venerdì 28 gennaio 2011
Domande #21; 22: Pasti, appetito, qualche suggerimento
Racchiudo le risposte a 2 domande in un solo post, visto che sono di base molto simili…
M. mi ha scritto:
“Recentemente ho avuto una ricaduta e ce la sto mettendo tutta per spezzare il circolo vizioso. Ho ricominciato a mangiare un po’ di più, ma non riesco a cancellare il sentimento di fallimento che provo ogni volta che mi siedo a tavola. So che il fallimento sta dentro me stessa, non nel cibo, ma i pensieri deviati dal DCA non riescono a farmi essere logica. Come posso non sentirmi una fallita anche se non restringo l’alimentazione?”
Sulla pin-board della mia camera sta appeso un Post-It con su scritto: “Fake it until you make it”. Se sei consapevole del fatto che la cosa giusta da fare è mangiare in maniera corretta ed essere orgogliosa di te stessa per questo, fallo senza assecondare i pensieri distorti dell’anoressia che ti suggerirebbero di restringere. Se ti senti giù di morale quando hai mangiato, ricorda a te stessa che, invece, ti stai dando una mano a stare meglio, e che recuperando il sottopeso anche la tua testa riuscirà a pensare più nitidamente. Certo, inizialmente la voce dell’anoressia nella tua testa continuerà a farti sentire sbagliata, ma tanto più a lungo mangerai in maniera regolare, tanto meglio riuscirai ad eludere la voce del DCA.
Prova ad adottare un sistema di “ricompense” per aiutarti ad associare sentimenti positive alle azioni giuste. Per esempio, prometti a te stessa che, se riuscirai a mangiare la tua colazione, dopo potrai concederti 15 minuti di relax per fare qualcosa di piacevole, divertente, che ti faccia stare bene. O, ancora di più: se riesci a seguire l’ “equilibrio alimentare” che ti ha assegnato la tua dietista per tutto il giorno, ricompensati comprandoti qualcosa che ti piace. Se ci riesci per una settimana, concediti un week-end all’insegna di tutto quello che ti piace fare. La ricompensa può essere tutto ciò che vuoi – una sera trascorsa a guardare il tuo DVD preferito anziché a lavorare, un nuovo paio di scarpe, etc… Se ce la metti tutta per ottenere il tuo obiettivo, e ti regali un gesto di gentilezza nel momento in cui ce l’hai fatta, allenerai la tua mente a capire cosa vale veramente la pena.
Ti suggerisco anche di usare dei Post-It: appendili laddove li puoi leggere spesso, e scrivici sopra frasi positive come “You can do anything you want: believe it” o qualcosa del genere. A volte è necessario che arrivino dall’esterno incoraggiamenti che non siamo capaci di dare a noi stesse.
---------------------------------------------------------------------
Titty, invece, mi scrive:
“Sto seguendo un percorso terapeutico da circa un anno. Sto andando abbastanza bene, visto che sono riuscita a smettere di restringere/abbuffarmi. Tuttavia, quando sono sotto stress, tendo a perdere l’appetito. Mi hanno insegnato che devo mangiare quando ho fame, ma che cosa devo fare se lo stimolo della fame non lo sento proprio? Attualmente non restringo volontariamente, ma talvolta mi rendo conto che il mangiare poco e niente mi porta a pensare “Potrei mangiare un po’ di meno anche domani…” e questo mi fa sbandare. Come posso mangiare in maniera equilibrata quando sono sotto stress e non ho fame?”
Prima cosa – complimenti per essere da una anno sulla strada del ricovero. Ad ogni modo… penso che tantissime persone, con un DCA o meno, tendano a perdere l’appetito quando sono stressate. Perché non provi a ritirare fuori gli schemi alimentari, quando ti succede di restringere? So che questo potrebbe sembrarti un passo indietro, visto che gli schemi alimentari si seguono di orma all’inizio di un percorso di ricovero, ma può essere d’aiuto, soprattutto nei momenti di stress. Gli schemi alimentari possono aiutarti a mangiare nei momenti in cui sai che devi, a prescindere dal tuo appetito, cercando di sforzarti a mangiare quello che devi. Talora è necessario fare determinate cose, anche se controvoglia, perché altrimenti si rischia di riscivolare nel DCA ancor prima di rendercene conto.
Focalizzati su quello che sai che è giusto mangiare, e tieni duro: anche i momenti più pesanti poi se ne vanno ed arrivano tempi migliori.
E per quanto riguarda i pensieri che ti vengono quando salti qualche pasto, ti rimando alla risposta che ho dato proprio qui sopra a M. Qualsiasi cosa tu possa fare per rinforzare i pensieri positivi nella battaglia contro l’anoressia è sempre un passo nella giusta direzione.
M. mi ha scritto:
“Recentemente ho avuto una ricaduta e ce la sto mettendo tutta per spezzare il circolo vizioso. Ho ricominciato a mangiare un po’ di più, ma non riesco a cancellare il sentimento di fallimento che provo ogni volta che mi siedo a tavola. So che il fallimento sta dentro me stessa, non nel cibo, ma i pensieri deviati dal DCA non riescono a farmi essere logica. Come posso non sentirmi una fallita anche se non restringo l’alimentazione?”
Sulla pin-board della mia camera sta appeso un Post-It con su scritto: “Fake it until you make it”. Se sei consapevole del fatto che la cosa giusta da fare è mangiare in maniera corretta ed essere orgogliosa di te stessa per questo, fallo senza assecondare i pensieri distorti dell’anoressia che ti suggerirebbero di restringere. Se ti senti giù di morale quando hai mangiato, ricorda a te stessa che, invece, ti stai dando una mano a stare meglio, e che recuperando il sottopeso anche la tua testa riuscirà a pensare più nitidamente. Certo, inizialmente la voce dell’anoressia nella tua testa continuerà a farti sentire sbagliata, ma tanto più a lungo mangerai in maniera regolare, tanto meglio riuscirai ad eludere la voce del DCA.
