Come gli alchimisti trasformavano il ferro in oro… voi potete trasformare l’oscurità in luce. Siete tutte benvenute.

venerdì 29 marzo 2013

Suggerimenti per rendere più facile lo shopping

Talora non è facile, per chi sta combattendo contro un DCA, relazionarsi al fatto che il progressivo recupero del peso comporti il dover andare a fare shopping per compare dei vestiti che siano adatti ad un peso più salutare.
Come fare, dunque, per rendere il momento dello shopping meno difficile?

Step 1: Trovate un’amica con cui andare a fare shopping. Qualcuna che abbia la sensibilità di aiutarvi a combattere contro il vostro DCA, ovviamente.

Step 2: Prendetevi tutto il tempo di cui sentite di avere bisogno. Anche tutto il pomeriggio o tutta la giornata, se è ciò che vi occorre.

Step 3: Scegliete un negozio grande dove ci sia una grande varietà di capi d’abbigliamento. (I grandi magazzini vanno benissimo, per intenderci.)

Step 4: Pianificate un’attività divertente che tu e la tua amica potrete fare quando lo shopping si sarà concluso. (Un’attività che non preveda in alcun modo la presenza del cibo.)

• Comprate una palla e andate a giocare a calcio ai giardini pubblici.
• Andate a vedere un film divertente al cinema.
• Comprate una confezione di bolle di sapone e soffiatele mentre il vento le porta via.
• Cantate a tutto volume (e, possibilmente stonando il più possibile) mente fate un giro in macchina tenendo I finestrini aperti.
• Dipingetevi le unghie con millemila smalti colorati.
• Giocate a chi fa fare più rimbalzi ai sassi lanciati sull’acqua del fiume/lago che c’è nel vostro paese/città.
• Rotolatevi nelle pozze fangose dopo che è piovuto.
• Etc…

Okay, e adesso la cosa più importante: QUANDO STATE FACENDO SHOPPING, NON DOVETE IN ALCUN MODO GUARDARE LA TAGLIA DEI CAPI D’ABBIGLIAMENTO CHE VI PROVATE. Dovete prometterlo alla vostra amica, e MANTENERE la promessa.

Andate a fare shopping per trovare vestiti che vi piacciono e che vi stanno bene addosso, valorizzando gli aspetti positivi del vostro fisico, la taglia che hanno non è importante!

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Attenzione: Amica 

Questa è la tua parte nel piano:

• Sii molto paziente. Ricorda che fare shopping per una persona che ha un DCA è ansiogeno.
• Accompagna la tua amica nel negozio in cui ha scelto di andare a fare acquisti.
• Se la tua amica ha rispettato le sue consegne, dovrebbe prometterti di non guardare le taglie dei capi d’abbigliamento che indosserà, e se è corretta, rispetterà la sua promessa. Ma non preoccuparti se non dovesse farlo, perché ho un piano B che potrai comunque attuare.

PIANO B. Chiedi alla tua amica di darti le spalle dopo che ha scelto un capo d’abbigliamento che le piace, prendi differenti taglie di quel capo d’abbigliamento, e approssimagliele addosso mentre lei ti sta dando le spalle, per capire più o meno quale taglia potrebbe andarle bene.
• Ricordale che i primi capi che deve provare sono quelli che le risultano più ansiogeni. (Prima il dovere, poi il piacere!)
• Nel momento in cui la vostra amica ha scelto, per esempio, il tipo di jeans che le piacciono, prendete diverse taglie di quel tipo di jeans. (Ecco perchè è meglio andare in un negozio grande, dove c’è molto assortimento.)
• Prendete i Post-It che vi eravate portate dietro, e attaccateli sopra l’etichetta dei jeans che riporta la taglia.
• Fate entrare la vostra amica nel camerino di prova, poi passatele i jeans un paio alla volta, facendovi restituire il paio già provato quando le passate il successivo.

MOLTO IMPORTANTE: Il primo paio di jeans che dovete passare alla vostra amica nel camerino di prova è quello con la taglia MAGGIORE! Sarà così più facile per la vostra amica passare ad una taglia inferiore… mentre sarebbe molto frustrante vedere che quel paio di jeans non le sta ed ha bisogno di una taglia più alta.

• Dopo aver scelto i capi d’abbigliamento più ansiogeni, passate alle cose più easy e rilassanti, tipo le scarpe, i cerchietti per capelli, etc…
• Dopo aver completato gli acquisti ed essere uscite dal negozio… tagliate le etichette delle taglie dei capi acquistati. E gettatele via.

