venerdì 12 ottobre 2012
L'anoressia vista dall'esterno
(ovvero: perchè scrivo sempre che chi non ha vissuto l'anoressia sulla propria pelle non la può capire.)
L’altro giorno ho letto un articolo che ho trovato su Inernet, a proposito degli studi svolti da V.S. Ramachandran e, nella fattispecie, si parlava della teoria della mente. Quel che vi ho trovato scritto mi ha fatto pensare a come le persone che non hanno l’anoressia/la bulimia (e, anche quelle che ce l’hanno, ovviamente) provano a comprendere l’affezione di un’altra persona.
Teoria della mente è il termine neurologico per indicare come si può provare a capire che cosa qualcun altro sta pensando. O, per dirla citando Wikipedia:
"La teoria della mente è l’abilità di attribuire stati mentali – credenze, intenti, desideri,ragionamenti, conoscienze, etc – a se stessi e agli altri, e capire che gli altri hanno credenze, desideri e intenzioni che sono differenti dalle proprie."
Se vedete qualcuno che sta cercando un bicchiere d’acqua, sicuramente penserete che quella persona ha sete. Dopotutto, è questa la principale motivazione per cui anche voi cerchereste un bicchiere d’acqua: perché siete assetate. Il bicchiere è un contenitore, l’acqua è un qualcosa da bere che disseta… Ta-dah! E non c’è bisogno che voi in quel momento abbiate sete per comprendere che qualcun altro può averla.
Cruciale per capire le motivazioni di qualcun altro, è il comprendere le proprie. Noi sappiamo cos’è la sete, sappiamo che l’acqua la fa passare, sappiamo che per ottenere questo risultato è necessario portare il bicchiere alle labbra e deglutirne il contenuto.
Dunque, vi starete chiedendo, ma tutto questo cos’ha a che fare con l’anoressia? Ebbene, la maggior parte delle ricerche che correlano i DCA con la teoria della mente sono relative ad eventuali deficit che le persone affette da anoressia o bulimia potrebbero avere in merito alle aree cerebrali che si occupano della comprensione. Uno studio condotto nel 2010, per esempio, ha evidenziato che le donne affette da anoressia avevano difficoltà a comprendere le emozioni altrui, il che è un aspetto della teoria della mente. Le donne affette da bulimia, invece, si mettevano più facilmente in sintonia con le emozioni altrui… ma solo se si trattava di emozioni negative.
Tutto ciò è certamente interessante, ma ancora non ci dice in che modo chi non ha mai vissuto un DCA possa comprendere cosa significhi averne uno. Non so se è mai stata fatta una ricerca mirata a tal riguardo, o come si potrebbe peraltro anche solo provare a misurare il grado di empatia di una persona comune nei confronti di una affetta da anoressia o bulimia. Ma fondamentale per comprendere le esperienze di chiunque, di qualsiasi cosa, è la teoria della mente.
Immaginate questo: qualcuna delle vostre colleghe di lavoro (o delle vostre compagne di classe) ha smesso di mangiare a pranzo un panino, e lo ha sostituito con un’insalata. Questa persona dice di voler perdere qualche chilo. Per una persona che non ha un DCA, questo significa semplicemente che la sua collega (o compagna di classe) si è messa a dieta per un po’. Come un sacco di gente a questo mondo, la vostra collega vuole essere più magra. Tuttavia, può accadere che, a differenza di quello che fanno la maggior parte delle persone, la “dieta” della vostra collega non s’interrompe quando lei perde qualche chilo. Va avanti e avanti, e lei continua a mangiare solo insalate anche quando è in evidente sottopeso. Così la persona che non ha un DCA immagina che la sua collega possa essere anoressica.
L’unico modo che ha a disposizione una persona che non ha vissuto un DCA per capire l’anoressia è fare riferimento alla propria esperienza. Molte persone, nel corso della propria vita, hanno seguito per un po’ delle diete. Si sono sottoposte spesso a controlli ponderali, si sono guardate e riguardate alle specchio, hanno provato vestiti di taglie diverse. L’anoressia è certamente molto più mentale, meno basata sulla fisicità, e sicuramente molto più estrema, ma la maggior parte della gente non ha mai trovato un piatto di spaghetti più ansiogeno di un piatto di serpenti vivi. Per cui, chi non ha vissuto un DCA conosce solo il classico “fare la dieta per un po’”, e questo è il loro unico punto di riferimento.