Prova ad adottare un sistema di “ricompense” per aiutarti ad associare sentimenti positive alle azioni giuste. Per esempio, prometti a te stessa che, se riuscirai a mangiare la tua colazione, dopo potrai concederti 15 minuti di relax per fare qualcosa di piacevole, divertente, che ti faccia stare bene. O, ancora di più: se riesci a seguire l’ “equilibrio alimentare” che ti ha assegnato la tua dietista per tutto il giorno, ricompensati comprandoti qualcosa che ti piace. Se ci riesci per una settimana, concediti un week-end all’insegna di tutto quello che ti piace fare. La ricompensa può essere tutto ciò che vuoi – una sera trascorsa a guardare il tuo DVD preferito anziché a lavorare, un nuovo paio di scarpe, etc… Se ce la metti tutta per ottenere il tuo obiettivo, e ti regali un gesto di gentilezza nel momento in cui ce l’hai fatta, allenerai la tua mente a capire cosa vale veramente la pena.
Ti suggerisco anche di usare dei Post-It: appendili laddove li puoi leggere spesso, e scrivici sopra frasi positive come “You can do anything you want: believe it” o qualcosa del genere. A volte è necessario che arrivino dall’esterno incoraggiamenti che non siamo capaci di dare a noi stesse.
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Titty, invece, mi scrive:
“Sto seguendo un percorso terapeutico da circa un anno. Sto andando abbastanza bene, visto che sono riuscita a smettere di restringere/abbuffarmi. Tuttavia, quando sono sotto stress, tendo a perdere l’appetito. Mi hanno insegnato che devo mangiare quando ho fame, ma che cosa devo fare se lo stimolo della fame non lo sento proprio? Attualmente non restringo volontariamente, ma talvolta mi rendo conto che il mangiare poco e niente mi porta a pensare “Potrei mangiare un po’ di meno anche domani…” e questo mi fa sbandare. Come posso mangiare in maniera equilibrata quando sono sotto stress e non ho fame?”
Prima cosa – complimenti per essere da una anno sulla strada del ricovero. Ad ogni modo… penso che tantissime persone, con un DCA o meno, tendano a perdere l’appetito quando sono stressate. Perché non provi a ritirare fuori gli schemi alimentari, quando ti succede di restringere? So che questo potrebbe sembrarti un passo indietro, visto che gli schemi alimentari si seguono di orma all’inizio di un percorso di ricovero, ma può essere d’aiuto, soprattutto nei momenti di stress. Gli schemi alimentari possono aiutarti a mangiare nei momenti in cui sai che devi, a prescindere dal tuo appetito, cercando di sforzarti a mangiare quello che devi. Talora è necessario fare determinate cose, anche se controvoglia, perché altrimenti si rischia di riscivolare nel DCA ancor prima di rendercene conto.
Focalizzati su quello che sai che è giusto mangiare, e tieni duro: anche i momenti più pesanti poi se ne vanno ed arrivano tempi migliori.
E per quanto riguarda i pensieri che ti vengono quando salti qualche pasto, ti rimando alla risposta che ho dato proprio qui sopra a M. Qualsiasi cosa tu possa fare per rinforzare i pensieri positivi nella battaglia contro l’anoressia è sempre un passo nella giusta direzione.
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domenica 23 gennaio 2011
Mantenere la motivazione
Una delle cose più difficili da fare in un percorso di ricovero è mantenere la motivazione. Voglio perciò suggerirvi una serie di cose da poter fare in modo da continuare sempre a camminare nella giusta direzione.
1 – Fate un CD che racchiude canzoni che lancino un messaggio positivo, un messaggio che dice che l’anoressia non vale la pena. Poi ascoltatelo ogni volta che potete: in treno mentre andate a scuola o al lavoro, in macchina mentre state guidando, la sera prima di andare a letto… o semplicemente in un momento tutto per voi che riuscite a ritagliarvi.
2 – Se avete un paio di jeans (o una maglietta, o un qualsiasi capo d’abbigliamento) che vi ricorda in particolar modo di quando eravate nel pieno dell’anoressia e pesavate XX Kg, prendete un pennarello indelebile e scriveteci sopra tutti i motivi per cui odiate il vostro DCA.
3 – Buttate via la bilancia e promettete a voi stesse che non sarete più schiave di un pezzo di metallo.
4 – Cominciate a tenere un “Diario di Ricovero”. Riempitelo di frasi positive e di pensieri che vi possano aiutare a mantenere la giusta direzione, e leggetelo ogni qualvolta ne avrete bisogno.
5 – Scrivete frasi positive su Post-It colorati e attaccateli ovunque possiate leggerli ogni giorno. Ve ne suggerisco un paio…
“Fall in love or fall in hate. Get inspired or be depressed. Ace a test or flunk a class. Make babies or make art. Speak the truth or lie and cheat. Dance on the table or sit in the corner. Life is divine chaos: embrace it. Forgive yourself. Breathe. And enjoy the ride…”
“What lies behind us and what lies before us are small matters compared to what lies within us”
6 – Ponetevi un obiettivo a breve termine, un obiettivo piccolo, per voi stesse, che vi renda felici, e cercate di realizzarlo. Ma non drammatizzate se non ce la farete. Si tratterà solo di scegliere un altro obiettivo e di darvi un’altra possibilità.
7 – Arrabbiatevi. Chiunque abbia un DCA ha milioni di ragioni per essere arrabbiata. L’anoressia ci convince che non valiamo abbastanza e che non andiamo abbastanza bene… sono tutte bugie! Non dovremmo forse essere arrabbiate nei confronti di quest’abile manipolatrice? Noi meritiamo MOLTO di più del nulla che alla fine ci dà l’anoressia.
8 – Fate qualcosa di piacevole per il vostro corpo. Mettetevi lo smalto alle unghie, cambiate il vostro taglio di capelli, comprate un paio di scarpe che vi piacciono, etc…
9 – Fate un disegno, un collage, scrivete una poesia che vi permetta di esprimere liberamente voi stesse.
