sono compatibili con la salute. Riprendendo l’esperienza raccontata da ButterflyAnna, è palese che una donna che pesa 36 Kg (a meno che non sia alta un metro e un cavolo) non può essere in salute e deve recuperare, su questo credo non ci sia neanche da discutere.
Per il resto, il termine “sottopeso” (come il termine “sovrappeso”, del resto) è molto generico, e pertanto di pressoché impossibile applicazione su vasta scala, data l’estrema soggettività di ognuna di noi. Quello che andrebbe considerato – e che sarebbe in effetti scientificamente corretto considerare, come dimostrano diversi studi recentemente condotti – è il Set-Point di peso corporeo fisiologico, che è un qualcosa di individualizzato per ciascuna di noi, e non risponde propriamente al canonico concetto di “normopeso secondo il B.M.I.” (sebbene sia vero che molte persone hanno un proprio Set-Point che corrisponde ad un valore di B.M.I. compreso nel range del normopeso). Il Set-Point è una sorta di “termostato del peso corporeo” che viene geneticamente determinato, ed è regolato per essere mantenuto intorno ad un punto fisso da complessi meccanismi di feedback (omeostasi). Questi meccanismi di equilibrio tendono a mantenere il valore di peso preimpostato dal Set-Point relativamente costante.
Il peso ovviamente sballa di molto quando, con un DCA, ci alimentiamo in maniera del tutto anomala e pieghiamo l’organismo alterando il metabolismo e dunque perdendo/prendendo peso. Tuttavia, poiché il Set-Point di peso corporeo fisiologico è appunto geneticamente determinato, nel momento in cui si riprende ad alimentarci regolarmente e correttamente, dopo il tempo necessario al metabolismo per riattivarsi e ricominciare a lavorare a regime, il nostro organismo tenderà a riportare il peso ai valori originari.
E questo giusto per chiarire da un punto di vista prettamente medico i discorsi sul sottopeso/sovrappeso.
Per quanto riguarda il concetto di “guarigione”, purtroppo è vero che molte persone che non hanno vissuto un DCA sulla propria pelle si fermano all’esteriorità, che è l’unica cosa che riescono a vedere e quindi a concepire, e pensano che il peso corporeo sia l’unico parametro che possa decretare lo stato di “guarigione” o meno di una persona. Ovviamente chiunque abbia avuto/abbia un DCA credo sappia bene che non è semplicemente così che stanno le cose.
Io penso che si dovrebbe focalizzare un po’ meno l’attenzione sul peso, e concentrarla maggiormente sulla qualità della vita. Quando si parla di “qualità della vita”, infatti, si fa contemporaneamente riferimento sia al campo fisico che a quello psicologico: è indubbio che non si possa avere una buona qualità della vita con un corpo fisicamente non in salute (vuoi per il sottopeso eccessivo in chi è affetta da anoressia, vuoi per i danni prodotti dalle condotte di compensazione in chi è affetta da bulimia, vuoi per le abbuffate in chi soffre di binge, vuoi per l’alimentazione altalenante in chi ha un DCAnas, etc…), e allo stesso tempo è indubbio che non si possa avere una buona qualità della vita con una mentalità pervasa dal DCA... perché tanto più esso è presente nella nostra testa, tanto più si perde in vita sociale, lavoro, studio, sport, e tutte quelle cose che rendono la nostra vita appunto una vita di qualità.
Ergo, secondo me è la qualità della vita che va a valutare quanto una persona sia “guarita” o meno da un DCA, compendiando sia gli aspetti fisici che quelli mentali… ammesso e non concesso che per malattie come i DCA si possa parlare di “guarigione”. Io infatti preferisco il termine “remissione” e sottolineo che, personalmente, non sono “guarita” dall’anoressia nel senso canonico del termine, perché mi capita tuttora di avere talvolta dei pensieri, che però riconosco come malati, e dunque non agisco. So che ci sono, ma li lascio lì, confinati in quell’angolino della mia testa, e non mi condizionano più nè comportamentalmente né mentalmente. È proprio per questo che ormai fortunatamente da diversi anni sto vivendo una remissione della malattia.