Questo, purtroppo, può essere “pericoloso” nel momento in cui una persona che non ha un DCA va a relazionarsi con una persona che invece ce l’ha. “Pericoloso” sotto più punti di vista: 1) Le persone credono di sapere cosa voglia dire avere un DCA solo perché hanno fatto qualche dieta e 2) l’anoressia viene percepita dagli altri semplicemente come il desiderio di dimagrire che viene portato troppo all’estremo. Certo, esistono persone che cadono in un DCA perché sono effettivamente sovrappeso, e il seguire una dieta gli prende troppo la mano, ma queste persone sono la minoranza. Per lo più, le persone che sviluppano un DCA non hanno, originariamente, problemi di peso, e la perdita di peso non è veramente il fattore motivante. Ciò che sottende un DCA è infatti il bisogno di controllo, la necessità di trovare una strategia di coping per tenere a bada l’ansia, il crearsi una “coperta di Linus” che possa momentaneamente celare tutti gli altri problemi della vita, il bisogno di sentirsi forti nell’autocontrollo più completo.
Provate a spiegare ad una persona che non ha mai avuto un DCA cosa sia la vostra anoressia. Provate a spiegargli quello che vi passa per la mente. Tutti capiranno il bisogno di dimagrire, perché è un qualcosa che in molti hanno provato sulla propria pelle. Anche se la motivazione che spinge a dimagrire è nei due casi differente, la sensazione provata è la stessa. Ma nessuno che non l’abbia vissuto può capire i sentimenti. E nessuno che l’ha vissuto può mettere in parole, esattamente, quelli che sono i propri sentimenti, e spiegare come la soppressione dell’ansia e la necessità di controllo siano il leit-motive dell’anoressia. Perché a un certo punto l’empatia non basta: si capisce veramente solo quello che si è vissuto.
In ogni caso… cosa ne pensate? Le persone che vi stanno intorno hanno difficoltà a comprendere il vostro DCA? Vi è capitato di provare a spiegarlo a qualcuno? Vi è sembrato che quelle persone dopo le vostre spiegazioni avessero un’idea più realistica, rispetto al solito stereotipo proposto dai media, di quella che è l’anoressia?
L’altro giorno ho letto un articolo che ho trovato su Inernet, a proposito degli studi svolti da V.S. Ramachandran e, nella fattispecie, si parlava della teoria della mente. Quel che vi ho trovato scritto mi ha fatto pensare a come le persone che non hanno l’anoressia/la bulimia (e, anche quelle che ce l’hanno, ovviamente) provano a comprendere l’affezione di un’altra persona.
Teoria della mente è il termine neurologico per indicare come si può provare a capire che cosa qualcun altro sta pensando. O, per dirla citando Wikipedia:
"La teoria della mente è l’abilità di attribuire stati mentali – credenze, intenti, desideri,ragionamenti, conoscienze, etc – a se stessi e agli altri, e capire che gli altri hanno credenze, desideri e intenzioni che sono differenti dalle proprie."
Se vedete qualcuno che sta cercando un bicchiere d’acqua, sicuramente penserete che quella persona ha sete. Dopotutto, è questa la principale motivazione per cui anche voi cerchereste un bicchiere d’acqua: perché siete assetate. Il bicchiere è un contenitore, l’acqua è un qualcosa da bere che disseta… Ta-dah! E non c’è bisogno che voi in quel momento abbiate sete per comprendere che qualcun altro può averla.
Cruciale per capire le motivazioni di qualcun altro, è il comprendere le proprie. Noi sappiamo cos’è la sete, sappiamo che l’acqua la fa passare, sappiamo che per ottenere questo risultato è necessario portare il bicchiere alle labbra e deglutirne il contenuto.
Dunque, vi starete chiedendo, ma tutto questo cos’ha a che fare con l’anoressia? Ebbene, la maggior parte delle ricerche che correlano i DCA con la teoria della mente sono relative ad eventuali deficit che le persone affette da anoressia o bulimia potrebbero avere in merito alle aree cerebrali che si occupano della comprensione. Uno studio condotto nel 2010, per esempio, ha evidenziato che le donne affette da anoressia avevano difficoltà a comprendere le emozioni altrui, il che è un aspetto della teoria della mente. Le donne affette da bulimia, invece, si mettevano più facilmente in sintonia con le emozioni altrui… ma solo se si trattava di emozioni negative.