10 – Evitate in ogni modo di piangervi addosso. Indubbio che un DCA faccia stare male, ma autocommiserarsi non aiuta affatto, anzi, al contrario…
11 – Fate una lista delle cose positive e costruttive che vi piacerebbe fare nella vostra vita.
12 – Pensate che se ci sono mille ragioni per scegliere l’anoressia, allora ce ne sono anche mille e una per non sceglierla.
1 – Fate un CD che racchiude canzoni che lancino un messaggio positivo, un messaggio che dice che l’anoressia non vale la pena. Poi ascoltatelo ogni volta che potete: in treno mentre andate a scuola o al lavoro, in macchina mentre state guidando, la sera prima di andare a letto… o semplicemente in un momento tutto per voi che riuscite a ritagliarvi.
2 – Se avete un paio di jeans (o una maglietta, o un qualsiasi capo d’abbigliamento) che vi ricorda in particolar modo di quando eravate nel pieno dell’anoressia e pesavate XX Kg, prendete un pennarello indelebile e scriveteci sopra tutti i motivi per cui odiate il vostro DCA.
3 – Buttate via la bilancia e promettete a voi stesse che non sarete più schiave di un pezzo di metallo.
4 – Cominciate a tenere un “Diario di Ricovero”. Riempitelo di frasi positive e di pensieri che vi possano aiutare a mantenere la giusta direzione, e leggetelo ogni qualvolta ne avrete bisogno.
5 – Scrivete frasi positive su Post-It colorati e attaccateli ovunque possiate leggerli ogni giorno. Ve ne suggerisco un paio…
“Fall in love or fall in hate. Get inspired or be depressed. Ace a test or flunk a class. Make babies or make art. Speak the truth or lie and cheat. Dance on the table or sit in the corner. Life is divine chaos: embrace it. Forgive yourself. Breathe. And enjoy the ride…”
“What lies behind us and what lies before us are small matters compared to what lies within us”
6 – Ponetevi un obiettivo a breve termine, un obiettivo piccolo, per voi stesse, che vi renda felici, e cercate di realizzarlo. Ma non drammatizzate se non ce la farete. Si tratterà solo di scegliere un altro obiettivo e di darvi un’altra possibilità.
7 – Arrabbiatevi. Chiunque abbia un DCA ha milioni di ragioni per essere arrabbiata. L’anoressia ci convince che non valiamo abbastanza e che non andiamo abbastanza bene… sono tutte bugie! Non dovremmo forse essere arrabbiate nei confronti di quest’abile manipolatrice? Noi meritiamo MOLTO di più del nulla che alla fine ci dà l’anoressia.
8 – Fate qualcosa di piacevole per il vostro corpo. Mettetevi lo smalto alle unghie, cambiate il vostro taglio di capelli, comprate un paio di scarpe che vi piacciono, etc…
9 – Fate un disegno, un collage, scrivete una poesia che vi permetta di esprimere liberamente voi stesse.
10 – Evitate in ogni modo di piangervi addosso. Indubbio che un DCA faccia stare male, ma autocommiserarsi non aiuta affatto, anzi, al contrario…
11 – Fate una lista delle cose positive e costruttive che vi piacerebbe fare nella vostra vita.
12 – Pensate che se ci sono mille ragioni per scegliere l’anoressia, allora ce ne sono anche mille e una per non sceglierla.
martedì 18 gennaio 2011
Sudoku e ricovero
Quello di cui voglio parlare oggi è il Sudoku. Un gioco che, in effetti, va di moda da molto tempo, ma che io ho scoperto solo di recente. Nonostante che io qui sul blog scriva molto, non sono una fan dei cruciverba – in effetti, me la cavo malissimo coi cruciverba – ma il Sudoku mi intriga molto. Così ho comparto una sorta di manuale che insegna le regole e le strategie mentali da adottare per risolvere i Sudoku. Proprio oggi pomeriggio, dunque, stavo cercando di risolvere un Sudoku, e all’improvviso mi è venuto in mente quanto risolvere un Sudoku e percorrere la strada del ricovero siano affini. E non solo perché percorrere la strada del ricovero sia complicato come risolvere un Sudoku.
Il Sudoku ha delle “regole” ben precise che aiutano a riempire di numeri i quadrati 9 x 9. Ognuno adotta una strategia differente per riempire le caselle attenendosi alle regole, e ogni griglia richiede di adottare strade mentali diverse per risolvere il gioco. Di solito, se cerco di mettere insieme tattiche differenti, riesco a trovare la soluzione molto più rapidamente di quando mi focalizzo su una tattica sola.
Lo stesso vale per il ricovero. Le regole che definiscono la strada del ricovero iniziano con la riabilitazione fisica e nutrizionale, il che migliora la qualità della vita, e già di per sé fa venir meno alcune delle ossessioni caratteristiche dell’anoressia, aumentando la flessibilità di pensiero nei confronti del cibo e del vissuto. Dopodichè, le regole coinvolgono la psicoterapia e i controlli con una dietista. Queste regole di base permettono ad ognuna di noi di definire poi la strategia che ritiene più adatta al proprio carattere e alle proprie possibilità, per cercare di compiere qualche passo avanti sulla strada del ricovero (anche se, come nel Sudoku, una stessa casellina inizialmente potrebbe essere ascrivibile a più numeri diversi, tutti coerenti), dopodichè, a poco a poco, è possibile creare una trama in cui strutturare il proprio percorso di ricovero.
