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venerdì 3 ottobre 2014

Immagine corporea: è un concetto utile? (Ma anche no!)

In un articolo di PubMed che ho letto qualche giorno fa, veniva menzionato uno studio condotto abbastanza recentemente in merito alla percezione della propria immagine corporea in chi ha un DCA. Mi sono incuriosita, e così ho deciso di scaricare l’articolo in questione, scritto da Kate Gleeson e Hannah Frith nel 2006. Il punto focale di questo studio infatti è proprio il cercare di rispondere alla domanda: il concetto di “immagine corporea”, per com’è attualmente articolato, è effettivamente utile per valutare chi ha un DCA?

Questa apparentemente semplice domanda cela in realtà una questione piuttosto controversa: dopotutto, all’immagine corporea viene ascritta una significativa centralità in molti studi (e strategie terapeutiche) relativi ai DCA. Credo che chiunque di noi che abbia un DCA si sia sentita dire almeno una volta nella propria vita, da un qualche medico/psichiatra/psicologo/dietista/nutrizionista che è importante migliorare la percezione della propria immagine corporea, che così facendo si può riuscire a far pace col cibo, con l’esercizio fisico, con gli altri, col DCA. Insomma, per come la mettono alcuni specialisti, sembrerebbe che lavorare sulla propria immagine corporea rappresenti la panacea per la guarigione dall’anoressia, che imparare ad amare il proprio corpo per com’è costituisca la chiave di volta per vincere i DCA.

Mi perdonino suddetti specialisti, ma io non sono d’accordo. Voglio mettere in chiaro che io penso che le intenzioni che stanno dietro la retorica dell’ “immagine corporea positiva” siano fondamentalmente buone, forse persino ammirevoli (sebbene un tantinello utopiche, a mio avviso). Tuttavia, mi ha colpito molto il modo in cui le autrici del suddetto studio hanno esplicitato che le ipotesi che stanno alla base della corrente concettualizzazione dell’ “immagine corporea” possono limitare la comprensione di come gli individui vi si relaziono, e di come agiscono con e sul proprio corpo.

Quali sono i postulati che stanno alla base dell’attuale concetto di “immagine corporea”?  

1 - Che l’immagine corporea “esiste”.
2 – Che l’immagine corporea è un prodotto (socialmente mediato) della percezione.
3 – Che l’immagine corporea è un qualcosa di interiore.
4 – Che l’immagine corporea può essere trattata come se fosse reale, ed accuratamente valutata.
5 – Che le persone forniscano risposte neutre in merito all’immagine corporea di sé che hanno nella propria testa.

1. POSTULATO: L’IMMAGINE CORPOREA “ESISTE”

Pensateci bene: questo in realtà non è così strano come potrebbe sembrare. Poiché l’immagine corporea è compresa e studiata, si presume che sia una “cosa” che tutti gli individui possiedono e cui si relazionano. Che questa “immagine” sia accurata o meno, i ricercatori danno per scontato che ogni singola persona ce l’abbia. Altrimenti, che senso avrebbe valutare l’immagine corporea?

Tradizionalmente, l’immagine corporea viene definita come: “l'immagine del nostro corpo che formiamo nella nostra mente, vale a dire, il modo in cui il corpo appare a noi stessi” (Schilder, 1950). Rudd & Lennon (2000), espandono questa definizione includendo le percezioni e gli atteggiamenti tenuti verso il proprio corpo.

Proprio come altri costrutti, questo postulato (l’esistenza dell’immagine corporea) rende l’immagine corporea misurabile, valutabile, e idealmente ci permettono di spiegare perché le persone si comportano in un certo modo nei confronti del proprio corpo. Per esempio, alcuni ricercatori avevano ipotizzato che una sostanziale inaccuratezza della percezione dell’immagine corporea fosse ciò che spingeva le persone con un DCA a cercare di dimagrire costantemente, a prescindere dal loro peso reale. (Non è in realtà così.)  

2. POSTULATO: L’IMMAGINE CORPOREA E’ UN PRODOTTO (SOCIALMENTE MEDIATO) DELLA PERCEZIONE

Se si parte dall’assunto che l’immagine corporea è una “cosa” che si genera nella mente umana, ecco che viene spontaneo concludere che allora essa è creata attraverso la nostra percezione. Delle vecchissime ricerche sui DCA erano innamorate dell’idea dell’esistenza di una discrepanza nella percezione dell’immagine corporea. Mi riferisco agli studi di psicologi quali Bruch (1962) e Slade & Russell (1973), che non la smettevano più di insistere su quanto le persone malate di anoressia non riuscissero a vedere il proprio corpo per quello che realmente era. (L’anoressia non è una malattia della vista, buongiorno!) Questi sono meramente 2 esempi del modo in cui la psicologia si è sempre concentrata (eccessivamente!) sulla percezione dell’immagine corporea.