Tutto ciò è certamente interessante, ma ancora non ci dice in che modo chi non ha mai vissuto un DCA possa comprendere cosa significhi averne uno. Non so se è mai stata fatta una ricerca mirata a tal riguardo, o come si potrebbe peraltro anche solo provare a misurare il grado di empatia di una persona comune nei confronti di una affetta da anoressia o bulimia. Ma fondamentale per comprendere le esperienze di chiunque, di qualsiasi cosa, è la teoria della mente.
Immaginate questo: qualcuna delle vostre colleghe di lavoro (o delle vostre compagne di classe) ha smesso di mangiare a pranzo un panino, e lo ha sostituito con un’insalata. Questa persona dice di voler perdere qualche chilo. Per una persona che non ha un DCA, questo significa semplicemente che la sua collega (o compagna di classe) si è messa a dieta per un po’. Come un sacco di gente a questo mondo, la vostra collega vuole essere più magra. Tuttavia, può accadere che, a differenza di quello che fanno la maggior parte delle persone, la “dieta” della vostra collega non s’interrompe quando lei perde qualche chilo. Va avanti e avanti, e lei continua a mangiare solo insalate anche quando è in evidente sottopeso. Così la persona che non ha un DCA immagina che la sua collega possa essere anoressica.
L’unico modo che ha a disposizione una persona che non ha vissuto un DCA per capire l’anoressia è fare riferimento alla propria esperienza. Molte persone, nel corso della propria vita, hanno seguito per un po’ delle diete. Si sono sottoposte spesso a controlli ponderali, si sono guardate e riguardate alle specchio, hanno provato vestiti di taglie diverse. L’anoressia è certamente molto più mentale, meno basata sulla fisicità, e sicuramente molto più estrema, ma la maggior parte della gente non ha mai trovato un piatto di spaghetti più ansiogeno di un piatto di serpenti vivi. Per cui, chi non ha vissuto un DCA conosce solo il classico “fare la dieta per un po’”, e questo è il loro unico punto di riferimento.
Questo, purtroppo, può essere “pericoloso” nel momento in cui una persona che non ha un DCA va a relazionarsi con una persona che invece ce l’ha. “Pericoloso” sotto più punti di vista: 1) Le persone credono di sapere cosa voglia dire avere un DCA solo perché hanno fatto qualche dieta e 2) l’anoressia viene percepita dagli altri semplicemente come il desiderio di dimagrire che viene portato troppo all’estremo. Certo, esistono persone che cadono in un DCA perché sono effettivamente sovrappeso, e il seguire una dieta gli prende troppo la mano, ma queste persone sono la minoranza. Per lo più, le persone che sviluppano un DCA non hanno, originariamente, problemi di peso, e la perdita di peso non è veramente il fattore motivante. Ciò che sottende un DCA è infatti il bisogno di controllo, la necessità di trovare una strategia di coping per tenere a bada l’ansia, il crearsi una “coperta di Linus” che possa momentaneamente celare tutti gli altri problemi della vita, il bisogno di sentirsi forti nell’autocontrollo più completo.
Provate a spiegare ad una persona che non ha mai avuto un DCA cosa sia la vostra anoressia. Provate a spiegargli quello che vi passa per la mente. Tutti capiranno il bisogno di dimagrire, perché è un qualcosa che in molti hanno provato sulla propria pelle. Anche se la motivazione che spinge a dimagrire è nei due casi differente, la sensazione provata è la stessa. Ma nessuno che non l’abbia vissuto può capire i sentimenti. E nessuno che l’ha vissuto può mettere in parole, esattamente, quelli che sono i propri sentimenti, e spiegare come la soppressione dell’ansia e la necessità di controllo siano il leit-motive dell’anoressia. Perché a un certo punto l’empatia non basta: si capisce veramente solo quello che si è vissuto.
In ogni caso… cosa ne pensate? Le persone che vi stanno intorno hanno difficoltà a comprendere il vostro DCA? Vi è capitato di provare a spiegarlo a qualcuno? Vi è sembrato che quelle persone dopo le vostre spiegazioni avessero un’idea più realistica, rispetto al solito stereotipo proposto dai media, di quella che è l’anoressia?
