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venerdì 6 giugno 2014

Ampliare gli orizzonti: Neuroscienze VS Psicologia dei DCA

Ho letto l’abstract di un articolo pubblicato recentemente che illustra quali sono le maggiori problematiche inerenti il trattamento delle malattie mentali in generale, e dei disturbi alimentari in particolare. Quest’articolo, scritto da Jim Harris e Ashton Steele, e pubblicato su “Eating Disorders: The Journal Of Treatment And Prevention”, s’intitola provocatoriamente: “Have we lost our minds? The siren song of reductionism in Eating Disorder research and theory”.

Gli autori affermano che, nell’ultimo quinquennio, “il focus della ricerca sui DCA è stato shiftato dalla mente al cervello”. Personalmente, sono in disaccordo con quest’affermazione su 2 livelli. Innanzitutto, questa frase dà per assunto che “mente” e “cervello” siano 2 entità separate. Ma io non credo proprio che lo siano. La “mente” è semplicemente il range di funzioni consce che sono espletate dal cervello: per esempio i pensieri, le credenze, le emozioni, le intenzioni, le motivazioni ed i comportamenti. Queste sono funzioni mentali che originano nel cervello, sono eseguite dal cervello, e sono interpretate dal cervello.

Infatti, recenti sviluppi nella genetica e nelle tecniche di neuroimaging hanno permesso agli scienziati di studiare la struttura, le funzioni e i circuiti cerebrali nei minimi dettagli, cosa che non era possibile fare precedentemente. I ricercatori hanno utilizzato queste nuove tecnologie per creare e testare nuove ipotesi riguardo il funzionamento del cervello nelle persone che hanno un DCA. E si sono così accorti che, quando il DCA è pienamente in atto, nel cervello si verificano delle alterazioni funzionali; né più e né meno di quanto accade per chi ha un disturbo bipolare o la schizofrenia.

Tuttavia, mentre la ricerca genetica e di neuroimaging ha proliferato nel campo dei DCA, altrettanto è stato fatto per quel che concerne le ricerche sugli aspetti psicologici e sui trattamenti psicoterapeutici dei DCA, soprattutto per quel che riguarda la terapia cognitivo-comportamentale, e la terapia familiare. Al contrario di quanto affermano Harris e Steele, non abbiamo “lost our minds”. Abbiamo semplicemente allargato gli orizzonti e approfondito il campo d’indagine per studiare le basi neuroscientifiche delle malattie mentali come le nuove tecnologie permettono di fare.

Harris e Steele, scindendo il concetto di “mente” da quello di “cervello”, sostengono che i DCA siano malattie del “cervello”, e che quindi necessitino di cure mirate sull’anomalia neurobiologica sottostante: in parole povere, farmaci. I due ricercatori infatti concludono che c’è molto da lavorare in campo farmacologico, perché in effetti ad oggi non è stato ancora trovato alcun farmaco che riesca a garantire significativi benefici alle pazienti affette da anoressia/bulimia/binge/DCAnas.

Quest’assunto semplicistico e il suo corollario riflettono a mio avviso una sostanziale mancanza di comprensione dell’interazione tra il funzionamento del cervello e i sintomi delle patologie psichiatriche. Secondo me, infatti, gli autori sbagliano nel non riuscire a riconoscere il fatto che molti interventi psicoterapeutici sono estremamente utili (spesso e volentieri anche più di quelli farmacologici) per migliorare la qualità della vita di pazienti con patologie psichiatriche che pure possono avere una base biologica.