Tornando invece a monte, e dunque facendo riferimento alla prima parte del commento di ButterflyAnna, premetto che: quello che sto per scrivere fa parte della mia esperienza personale, ergo non ha alcun valore a carattere generale. Ciò significa che probabilmente alcune di voi si rispecchieranno comunque in ciò che scrivo, ed altre no. In ogni caso, nessuna pretesa di verità assoluta: semplicemente quello che ho vissuto io, e dunque la MIA personale verità, più o meno estendibile agli altri.
Nelle parole di ButterflyAnna, io NON mi ritrovo PER NIENTE
Se vogliamo considerare il B.M.I. come riferimento, allora è tutta la vita che io sono “sottopeso”. Giusto per dire, se vogliamo considerare il B.M.I. come riferimento, allora tutti i membri della mia famiglia sono “sottopeso” da tutta la vita (eppure nessuno di loro ha un DCA). Sono sempre stata magra (e bassa) credo semplicemente perché, geneticamente, provengo da una famiglia in cui siamo tutti magri (e bassi): se di “sottopeso” vogliamo parlare, è un “sottopeso” del tutto fisiologico, che ci caratterizza tutti quanti. Poi, personalmente, con l’anoressia, ho ovviamente trasceso ogni limite di peso e sono arrivata ad una magrezza assolutamente patologica e del tutto incompatibile con la salute. Tuttavia attualmente, grazie all’aiuto della dietista che tuttora mi segue, ho recuperato il mio Set-Point di peso fisiologico, sto pertanto seguendo un “equilibrio alimentare” mirato proprio al mantenimento di questo peso e naturalmente all’evitamento della riadozione di comportamenti alimentari restrittivi e, salvo i danni permanenti che l’anoressia ha prodotto al mio corpo e che purtroppo mi dovrò portare dietro vita natural durante (mi riferisco a osteopenia e infertilità), sono perfettamente in salute e posso senza alcun problema fare sport, lavorare come istruttrice ed arbitro di karate, lavorare come medico, e se mi avanza un po’ di tempo nelle mie incasinatissime giornate anche prendermi un attimo di pausa per dedicarmi alle cose che mi piacciono come per esempio leggere e disegnare.
Essere perfettamente in salute da un punto di vista prettamente fisico non significa appunto, come dicevo, essere del tutto “guarita” dall’anoressia, perché se così fosse immagino che certi pensieri non mi passerebbero più neanche per l’anticamera del cervello. Ma significa che attualmente ho un corpo in salute e del tutto funzionale che mi permette di vivere a 360°, e che mi ha consentito di tornare ad avere un’ottima qualità della vita.
Io non ho mai avuto dunque il desiderio di essere magra poiché, banalmente, sono sempre stata magra.
Per quanto attiene la mia personale esperienza, il bisogno di controllo è stato il punto focale di tutto il disturbo alimentare. Io volevo avere il controllo assoluto. Su tutto. Su ogni singolo aspetto della mia vita. La cosa è partita da ambiti diversi dall’alimentazione e poi, in un formidabile colpo di coda, anche il versante alimentare è stato tirato dentro questo mio bisogno di programmare – e dunque controllare – ogni singolo secondo delle mie giornate.
Volevo “semplicemente” avere sotto controllo ogni singolo respiro della mia vita, e questo controllo che già mettevo in atto su altre cose, ad un certo punto ha iniziato a passare anche attraverso il canale alimentare. L’obiettivo della mia restrizione, in effetti era proprio questo: elaborare una forma di controllo su quello che mangiavo. Il dimagrimento è stata l’ovvia conseguenza, ma non mi ha mai fatto piacere, anzi, mi metteva a disagio, non avrei voluto (anche perché comprometteva le mie prestazioni sportive, e al tempo facevo agonismo ed ero a buon livello), ma avevo bisogno del controllo, e se “il prezzo da pagare” era quello di perdere chili, allora andava bene tutto, allora accettavo il compromesso, pur di non abbandonare la sensazione di sicurezza e di forza che quel (l’illusorio) controllo mi faceva provare.