Bene, adesso siete pronte per divertirvi andando a soffiare bolle di sapone o rotolandovi in delle meravigliose pozze piene di fango. ^__-

venerdì 22 marzo 2013

Lasciate che ve lo ripeta: i mass-media non causano l'anoressia

Per l’ennesima volta, ho ricevuto un’e-mail da parte di una persona che ha attribuito la colpa della comparsa dei disturbi alimentari soprattutto tra le adolescenti, alla cattiva influenza che i modelli di bellezza associata ad un’eccessiva magrezza proposti dai mass-media avrebbero sulle ragazze.

Io non sono d’accordo, e ne ho già parlato. Ma, visto che ci siamo, ne approfitto per ribadire il concetto, per come la penso io. Mi farebbe piacere se, nei commenti, mi diceste come la vedete voi.

Tutto è cominciato con gli adesivi.

Un pomeriggio del mio terzo ricovero in una clinica specializzata nel trattamento per DCA, durante il gruppo di “Immagine Corporea”, ad ogni ragazza erano stati dati due fogli con degli adesivi, delle riviste per adolescenti e delle fotografie di persone comuni. Su uno dei fogli c’erano adesivi con su scritto: “Questa promuove un’immagine corporea sana!” e con associato uno smile. Gli adesivi sull’altro foglio invece recitavano: “Questa promuove un disturbo alimentare” accompagnati da una faccina triste. Noi ragazze dovevamo associare questi adesivi alle donne delle immagini che avevamo a disposizione. L’idea di base credo fosse quella di far associare il primo foglio di adesivi alle immagini delle donne comuni, e il secondo alle immagini delle modelle pubblicate sulle riviste, al fine di dimostrare come le immagini proposte dalla stampa potessero essere causa del DCA.

Ora, l’idea che le immagini proposte dai mass-media possano spingere le ragazze verso lo sviluppo di un DCA, è un’idea che va decisamente di moda, un’idea che da anni viene propagandata come verità, ma che secondo me non lo è. L’ho sempre pensato, anche ovviamente sulla base della mia esperienza personale. Nel pomeriggio di cui vi parlavo, mi rifiutai di eseguire il compito proposto dalla psicoterapeuta. Le dissi che non era realistico, perché io credo che tutte sappiano che la stragrande maggioranza delle fotografie di modelle è fotoritoccata, e che i loro corpi – i loro corpi reali, voglio dire – non sono così “perfetti” come vengono ritratti sulle pagine patinate delle riviste.

Nei miei lunghi anni in cui sono stata nel pieno dell’anoressia, fortunatamente non ho comunque sofferto di dismorfofobia, quindi vedevo benissimo che ero così magra da essere arrivata ben oltre la definizione sociale e mediatica di “magrezza”. Ma non l’ho mai fatto per imitare le modelle, che non mi hanno benché minimamente influenzata – sono sempre stata una sportiva piuttosto che una fashionist – anzi, ero perfettamente cosciente del fatto che, quando pesavo XX chili, ero tutt’altro che attraente… ma non m’importava. Pur riconoscendo che così magra ero pure più brutta del solito, avevo comunque bisogno di continuare a restringere l’alimentazione perché questo mi faceva sentire in controllo. E quel controllo per me era tutto, era l’unica cosa che mi appagava, l’unica cosa che mi faceva sentire forte e completamente soddisfatta di me stessa, quindi per me era necessario portarlo avanti a tutti i costi, per le sensazioni positive che lì per lì mi faceva provare. L’idea di voler somigliare alle modelle non mi è mai passata neanche per l’anticamera del cervello.

Tuttavia, è facile comprendere come la maggior parte della gente pensi che i mass-media, la società odierna e le modelle possano causare un disturbo alimentare. Il timore di ingrassare penso sia comune anche alle persone che non hanno un DCA. E tutte le persone sono bombardate dai messaggi mediatici. Ecco che, se in una persona che non sviluppa comunque un disturbo alimentare, certi input fanno venire comunque il timore di prendere peso, è facile pensare che su altri soggetti più vulnerabili questi stessi stimoli possano provocare un DCA.