Giusto per fare un esempio: è ampiamente riconosciuto tanto dalla comunità scientifica quanto dagli psicologi, che l’autismo è una malattia biologico-neurologica determinata per lo più dalla mancanza di una particolare tipologia di neuroni (i cosiddetti “neuroni-specchio”). Tutt’oggi, non esiste alcun farmaco che abbia mostrato significativi miglioramenti nel trattamento dell’autismo. Il gold-standard per il trattamento dell’autismo è ad oggi l’A.B.A. (Applied Behavior Analysis), che è una sottospecie di terapia comportamentale incentrata sulla costruzione delle competenze, formazione dei genitori, e modificazione delle contingenze ambientali (chiedo venia ad eventuali psicoterapeuti che leggono per la mia semplicistica spiegazione). La maggior parte dei bambini con autismo risponde molto bene a questo tipo di terapia, e alcuni di loro possono addirittura arrivare ad integrarsi a scuola nelle classi di bambini “normali” senza che si noti la discrepanza tra chi ha l’autismo e chi non ce l’ha.

Vi dice qualcosa? Dovrebbe, visto che è esattamente ciò che accade nel mondo dei DCA. Qui i trattamenti psicologici sono molteplici, perché ognuna di noi ha il proprio carattere e quindi risponde in maniera diversa, per cui la psicoterapia necessita di essere personalizzata, però effettivamente grazie alla psicoterapia si possono fare grossi passi avanti, che ad oggi nessun farmaco in sé permette di fare.

Credo che ci siano molti preconcetti sulla psicoterapia. Per esempio, molte persone pensano che la finalità della psicoterapia sia semplicemente quella di ri-insegnare alla paziente ad alimentarsi correttamente. Non funziona assolutamente così, ma proprio per niente. La gestione degli aspetti alimentari dev’essere lasciata nelle mani di un dietista/dietologo/nutrizionista, la funzione della psicoterapia è quella di scavare nell’interiorità, di capire ed affrontare quali sono i veri problemi che si nascondono dietro il banale capro espiatorio dell’anoressia/bulimia. Certo, riprendere ad alimentarsi correttamente fa parte del percorso di ricovero, ed è importante che questo avvenga. Ma è solo una delle tante componenti della strada del ricovero.

Altro esempio: molte gente pensa che grazie alla psicoterapia la persona possa uscirne “come nuova”, completamente cambiata. Di nuovo, un falso luogo comune. L’obiettivo della psicoterapia non è assolutamente quello di cambiare il carattere di una persona, bensì di insegnarle semplicemente a smussare certi angoli, ad usare i suoi punti di forza, e a trovare nuovi armi per affrontare le situazioni difficili, mettendo così in atto strategie di coping che siano differenti da quella distruttiva del DCA.

A differenza di quella che è la credenza popolare, la psicoterapia non consiste nello sdraiarsi sul lettino davanti allo psichiatra e parlare del proprio rapporto con la madre. Questo tipo di psicoterapia che veniva praticata tipo 60 anni fa è del tutto superata, perché è stato dimostrato che non conduce ad alcun reale risultato. Viceversa, le psicoterapie odierne sono tutte basate sull’evidenza (Evidence-Based, per usare il termine tecnico): e sono psicoterapie attive, che spingono alla riflessione e all’azione e, credeteci o meno, sono funzionali.

Mi viene veramente rabbia quando sento le persone fare generalizzazioni in ambo i sensi, e dire: “La psicoterapia non funziona per malattie come i DCA”, oppure “La psicoterapia è l’unico e il miglior modo possibile per trattare i DCA”. La verità è più specifica: ci sono alcuni tipi di psicoterapia, basati sull’evidenza, che sono effettivamente utili per trattare i DCA; ma il tipo di psicoterapia da applicare che risulta funzionale varia da persona a persona, sulla base del suo carattere e del DCA che ha (non tutti i tipi di psicoterapia sono efficaci indiscriminatamente su tutte le pazienti!). Inoltre, in alcuni casi medicalmente valutati, può essere anche utile affiancare dei farmaci alla psicoterapia, principalmente laddove ci sono delle comorbidità (per esempio DCA + depressione, DCA + ansia, DCA + DOC, etc…), perché questo può agevolare il percorso in quegli specifici casi selezionati: dei farmaci non va abusato, ma neanche vanno evitati come fossero peste. Vanno usati nella maniera opportuna, e quando necessario, sotto prescrizione medica.