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16 commenti:
molti studi fatti mi sembrano un'autentica vivisezione.
inoltre spesso non dicono niente, non servono a niente.magari possono dire che magari c'è un calo della serotonina oppure che alcuni funzionamenti del cervello (non so, sto sparando) hanno subito drastici cambiamenti. Va bene, ma questo mi dice come sta quel/la ragazzo/a.
Non siamo macchine a cui basta un cambio d'olio per funzionare meglio e certe volte "l'acqua" non basta. Altri tipi di "acqua" ci vogliono.
A chi non conosce questi disagi, non credete di sapere tutto, non citate qualche nuova scoperta, ascoltateli.
In questi casi è proprio vero "Io so di non sapere."
grazie per questo post veggie. calza a pennello...
il mio ragazzo fatica a capire in effetti, ma mi rendo conto che non è facile. le mie amiche mi dicono che sono troppo magra e di un magro brutto, mi consigliano di fare qualcosa.
però no, nessuno può capire davvero, nel profondo, perché e percome ci sentiamo così.
lunedì vado a informarmi per ricominciare la terapia (in un paese straniero per la prima volta!), perché talvolta è l'unica cosa che ci aiuta a trovare della comprensione quando non la troviamo nelle persone che ci stanno accanto..
Nei miei quasi 9 anni di DCA, ho incontrato solo due persone che sono riuscite a capirmi: la mia professoressa di chimica (forse perchè dietologa) e la mia professoressa di filosofia (probabilmente perchè, con la materia che insegna, è abituata a non fare un'analisi superficiale delle cose).
Ma tutte le volte che cercavo di spiegare cosa provassi, ad esempio ai miei migliori amici, proprio non riuscivano a capire. Ovviamente non perchè sono stupidi o superficiali, ma proprio perchè è difficile comprendere nonostante gli sforzi che uno fa...
A volte nemmeno io mi capisco...
Anche io ritengo che chi non ha vissuto un dca non lo possa veramente capire.
Io ho la fortuna di avere vicine diverse persone (mi riferisco ai famigliari, alle amiche e al mio ragazzo, oltre che ovviamente alla psicologa e alla nutrizionista) che mi stanno vicino nei miei momenti peggiori, quelli di sconforto, quelli in cui mi sembra che tutto mi chiami di nuovo verso la bulimia, e io naturalmente sono estremamente grata a loro per tutto ciò che fanno per me e per come si prodigano per darmi sempre una mano e per non lasciarmi sola. Percepisco vivamente la loro partecipazione e la loro voglia di aiutarmi, e questo mi è veramente molto di supporto, però rimane sempre una certa distanza: la distanza che intercorre tra chi vive una condizione e chi la “guarda” dall’esterno.
Le cose che si possono davvero capire sono solo quelle vissute personalmente: figuriamoci che io in passato pensavo di capire pure i dca, poi ci sono finita dentro, e così mi sono accorta che non avevo capito davvero un bel niente. E sarei un’ipocrita, perciò, adesso, se dicessi che capisco altre condizioni e situazioni che non ho vissuto. Posso essere vicina, posso partecipare a quelle situazioni, ma non le capisco davvero.
Così come chi mi è vicino e mi aiuta quotidianamente non capisce me, e so che non potranno mai capirmi (e meno male, perché se mi capissero vuol dire che anche loro avrebbero un dca, e questa è una cosa che non vorrei per nessuno!!!!!!!), ma in fin dei conti forse non è di fondamentale importanza che loro mi capiscano in tutto e per tutto: è importante che mi stiano vicini, e che io sappia di poter contare su di loro quando sono in crisi!!!!!!!!
Sinceramente sono ancora in una fase in cui non mi capisco, nonostante siano ormai quasi 4 anni...più o meno...a volte penso di essere nel pieno del dca. A volte penso di non avere e di non aver mai avuto davvero un dca, in quanto non ho mai raggiunto una magrezza seriamente preoccupante. Mi trovo a galleggiare in questi periodi di spensieratezza e poi basta nulla per ripiombare nell'oscurità. io stessa faccio fatica a capirmi..
vista dall'esterno può sembrare tanto cose, ma bisogna sempre soffermarsi sul caso particolare.