Nonostante tutti questi tentativi di mettere ampiamente in risalto la centralità dell’immagine corporea nei DCA, nessuno degli studi di questo tipo è mai riuscito a trovare una relazione statisticamente significativa tra stima delle proprie dimensioni corporee ed insoddisfazione per il proprio aspetto. Nessuno. L'attenzione percettiva pone anche l'accento sulle cose che "distorcono" la percezione, come le pressioni culturali e psicologiche. Ricerche più recenti si sono concentrate sulle discrepanze nella percezione dell’immagine corporea, per esempio chiedendo a delle donne di scegliere quale corpo tra vari esempi mostrati sarebbe stato il loro "ideale", trovando spesso che le donne scelgono corpi più magri del proprio; ma nessuna di queste ricerche riesce a dimostrare se e quanto questo abbia un impatto sui pensieri, comportamenti e relazioni.  

3. POSTULATO: L’IMMAGINE CORPOREA E’ UN QUALCOSA DI INTERIORE

L’immagine corporea viene spesso descritta come un qualcosa che “appartiene” all’individuo. Gli individui, naturalmente, agiscono ed impattano nel mondo che li circonda. Tuttavia, alla fine della fiera, ci sono una serie di forze che vengono viste come agenti sull’individuo, ed influenzanti l’immagine mentale che essi hanno sul proprio corpo. Nonostante la raffica di ricerche mirate a valutare l’influenza dei fattori esterni sull’immagine corporea, non abbiamo in realtà alcuna certezza o conferma su come esattamente le immagini proposte dai Mass Media, possano impattare sulla percezione dell’immagine corporea.

4. POSTULATO: L’IMMAGINE CORPOREA PUO’ ESSERE TRATTATA COME SE FOSSE REALE, ED ACCURATAMENTE VALUTATA

Questo postulato riecheggia il primo della lista, e fa fiorire una marea di critiche sulle modalità con cui l’immagine corporea viene valutata.
• L’immagine corporea dev’essere semplificata per poter essere valutata: per esempio, con gli studi che chiedono alle partecipanti di scegliere il proprio corpo ideale tra 9 diverse shilouettes proposte, che possono o meno includere l’immagine corporea “ideale” presente nella testa delle partecipati.
• Le risposte differenti e di un numero limitatissimo di donne vengono considerate rappresentative delle differenze percettive “reali”.
• Queste diverse risposte vengono trattate come se fossero intrinsecamente significative: ogni discrepanza da esse viene valutata come “insoddisfazione”.  

5. POSTULATO: LE PERSONE FORNISCONO RIPOSTE NEUTRE IN MERITO ALL’IMMAGINE CORPOREA DI SE’ CHE HANNO NELLA PROPRIA TESTA

Le persone sono generalmente consapevoli che la loro esistenza è inscritta in un particolare ambiente culturale. Se anche un individuo può rispondere ad un questionario affermando che la sua immagine corporea “ideale” è più magra del loro corpo ideale, questo non dice sostanzialmente niente su quanto questo incida nella lista delle priorità di vita dell’individuo.

La maggior parte delle donne potrebbe dire di voler essere, in misura più o meno ampia, più magra di quello che è, ma solo un’irrisoria percentuale di esse si ammala di anoressia. Ergo, non esiste alcuna correlazione diretta tra le 2 cose, perché se ci fosse una reazione causa-effetto, tutte quelle donne si ammalerebbero. E questa è la dimostrazione del fatto che i DCA sono malattie multifattoriali determinate da così tante cause che eventuali discrepanze sulla percezione dell’immagine corporea possono avere un ruolo minimale o addirittura nullo sullo sviluppo di un DCA.

Quello che secondo me dovremmo fare, perciò, è ri-concettualizzare i problemi.  

1. Focus di ricerca ristretto

L’immagine corporea è un qualcosa di estremamente complesso e variegato. Se diamo per scontato che l’immagine corporea sia semplicemente il mediatore tra pensiero ed azione, tagliamo fuori moltissime importanti domande, quali per esempio:
• Com’è che la percezione dell’immagine corporea è diversa in persone diverse?
• Come si può capire quale sia l’influenza che ha la percezione della propria immagine corporea sul singolo individuo, e come questa moduli la vita quotidiana e le interazioni con gli altri?
• Ci sono altre modalità d’interpretare le problematiche comportamentali, al di là del banale scaricare la colpa sull’immagine corporea?  