Ma non è così. E lo dimostrano anche degli studi scientifici che hanno proprio valutato l’assenza di connessione tra mass-media e anoressia. Uno studio pubblicato nell’ “American Journal Of Psychiatry” ha rivelato che circa l’85% delle ragioni per cui, giusto per dire, io mi sono ammalata di anoressia e la mia migliore amica no, è attribuibile al proprio background di vita individuale. Uno studio di follow-up pubblicato in “Archives Of Psychiatry” mostra che solo il 2% di questa differenza di rischio tra me e la mia migliore amica è attribuibile all’influenza dei mass-media e ai modelli proposti dalla società odierna. Questi studi confermano l’idea che i DCA siano malattie assolutamente multifattoriali e composite, che dipendono da fattori completamente individuali e variabili da persona a persona. Studi scientifici alla mano, dunque, nel causare l’anoressia il background individuale schiaccia alla stragrande l’influenza dei mass-media.

Dunque, qual è il problema? Perché è così importante individuare cosa realmente possa causare un DCA, lasciando perdere i luoghi comuni sull’influenza dei mass-media? Innanzitutto, perché l’erronea idea che i DCA possano essere provocati dalle immagini di donne trasmesse dai mass-media, fa sì che l’attenzione venga focalizzata solo sui soggetti che si ritengono a rischio sulla base di questo criterio, ovvero le ragazze adolescenti e basta. Gli uomini, le bambine, le donne adulte… bè, anche loro possono soffrire di DCA. Ma poiché non sono ragazze adolescenti, i loro sintomi sono frequentemente presi sotto gamba, ignorati, tanto dai familiari e dagli amici, quanto addirittura talora dai medici. Inoltre, il luogo comune che i DCA siano provocati dall’influenza dei mass-media, è deleterio anche perché svaluta la serietà di queste malattie. Se la gente pensa che i DCA siano solo capricci di bambine vanitose che si lasciano influenzare troppo dalle foto delle modelle, questi difficilmente saranno considerati per quello che sono veramente, ovvero serie malattie, e ci sarà una minore tendenza a pensare che chi ha un DCA abbia bisogno d’aiuto professionale, e una maggiore tendenza a incolpare chi ha un DCA della sua stessa malattia.
No, dobbiamo svincolarci da questi preconcetti. E far capire alla gente che anche le il riacquisire un regime alimentare regolare è di fondamentale importanza per percorrere la strada del ricovero, riuscire a mangiare un pasto normale non ci guarirà.

Da quando ho cominciato a scrivere su questo blog, raccontando la mia storia di anoressia, molte ragazze e donne mi hanno contattata – vuoi tramite blog, vuoi tramite e-mail – alcune dicendomi che vivevano anche loro un DCA e quindi sapevano di cosa stavo parlando, altre invece dicendomi che mi capivano perché anche loro avevano chiesto di tanto in tanto ai loro fidanzati/mariti se non avessero qualche chilo di troppo. Ora, comparare un’insoddisfazione nei confronti della propria fisicità ad un vero e proprio disturbo alimentare è come comparare un graffio ad un’amputazione. Fino a che l’idea che la fa da padrona è quella che i mass-media possono provocare un DCA, per chi non ha vissuto queste malattie sulla propria pelle è facile confondere l’insoddisfazione per il proprio peso con un disturbo alimentare. Ma sono decisamente due cose completamente diverse.

Certo, i mass-media giocano un ruolo importante rispetto ai DCA… ma non quello che si potrebbe comunemente pensare. I mass-media, infatti, hanno un profondo impatto su quello che la gente che non ha mai vissuto un DCA pensa a proposito dei DCA stessi. Nella maggior parte dei casi, sono proprio i mass-media ad auto-attribuirsi il ruolo di causa scatenante dei DCA (quanti servizi televisivi vi siete sorbite, in cui si diceva appunto che i disturbi alimentari son dovuti ai modelli irraggiungibili di donna proposti da TV e riviste??!), e questo perpetua nelle persone che sono “esterne” alla problematica l’idea che i DCA siano una moda, un capriccio, che non siano malattie serie, e che se le ragazze che ne sono affette non fossero così infantili, superficiali ed influenzabili, non ne soffrirebbero.

Vorrei solo aggiungere che anoressia e bulimia sono delle vere e proprie malattie serie, come riportato sul DSM–IV, che hanno un tasso di mortalità stimato pari al 20%. Pertanto, prima riusciremo a rimuovere l’erroneo luogo comunque relativo al fatto che i mass-media sono la principale causa di DCA, potremo focalizzare tutte le energie nello sviluppare trattamenti effettivamente efficaci nei confronti degli stessi.

venerdì 15 marzo 2013

Esattamente, se siete sovrappeso, a quale peso siete sopra?