Dal mio punto di vista, non è sbagliato studiare i DCA anche da un punto di vista neuroscientifico. Però, occorre specificare che cosa s’intende, quando si parla di “studiare i DCA da un punto di vista neuroscientifico”.

A mio avviso, studiare i DCA da un punto di vista neuroscientifico NON significa:

• Che i DCA possono solo essere trattati con i farmaci.
• Che i fattori psicologici e le millemila concause individuali sono irrilevanti.
• Che la personalità della paziente non conta.
• Che la paziente non ci può fare niente, perché sono malattie che dipendono solo da un malfunzionamento del cervello.
• Che la psicoterapia è obsoleta.

Viceversa, studiare i DCA da un punto di vista neuroscientifico, secondo me SIGNIFICA:

• Che i DCA sono MALATTIE, nessuna differenza con tumori, diabete o schizofrenia.
• Che le pazienti scelgono, sì, un sintomo alimentare, ma non scelgono una malattia.
• Che i DCA non sono causati prettamente da dinamiche familiari o pressione sociale.
• Che la prevenzione primaria ad impostazione del tipo: “spieghiamo a tutti che le modelle sono troppo magre e non devono essere imitate”, oppure come: “devi imparare ad amare te stessa”, non serve a una pippa.
• Che una volta nel pieno del DCA, le alterazioni delle funzioni neurotrasmettitoriali sono simili per tutte, e che per correggerle occorre tornare ad alimentarsi regolarmente.
• Che avere genitori/sorelle/fratelli/parenti stretti con un DCA aumenta il rischio che anche la figlia/sorella/nipote abbia un DCA, non meramente per genetica, ma perché il cervello è un organo altamente imitativo e reiterativo.
• Che i farmaci possono essere utili, (MA NON CURATIVI!), in alcuni casi medicalmente valutati.
• Che ricominciare ad alimentarsi correttamente è necessario per eliminare alcuni sintomi dei DCA che sono proprio connessi alle alterazioni cerebrali conseguenti alla scorretta alimentazione, ma che questa è solo una piccola parte del percorso di ricovero.
• Che la psicoterapia mirante al trovare e all’affrontare le vere problematiche che si nascondono dietro all’anoressia, è fondamentale per fare passi avanti sulla strada del ricovero.
• Che per ogni paziente è necessario trovare un tipo specifico di psicoterapia che funzioni su di lei, perché non esistono panacee universali.
• Che le teorie elaborate nel secolo scorso, e propinate come verità assolute, in merito alle cause dei DCA sono per lo più scazzate.

Spero che Harris e Steele (e tutti i professionisti impiegati nella ricerca delle terapie per i DCA) possano concretizzare questi punti. Ancora più in generale, se la gente avesse anche solo queste conoscenze di base sui DCA, familiari ed amici di chi è malata potrebbero relazionarsi alla paziente in maniera migliore, senza lasciarsi condizionare da cliché e falsi luoghi comuni.

10 commenti:

GaiaCincia ha detto...

Come per le altre malattie,bisogna agire su più fronti perché la cura possa essere efficace, se lo studio dell'organo cervello può aiutare, ben venga! Purché la nuova soluzione non siano una serie di pillole per farti "stare brava" d,d"

(off topic riguardo al tuo commento da me: e se si è felici con le persone sbagliate? se sei felice ma non con le persone con cui dovresti esserlo? Sono un po' in crisi, scusami :) )

Ivory ha detto...

Che gli psicologi stessero affrontando di più la parte neurologica dei DCA non l'avevo mai sentita. Harris e Steele avevano poco da fare, eh? Io la penso al tuo stesso modo, ovvero che i farmaci possono anche essere utili, ma di certo non "tolgono" un DCA (anche se io ad ogni modo sono convinta che non si guarisca mai del tutto). Non so, a volte quello che leggo sui libri e ciò che scopro da certi articoli mi lascia perplessa.

Comunque ti ringrazio tanto per la tua mail Veggie, alla fine ho deciso di riaprire il blog, ma con cautela. Di certo non metto in ballo 3 mesi di clinica solo per uno sfizio!
Un grande abbraccio,
Sabrina.