2. Sottovalutazione del contesto

Come precedentemente detto, le persone sono immerse nell’ambiente esterno che le circonda. Ma finora, tutte le indagini sono state solo ed esclusivamente mirate a valutare come le immagini proposte dai Mass Media potessero influenzare la percezione della propria immagine corporea.
Fortunatamente, sembra che alcuni recentissimi studi stanno cercando di mettere in relazione come l’immagine corporea del singolo possa condizionare di partenza la sua relazione con mondo circostante, ancor prima di ricevere input esterni. Questi studi stanno mettendo in evidenza il fatto che la percezione dell’immagine corporea del singolo individuo non è univoca ed unitaria, ma varia in base al contesto in cui il soggetto si trova (se è in giro con gli amici, se a al lavoro/a scuola, etc…) e in base alle persone con cui interagisce.  

3. De-enfatizzare la produzione discorsiva dell’immagine corporea

Quando consideriamo l’immagine corporea come una “cosa reale”, dimentichiamo che c’è un divario tra il modo in cui essa viene percepita, e il modo in cui viene esplicitata. Per cui, anche il fatto che i Mass Media propongano certi tipi di immagine, non ha per tutti la stessa risonanza, e non necessariamente scalfisce la percezione del singolo.  

4. Ignorare la natura sociale della percezione

La percezione dei corpi, e del proprio corpo in particolare, può essere valutata comparandola a corpi altrui o al proprio. Inoltre, piuttosto che essere un tutto unitario, l’immagine corporea può concentrarsi su singole parti del corpo.
Dentro uno “schema dell’immagine corporea” i singoli individui possono concentrarsi su certi aspetti, che possono essere diversi da persona a persona. Una persona può anche accettare di avere dei fianchi più ampi, purchè questo comporti l’avere un seno più grosso, se quella è una parte del corpo su cui centra particolarmente la sua attenzione.

5. Distrazione dalla natura dialogica dell’immagine corporea

E’ opinione erronea ma comune che l’influenza dei Mass Media sull’immagine corporea sia unidirezionale. Quest’erronea convinzione sottovaluta significativamente la capacità delle persone di essere senzienti e critiche nei confronti delle immagini trasmesse dai Mass Media.
Lo studio di cui vi parlavo mette in evidenza come le adolescenti, leggendo una rivista modaiola, possano allo stesso tempo gradirla, comparare il proprio corpo a quello delle cover girl, e allo stesso tempo essere consapevoli dell’esistenza del fotoritocco, e criticare quella bellezza del tutto artificiosa. Il che è decisamente il prodotto di una mente senziente.  

6. Individuazione delle preoccupazioni per il proprio corpo

Di nuovo, occorre considerare il fatto che noi interagiamo con altre persone. Noi non siamo affatto dei burattini, dei corpi passivi: ci impegnamo nelle relazioni con gli altri, e ci chiediamo cosa loro pensino di noi.
Inoltre, le modalità con cui le persone si relazionano alla propria immagine corporea, variano da individuo ad individuo. Non tutti recepiscono uno stesso messaggio allo stesso modo, e questa è una verità che molto spesso viene considerata ovvia, scontata, e quindi viene sottovalutata.

Dopo tutto ciò con cui vi ho tediato finora, tiriamo le somme: in che modo possiamo relazionarci all’immagine corporea, e rendere questo costrutto più utile? Le autrici dello studio suggeriscono che l’immagine corporea potrebbe essere compresa in maniera migliore se considerata come un attivo, variegato e continuo processo di raffigurazione di se stessi. Tant’è che preferiscono utilizzare il termine “body imaging” anziché “body image”, perché cattura splendidamente la fluidità e la continuatività della costruzione/decostruzione dell’immagine corporea.

Per concettualizzare l’immagine corporea in questo modo, bisogna intenderla come “un processo attivo che l'individuo si impegna a modificare, migliorare, e venire a patti con il proprio corpo in specifici contesti temporali, vitali e relazionali”.

Anziché essere un “prodotto”, l’immagine corporea viene considerate come un’ “attività”, una distinzione che le autrici sottolineano perchè può aiutare a catturare l’esperienza complessissima e riflessiva di essere nel proprio corpo.