una persona non è uguale all'altra
La mia collega di lavoro ha smesso di mangiare un panino e l'ha sostituito con un'insalata perchè vuole perdere un po' di peso per "tenersi in forma" , così dice. Il collega che siede a fianco a me la guarda e sghignazza un po' probabilmente pensando "fisse da donne". E probabilmente la mia collega vuole davvero rientrare nei pantaloni di due mesi fa. Forse ci rientrerà, forse no. Forse dovrà prendere in poche settimane pantaloni di tg e tg più piccoli, forse no. In entrambi i casi il peso, DALLA MIA ESPERIENZA, è quasi totalmente insignificante. Perchè la mia collega potrebbe rientrare a casa a mezzanotte stanca da un turno di notte e sfondarsi di cibo fino a crepare . Potrebbe non mangiare un cavolo per un giorno intero e la sera quando è sola divorare il mondo . Ed è così che la stupida equazione magra= anoressica\"fissata con il cibo "cade.
Personalmente credo che la teoria della mente non sia del tutto sbagliata, credo che con molte ricerche e sviluppate capacità di "sentire" il prossimo si possa capire a grandi linee un dca. Il mio migliore amico NON SA cosa vuol dire avere un dca, però CAPISCE quando è periodo di crisi, CAPISCE tanti segnali e può IMMAGINARE ccosa si prova. In realtà anche una persona con dca può solo immaginare cosa prova un'altra...io non so cosa provi tu dopotutto perchè ognuno elabora in maniera diversa.
Certo se si vuole capire cosa spinge una persona a fare "certe cose" bisogna allontanarsi da stereotipi di sorta, bisogna allontanarsi dal pensare che uno cerca un bicchier d'acqua solo per sete.
Mentre leggevo il tuo post pensavo che io invece ho la presunzione di capire chi soffre di DCA, pur non avendone mai sofferto, non perché mi sono messa a dieta, ma perché sono una persona che ha conosciuto il dolore. Conosco il bisogno di proiettare un malessere interiore in qualcosa di tangibile.
il campo di battaglia era anche per me il corpo, coi miei tagli e le ferite da veder guarire.
Perché di questo si tratta: chi conosce il vero dolore, quello che consuma da dentro, quello che non sai più come gestire...allora quella persona può capire.
A volte purtroppo penso che il dolore sia la chiave dell'empatia vera. Mi auguro di non passare mai più attraverso la sofferenza che ho sperimentato, ma tutto sommato ringrazio d'averla sperimentata (e di esserne uscita) perché mi ha permesso di capire molte cose che diversamente non avrei mai potuto comprendere.
M.M.
Il mio Dca non è stato mai compreso, da nessuno ..
In famiglia, soprattutto, è stato visto come un capriccio, una forma di egoismo ... mi sono state dette tante cattiverie che mi hanno fatto molto male.
A seguito del ricovero, ho supplicato mia madre di partecipare a qualche gruppo per i familiari ...
Adesso, forse, si rende conto che si tratta di una malattia ... ma ancora non è convinta.
E questa è l'opinione della stragrande maggiornaza delle persone ...
E'un male che non si conosce e pertanto porta a fare giudizi inappropriati.
Consiglio alle madri, ai parenti, agli amici di informarsi adeguatamente..
A presto!
M.
@ AlmaCattleya – No no, non hai sparato, è vero, molti circuiti neuronali e aspetti della neurotrasmissione sono alterati in una persona con un DCA… Sapere questo è certo utile da un punto di vista biomedico, ma certo non aiuta particolarmente da un punto vi sta terapeutico… Lì solo l’esperienza diretta può aiutare a capire…
@ Bianca – Hai assolutamente ragione, la terapia è un’arma potentissima per aiutare noi stesse, se riusciamo ad utilizzarla nella maniera giusta… Ed è forse normale che gli altri, chi non ha vissuto certe esperienze, non possa capire, ma solo vedere dall’esterno… poi la lotta dall’interno solo noi stesse la possiamo fare…
@ Alice – E’ vero, è difficile capirsi anche per noi stesse… Ma forse, per quanto riguarda gli altri, non è tanto importante che capiscano, ma anche che comprendano… e che ci possano così cercare di stare vicini…