Non ho mai avuto, dunque, l’obiettivo di restringere l’alimentazione per dimagrire (difatti non mi sono mai pesata, neanche nella fase più acuta dell’anoressia, proprio perché del peso in sé non me ne poteva fregare di meno, né ho mai contato le calorie o cose del genere), il mio unico pensiero era incentrato sul desiderio di avere il controllo su tutto. Ogni altra cosa era mera conseguenza.
Mai voluto diventare più magra… ma sempre voluto esercitare un controllo sempre più totale.
Salvo poi rendermi conto, ovviamente, che quell’anoressia che credevo di controllare, era proprio ciò che mi controllava in misura spietata.
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venerdì 7 novembre 2014
Lettera aperta per le "Pro Ana/Mia"
Mie care ragazze che vi auto-definite storpiando il nome di malattie letali delle quali parodicamente imitate comportamenti puramente esteriori,
può la perdita di peso risolvere problemi? Certo, può risolvere alcuni problemi molto specifici (vedi per esempio Diabete Mellito II o ipertensione arteriosa giovanile) in alcuni casi particolari. Ma il pesare di meno non vi renderà necessariamente più belle, più intelligenti, più simpatiche, più spigliate, più sicure di voi stesse o più brillanti nelle relazioni interpersonali. Non vi renderà più apprezzate nel lavoro/nello studio, o più attraenti agli occhi del ragazzo che vi piace (sfido qualsiasi uomo a dire che, per esempio, Isabelle Caro era sexy). Inoltre, se la perdita di peso avviene sulla base di un fai-da-te, senza essere seguite da uno specialista, non vi renderà neanche più toniche, e peggiorerà significativamente la vostra salute.
Vi spiego una cosa che voi che anelate l’anoressia solo perché non avete la più pallida idea di quanto devasti la vita certo non potete sapere: l’anoressia non c’entra una pippa col voler dimagrire. Il dimagrimento è la mera conseguenza di una malattia mentale che ha tutt’altra natura. L’anoressia è solo una strategia di coping che viene messa in atto a fronte di veri e ben più profondi problemi presenti nella vita. L’anoressia è solo la punta di un iceberg che affonda le sue radici in problematiche ben più complesse e molteplici. E, soprattutto, l’anoressia col tempo diventa anche un comodo capro espiatorio che permette di non affrontare la vita. Quando puntiamo il dito contro l’anoressia, ma nonostante tutto vi rimaniamo impantanate, facciamo di una malattia capro espiatorio di tutti i nostri problemi e difficoltà. È come se semplificassimo all’estremo dicendo: l’anoressia mi dà la sensazione di poter controllare tutto, per cui ho bisogno di averla nella mia quotidianità, tuttavia se non riesco a fare tutto quello che vorrei nella vita, è colpa del fatto che ho l’anoressia.
Se non riusciamo a trovare/mantenere un lavoro, è colpa dell’anoressia, però poiché l’anoressia c’è noi abbiamo il controllo, quindi si rimane in stallo.
Se non riusciamo a fare carriera, è colpa dell’anoressia, però poiché l’anoressia c’è noi abbiamo il controllo, quindi si rimane in stallo.
Se non riusciamo a concentrarci nello studio, è colpa dell’anoressia, però poiché l’anoressia c’è noi abbiamo il controllo, quindi si rimane in stallo.
Se non abbiamo amici perché abbiamo allontanato tutti, è colpa dell’anoressia, però poiché l’anoressia c’è noi abbiamo il controllo, quindi si rimane in stallo.
Se sportivamente rendiamo poco e perdiamo gare su gare, è colpa dell’anoressia, però poiché l’anoressia c’è noi abbiamo il controllo, quindi si rimane in stallo.
Se ci sentiamo insicure ed inadeguate nelle situazioni sociali, è colpa dell’anoressia, però poiché l’anoressia c’è noi abbiamo il controllo, quindi si rimane in stallo.
Se non siamo sicure di riuscire a combinare qualcosa di buono nella vita, è colpa dell’anoressia, e quando saremo riuscite a mettere l’anoressia da parte ci riusciremo senz’altro, però poiché l’anoressia c’è noi abbiamo il controllo, quindi si rimane in stallo.