Io ho combattuto con molti aspetti del percorso di ricovero, e tuttora quello che mi dà più difficoltà è identificare le strategie necessarie per mantenermi sulla strada del ricovero, trovando motivazioni per non ricadere nell’anoressia, e dunque trovare la flessibilità per skippare tra differenti approcci in funzione di quello che la situazione richiede. È esattamente come quando riempio un Sudoku: quando mi focalizzo su dove debba essere collocato un 3, o su come riempire una particolare riga o colonna o quadrato, perdo il senso di tutto il resto della griglia. Perciò mi nevrotizzo e smetto di giocare, o faccio un qualche errore stupidino perché perdo la lucidità necessaria ad utilizzare logica e ragionamento. Questo è molto simile a quello che succede quando ci s’incastra in una ricaduta: ci si focalizza troppo su una cosa, si diventa estremamente inflessibili (le cose devono andare così, proprio così, e non cosà!... quanto è difficile adattarsi…) e si finisce per compiere errori sciocchi (“E vabbè, per oggi mangio qualche biscotto in meno a colazione… ma solo per oggi, eh!” – ma non sarà mai “solo per oggi”…) perché si smarrisce il senso logico del ragionamento. Oppure si butta nel cestino l’idea di percorrere la strada del ricovero, e ci si abbandona a considerazioni inutili e distruttive come: “Basta. Adesso ricomincio a restringere perché mi faceva sentire così bene, mentre il ricovero è un percorso difficile e ci sto male”. E dunque?
La cosa che mi colpisce di più, comunque, è come io abbia appreso strategie di coping nei confronti delle mie frustrazioni da mancata riuscita del Sudoku. Negli schemi più difficili, la stragrande maggioranza delle volte arrivo ad un punto in cui la griglia mi sembra irrisolvibile. Tutto quello che ho davanti agli occhi mi pare senza né capo né coda, e per quanto possa continuare a fissare i quadratini, non mi balza in mente nessuna soluzione. In quei momenti mi sento decisamente arrabbiata, e la maggior parte delle volte sono lì lì per buttare via penna e Sudoku.
Più o meno quello che succede nelle ricadute: ci si guarda intorno, si tentano diverse strategie, e talvolta ci si trova a sbattere la testa contro un muro senza avere la più pallida idea di cosa poter fare. Ci si sente come se si stesse percorrendo un vicolo cieco, un cerchio che ci riporta al punto di partenza, intrappolate senza alcuna via d’uscita, come se la strada del ricovero fosse completamente al di fuori della portata delle nostre possibilità.
Credo che il punto – in entrambe le situazioni – sia quello di non farci troppo la testa. Di non cercare delle soluzioni a tutti i costi, focalizzandoci solo su un’unica cosa. Viceversa, bisogna allentare la presa per un attimo, e forse è solo in questi momenti che la soluzione che ci sembrava così incomprensibile appare più chiaramente. Ciò non significa che la griglia sia risolta, ovviamente, ma il modo in cui procedere appare a questo punto più nitido.
Un altro motivo per cui preferisco i Sudoku ai cruciverba è che nei primi è più facile vedere dov’è che si è sbagliato. C’è solo una risposta giusta. Suppongo che ci sia una sola risposta giusta anche nei cruciverba, ma una parola può avere più sinonimi, alcuni dei quali composti dallo stesso numero di lettere, che perciò possono sembrare il termine giusto – poiché rientra nelle caselline – ma magari non lo sono. Il Sudoku non è così: non ha incertezze.
Ecco, questo è l’unico punto in cui il Sudoku e la strada del ricovero divergono. Non c’è un solo ricovero giusto, una sola strada del ricovero da percorrere, una sola soluzione possibile. Ognuna ha la sua propria soluzione, la sua propria strategia. Analogamente, il ricovero non è un momento “Eureka!” in cui ci si accorge all’improvviso di tutto ciò che non va e di tutto quello che bisogna fare per rimettere le cose a posto. È piuttosto una lenta scoperta di varie possibili soluzioni, e un cauto percorso da svolgere giorno dopo giorno per muovere piccoli passi avanti verso i risultati che si spera di poter raggiungere.
Il Sudoku ha delle “regole” ben precise che aiutano a riempire di numeri i quadrati 9 x 9. Ognuno adotta una strategia differente per riempire le caselle attenendosi alle regole, e ogni griglia richiede di adottare strade mentali diverse per risolvere il gioco. Di solito, se cerco di mettere insieme tattiche differenti, riesco a trovare la soluzione molto più rapidamente di quando mi focalizzo su una tattica sola.
Lo stesso vale per il ricovero. Le regole che definiscono la strada del ricovero iniziano con la riabilitazione fisica e nutrizionale, il che migliora la qualità della vita, e già di per sé fa venir meno alcune delle ossessioni caratteristiche dell’anoressia, aumentando la flessibilità di pensiero nei confronti del cibo e del vissuto. Dopodichè, le regole coinvolgono la psicoterapia e i controlli con una dietista. Queste regole di base permettono ad ognuna di noi di definire poi la strategia che ritiene più adatta al proprio carattere e alle proprie possibilità, per cercare di compiere qualche passo avanti sulla strada del ricovero (anche se, come nel Sudoku, una stessa casellina inizialmente potrebbe essere ascrivibile a più numeri diversi, tutti coerenti), dopodichè, a poco a poco, è possibile creare una trama in cui strutturare il proprio percorso di ricovero.
Io ho combattuto con molti aspetti del percorso di ricovero, e tuttora quello che mi dà più difficoltà è identificare le strategie necessarie per mantenermi sulla strada del ricovero, trovando motivazioni per non ricadere nell’anoressia, e dunque trovare la flessibilità per skippare tra differenti approcci in funzione di quello che la situazione richiede. È esattamente come quando riempio un Sudoku: quando mi focalizzo su dove debba essere collocato un 3, o su come riempire una particolare riga o colonna o quadrato, perdo il senso di tutto il resto della griglia. Perciò mi nevrotizzo e smetto di giocare, o faccio un qualche errore stupidino perché perdo la lucidità necessaria ad utilizzare logica e ragionamento. Questo è molto simile a quello che succede quando ci s’incastra in una ricaduta: ci si focalizza troppo su una cosa, si diventa estremamente inflessibili (le cose devono andare così, proprio così, e non cosà!... quanto è difficile adattarsi…) e si finisce per compiere errori sciocchi (“E vabbè, per oggi mangio qualche biscotto in meno a colazione… ma solo per oggi, eh!” – ma non sarà mai “solo per oggi”…) perché si smarrisce il senso logico del ragionamento. Oppure si butta nel cestino l’idea di percorrere la strada del ricovero, e ci si abbandona a considerazioni inutili e distruttive come: “Basta. Adesso ricomincio a restringere perché mi faceva sentire così bene, mentre il ricovero è un percorso difficile e ci sto male”. E dunque?