Devo dire che il modo in cui quest’articolo reinterpreta l’immagine corporea non mi dispiace affatto. Quel che penso sia particolarmente importante in questo approccio è che, nonostante la resistente retorica dell’ "immagine corporea positiva", quest’articolo sembra fare piccoli progressi in merito alle modalità in cui gli individui che hanno un DCA si possono relazionare al proprio corpo. Questo mi porta a credere che manchi decisamente qualcosa in merito alla comprensione di come ogni singolo individuo si relazioni al proprio corpo, e se, in effetti, l’ “immagine corporea” sia un concetto che è universalmente e uniformemente rilevante per tutte coloro che hanno un DCA.

3 commenti:

Christiane ha detto...

Trovo molto interessante l'articolo che hai proposto e commentato, Veggie.
Credo che la riconsiderazione critica degli assunti alla base di un dato quadro teorico sia sempre un approccio intelligente, vitale per la ricerca scientifica che voglia qualificarsi come tale.
Tuttavia, sono anch'io dell'avviso che lo sforzo degli autori nel ridefinire il concetto di immagine corporea, pur meritevole, restituisca un po' l'impressione di uno sguardo molto attento, ma rivolto nella direzione sbagliata.
Il dogma dell'immagine corporea e della sua erronea percezione quale cardine dei DCA, che come osservi rimane indiscusso, porta paradossalmente alla permanenza sul piano meramente esteriore, superficiale, di una linea di ricerca che per definizione si propone di indagare i determinanti psico-cognitivi - in una parola, mentali - della malattia.
Credo che il medesimo tentativo di ridefinizione e operalizzazione teorica sarebbe più proficuo, nell'ambito della ricerca sui DCA, se rivolto al concetto più inclusivo di percezione/definizione/concetto di sé (di cui l'immagine corporea può essere UNA componente, e non necessariamente la più importante...).
In tal modo, secondo me, si porrebbe sempre maggior enfasi sui molteplici, personalissimi fattori (biologici, di personalità, sociali ecc.) che informano la mispercezione del Sé e quindi il senso di inadeguatezza che, per la mia esperienza (e non solo, da quanto mi è parso di capire leggendovi...) costituisce il minimo comune denominatore di tutte le esperienze individuali di DCA - io penso sempre ai DCA come a una sorta di doppio imbuto: molteplici cause che portano a un comune senso di inadeguatezza, che si esprime tramite modalità differenti: anoressia, bulimia, DCANas...
In definitiva, trovo che i concetti di dinamicità, flessibilità, contestualità, relazionalità ecc. richiamati dagli autori siano opportuni, ma vadano applicati non alla mera immagine corporea, ma al concetto di Sé nella sua totalità.
Un simile framework teorico, a mio parere, rappresenterebbe davvero una speranza di progresso nello studio dei DCA.
Scusa il papiro...
P.S. Sono contenta che tu abbia apprezzato la citazione di Stephen King...mi piace molto, anche se a mio avviso la sua produzione più recente non sia all'altezza dei precedenti lavori...e in generale ritenga i suoi racconti migliori dei romanzi...
P.P.S. Appena riuscirò ad approdare a un periodo di calma (fra lavoro e studio è un periodo convulso) mi farò viva per le infographics...se poi si riuscirà a preparare un video, tanto meglio!

Wolfie ha detto...

Quando sento parlare di “immagine corporea” mi balza in testa all’istante quell’ormai datato spot svedese (se non sbaglio), che fa vedere una ragazza che si riflette allo specchio e fa checking ed è rotondetta, poi l’inquadratura si allarga, e la telecamera mostra che in realtà la ragazza che si sta specchiando è magrissima, volendo dare ad intendere che quello che si vede nello specchio è il suo riflesso, distorto dalla malattia. Personalmente? Posso dire che non ho mai visto uno spot così malriuscito e fuorviante. Non fraintendermi, io credo che l’immagine corporea esista, e che ogni persona al mondo ne abbia una, ma non credo che l’avere un dca faccia si che sistematicamente quest’immagine corporea venga percepita in maniera sproporzionatamente erronea. Magari alcune ragazze con un dca si vedono diverse da quelle che sono, ma non credo che questo valga per tutte le persone che hanno un dca, e credo inoltre che viceversa possa valere anche per le persone che non hanno un dca. Questo aspetto relativo al fatto che chi ha un dca si veda incondizionatamente grassa, credo sia soltanto uno dei molti luoghi comuni che girano ovviamente tra le persone che non hanno mai avuto un dca, ma che nonostante questo pensano di sapere tutto dei dca. Per cui, secondo il mio punto di vista, il primo passo da fare sarebbe quello di “insegnare” alle persone che non è affatto vero che tutte le persone con un dca si vedono esageratamente grasse, che non è vero che un dca è un disturbo dell’immagine corporea, ma che è un costrutto psichico. Per cui, non critico lo studio citato in questo post: magari cerca di creare un’altra prospettiva da cui guardare il concetto di “immagine corporea”, però critico il fatto che ci si concentra ancora a fare gli studi sull’immagine corporea, che mi sembra un aspetto un po’ collaterale dei dca, invece di concentrarsi magari di più su studi centrati sulla terapia o sulla gestione dei dca.
Un abbraccione!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

