venerdì 24 gennaio 2014
Definizione di "ricovero"/3: Cosa contribuisce al ricovero/remissione di un DCA?
Negli ultimi 2 post ho parlato di come gli psicoterapeuti definiscono il “ricovero” e di come lo fanno le persone affette da DCA. Oggi voglio prendere i considerazione quali sono i fattori predittivi l’esito del “ricovero” in un DCA.
Premessa. Quando scriverò dei fattori predittivi di cattivo esito del “ricovero”, è possibile che qualcuna di voi ci si riconosca, e si scoraggi. “Veggie sta forse dicendo che non riuscirò mai a stare meglio?”. NO. Non sto assolutamente dicendo questo. Io sono dell’idea che CHIUNQUE, con il giusto supporto psicoterapeutico e nutrizionale, ma soprattutto con tanta forza di volontà, possa fare enormi passi avanti sulla strada del ricovero. Tutte noi – tutte – abbiamo fattori predittivi sia positivi che negativi in merito all’esito del “ricovero”. Per cui, riconoscersi addosso qualche fattore predittivo negativo non significa assolutamente che non possiate stare meglio, significa semplicemente che, in media, le persone che hanno presentato quelle caratteristiche hanno avuto più difficoltà nel loro percorso di ricovero. Ma la media è un fattore statistico, non ha affatto valore assoluto. Il vostro destino non sta scritto da nessuna parte, siete voi che ce lo create quotidianamente: con il giusto supporto, la psicoterapia, l’ “equilibrio alimentare” e soprattutto con tutto il vostro impegno e olio di gomito, potrete sicuramente arrivare ad avere una qualità della vita sempre migliore. Per cui, non scoraggiatevi e soprattutto non fate assurde previsioni sull’esito del vostro percorso di ricovero basandovi unicamente su quello che sto per scrivere: piuttosto, se vi rendete conto di avere qualche fattore predittivo negativo, utilizzatelo come spunto per lavorarci su durante le sedute di psicoterapia.
*Fine del predicozzo / Inizia il post vero e proprio*
Fattori ponderali e alimentari
La maggior parte della letteratura relativa ai fattori che influenzano il “ricovero” è stata ricavata su persone affette da anoressia. Ho trovato solo 2 studi inerenti la bulimia, ma non identificano alcun vero criterio predittivo l’esito del “ricovero” (Keel & Mitchell, 1997). Per cui, leggendo questo post tenete conto che parlo di dati estrapolati da studi condotti sull’anoressia.
Diagnosi precoce. In numerosi studi, una breve durata della malattia e un B.M.I. nel range del normopeso al momento della diagnosi sembrano essere fattori predittivi positivi del successo di un percorso di ricovero. (Ovvio che questa sia una variabile importante, è la scoperta dell’acqua calda.)
Recupero ponderale adeguato. In uno studio condotto su 212 adolescenti ospedalizzate per anoressia in Europa, i ricercatori hanno trovato che circa la metà andava incontro ad una seconda ospedalizzazione (Steinhausen et al., 2008). Basandosi sui dati, hanno identificato 5 fattori predittivi di riospedalizzazione in circa 2/3 delle pazienti: comorbidità con altre patologie psichiatriche, esordio del DCA in tenera età, iperattività, basso peso corporeo raggiunto, basso B.M.I. alla dimissione dal primo ricovero ospedaliero.
L’importanza di recuperare del peso è stata sottolineata anche in altri studi. In un follow-up dopo 21 anni di 84 donne che erano state ospedalizzate per anoressia, il 40% erano riuscite ad ottenere una remissione completa, il 20% alternavano periodi di remissione a ricadute, e il 26% erano acorda infognate nella malattia. (Le restanti, 14%, erano decedute). In questo caso, i fattori predittivi l’esito del percorso di ricovero erano rappresentati da: durata della malattia, B.M.I., sottotipo I o II di anoressia, severità dei sintomi psicologici, severità dei problemi relazionali, età d’esordio dell’anoressia, peso riacquistato.