Non mi sono mai piaciuti i termini “sovrappeso” e “sottopeso”, o per lo meno non mi è mai piaciuto il modo in cui questi termini vengono utilizzati da un punto di vista medico per parlare di persone che hanno un disturbo alimentare, ma per molto tempo non avrei saputo indicare a dito il motivo per cui queste due parole mi facessero tanta antipatia. Certo, in parte questi due termini non mi sono mai andati a genio perché sono fortemente giudicanti – se il tuo peso non è “normale”, allora sta facendo qualcosa di sbagliato, e il Dottor Camicebianco ti dirà come risolvere il problema. In un certo senso è per questo, ma non è tutto.

Ultimamente, però, ho capito a pieno perchè queste due parole non mi piacciono affatto.

Sottopeso e Sovrappeso sono termini in effetti relativi, eppure molti professionisti del settore medico li utilizzano come se fossero degli assoluti.

Cosa diamine sto cercando di dire? In questo momento, mentre scrivo al computer, sono seduta sopra una sedia, e sotto il tetto della mia casa. Se prendessi la sedia e salissi sul tetto, sarei seduta sopra la sedia e sopra il tetto. Se la sedia avesse delle gambe molto lunghe e io fossi una sorta di contorsionista, potrei mettermi a scrivere sotto la sedia che sarebbe a sua volta sotto il tetto. Basilarmente, “sopra” e “sotto” descrivono semplicemente una posizione relativa a qualcos’altro. 

Ma certo, cose come “il range di peso normale” potrebbero essere un qualcosa cui fare un raffronto. E questo sarebbe un utilizzo adeguato dei termini… se effettivamente venissero utilizzati in questo modo (e se “il range di peso normale” riuscire a includere in maniera un po’ migliore tutti gli aspetti della salute di un individuo). Il vostro attuale B.M.I. è inferiore/superiore a quello della media della popolazione. Il problema della “media della popolazione” è che non si tratta di misure individuali. La “media della popolazione” ci dice meramente che, su millemila persone valutate, la maggior parte di esse sono in salute quando il loro B.M.I. è compreso tra X e Y. Quello che X e Y dovrebbero essere esattamente e a tutt’oggi oggetto di dibattito nella comunità medica, ma i valori precisi non sono importanti ai fini di quel che voglio dire.

Non ho alcun problema riguardo la creazione e l’utilizzo di una misura che stima la “media della popolazione”. Ho invece ENORMI problemi riguardo a come questi range che rispecchiano la media della popolazione vengono utilizzati per determinare lo stato di salute del singolo individuo.

Immaginate di andare da un medico (o da un dietista), che vi dice che siete “sovrappeso”. Questo significa, ipso facto, che non siete in salute, che mangiate troppo e male, e che dovete assolutamente perdere peso o morirete di una di quelle terribili malattie legate all’obesità.

Avete mai pensato che, in realtà, quando un medico o un dietista vi dice che siete “sovrappeso”, lo siete semplicemente rispetto alla “media della popolazione”??!

Ergo, la domanda cui rispondere è: esattamente, se siete sovrappeso, a quale peso siete sopra? 

Certo, se avete un binge eating disorder e non v'importa niente di averlo, se siete completamente sedentarie, se avete del velcro sui vostri pantaloni che vi tiene incollate al sofà su cui vi sedate, e non fate assolutamente niente per tutto il giorno salvo guardare la TV, allora effettivamente avreste bisogno di cambiare un po’ il vostro stile di vita per migliorare la vostra salute. Ma se state combattendo attivamente contro il vostro DCA, quale che sia, se state seguendo correttamente l’ “equilibrio alimentare” che vi ha prescritto la vostra dietista senza restringere l’alimentazione o provocarvi il vomito, se cercate di fare attività fisica ma non più in maniera eccessiva, se avete il ciclo e, tutto sommato, le vostre condizioni di salute sono buone, allora lasciate che ve lo chieda di nuovo: se siete sovrappeso, a quale peso siete sopra? Potreste essere sovrappeso rispetto alla media della popolazione, ma questo peso potrebbe comunque essere PER VOI un peso assolutamente salutare.

E anche se non siete ancora arrivate fin qui. Anche se la vostra salute non si è ancora del tutto ripristinata, anche se il DCA minaccia ancora di avere la meglio su di voi, non per questo meritate di essere giudicate ed etichettate da nessuno, né dai medici, né dai dietisti, né dagli infermieri, né dalla gente, né da nessun altro. Perché solo voi sapete meglio di chiunque altro cosa significhi vivere la vostra vita, e che momento state attraversando.