Avete capito dove sta il gap? È un circolo vizioso, un cane che si morde la coda, una contraddizione in termini… un paradosso. Voi potete anche pensare che il dimagrimento sia la soluzione ai vostri problemi, ma non sarà così. Il non aver perso TOT chili non può essere una scusa per non vivere la vita e non affrontare problemi. Perché è un dato di fatto che, per quanto peso possiate perdere, questo non cambia la persona che siete. Se non avete particolari problemi, state bene con voi stesse, e la vita che state vivendo tutto sommato vi piace, a prescindere dal vostro peso, starete comunque bene.
Ma se non siete soddisfatte della persona che siete, se i problemi vi affogano, se quello che state facendo nella vostra vita non vi piace, la perdita di peso non cambierà niente di tutto ciò. Non vi rinnoverà la vita. Se state di merda continuerete a sentirvi di merda, a prescindere dalla taglia che indosserete. Forse vi illudete che una significativa perdita di peso possa risolvere tutti i vostri problemi, ma in realtà ve ne creerà solo uno ulteriore. Quelle parti della vostra personalità che non vi piacciono, le vostre insicurezze e difficoltà, e quelle problematiche che avete nella vostra quotidianità, rimarranno sempre dove sono, fino a che non vi deciderete ad affrontarle di petto – l’unica cosa che cambierà è che dovrete affrontare quelle stesse problematiche con un corpo malsano e con una mente non lucida, rendendo il tutto significativamente più duro e difficile.
Dunque, le domande che dovete porre a voi stesse sono: quali sono i vostri veri problemi, le cose che non vi piacciono nella vostra vita, e che vorreste cambiare? Cosa vi aspettate che cambi realmente quando avrete soltanto perso peso, senza affrontare nessuna di quelle problematiche? Credete seriamente che perdere peso rappresenti una panacea? Cosa potreste fare per cambiare davvero le cose che volete che cambino nella vostra vita?
Lasciate perdere una malattia che dite di desiderare solo perchè non la conoscete, e il tempo che sprecate su determinati blog impegatelo per affrontare con una psicoterapia le vere problematiche che vi affliggono, perchè di certo qualcosa che nella vostra vita non va c'è, di certo state soffrendo e siete in difficoltà, se arrivate al punto di desiderare un qualcosa di devastante come l'anoressia.
Tutto il mio affetto,
Veggie
può la perdita di peso risolvere problemi? Certo, può risolvere alcuni problemi molto specifici (vedi per esempio Diabete Mellito II o ipertensione arteriosa giovanile) in alcuni casi particolari. Ma il pesare di meno non vi renderà necessariamente più belle, più intelligenti, più simpatiche, più spigliate, più sicure di voi stesse o più brillanti nelle relazioni interpersonali. Non vi renderà più apprezzate nel lavoro/nello studio, o più attraenti agli occhi del ragazzo che vi piace (sfido qualsiasi uomo a dire che, per esempio, Isabelle Caro era sexy). Inoltre, se la perdita di peso avviene sulla base di un fai-da-te, senza essere seguite da uno specialista, non vi renderà neanche più toniche, e peggiorerà significativamente la vostra salute.
Vi spiego una cosa che voi che anelate l’anoressia solo perché non avete la più pallida idea di quanto devasti la vita certo non potete sapere: l’anoressia non c’entra una pippa col voler dimagrire. Il dimagrimento è la mera conseguenza di una malattia mentale che ha tutt’altra natura. L’anoressia è solo una strategia di coping che viene messa in atto a fronte di veri e ben più profondi problemi presenti nella vita. L’anoressia è solo la punta di un iceberg che affonda le sue radici in problematiche ben più complesse e molteplici. E, soprattutto, l’anoressia col tempo diventa anche un comodo capro espiatorio che permette di non affrontare la vita. Quando puntiamo il dito contro l’anoressia, ma nonostante tutto vi rimaniamo impantanate, facciamo di una malattia capro espiatorio di tutti i nostri problemi e difficoltà. È come se semplificassimo all’estremo dicendo: l’anoressia mi dà la sensazione di poter controllare tutto, per cui ho bisogno di averla nella mia quotidianità, tuttavia se non riesco a fare tutto quello che vorrei nella vita, è colpa del fatto che ho l’anoressia.