La cosa che mi colpisce di più, comunque, è come io abbia appreso strategie di coping nei confronti delle mie frustrazioni da mancata riuscita del Sudoku. Negli schemi più difficili, la stragrande maggioranza delle volte arrivo ad un punto in cui la griglia mi sembra irrisolvibile. Tutto quello che ho davanti agli occhi mi pare senza né capo né coda, e per quanto possa continuare a fissare i quadratini, non mi balza in mente nessuna soluzione. In quei momenti mi sento decisamente arrabbiata, e la maggior parte delle volte sono lì lì per buttare via penna e Sudoku.
Più o meno quello che succede nelle ricadute: ci si guarda intorno, si tentano diverse strategie, e talvolta ci si trova a sbattere la testa contro un muro senza avere la più pallida idea di cosa poter fare. Ci si sente come se si stesse percorrendo un vicolo cieco, un cerchio che ci riporta al punto di partenza, intrappolate senza alcuna via d’uscita, come se la strada del ricovero fosse completamente al di fuori della portata delle nostre possibilità.
Credo che il punto – in entrambe le situazioni – sia quello di non farci troppo la testa. Di non cercare delle soluzioni a tutti i costi, focalizzandoci solo su un’unica cosa. Viceversa, bisogna allentare la presa per un attimo, e forse è solo in questi momenti che la soluzione che ci sembrava così incomprensibile appare più chiaramente. Ciò non significa che la griglia sia risolta, ovviamente, ma il modo in cui procedere appare a questo punto più nitido.
Un altro motivo per cui preferisco i Sudoku ai cruciverba è che nei primi è più facile vedere dov’è che si è sbagliato. C’è solo una risposta giusta. Suppongo che ci sia una sola risposta giusta anche nei cruciverba, ma una parola può avere più sinonimi, alcuni dei quali composti dallo stesso numero di lettere, che perciò possono sembrare il termine giusto – poiché rientra nelle caselline – ma magari non lo sono. Il Sudoku non è così: non ha incertezze.
Ecco, questo è l’unico punto in cui il Sudoku e la strada del ricovero divergono. Non c’è un solo ricovero giusto, una sola strada del ricovero da percorrere, una sola soluzione possibile. Ognuna ha la sua propria soluzione, la sua propria strategia. Analogamente, il ricovero non è un momento “Eureka!” in cui ci si accorge all’improvviso di tutto ciò che non va e di tutto quello che bisogna fare per rimettere le cose a posto. È piuttosto una lenta scoperta di varie possibili soluzioni, e un cauto percorso da svolgere giorno dopo giorno per muovere piccoli passi avanti verso i risultati che si spera di poter raggiungere.
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giovedì 13 gennaio 2011
Completamente diverse, profondamente uguali
(click sopra per ingrandire)
Bionda e bruna. Capelli corti e capelli lunghi. Occhi marroni chiari e occhi marroni scuri. Vestiti variopinti e total black. Bulimia e anoressia. Tu ed io. Completamente diverse. Profondamente uguali.
Ieri è stata una giornata speciale, una giornata magica. Ieri è stata la giornata in cui mi sono incontrata con Wolfie.
Per la prima volta dopo anni, ieri mi sono sentita serena. Mi sono sentita libera. Libera di essere me stessa senza timore di essere giudicata, libera di mostrare le mie cicatrici senza incontrare sguardi chiusi, libera di parlare senza dover pesare le parole o inventare bugie, libera di respirare senza soffocare.
Cara Wolfie, grazie tutto quello che mi hai detto, e tutto quello che non mi hai detto ma che ho letto comunque nei tuoi occhi. Ti stimo perché hai avuto il coraggio di ribellarti alla bulimia, di provare la vita, di affrontare la vita, accettando l’inevitabile rischio a ciò connesso, il rischio di essere ferita a fondo.
Il fondo dell’abisso lo abbiamo visto tutte e due. Lo abbiamo sentito sulla pelle. Non lasciarlo rinchiuso dentro al tuo cuore. Gridalo, buttalo fuori, non aver timore perché io posso sostenerlo. Perché il tuo demone è stato anche il mio. In fondo a quell’abisso ci sono precipitata anch’io. Possiamo ancora continuare a scavare. Oppure possiamo prenderci per mano e, se non iniziare un’arrampicata, per lo meno alzare la testa e guardare verso l’altro. Che, forse, a suo modo, è un po’ quello che abbiamo fatto ieri. Abbiamo alzato la testa e abbiamo visto che c’è sempre il cielo. E che è azzurro. E che è sereno. Anche se piove, oltre quelle nuvole c’è sempre un raggio di sole.
Io non me lo potrò mai dimenticare. Anche se dovessi vivere cent’anni, anche se dovessi morire domani, la giornata di ieri la porterò sempre in posto speciale dentro al mio cuore, dove nessuno sarà in grado di raggiungerla, dove nessuno sarà in grado di contaminarla. Sono contenta che tu non abbia fermato le tue lacrime nel momento in cui, alla stazione, ci siamo dovuto salutare. Perché non importa quanto bene si può fingere, quanto perfettamente si riesca a simulare la felicità, quanto si resista tendendo i muscoli per mostrare un simulacro di sorriso… ci sarà sempre bisogno di qualcuno che riesca a vedere oltre. E noi ci siamo viste oltre. Abbiamo visto quello che nessuno, nemmeno quelli con le lauree appese nei loro uffici, intenti a cavare parole di bocca e a guardare con aria comprensiva sono mai riusciti ad arrivare. Un DCA porta ad erigere un muro contro il mondo, un muro che nessuno riesce mai ad abbattere, pur provandoci in tutti i modi, nessuno riesce a scalfirlo. Le parole altrui si riflettono sugli specchi degli occhi e scivolano via. Ma ieri abbiamo appoggiato un dito sui nostri reciproci muri, ed è bastato quello per farli crollare. O forse non sono crollati… però noi stiamo dalla stessa parte di quel muro.