La correlazione che più precisamente c’è tra quanto ho appena scritto e i DCA – l’anoressia in particolare – è che un B.M.I. pari a 18 viene normalmente considerato come una sorta di numero magico. Solo se superate questo magico B.M.I. non siete più considerate sottopeso e, dunque, come pensa la maggior parte della gente che non ha mai avuto l’anoressia, se avete risolto il vostro problema di peso, allora vuol dire che siete guarite e non avete più bisogno d’aiuto. Naturalmente, chi vive l’anoressia sulla propria pelle sa che riprendere peso non equivale a guarire, anzi, che la malattia si gioca fondamentalmente sul piano mentale, e che quindi si può essere ancora legate all’anoressia quale che sia il proprio peso… ma vallo a dire a chi non l’ha mai vissuta! La maggior parte della gente continuerà a pensare che è solo un problema di alimentazione, e che quindi basta riprendere il peso perso per guarire.

(Tra parentesi, lo sapevate che negli Stati Uniti d’America, dove la sanità non è pubblica come qua in Italia, bensì privata, le assicurazioni sanitarie pagano le cure delle pazienti con un DCA soltanto fino a che il loro B.M.I. è inferiore a 18 o superiore a 25?!!... Come se, rientrando in questo range di B.M.I., la persona fosse guarita… Se non è assurdo questo…)

Alcune ragazze, che ho conosciuto tramite questo blog e con le quali mi tengo in contatto anche via e-mail, mi hanno riferito che gli è stato detto che non avrebbero avuto bisogno di prendere ulteriore peso nel momento in cui il loro B.M.I. fosse arrivato a 18. Perché? Perché non sarebbero più state sottopeso. Da qui l’assunto: se il vostro peso è normale, il vostro DCA è risolto.

Il problema è che soltanto una ristretta fascia della popolazione ha un B.M.I. che, fisiologicamente, sta intorno al 18. Anche se chiunque è tecnicamente nella media della popolazione quando raggiunge un B.M.I. pari a 18, ci sono persone che con un B.M.I. di 18 sono comunque sottopeso rispetto a quello che è il LORO PROPRIO standard fisiologico, il loro set-point di peso ottimale.

Il problema è, di nuovo, che la parola “sottopeso” viene considerata come una misura assoluta. Una persona può essere ad un peso normale rispetto alla media della popolazione, ma questo peso può comunque essere non salutare per quella stessa persona, perché non coincide con il suo set-point.

Il proprio set-point corrisponde a quel peso che, una volta raggiuntolo, quel che si mangia non ha alcun effetto su quanto si pesa. Questa frase manda un po’ in confusione, non è vero? Mi spiego meglio. Chiaramente se una persona restringe continuativamente l’alimentazione, perde peso. E chiaramente se poi ha una ri-alimentazione, riprende peso. La chiave per capire la frase che prima ho scritto, si ha aggiungendo una chiarificazione fondamentale: una volta che si è al proprio set-point di peso ottimale, quanto si mangia non ha assolutamente nessun effetto su quanto si pesa. Se ci si trova sotto o sopra il proprio set-point di peso ottimale allora il corpo lavorerà davvero duramente per far tornare a quel set-point. Ergo, se una persona è sottopeso causa anoressia, è possibile stabilire che è ritornata al proprio set-point di peso quando, a prescindere da quello che mangia, il suo peso continua ad oscillare intorno ad un certo numero, ma non sale più come invece ha fatto sino a quel momento. Vale anche il viceversa, ovviamente: se una persona con problemi di binge che l’hanno portata a prendere peso, comincia a togliere le abbuffate e a rialimentarsi regolarmente, comincerà a perdere progressivamente peso fino a che non avrà raggiunto il suo set-point, dopodichè tenderà a rimanere su quei valori.
Ultima precisazione: il set-point di peso ottimale è determinato geneticamente… per questo trovo assurdo valutare la “normalità” o meno del peso del singolo sulla base del B.M.I.

Penso che ci sia bisogno di smetterla di utilizzare parole come “sottopeso” e “sovrappeso” come se si parlasse di magiche misure assolute, e viceversa valutare il sovrappeso/sottopeso come relativo ad ogni singolo individuo. Ci sono persone biologicamente molto magre, che non hanno nessun disturbo alimentare, e che sono in salute anche ad un B.M.I. inferiore a 18. Ci sono persone che sono a posto quando il loro B.M.I. è intorno a 18 – 20. Ci sono persone che stanno bene quando il loro B.M.I. sta tra 22 e 24 E ci sono persone che per essere in salute hanno bisogno di stare ad un B.M.I. intorno a 25 – 27. Dipende tutto dal DNA.