Un altro studio inglese condotto su 22 donne ospedalizzate per anoressia ha rilevato che, effettivamente, riuscire a ritornare al proprio set-point fisiologico di peso corporeo rappresenta un element che evita successive riospedalizzazioni, e che aiuta nella remissione. (Baran, Weltzin & Kaye, 1995)
Varietà alimentare. I ricercatori hanno trovato che tanto maggiore è la varietà di cibi che una persona affetta da anoressia riesce a tornare a mangiare, tanto minore è la frequenza di ricadute. (Schebendach et al., 2008). Le 47 donne seguite in questo studio erano state ospedalizzate all’EDU del New York State Psychiatric Institute alla Columbia University. Dopo aver raggiunto un B.M.I. pari a 18 (il minimo del normopeso), alle 47 donne è stato fatto scrivere un “diario alimentare” per una settimana, quindi sono state seguite per un anno. A questo punto, si è visto che le donne che avevano una dieta più varia erano più avanti nel loro percorso di ricovero rispetto a quelle che mangiavano sempre i soliti poco vari cibi, a parità di calorie assunte.
Fattori psicologici
Non soltanto i fattori relativi al recupero ponderale e all’alimentazione fanno la differenza nel percorso di ricovero, ci sono anche differenze individuali sul piano caratteriale/psicologico che condizionano il percorrere la strada del ricovero.
Perfezionismo, disistima e bisogno di controllo. In uno studio condotto su 26 donne ricoverate in un ospedale francese per anoressia, i ricercatori hanno somministrato loro un questionario relativo ai DCA, e le hannoo seguite per circa 8 – 10 anni. (Bizeul, Sadowsky & Rigaud, 2001). Metà delle donne ha ottenuto una remissione dell’anoressia durante il periodo di follow up, l’altra metà non c’è riuscita. In questo studio, nella fattispecie, i ricercatori hanno definito “ricovero” il recupero del proprio set-point fisiologico di peso corporeo, la presenza di ciclo mestruale regolare, l’assenza dei comportamenti alimentari tipici del DCA per almeno 2 anni consecutivi, autonomia dalla famiglia, recupero di una buona qualità della vita.
I ricercatori hanno notato che le donne che rispondendo al questionario si riconoscevano caratteristiche quali il perfezionismo, la disistima e il bisogno di controllo, ma anche la difficoltà nelle relazioni interpersonali e una scarsa interocezione erano quelle che raggiungevano risultati più scarsi in termini di “ricovero”. Quando i ricercatori hanno preso in considerazione questi parametri, tuttavia, hanno notato che solo il perfezionismo, la disistima e il bisogno di controllo hanno effettivamente un valore predittivo negativo sull’esito del ricovero.
Supporto. In uno studio retrospettivo qualitativo condotto su 69 donne in Nuova Zelanda, i ricercatori hanno chiesto alle persone esaminate quali ritenevano fossero i fattori “sociali” che le avevano aiutate a stare meglio mentre percorrevano la strada del ricovero. Il 90% delle intervistate ha risposto “familiari” e/o “amici”. Altri fattori considerati un importante aiuto nel percorrere la strada del ricovero sono stati (in ordine d’importanza decrescente, secondo le percentuali riportate dallo studio in questione): crescita/maturazione, scoperta di altri interessi, psicoterapia, acquisizione di autonomia, lavoro, sport, supporto di altre persone che stavano combattendo contro il DCA, farmaci, gravidanza, il proprio partner.
Al di là della singola cosa, tutte le donne concordavano nel dire che un adeguato supporto da parte degli altri era stato un elemento molto importante nel loro percorso di ricovero. Chi fossero le persone supportive – amici, familiari, psicoterapeuti, partner – sembrava essere meno importante del supporto in sé per sé. Inoltre, un altro fondamentale aspetto del percorso di ricovero, a detta dei soggetti esaminati, stava nel riuscire a trovare altri interessi al di fuori dell’anoressia.