Quando ti ho guardata, mi è sembrato di vedermi allo specchio. Uno specchio che rimandava un’immagine totalmente differente, eppure uguale a me. Uno specchio più veritiero di quel pezzo di vetro che ho in casa. Il tuo riflesso è il mio riflesso. Nel momento in cui ho un riflesso, il mio riflesso è uguale a te. Mi guardo allo specchio e ti vedo. Sei accanto a me. Sei dentro di me. Le nostre anime si sono sfiorate.
Guardo le foto che ci siamo scattate, e poi quelle che non ci siamo scattate ma che si sono ugualmente impresse, indelebili, nella mia mente. Mi piacciono le foto, nonostante tutto, perché permettono di ricordare. E io, quando ripenserò alla giornata di ieri guardando queste foto, voglio ricordarmela così… con i nostri discorsi, le risate, le idee, le nostre parole, le cose non dette, gli alti e i bassi del nostro volare pericolosamente. I momenti divertenti, i sorrisi per una volta sinceri, e i silenzi, i mille volti del coraggio e della paura. Urlare contro i venti sbagliati, lasciarci andare e poi ritrarci, non dire. Voglio ricordarmi di questa giornata meravigliosa così, quando il cielo non avrà più colori, quando non ci sarà più tempo per parlare… sarà uno scrigno la nostra memoria… e questa meravigliosa pagina sarà sempre lì dentro.
Ti voglio bene.
Veggie
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sabato 8 gennaio 2011
Favolose
Il nostro più profondo timore non è l’essere inadeguate, sbagliate, incapaci di mantenere la motivazione a combattere contro l’anoressia. Il nostro più profondo timore è l’essere incredibilmente forti. È la nostra luce, non la nostra oscurità quel che ci spaventa di più. Ci chiediamo: “Ma chi sono io per essere così brillante, talentuosa, favolosa?”. E allora io vi chiedo: “Ma chi siete voi per non esserlo?”.
Ragazze mie: siete brillanti. Siete talentuose. E siete tutte favolose.
Lo so che la consapevolezza delle vostre capacità e di tutto di quello che potete portare a termine se vi lasciate essere voi stesse può far paura. Può essere così terrorizzante da farvi desiderare di rinchiudervi nella crisalide dell’anoressia per sempre.
Il vostro potenziale è in effetti sorprendente, stupefacente e terrificante. Ed è un vero crimine non lottare per tirarlo fuori. Perciò, perché non smetterla di restringere anche sulle vostre competenze e capacità? Perché non smetterla di bruciare la luce che irradiate? Perché non smetterla di rinunciare ai vostri sogni solo per paura di fallire (o forse per paura di realizzarli)?
Non imbrogliatevi su quello che desiderate dal vostro futuro solo perché non riuscite a vedere dove possa portarvi, solo perché al momento l’anoressia v’impedisce di vedere quanto lontano possiate arrivare nel momento in cui l’abbandonerete.
Non azzoppatevi prima di esservi date la possibilità di provare a camminare. Non desiderate la morte solo perché la vita vi fa paura. Perché morire è il coraggio di un attimo. Ma vivere è il coraggio di sempre.
Ricordatevi sempre che potete fallire a causa dell’anoressia, o riuscire nonostante l’anoressia.
Per favore, meravigliose creature, datevi la possibilità di vivere. Datevi la possibilità di avere successo. Datevi la possibilità di sognare. Datevi la possibilità di essere tutto ciò che potete essere. Libratevi in volo verso altezze inimmaginabili. Lasciatevi andare.
Siete tutte favolose.
Vi voglio bene,
Veggie
Ragazze mie: siete brillanti. Siete talentuose. E siete tutte favolose.
Lo so che la consapevolezza delle vostre capacità e di tutto di quello che potete portare a termine se vi lasciate essere voi stesse può far paura. Può essere così terrorizzante da farvi desiderare di rinchiudervi nella crisalide dell’anoressia per sempre.
Il vostro potenziale è in effetti sorprendente, stupefacente e terrificante. Ed è un vero crimine non lottare per tirarlo fuori. Perciò, perché non smetterla di restringere anche sulle vostre competenze e capacità? Perché non smetterla di bruciare la luce che irradiate? Perché non smetterla di rinunciare ai vostri sogni solo per paura di fallire (o forse per paura di realizzarli)?
Non imbrogliatevi su quello che desiderate dal vostro futuro solo perché non riuscite a vedere dove possa portarvi, solo perché al momento l’anoressia v’impedisce di vedere quanto lontano possiate arrivare nel momento in cui l’abbandonerete.
Non azzoppatevi prima di esservi date la possibilità di provare a camminare. Non desiderate la morte solo perché la vita vi fa paura. Perché morire è il coraggio di un attimo. Ma vivere è il coraggio di sempre.
Ricordatevi sempre che potete fallire a causa dell’anoressia, o riuscire nonostante l’anoressia.
Per favore, meravigliose creature, datevi la possibilità di vivere. Datevi la possibilità di avere successo. Datevi la possibilità di sognare. Datevi la possibilità di essere tutto ciò che potete essere. Libratevi in volo verso altezze inimmaginabili. Lasciatevi andare.
Siete tutte favolose.
Vi voglio bene,
Veggie
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domenica 2 gennaio 2011
Complicanze
Come molte di voi ormai già sapranno, alcuni giorni fa è stata annunciata la notizia della morte, causa anoressia, di Isabelle Caro, la ragazza che aveva posato per la campagna pubblicitaria del fotografo Oliviero Toscani nel 2007. Ho letto un fiorire di post al riguardo in questi giorni, e mi sembra che, da parte mia, aggiungere ancora qualcosa a tutto ciò che è stato già scritto sarebbe semplicemente reiterativo.