Penso che, in linea generale, si migliorerebbe la salute di un sacco di persone (e, nella fattispecie, quella di chi ha un DCA) smettendola di dire che esiste un range di peso superato il quale si è necessariamente sovrappeso o sottopeso, ed iniziare a prendere queste due misure come relative non alla massa, bensì al singolo individuo.

venerdì 8 marzo 2013

La verità sulla strada del ricovero

Okay, riconosco che il titolo di questo post è un po’ presuntuoso. Avrei dovuto scrivere “La MIA verità sulla strada del ricovero”, perché è ovvio che quello che penso, che deriva dalla mia esperienza personale, non può avere valenza universale.
Ma, del resto, ogni qualsiasi post presente su ogni qualsiasi blog, essendo stato scritto dalla propria autrice, riflette la soggettività della stessa, e quindi ecco che, necessariamente, queste sono le mie verità.

1) Non si possono fare molti passi avanti sulla strada del ricovero dall’anoressia, se non si recupera un peso decente (non mi riferisco meramente al B.M.I., mi riferisco ad uno standard soggettivo basato sulla corporatura di ognuna), lo si mantiene, e se non si arriva a raggiungere un buono stato di salute fisica. Questo significa seguire un “equilibrio alimentare” prescritto da una dietista/nutrizionista, o comunque un’alimentazione bilanciata, corretta, ricca di tutti i nutrienti, quantitativamente adeguata alle necessità. E questo, a prescindere dal proprio peso. In alcuni casi, il recupero di un po’ del peso può essere ottenuto anche con una dieta da 1200 – 1500 calorie al giorno, e continuando a fare sport. Molte ragazze pensano che questo sia sufficiente, e pensano di poter andare avanti così perché questo sembra andar bene e non è troppo ansiogeno, ritenendo così di aver già raggiunto un buon punto nel percorso di ricovero. Ma lasciate che vi spieghi un attimo il processo metabolico sotteso. Seguire una dieta da 1200 – 1500 calorie al giorno significa seguire una dieta che ha, in realtà, un contenuto calorico decisamente basso rispetto a quello che sarebbe necessario per soddisfare il fabbisogno giornaliero delle ragazze o delle donne adulte. Ergo, per compensare, l’organismo abbassa il proprio metabolismo, il che comporta: A) l’accumulo di ogni singola caloria possibile sotto forma di lipidi, con aumento della sola massa grassa, e B) l’autocannibalismo: il corpo supplisce alla carenza di nutrienti apportati con l’alimentazione “mangiando” i propri muscoli ed organi per permettere al cuore di continuare a pompare sangue. Quindi, la situazione è: un peso vagamente accettabile sebbene sempre piuttosto basso, ottenuto a spese dei vostri muscoli, delle vostre ossa, dei vostri organi interni, con il mantenimento di un elevato rischio di morte per infarto (perché, bè, anche il cuore è un muscolo, quindi prima o poi anche lui viene “auto-mangiato”…). Vorrei sottolineare che 2 persone su 3 affette da anoressia muoiono in conseguenza della stessa anche se sono riuscite a recuperare qualche chilo rispetto al loro peso minimo raggiunto, e anche se questo recupero ha portato ad un peso vagamente accettabile.

2) Non si può percorrere efficacemente la strada del ricovero se si continua a fare attività fisica in maniera eccessiva, anche se si incrementa il quantitativo di cibo mangiato per far fronte alle calorie in più bruciate con detta attività fisica. (E questa non è una mia opinione, è un dato di fatto e, se la cosa potesse interessarvi, sono pronta a linkarvi diversi studi scientifici in cui si dimostra ciò.) Questo perché l’attività fisica avverte l’organismo che si sta utilizzando un quantitativo più elevato di calorie, e il corpo risponde, come ho già detto al punto 1, abbassando il metabolismo. E si ritorna a quello che ho scritto sopra: viene incrementato l’introito calorico, si riprende qualche chilo, viene fatta attività fisica (anche se magari non più in maniera compulsiva) e sembra che le cose vadano meglio, quando in realtà l’organismo si sta compromettendo dall’interno. Okay, mi direte voi, faccio attività fisica, ma mangio anche di più, quindi faccio pari. Eh no, non funziona così. Il nostro corpo è molto attivo quando si ha l’anoressia: cerca di concentrare le poche calorie fornitegli nelle sedi più critiche ad un solo scopo: far continuare le pulsazioni cardiache. Quando si fa attività fisica, si causa un danno minore alla muscolatura, che viene successivamente riparata dall’organismo (questo è il modo in cui gli atleti, allenandosi, incrementano la loro massa muscolare), organismo che allo stesso tempo sta cercando di tenersi in vita. Tra l’altro, spiegatemi come fate a capire esattamente quante calorie vi ci vogliono per compensare quella precisa quantità di attività fisica che fate. Il nostro corpo funziona in maniera molto più complessa di una semplice equivalenza tra calorie (che, tra l’altro, hanno “valore” differente in funzione del tipo di cibo che le fornisce), soprattutto quando, con l’anoressia, è impegnato a cercare di fare diverse cose contemporaneamente per mantenersi in vita.