* Viellina * ha detto...

Iniziamo dall'inizio (perdona il giro di parole :P ) : anche io trovo scorretto scindere mente e cervello. La mente è incarnata e, come hai detto tu, non è altro che l'attività cognitiva resa possibile dal cervello.
NON CI CREDO! L'altro giorno ho detto a mia mamma che in ogni materia trovo come esempio qualcosa inerente al deficit di neuroni a specchio negli autistici e tu hai fatto lo stesso esempio ahahah :) tralasciando questa parentesi idiota...
Sono d'accordo anche su ciò che dici riguardo all'uso di farmaci : ritengo che possano coadiuvare la psicoterapia, non sostituirla.
Prendiamo il mio caso : personalmente, ho assunto degli psicofarmaci. Mi sono stati prescritti perché, in quanto clinicamente depressa, era difficile portare avanti la psicoterapia senza un “aiutino”. Non mi sono stati prescritti con l'intenzione di “curarmi”, bensì di alleviare determinati sintomi che rendevano difficoltosa la psicoterapia.
Sfortunatamente non tutti i medici la pensano come te... Paragono la cosa al discorso sugli antibiotici : entrambi i farmaci vengono prescritti alla leggera (non da tutti i medici, ovviamente), senza pensare ai fenomeni di resistenza associati ad un uso sconsiderato degli antibiotici, all'assuefazione agli psicofarmaci ecc ecc
E' chiaro che uno schizofrenico grave ha assolutamente bisogno di assumere dei farmaci e non nego l'importanza di queste sostanze che permettono spesso di evitare momenti rischiosi per il paziente e per gli altri, credo semplicemente che spesso vengano prescritti anche quando se ne potrebbe far a meno.
Non-mi-ricordo-chi ha detto che il farmaco più efficace è il medico stesso (vecchi ricordi delle superiori xD) : beh, trovare un buon medico che sa come indirizzarti e se e quando è necessario prescrivere un farmaco è, secondo me, un ottimo punto di partenza :D
Harris e Steele credono che ci sia molto da lavorare il ambito farmacologico per quanto riguarda i DCA? Non sarò un medico ma, a mio parere, possono lavorare quanto vogliono ma non riusciranno MAI a creare una pillolina magica che possa “curare” i disturbi alimentari. Se le motivazioni alla base del disturbo sono psicologiche, come può un farmaco risolvere la cosa?
Io credo fermamente che ci sia una predisposizione “biologica” ai DCA ma penso che, affinché il quadro si manifesti, debbano intervenire altri fattori. Fattori legati alla vita e alle esperienze del soggetto, non meramente al suo cervello. Se così non fosse, come si potrebbe spiegare che, tra gemelli omozigoti, uno sviluppi una malattia psichiatrica e l'altro no? Casi del genere dimostrano che le variabili genetiche possono influenzare la vulnerabilità ad una determinata malattia psichiatrica ma che, affinché si manifesti, sono necessari altri fattori... Fattori non-biologici la cui influenza spesso non può essere eliminata e che bisogna imparare a gestire, con l'aiuto della psicoterapia, appunto.
Ho già espresso più volte la mia convinzione che ogni paziente debba essere trattato come un caso unico, come il risultato dell'interazione tra le sue strutture biologiche, l'ambiente in cui vive, le esperienze passate ecc ecc Ergo, non posso che concordare quando dici che “non tutti i tipi di psicoterapia sono efficaci indiscriminatamente su tutte le pazienti”.
Mi viene in mente la definizione di salute dell'OMS... Se la salute si riferisce ad uno stato di completo benessere organico, mentale e sociale è chiaro che non si può puntare su un solo di questi elementi per “curare” un disturbo. Trattare malattie in cui i fenomeni psichici hanno un peso importante con un approccio strettamente biologico è sbagliato e spesso implica un lavoro esclusivamente sui sintomi, il quale non può che risultare lacunoso...
Insomma, io sono per un approccio olistico. Neuroscienze e psicologia dovrebbero collaborare, non cercare di affermare la propria superiorità sull'altro! Entrambi gli ambiti hanno qualcosa da offrire e, integrandoli, si può fare molto!