Tuttavia, c’è un particolare aspetto di questa vicenda su cui vorrei porre l’accento. Si tratta di una riflessione che mi è venuta spontanea quando ho letto il post che Mari aveva scritto sul suo blog al riguardo. "Isabelle non aveva nessuna percezione della gravità del suo stato", ha scritto Mari. E da qui è nato il mio pensiero.
Quando si è nel pieno dell’anoressia, siamo veramente consapevoli di quanto il nostro corpo sta soffrendo e delle complicanze prettamente mediche, fisiche, cui si sta andando incontro?
La risposta a questa domanda credo possa essere bipartita. Sebbene magari anche a un livello non propriamente del tutto razionalizzato, ritengo che ogni ragazza che ha un DCA sia, basilarmente, consapevole che quello che sta facendo non è salutare. Voglio dire, credo che anche una bambina capirebbe che restringere l’alimentazione, procurarsi il vomito, sfiancarsi con lo sport, assumere diuretici e lassativi non è un qualcosa di positivo per il nostro organismo. A partire da questo punto fisso, però, occorre distinguere. Da una parte c’è l’aspetto “Lo so, ma fingo di non saperlo, perché sennò mi sentirei completamente matta nel fare qualcosa che mi distruggerà o comunque mi darà serie conseguenze fisiche”, dall’altra l’aspetto “Lo so, ma tanto sono tutti allarmisti, stanno esagerando, e poi vuoi che tutte queste cose succedano proprio a me? No, via, a me non mi succedono mica…” (succedono proprio a TE, purtroppo mi vedo costretta dirlo per esperienza, perché anch’io appartenevo a questa fazione, e adesso mi trovo costretta a far fronte alle conseguenze), ed infine l’aspetto dell’effettiva parziale inconsapevolezza: in fin dei conti, molto spesso quando si entra nella spirale discendente dell’anoressia si è ragazzine, ed è perciò normale che non sia abbia un’idea precisa e completa di quali possano essere le conseguenze fisiche di un comportamento alimentare errato. Molto spesso, peraltro, non volendo documentarci al riguardo per paura di leggere quello che, in fondo, già sappiamo, quest’ “ignoranza” rimane.
Ed arriviamo dunque alla ragione di questo post. La scelta del sintomo anoressico, la scelta della restrizione alimentare, è certamente una scelta consapevole. Quello che invece, molto spesso, non è pienamente o affatto consapevole, è tutta la pletora delle complicanze medico-fisiche cui si va necessariamente incontro con un DCA.
Perciò, in qualità di protomedico, ciò che vi propongo è proprio questo: dare un’occhiata a quelle che sono le complicanze mediche derivanti dai DCA. A tal proposito, ho redatto un file che potete scaricare qui sotto
Complicanze Mediche dei D.C.A.
Prima che passiate a leggerlo, qualche precisazione.
Innanzitutto, un ringraziamento. Come potrete vedere non appena aprirete il file, non ne sono la sola autrice, perciò…
GRAZIE MILLE, ALEX! Tutto questo non sarebbe mai venuto alla luce così se tu non mi avessi dato una mano, quindi… GRAZIE! Tra qualche anno tutto lo staff di “Grey’s Anatomy”, “E.R. – Medici in prima linea” e il Dottor House ti faranno un baffo, lo sai, vero?!...
Ci tengo tuttavia a precisare che questo lavoretto non ha assolutamente la pretesa di essere esaustivo, completo, precisissimo, perfetto… io ed Alex studiamo Medicina, non abbiamo ancora la laurea, quindi penso sia ovvio che le nostre conoscenze sono parziali rispetto a quelle di un medico. L’idea è quella di dare un’impostazione e una conoscenza di base su quelle che sono le principali complicazioni fisiche dei DCA, senza alcuna pretesa di eviscerare tutto il sapere medico al riguardo. Anzi, sono consapevole che ci sono molti “punti vuoti” ed imprecisioni, perciò… se ci fosse un medico che sta leggendo tutto questo, e se volesse completare, approfondire, correggere e precisare il file che ho caricato, sarebbe una cosa bellissima! Ogni possibile miglioria è più che benaccetta, anzi, è caldamente desiderata!
Vorrei dire anche che, nello scrivere questo file, si è cercato di integrare il “linguaggio medico” e il “linguaggio profano” in maniera tale da redigere un qualcosa che fosse comprensibile anche per chi è esterno all’ambiente della medicina. Non so quanto ci si possa essere riusciti – è un po’ difficile vedere dal di dentro ciò che vede chi sta al di fuori – in ogni caso, se ci sono cose non ben spiegate, cose troppo tecniche, o qualsiasi cosa che non vi quadra, fatemelo sapere nei commenti o via e-mail, e cercherò di fornire tutte le spiegazioni mancanti tentando di essere più precisa, semplice ed esaustiva.
In ogni caso, al termine del file sono riportate le indicazioni bibliografiche relative ai testi di cui si è fatto uso, quindi potete approfittarne se desiderate approfondire.
Infine sono consapevole del fatto che questa lettura lascerà il tempo che trova se siete nel pieno dell’anoressia. Se siete nel pieno dell’anoressia, magari non scaricherete neppure il file. “Ecco un’altra quasi dottoressa che mette giù tanti paroloni per fare allarmismo sfruttando l’onda della morte di Isabelle Caro… ma figuriamoci!” penserete, e vi farete una risata di fronte a quel file. Lo capisco perfettamente, perché se questo file me l’avessero messo tra le mani anche solo 5 o 6 anni fa, pure io avrei scosso la testa e avrei smesso di leggere dopo le prime tre righe pensando: “E chi se ne frega?!”. Ma frega eccome, poi. Perché questa – per quanto semplificata, per quanto limitata, per quanto imprecisa – è la realtà medica dei DCA. Isabelle Caro potrebbe dirvelo meglio di me.