3) Non è possibile decidere personalmente e a priori quale è il proprio “peso ideale”. Non lo può decidere neanche un calcolo matematico, un grafico di relazione peso/altezza, né un B.M.I., nè un medico. Questo è territorio esclusivo del proprio corpo: esso sa da solo qual è il proprio set point genetico di peso, e continuerà a usare le calorie che s’ingerisce e a “auto-fagocitarsi” fino a che non avrà raggiunto il set point riparando tutti i danni interni. Fino a che una persona decide arbitrariamente quale debba essere il proprio set point, e cerca di mangiare e di fare attività fisica per mantenere il suo peso attorno a quel valore, la sua testa in realtà continua ad essere dominata dall’anoressia, e il suo corpo continua a subire danni che possono accorciare l’aspettativa di vita anche di 20 anni. Una cosa importante per percorrere la strada del ricovero, infatti, ritengo sia lo smettere di applicare processi intellettuali a funzioni biologiche.

4) Non esiste nel DNA un “gene-anoressia”, ma penso possa esistere una predisposizione, una propensione a sviluppare l’anoressia, che si concretizza quando l’individuo viene in contatto con eventi che ne provocano l’innesco. Una volta che il grilletto viene premuto, non si può fermare la pallottola. Quale che sia l’evento che funge da detonatore determinando la comparsa dell’anoressia, l’amigdala identifica erroneamente il cibo come una fonte di ansia, e il cervello riceve un segnale che dice: “Devi restringere l’alimentazione!!”. Il corpo ovviamente non è d’accordo, quindi invia al cervello segnali che dicono: “Ho necessità di mangiare ADESSO”. Sfortunatamente, tanto l’amigdala quanto il corpo parlano un linguaggio non-verbale, perciò è impossibile parlare con essi giungendo ad un compromesso accettabile. Per cui, quando i lobi frontali si trovano a dover far fronte ad una divergenza tra i segnali che giungono dall’amigdala e quelli che giungono dal corpo, forse arrivano ad un’ovvia conclusione: c’è bisogno di perdere (ancora) peso. Quando restringo l’alimentazione mi sembra di poter controllare tutto, così non ho più ansie, mi sento forte, mi sento soddisfatta, sono fiera di me. Devo continuare così perché il controllo è la chiave di tutto. È così che si sviluppa la distorsione più caratteristica dell’anoressia, che poi si può accompagnare alla concomitante presenza di altre patologie psichiatriche: DOC, disturbo di personalità borderline, disturbo di ansia generalizzata, giusto per elencare le più frequenti comorbidità. Alcuni di essi sono conseguenti al DCA, e possono essere opportunamente trattati, ma i farmaci che agiscono su queste condizioni sono scarsamente efficaci su un organismo denutrito. Per cui, l’organismo non risponde al trattamento per le suddette malattie psichiatriche fino a che non viene recuperato un peso decente, e talvolta sono queste stesse malattie psichiatriche ad incrementare le difficoltà connesse al riprendere peso… insomma, un serpente che si morde la coda.

5) La psicoterapia non è poi molto produttiva né efficace finché il peso è ai minimi storici e non ci alimentiamo adeguatamente. Il cervello costituisce circa il 4% del peso corporeo, e utilizza circa il 20% di tutta l’energia fornita al corpo stesso. Affamare il proprio corpo significa affamare il proprio cervello. Per rendere una psicoterapia produttiva e funzionale è necessario che tutti i processi cognitivi si svolgano in maniera adeguata. Sfortunatamente, il riprendere peso comporta il vedere accrescere i propri livelli di ansia conseguenti alla sensazione di perdita di controllo, ma quello che si può fare è lavorarci su grazie alla psicoterapia stessa e cercare d’imparare altre strategie di coping diverse dalla restrizione alimentare, e questo è tanto più efficace quanto più l’alimentazione è adeguata alle necessità. So benissimo che sembra più facile continuare a restringere l’alimentazione perchè i livelli di ansia si abbassano immediatamente, essendo la sensazione di controllo preponderante, ma in realtà quell’ansia c’è sempre, la si sta solo nascondendo dietro un comportamento malato. Per questo è importante imparare, tramite la psicoterapia, a gestirla in altro modo… ed ecco perché penso che la psicoterapia (oltre che l’essere seguire da una dietista, ovviamente) sia molto importante nel percorrere la strada del ricovero.