@ Wolfie – Hai proprio ragione, my dear, l’importante non è che chi ci sta vicino capisca al 100% cosa vuol dire vivere con un DCA… L’importante è che ci siano persone disposte a starti vicino a prescindere dal tuo DCA…
@ loie – Come ho già scritto più volte, il peso ha ben poco a che vedere con l’avere un DCA o meno… perché in DCA non è basato su quanto si pesa, ma su come ci si sente… Ritengo poco rilevante il dato ponderale a fronte delle sensazioni provate dal singolo… a prescindere dai criteri diagnostici del DSM-IV. Poi è ovvio che comprendere noi stesse sia difficile… ma più che dare un nome scientifico al malessere, forse dovremo semplicemente concentrarci sul contrastarlo…
@ Pupottina – L’esteriorità può essere simile per molte ragazze che hanno l’anoressia… ma per quanto riguarda l’interiorità, bè, ogni persona è una storia a sé…
@ justvicky – Sicuramente ognuna di noi elabora in maniera differente… però la presa che ha su di noi un’ossessione, per quanto questa possa essere direzionata in maniera diversa, la conosciamo tutte… è questo che permette l’empatia tra le persone che hanno un DCA… Poi, sono perfettamente d’accordo con te sul fatto che l’equazione fatta dalla maggior parte della gente tra magrezza e anoressia sia del tutto erronea… però rientra nella teoria della mente: ovvero ognuno vede e percepisce solo quello che ha vissuto e che dunque è in grado di proiettarsi. Tu dici che il peso è quasi totalmente insignificante, e io ti quoto in pieno… ma vai a dirlo a una persona che non ha mai vissuto l’anoressia che il peso non è importante… ti guarda strano come minimo. Per questo ritengo che certe cose vadano vissute… altresì è possibile solo una più superficiale comprensione. Non che questo sia un male, anzi, avere vicino degli amici che comprendono è utilissimo perché ci possono sicuramente dare una mano… ma per capire, credo ci voglia qualcuno che vive la tua stessa esperienza…
@ La Ely – Sicuramente vivere un dolore – per quanto esperienza devastante – è utile. È utile perché ti permette di andare oltre, e poi di poter avere una visione più ampia quando ti volti indietro. Non so se questo sia sinonimo di maggior capacità di comprensione ed empatizzazione nei confronti degli altri… ma credo che certe esperienze facciano comunque parte di un percorso di crescita interiore che non può che arricchirci…
@ M.M. – Hai ragionissima quando scrivi che chi non ha un DCA dovrebbe informarsi adeguatamente per cercare quantomeno di provare a comprendere di che cosa si tratta… e, come minimo, che si tratta di una malattia. Riesco però anche ad immaginare come per i genitori possa essere un durissimo colpo, una cosa difficilissima da accettare, e che il rifiuto non va verso la figlia, ma verso la malattia, perché non accettano il fatto che la loro figlia possa aver contratto questa malattia… E, perciò, credo che i gruppi per i famigliari che hai citato siano un ottimo primo passo affinchè gli altri possano cominciare ad addentrarsi un po’ in questo mondo dei DCA…
Avevo una compagna di classe anoressica. Una sua "amica" alle spalle di lei diceva «dovrebbero legarla alla sedia e farla mangiare. E se vomita, farla mangiare di nuovo!»
O mamma con i suoi rimproveri sottili, tra i denti «non so, se mangi, cosa mangi...», un mugugnare indistinto.
Credo che siano assurdi questi punti di vista. I dca sono solo un sintomo di un malessere molto più grande.
Se dovessi spiegare cosa provo davanti allo specchio e davanti al piatto non lo so, non saprei spiegare che emozioni siano, ma so che c'è qualcosa che non va. Ma fino a quando non la pianteranno di vedermi solo come una ragazza "nella fascia alta del normopeso/grassottella/formosetta" con delle "fissazioni" non credo che saprò darmi una risposta.