* Viellina * ha detto...

Oddio, che papiro o.O scusa ahahah

* Viellina * ha detto...

IN ambito*

Wolfie ha detto...

Io credo che le battaglie non servano a nessuno: le neuroscienze e la psicologia non dovrebbero essere “vs”, non dovrebbero essere avversarie, viceversa, dovrebbero darsi una mano a vicenda!!!!!!!!!!! Perché entrambe hanno lo stesso fine, e cioè quello di aiutare chi ha un dca a stare meglio, quindi dovrebbero collaborare, non farsi la guerra. La psicologia è importantissima perché, e lo dico proprio per esperienza personale, fare psicoterapia aiuta tantissimo a distaccarsi dal dca. Allo stesso tempo, anche le neuroscienze possono essere importantissime, perché se viene fuori un farmaco che può aiutare a essere più “lucide” e quindi a portare meglio avanti la psicoterapia, è tutto di guadagnato. Io non credo che nei dca sia implicato solo il “cervello”, ma penso che dipendano tantissimo dal proprio carattere e dal proprio vissuto; poi possono essere uguali le modificazioni dei neurotrasmettitori che ci sono durante il dca, però le persone che ne soffrono sono comunque diverse, quindi per le cose analoghe per tutti si può provare a studiare un farmaco e ad agire anche farmacologicamente, però per gli aspetti psicologici c’è variabilità individuale, quindi altro non si possono risolvere che con la psicoterapia. Per cui, secondo me dovrebbero essere portate avanti entrambe le strade (sia quella psicologica che quella neurologica) e fare in modo che si aiutino mutualmente, non che si facciano la guerra.

Vele Ivy ha detto...

Appena ho letto la frase ho avuto la tua stessa perplessità... mente e cervello secondo loro sono due entità separate?? Mah...

justvicky ha detto...

Concordo con i punti chiave che hai elencato a fine post.
Specialmente per i punti negativi.
Questo post mi ha fatto venire in mente un saggio che avevo letto riguardo le malattie mentali e i danni biologici che vi sono dietro (in particolare faceva un focus sul danno biologico primario).
Per renderla semplice, prendendo l'esempio della depressione, sosteneva che in determinati casi fosse uno stato fisiologico, nel senso di una depressione causata da un deficit ormonale (serotonina credo). E quindi , in soldoni, questo era la famosa "causa di". Io mi chiedo, è possibile una cosa del genere nel caso di un dca?
Non certo che il sintomo , per es binge, perdita di peso, vomito, siano causate da precisi deficit. Quelli dopotutto sono sintomi di un malessere che, come hai scritto tu, vengono "scelti" dalla persona. Però il disagio alla base, è possibile che sia correlato in alcuni casi a un malfunzionamento biologico ?
nb: ho scritot in alcuni casi perchè , come la depressione, a volte si manifesta in seguito a traumi o ad aventi specifici.

Un abbraccio, e hai vinto anche oggi la domanda medica del giorno ^_^

Veggie ha detto...

@ GaiaCincia – Vero, sicuramente il continuare a studiarci su è tutt’altro che negativo, ma lo studio non può ridursi alla schematizzazione e ai protocolli terapeutici, devi sempre a mio parere continuare a considerare la persona nella sua interezza…
(Off-Topic. Frena. Nel commento che ti ho lasciato facevo diretto riferimento a ciò che tu hai scritto, ovvero alla tua attività di volontariato. In quel senso dicevo che fai bene a fare quello che ti fa sentire serena. Il mio discorso non era in alcun modo generalizzabile ed applicabile alle persone, era meramente riferito alle attività che si possono svolgere. Non ho ben capito cosa intendessi con “essere felici con le persone sbagliate”, comunque se ti va di parlarne in pvt puoi scrivermi: veggie.any@gmail.com)