6) Nella stragrande maggioranza dei casi, l’anoressia ha un decorso “ciclico”: ci sono momenti di remissione, in cui il peso torna ad essere accettabile e spariscono i soliti pensieri ossessivi, e momenti di ricaduta. Anche nel migliore dei casi, si rimane comunque sempre vulnerabili alle insidie dell’anoressia. Una ricaduta può iniziare in maniera subdola, una colazione saltata, un pranzo ridotto, un po’ più di attività fisica, o cose del genere. Ma nel momento in cui l’evento si verifica, si ri-stimola l’amigdala che ricomincia a mandare messaggi erronei al cervello. Il momento giusto per imparare e mettere in pratica le strategie che ci consentano di combattere la ricaduta è il momento in cui si sta fisicamente e mentalmente meglio, in cui si ha perciò maggiore lucidità, NON quando si è già ricominciata la lenta (o rapida) discesa nell’anoressia, discesa che, una volta o l’altra, potrebbe anche essere l’ultima.

venerdì 1 marzo 2013

Azioni da ricovero, pensieri da ricovero

Ho letto su un blog un post che parla di come azioni da ricovero conducano a pensieri da ricovero. Ovvero, come anche il solo cominciare a combattere contro l’anoressia, possa favorire la comparsa di pensieri combattivi nei confronti dell’anoressia stessa.

Io sono molto d’accordo con ciò. Questo, secondo me, è infatti uno dei più grandi misconcetti inerenti i DCA: molte persone che hanno un DCA pensano che nel momento in cui saranno riuscite a capire il motivo/i motivi per cui si sono ammalate, il perché tengono un comportamento alimentare erroneo, allora saranno in grado di smetterla. C’è del vero in questo, certo. Ci piace pensare di essere persone logiche e razionali e, in virtù di ciò, nel momento in cui ci rendessimo conto di cosa sta veramente alla base del nostro DCA, ne usciremmo completamente.

Qualcuna di voi ha visto il film “I segreti di Brokeback Mountain”? Ricordate la scena del “Non posso fare a meno di te”?

Ecco, vale un po’ la stessa cosa per l’anoressia.

I DCA non sono logici e razionali. La porzione del cervello che veicola l’ansia e le compulsioni per sedarla viaggia più veloce della cognizione conscia. Ci sono alcuni millisecondi di scarto: per il Tempo del Cervello, è un sacco di tempo. Perciò, anche quando la parte conscia del nostro cervello è consapevole che il DCA non è esattamente quello che ci porterà dove avremmo voluto arrivare, rimaniamo comunque attaccati ad esso. La risposta dell’anoressia è una risposta istintiva, riflessa. Ciò non significa, ovviamente, che non abbiamo assolutamente nessun controllo su quali siano i nostri comportamenti alimentari, ciò non è certo vero, però certi pattern comportamentali diventano talmente radicati, connaturati, che il pensiero razionale non riesce mai a cancellarli del tutto.

La cosa più difficile non è tanto cambiare il nostro comportamento nei confronti dell’alimentazione, quanto cambiare i nostri pensieri nei confronti di noi stesse. Nel momento in cui ci forziamo a non avere più comportamenti malati nei confronti del cibo, e manteniamo questa linea, poco a poco le ossessioni si attenuano. Più ci comportiamo come persone che stanno combattendo l’anoressia, più iniziamo a pensare come persone che stanno combattendo l’anoressia.

Ciò non significa ovviamente che tutti i pensieri indotti dal DCA spariscano – perchè non spariscono in toto, in effetti – ma che, a forza di applicarli, anche i comportamenti che ci aiutano a combattere contro l’anoressia diventano più istintivi, riflessi.

Se c’è una frase che ritengo perciò sia utile ripetere come nostro mantra conscio, è senz’altro quella che riecheggia il titolo di questo post: azioni da ricovero conducono a pensieri da ricovero.
 
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