Veggie ha detto...

@ Christiane - Scusa di niente, figurati!, anzi, apprezzo moltissimo le tue riflessioni!... Guarda, io credo che la critica intesa come critica costruttiva, che sia scaturita da un articolo scientifico o da una qualsivoglia forma di ricerca, sia di fondamentale importanza per permettere la riflessione, l'approfondimento e magari - perchè no? - anche la possibilità di ampliare ulteriormente gli orizzonti, considerando aspetti che di primo impatto erano stati tralasciati. In quanto all'immagine corporea, concordo con te sul fatto che focalizzare l'attenzione su quest'aspetto così esteriore porti chi non li ha vissuti sulla propria pelle a considerare i DCA una malattia molto più centrata sull'esteriorità che non sull'interiorità, come invece noi sappiamo essere. Tanto più che credo sia francamente impossibile poter arrivare ad "oggettivizzare" un qualcosa come l'immagine corporea, che penso sia quanto di più soggettivo possa esserci, poichè scaturita dalla percezione che ogni singolo individuo ha di se stesso... ergo, uno studio scientifico perde molta della sua forza se non arriva a conclusioni che possano essere, in qualche modo, standardizzate e quindi oggettivizzate. La soggettività della percezione di sè credo dipenda proprio da quei numerosi fattori che tu elenchi, e poichè ogni persona è una storia a sè - con il proprio carattere ed il proprio background - trovo veramente arduo il voler cercare di mettere dei paletti su un qualcosa che varia semplicemente perchè noi siamo esseri umani variabili per antonomasia. Paradossalmente, se parliamo di dismorfofobia propriamente detta (che viene spesso indicata tradizionalmente - e preconcettualmente, aggiungo io - come appendice dei DCA) dovremmo considerare quanto in realtà questa sia una patologia che esiste a prescindere dai DCA, e che può essere in realtà presente o meno in chi ha effettivamente un DCA (e difatti, io non ho fortunatamente mai avuto questo tipo di problema), per cui è di fatto impossibile associare con sicurezza ad un DCA la percezione erronea della propria immagine corporea... considerato che, comunque, io credo che nessuno al mondo si percepisca esattamente per quello che è - tanto da un putno di vista fisico, quanto da un punto di vista psichico. Per cui, quoto la tua conclusione: il discorso dovrebbe essere più correttamente impostato, più che sulla mera immagine corporea, sull'idea che ogni persona ha di se stessa in toto... senza dimenticare la necessità di relativizzare, poichè ogni persona è una storia a sè.
P.S.= A me di S. King piacciono molto sia i racconti che i romanzi... però ritengo che, in quanto a qualità, la sua produzione complessivamente sia stata discontinua... (mia mera opinione, eh!...)
P.P.S.= Nessuna fretta per le infographics: prenditi tutto il tempo che ti è necessario... Se anche io pubblicassi un primo post a tal riguardo, se continuano poi ad arrivarmi le vostre infographics ne realizzerò un secondo, e così via... per cui, c'è tutto il tempo del mondo. In quanto al video... se per te va bene, okay, allora inizio a lavorarci!...

@ Wolfie – Non dirmelo, quello spot anch’io lo trovo mediamente insopportabile… è la fiera del luogo comune concentrata in meno di un minuto di filmato… Sono d’accordo con te sul fatto che non ci sia necessariamente una diretta correlazione tra dismorfofobia e DCA, le quali possono tranquillamente essere 2 patologie a se stanti… E, sì, creare questa consapevolezza nella gente potrebbe essere un punto di partenza molto utile… Poi, certo, per quanto riguarda gli studi sugli aspetti psicologici dei DCA, anch’io sarei decisamente a favore di un incremento degli stessi…

 
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