Se non riusciamo a trovare/mantenere un lavoro, è colpa dell’anoressia, però poiché l’anoressia c’è noi abbiamo il controllo, quindi si rimane in stallo.
Se non riusciamo a fare carriera, è colpa dell’anoressia, però poiché l’anoressia c’è noi abbiamo il controllo, quindi si rimane in stallo.
Se non riusciamo a concentrarci nello studio, è colpa dell’anoressia, però poiché l’anoressia c’è noi abbiamo il controllo, quindi si rimane in stallo.
Se non abbiamo amici perché abbiamo allontanato tutti, è colpa dell’anoressia, però poiché l’anoressia c’è noi abbiamo il controllo, quindi si rimane in stallo.
Se sportivamente rendiamo poco e perdiamo gare su gare, è colpa dell’anoressia, però poiché l’anoressia c’è noi abbiamo il controllo, quindi si rimane in stallo.
Se ci sentiamo insicure ed inadeguate nelle situazioni sociali, è colpa dell’anoressia, però poiché l’anoressia c’è noi abbiamo il controllo, quindi si rimane in stallo.
Se non siamo sicure di riuscire a combinare qualcosa di buono nella vita, è colpa dell’anoressia, e quando saremo riuscite a mettere l’anoressia da parte ci riusciremo senz’altro, però poiché l’anoressia c’è noi abbiamo il controllo, quindi si rimane in stallo.
Avete capito dove sta il gap? È un circolo vizioso, un cane che si morde la coda, una contraddizione in termini… un paradosso. Voi potete anche pensare che il dimagrimento sia la soluzione ai vostri problemi, ma non sarà così. Il non aver perso TOT chili non può essere una scusa per non vivere la vita e non affrontare problemi. Perché è un dato di fatto che, per quanto peso possiate perdere, questo non cambia la persona che siete. Se non avete particolari problemi, state bene con voi stesse, e la vita che state vivendo tutto sommato vi piace, a prescindere dal vostro peso, starete comunque bene.
Ma se non siete soddisfatte della persona che siete, se i problemi vi affogano, se quello che state facendo nella vostra vita non vi piace, la perdita di peso non cambierà niente di tutto ciò. Non vi rinnoverà la vita. Se state di merda continuerete a sentirvi di merda, a prescindere dalla taglia che indosserete. Forse vi illudete che una significativa perdita di peso possa risolvere tutti i vostri problemi, ma in realtà ve ne creerà solo uno ulteriore. Quelle parti della vostra personalità che non vi piacciono, le vostre insicurezze e difficoltà, e quelle problematiche che avete nella vostra quotidianità, rimarranno sempre dove sono, fino a che non vi deciderete ad affrontarle di petto – l’unica cosa che cambierà è che dovrete affrontare quelle stesse problematiche con un corpo malsano e con una mente non lucida, rendendo il tutto significativamente più duro e difficile.
Dunque, le domande che dovete porre a voi stesse sono: quali sono i vostri veri problemi, le cose che non vi piacciono nella vostra vita, e che vorreste cambiare? Cosa vi aspettate che cambi realmente quando avrete soltanto perso peso, senza affrontare nessuna di quelle problematiche? Credete seriamente che perdere peso rappresenti una panacea? Cosa potreste fare per cambiare davvero le cose che volete che cambino nella vostra vita?
Lasciate perdere una malattia che dite di desiderare solo perchè non la conoscete, e il tempo che sprecate su determinati blog impegatelo per affrontare con una psicoterapia le vere problematiche che vi affliggono, perchè di certo qualcosa che nella vostra vita non va c'è, di certo state soffrendo e siete in difficoltà, se arrivate al punto di desiderare un qualcosa di devastante come l'anoressia.
Tutto il mio affetto,
Veggie
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