E i ricercatori sottolineano proprio questo aspetto alla fine dello studio:
“Il punto di forza e, allo stesso tempo, il punto di debolezza di questo studio consiste nel fatto che è filtrato esclusivamente dalla prospettiva delle pazienti. Pazienti che crescono, fanno nuove esperienze di vita, si aprono a nuovi interessi, e contemporaneamente grazie alla psicoterapia si guardano dentro cercando d’individuare le cause che le hanno portate a sviluppare il loro DCA. […] La prospettiva delle pazienti, unita ai dati clinici, ci permette di ricavare una sorta di romanzo, e di avere una ricca comprensione dell’eziologia e dei fattori che contribuiscono all’esito positivo di un percorso di ricovero dall’anoressia.”
(mia traduzione)
(…CONTINUA…)
Premessa. Quando scriverò dei fattori predittivi di cattivo esito del “ricovero”, è possibile che qualcuna di voi ci si riconosca, e si scoraggi. “Veggie sta forse dicendo che non riuscirò mai a stare meglio?”. NO. Non sto assolutamente dicendo questo. Io sono dell’idea che CHIUNQUE, con il giusto supporto psicoterapeutico e nutrizionale, ma soprattutto con tanta forza di volontà, possa fare enormi passi avanti sulla strada del ricovero. Tutte noi – tutte – abbiamo fattori predittivi sia positivi che negativi in merito all’esito del “ricovero”. Per cui, riconoscersi addosso qualche fattore predittivo negativo non significa assolutamente che non possiate stare meglio, significa semplicemente che, in media, le persone che hanno presentato quelle caratteristiche hanno avuto più difficoltà nel loro percorso di ricovero. Ma la media è un fattore statistico, non ha affatto valore assoluto. Il vostro destino non sta scritto da nessuna parte, siete voi che ce lo create quotidianamente: con il giusto supporto, la psicoterapia, l’ “equilibrio alimentare” e soprattutto con tutto il vostro impegno e olio di gomito, potrete sicuramente arrivare ad avere una qualità della vita sempre migliore. Per cui, non scoraggiatevi e soprattutto non fate assurde previsioni sull’esito del vostro percorso di ricovero basandovi unicamente su quello che sto per scrivere: piuttosto, se vi rendete conto di avere qualche fattore predittivo negativo, utilizzatelo come spunto per lavorarci su durante le sedute di psicoterapia.
*Fine del predicozzo / Inizia il post vero e proprio*
Fattori ponderali e alimentari
La maggior parte della letteratura relativa ai fattori che influenzano il “ricovero” è stata ricavata su persone affette da anoressia. Ho trovato solo 2 studi inerenti la bulimia, ma non identificano alcun vero criterio predittivo l’esito del “ricovero” (Keel & Mitchell, 1997). Per cui, leggendo questo post tenete conto che parlo di dati estrapolati da studi condotti sull’anoressia.
Diagnosi precoce. In numerosi studi, una breve durata della malattia e un B.M.I. nel range del normopeso al momento della diagnosi sembrano essere fattori predittivi positivi del successo di un percorso di ricovero. (Ovvio che questa sia una variabile importante, è la scoperta dell’acqua calda.)
Recupero ponderale adeguato. In uno studio condotto su 212 adolescenti ospedalizzate per anoressia in Europa, i ricercatori hanno trovato che circa la metà andava incontro ad una seconda ospedalizzazione (Steinhausen et al., 2008). Basandosi sui dati, hanno identificato 5 fattori predittivi di riospedalizzazione in circa 2/3 delle pazienti: comorbidità con altre patologie psichiatriche, esordio del DCA in tenera età, iperattività, basso peso corporeo raggiunto, basso B.M.I. alla dimissione dal primo ricovero ospedaliero.