Tuttavia, c’è un particolare aspetto di questa vicenda su cui vorrei porre l’accento. Si tratta di una riflessione che mi è venuta spontanea quando ho letto il post che Mari aveva scritto sul suo blog al riguardo. "Isabelle non aveva nessuna percezione della gravità del suo stato", ha scritto Mari. E da qui è nato il mio pensiero.
Quando si è nel pieno dell’anoressia, siamo veramente consapevoli di quanto il nostro corpo sta soffrendo e delle complicanze prettamente mediche, fisiche, cui si sta andando incontro?
La risposta a questa domanda credo possa essere bipartita. Sebbene magari anche a un livello non propriamente del tutto razionalizzato, ritengo che ogni ragazza che ha un DCA sia, basilarmente, consapevole che quello che sta facendo non è salutare. Voglio dire, credo che anche una bambina capirebbe che restringere l’alimentazione, procurarsi il vomito, sfiancarsi con lo sport, assumere diuretici e lassativi non è un qualcosa di positivo per il nostro organismo. A partire da questo punto fisso, però, occorre distinguere. Da una parte c’è l’aspetto “Lo so, ma fingo di non saperlo, perché sennò mi sentirei completamente matta nel fare qualcosa che mi distruggerà o comunque mi darà serie conseguenze fisiche”, dall’altra l’aspetto “Lo so, ma tanto sono tutti allarmisti, stanno esagerando, e poi vuoi che tutte queste cose succedano proprio a me? No, via, a me non mi succedono mica…” (succedono proprio a TE, purtroppo mi vedo costretta dirlo per esperienza, perché anch’io appartenevo a questa fazione, e adesso mi trovo costretta a far fronte alle conseguenze), ed infine l’aspetto dell’effettiva parziale inconsapevolezza: in fin dei conti, molto spesso quando si entra nella spirale discendente dell’anoressia si è ragazzine, ed è perciò normale che non sia abbia un’idea precisa e completa di quali possano essere le conseguenze fisiche di un comportamento alimentare errato. Molto spesso, peraltro, non volendo documentarci al riguardo per paura di leggere quello che, in fondo, già sappiamo, quest’ “ignoranza” rimane.
Ed arriviamo dunque alla ragione di questo post. La scelta del sintomo anoressico, la scelta della restrizione alimentare, è certamente una scelta consapevole. Quello che invece, molto spesso, non è pienamente o affatto consapevole, è tutta la pletora delle complicanze medico-fisiche cui si va necessariamente incontro con un DCA.
Perciò, in qualità di protomedico, ciò che vi propongo è proprio questo: dare un’occhiata a quelle che sono le complicanze mediche derivanti dai DCA. A tal proposito, ho redatto un file che potete scaricare qui sotto
Complicanze Mediche dei D.C.A.
Prima che passiate a leggerlo, qualche precisazione.
Innanzitutto, un ringraziamento. Come potrete vedere non appena aprirete il file, non ne sono la sola autrice, perciò…
GRAZIE MILLE, ALEX! Tutto questo non sarebbe mai venuto alla luce così se tu non mi avessi dato una mano, quindi… GRAZIE! Tra qualche anno tutto lo staff di “Grey’s Anatomy”, “E.R. – Medici in prima linea” e il Dottor House ti faranno un baffo, lo sai, vero?!...
Ci tengo tuttavia a precisare che questo lavoretto non ha assolutamente la pretesa di essere esaustivo, completo, precisissimo, perfetto… io ed Alex studiamo Medicina, non abbiamo ancora la laurea, quindi penso sia ovvio che le nostre conoscenze sono parziali rispetto a quelle di un medico. L’idea è quella di dare un’impostazione e una conoscenza di base su quelle che sono le principali complicazioni fisiche dei DCA, senza alcuna pretesa di eviscerare tutto il sapere medico al riguardo. Anzi, sono consapevole che ci sono molti “punti vuoti” ed imprecisioni, perciò… se ci fosse un medico che sta leggendo tutto questo, e se volesse completare, approfondire, correggere e precisare il file che ho caricato, sarebbe una cosa bellissima! Ogni possibile miglioria è più che benaccetta, anzi, è caldamente desiderata!
Vorrei dire anche che, nello scrivere questo file, si è cercato di integrare il “linguaggio medico” e il “linguaggio profano” in maniera tale da redigere un qualcosa che fosse comprensibile anche per chi è esterno all’ambiente della medicina. Non so quanto ci si possa essere riusciti – è un po’ difficile vedere dal di dentro ciò che vede chi sta al di fuori – in ogni caso, se ci sono cose non ben spiegate, cose troppo tecniche, o qualsiasi cosa che non vi quadra, fatemelo sapere nei commenti o via e-mail, e cercherò di fornire tutte le spiegazioni mancanti tentando di essere più precisa, semplice ed esaustiva.
In ogni caso, al termine del file sono riportate le indicazioni bibliografiche relative ai testi di cui si è fatto uso, quindi potete approfittarne se desiderate approfondire.
Infine sono consapevole del fatto che questa lettura lascerà il tempo che trova se siete nel pieno dell’anoressia. Se siete nel pieno dell’anoressia, magari non scaricherete neppure il file. “Ecco un’altra quasi dottoressa che mette giù tanti paroloni per fare allarmismo sfruttando l’onda della morte di Isabelle Caro… ma figuriamoci!” penserete, e vi farete una risata di fronte a quel file. Lo capisco perfettamente, perché se questo file me l’avessero messo tra le mani anche solo 5 o 6 anni fa, pure io avrei scosso la testa e avrei smesso di leggere dopo le prime tre righe pensando: “E chi se ne frega?!”. Ma frega eccome, poi. Perché questa – per quanto semplificata, per quanto limitata, per quanto imprecisa – è la realtà medica dei DCA. Isabelle Caro potrebbe dirvelo meglio di me.
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