Mi piace il tuo blog :) credo che passerò spesso da queste parti
@ GaiaCincia – A prescindere da come possono e potranno mai vederti gli altri… staccati per un momento dall’opinione altrui che non vale una mezza cicca, e rispondi per te stessa a questa domanda: ma tu, come stai? Come ti senti?... Perché quello che pensano gli altri è irrilevante di fronte al tuo proprio sentire. La vita è la tua, non degli altri… sei tu che ci devi stare dentro… e direzionarti a seconda di come ti senti…
Ti stimo molto, mi rivedo perfettamente in ciò che dici...ci sono momenti in cui credo che tutto quello che sto passando sia solo una mia illusione e altri in cui l'unica cosa che voglio fare è scappare, da tutto, da tutti perchè non vedo via di uscita, perchè ho paura, perchè non so che fare, non so cosa voglio fare..passo da momenti in cui tutto sembra passato a momenti in cui mi ritrovo all'inferno e non so come uscirne e questo sta rovinando la mia vita..le mie relazioni. I miei genitori non riescono a capire ciò che provo, non hanno mai provato a capire i miei sentimenti, adesso si sono resi conto del problema ma trattano la cosa come se fosse un malanno simile all'influenza, una cosa che possa passare in qualche mese..mia madre mentre la dottoressa le spiegava che queste non sono cose che passano in 10 giorni o neanche un mese è rimasta con una faccia stupita e ha chiesto "ma in un anno almeno?", mi è sfuggito un sorriso e anche alla dottoressa, in quel momento mi sono resa conto di quanto le persone che non provano tutto questo sulla loro pelle non possano capire, soprattutto mia madre, è sempre stata una donna superficiale che bada solo all'apparenza delle cose senza andare in fondo, c'è anche un altro episodio "divertente"...in macchina mentre mi sta accompagnado dalla dietologa le dico (giusto per dire qualcosa) che mi si incrocia la vista e che probabilmente è a causa degli occhiali e lei mi risponde " eh questo va detto alla dottoressa, potrebbe essere un sintomo", mi veniva da ridere...sintomo di cosa? Non si è assolutamente resa conto che si tratta di una malattia mentale che non c'entrano niente sintomi come un colpo di tosse o uno starnuto..non può capire. Il problema del non essere capita in questo periodo lo sento più che mai, ho un ragazzo e lo amo..ma ho paura a raccontargli quello che ho nella testa, non voglio che lui stia con me per compassione, ma mi sto rendendo conto che non posso continuare questa relazione tenendo questa cosa "segreta", si è accorto di qualcosa..ma non gli ho mai raccontato tutto..vorrei farlo e dargli la possibilità di scegliere se restare con me o no, ma ho paura che raccontandogli tutto lui si senta obbligato a stare con me, anche spiegandogli che non ce l'avrei con lui per questo, anzi, lo capirei, pure io vorrei lasciarmi se ne avessi la possibilità.. sono di nuovo in una situazione in cui non vedo via di uscita...
-Fly-
@ Fly – Cara Fly, io credo invece che tu stia affrontando la situazione nel migliore dei modi possibili: facendoti aiutare dalla dottoressa e dalla dietologa. E credo che sia proprio a queste due persone che ti devi rivolgere per spiegargli ciò che ti fa stare male adesso e, perciò, cercare insieme possibili soluzioni che possano permetterti di migliorare la situazione… Magari parlandogli anche delle difficoltà che hai attualmente col tuo fidanzato, dei tuoi dubbi al riguardo, e sentendo cosa ti consigliano di fare… Poiché sono senza dubbio delle professioniste che sanno com’è meglio muoversi in certe situazioni… In quanto al discorso di tua mamma… anch’io ho sorriso quando ho letto quello che hai scritto a tal riguardo. Indubbiamente tua mamma ti vuole un bene dell’anima ed è estremamente preoccupata per te… pere questo avrebbe voglia di vederti guarita quanto più rapidamente possibile, proprio come se si trattasse di un’influenza appunto… ed essendo estranea alla tematica delle malattie mentali, fa certo fatica a capire che sono un qualcosa di diverso rispetto alle malattie fisiche con cui è abituata ad avere a che fare, e che sono sotto ogni punto di vista più gestibili… sii paziente con lei. Prova a spiegarle, se ti va. E non te la prendere se, comunque, non riesce a capire. Ma ti accompagna dalla dietologa e viene con te dalla dottoressa… nel suo piccolo, per quanto forse in maniera diversa da come tu vorresti, tua mamma ce la sta comunque mettendo tutta…
Sono la mamma di una ragazza di 12 anni che è malata di anoressia, la malattia si è manifestata a metà ottobre ma è andata velocissima e mia figlia è stata ricoverata alla fine di novembre. è dura, per me e per tutti noi che l'amiamo molto, ma è una malattia da cui si esce solo dopo anni di lotta e di supporto dei famigliari e di persone specailizzate come psichiatri, nutrizionisti e ergoterapeuti...alle ragazze che scrivono in questo blog, a cui sono arrivata per caso, vorrei dire che sono persone stupende e che solo dalla lettura dei loro messaggi si vede la loro profondità e il loro coraggio! Il primo passo é fatto contro questa terribile malattia, la vita vi aspetta a braccia aperte!
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