L’importanza di recuperare del peso è stata sottolineata anche in altri studi. In un follow-up dopo 21 anni di 84 donne che erano state ospedalizzate per anoressia, il 40% erano riuscite ad ottenere una remissione completa, il 20% alternavano periodi di remissione a ricadute, e il 26% erano acorda infognate nella malattia. (Le restanti, 14%, erano decedute). In questo caso, i fattori predittivi l’esito del percorso di ricovero erano rappresentati da: durata della malattia, B.M.I., sottotipo I o II di anoressia, severità dei sintomi psicologici, severità dei problemi relazionali, età d’esordio dell’anoressia, peso riacquistato.
Un altro studio inglese condotto su 22 donne ospedalizzate per anoressia ha rilevato che, effettivamente, riuscire a ritornare al proprio set-point fisiologico di peso corporeo rappresenta un element che evita successive riospedalizzazioni, e che aiuta nella remissione. (Baran, Weltzin & Kaye, 1995)
Varietà alimentare. I ricercatori hanno trovato che tanto maggiore è la varietà di cibi che una persona affetta da anoressia riesce a tornare a mangiare, tanto minore è la frequenza di ricadute. (Schebendach et al., 2008). Le 47 donne seguite in questo studio erano state ospedalizzate all’EDU del New York State Psychiatric Institute alla Columbia University. Dopo aver raggiunto un B.M.I. pari a 18 (il minimo del normopeso), alle 47 donne è stato fatto scrivere un “diario alimentare” per una settimana, quindi sono state seguite per un anno. A questo punto, si è visto che le donne che avevano una dieta più varia erano più avanti nel loro percorso di ricovero rispetto a quelle che mangiavano sempre i soliti poco vari cibi, a parità di calorie assunte.
Fattori psicologici
Non soltanto i fattori relativi al recupero ponderale e all’alimentazione fanno la differenza nel percorso di ricovero, ci sono anche differenze individuali sul piano caratteriale/psicologico che condizionano il percorrere la strada del ricovero.
Perfezionismo, disistima e bisogno di controllo. In uno studio condotto su 26 donne ricoverate in un ospedale francese per anoressia, i ricercatori hanno somministrato loro un questionario relativo ai DCA, e le hannoo seguite per circa 8 – 10 anni. (Bizeul, Sadowsky & Rigaud, 2001). Metà delle donne ha ottenuto una remissione dell’anoressia durante il periodo di follow up, l’altra metà non c’è riuscita. In questo studio, nella fattispecie, i ricercatori hanno definito “ricovero” il recupero del proprio set-point fisiologico di peso corporeo, la presenza di ciclo mestruale regolare, l’assenza dei comportamenti alimentari tipici del DCA per almeno 2 anni consecutivi, autonomia dalla famiglia, recupero di una buona qualità della vita.
I ricercatori hanno notato che le donne che rispondendo al questionario si riconoscevano caratteristiche quali il perfezionismo, la disistima e il bisogno di controllo, ma anche la difficoltà nelle relazioni interpersonali e una scarsa interocezione erano quelle che raggiungevano risultati più scarsi in termini di “ricovero”. Quando i ricercatori hanno preso in considerazione questi parametri, tuttavia, hanno notato che solo il perfezionismo, la disistima e il bisogno di controllo hanno effettivamente un valore predittivo negativo sull’esito del ricovero.
Supporto. In uno studio retrospettivo qualitativo condotto su 69 donne in Nuova Zelanda, i ricercatori hanno chiesto alle persone esaminate quali ritenevano fossero i fattori “sociali” che le avevano aiutate a stare meglio mentre percorrevano la strada del ricovero. Il 90% delle intervistate ha risposto “familiari” e/o “amici”. Altri fattori considerati un importante aiuto nel percorrere la strada del ricovero sono stati (in ordine d’importanza decrescente, secondo le percentuali riportate dallo studio in questione): crescita/maturazione, scoperta di altri interessi, psicoterapia, acquisizione di autonomia, lavoro, sport, supporto di altre persone che stavano combattendo contro il DCA, farmaci, gravidanza, il proprio partner.