@ Sarbina – Grazie a te per avermi scritto, altroché!... Come ben sai, anch’io sono dell’idea che non si guarisca mai del tutto… però credo che si possano fare significativi passi avanti e riconquistare un’ottima qualità della vita, questo sì… Credo nell’utilità dei farmaci, ma solo in casi medicalmente selezionati, e se prescritti con specifici protocolli terapeutici…
P.S.= Mi fa molto piacere sapere che sei tornata su blogger… ma, ovviamente, concentrati sempre su quello che è il tuo obiettivo primario, eh!... ^__^

@ Viellina – Scrivi pure tutti i papiri che vuoi, altro ci mancherebbe!... Lo scambio di idee mi fa sempre piacere. Sono d’accordo con te sul fatto che non tutti i medici prescrivono psicofarmaci (o farmaci in generale, se è per questo…) con discrezione… alcuni effettivamente lo fanno un po’ all’acqua di rose, come se la pillolina fosse la magica medicina in grado di risolvere ogni qualsiasi problema. Ovviamente non è così. Sono perfettamente d’accordo con lo specialista che ti ha prescritto l’antidepressivo, perché l’ha fatto in maniera controllata e solo per un certo periodo di tempo, al fine semplicemente di aiutarti a seguire con la psicoterapia, che altresì non sarebbe stata produttiva… questo lo reputo giusto. Ma bisogna valutare di caso in caso, e mai prendere la cosa alla leggera. Inoltre, anche secondo me dovrebbe esserci un’integrazione tra neuroscienze e psicologia: non penso che possa esistere una medicina che cura i DCA, perché non può esistere farmaco che cura le condizioni che hanno portato il singolo al DCA, e che sono appunto variabili da persona a persona… penso soltanto che eventualmente possiamo avere psicofarmaci migliori per coadiuvare in maniera più opportuna la psicoterapia… ma mai esserne sostitutivi, perché il lavoro su noi stesse siamo solo noi a doverlo/poterlo fare.

@ Wolfie – Sono d’accordo con te, l’approccio dovrebbe essere integrativo, non reciprocamente esclusivo… Anche perché da ambo le parti possono venire buone cose… e il risultato migliore lo si può avere se le si compenetrano…

Veggie ha detto...

@ Vele/Ivy – Infatti anche a me questa asserzione lascia piuttosto perplessa…

@ justvicky – Ritiro il mio premio rispondendo, allora!... ^__^” E’ possibile che ci sia una correlazione tra “malfunzionamenti biologici” e comparsa di DCA… tuttavia, alcune considerazioni. Innanzitutto, quanto ho appena scritto è pura illazione, perché non esiste ad oggi alcuno studio scientifico che dimostri l’esistenza di questa relazione di causa-effetto. Sono stati condotti studi a tal riguardo, ma finora nessuno è riuscito a dimostrare in maniera incontrovertibile e statisticamente significativa che il malfunzionamento biologico possa essere la base del DCA. Ne consegue che: o quest’asserzione è falsa, o è valida solo per un numero d’individui talmente ridotto che non si riesce ad obiettivare in alcun modo. Viceversa, esistono numerosi studi scientifici che dimostrano che è proprio la restrizione alimentare (o comunque l’erronea alimentazione, che sia la restrizione, l’abbuffata-vomito od altro…) a provocare “malfunzionamenti biologici” che consolidano ed aggravano il DCA stesso… e questo è stato ripetutamente provato sui grandi numeri, quindi è un dato di fatto. Per cui, studi scientifici alla mano, direi che è piuttosto il contrario: non sono tanto deficit basali che causano un DCA, ma è il comportamento alimentare condizionato dal DCA che provoca deficit che rinsaldano il DCA stesso. (Anch’io ovviamente parlo in generale, sui grandi numeri, è ovvio che poi un singolo esempio diverso stile “l’eccezione che conferma la regola” si può comunque trovare…)

 
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