Al di là della singola cosa, tutte le donne concordavano nel dire che un adeguato supporto da parte degli altri era stato un elemento molto importante nel loro percorso di ricovero. Chi fossero le persone supportive – amici, familiari, psicoterapeuti, partner – sembrava essere meno importante del supporto in sé per sé. Inoltre, un altro fondamentale aspetto del percorso di ricovero, a detta dei soggetti esaminati, stava nel riuscire a trovare altri interessi al di fuori dell’anoressia.
E i ricercatori sottolineano proprio questo aspetto alla fine dello studio:
“Il punto di forza e, allo stesso tempo, il punto di debolezza di questo studio consiste nel fatto che è filtrato esclusivamente dalla prospettiva delle pazienti. Pazienti che crescono, fanno nuove esperienze di vita, si aprono a nuovi interessi, e contemporaneamente grazie alla psicoterapia si guardano dentro cercando d’individuare le cause che le hanno portate a sviluppare il loro DCA. […] La prospettiva delle pazienti, unita ai dati clinici, ci permette di ricavare una sorta di romanzo, e di avere una ricca comprensione dell’eziologia e dei fattori che contribuiscono all’esito positivo di un percorso di ricovero dall’anoressia.”
(mia traduzione)
(…CONTINUA…)
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5 commenti:
Molto interessanti questi studi! Lo dico pur detestando le statistiche (in realtà si tratta del tipico odi et amo, ma lasciamo stare xD)
Tra tutti i fattori esaminati mi è saltato all'occhio "indipendenza dalla famiglia", effettivamente avere indipendenza dal nido familiare può essere una spinta positiva e aumentare l'autostima...ma non può essere anche un fattore di rischio? (non sono d'accordo con quello che ho appena chiesto, ma vorrei considerare tutti i punti di vista)
Ciao, Veggie, a presto!
Anch’io trovo molto interessante questa serie di post!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
Tra l’altro, mi piace molto il considerare i fattori positivi e quelli negativi del percorso di ricovero, perché rappresentano un qualcosa su cui riflettere: magari ci si può rendere conto che si possiedono (o meno) certe caratteristiche, e il metterle a fuoco può permettere di sfruttarle positivamente, se si tratta di aspetti positivi per il ricovero, oppure di fare mente locale sul fatto che si hanno certe caratteristiche negative, e quindi cercare di lavorarci, non dico per cancellarle del tutto, ma per lo meno per “appianare gli spigoli”.
Tra l’altro, sono molto d’accordo sull’importanza del supporto per combattere il dca, perché per me il supporto è stato FONDAMENTALE. Ovviamente se io per prima non avessi voluto cambiare le cose, se io per prima non avessi deciso di oppormi alla bulimia, ne sarei ancora preda: è innegabile che sia stata io, pur esitando e barcollando e ogni tanto ricadendo, il motore primo del mio cambiamento. Però, fermo restando la mia ferma decisione di allontanarmi dalla bulimia, in questo contesto trovo che il supporto che ho ricevuto mi sia stato veramente importantissimo: sarebbe stato infinitamente più difficile fare il percorso che ho fatto finora (e forse non ci sarei neanche riuscita) se non avessi avuto il supporto degli altri. Mi riferisco sia al supporto medico mirato (psicologa + nutrizionista), sia al supporto del miei genitori, delle mie amiche, ed infine del mio fidanzato. Sarebbe stato infinitamente più difficile se non avessi avuto tutte queste persone al mio fianco, e non smetterò mai di ringraziarle per tutto quello che hanno fatto (e stanno tutt’ora facendo) per me.
Hai ragione, riconoscere i fattori predittivi non deve far scoraggiare... al contrario può portare a lavorare su questi punti critici.
Ciao veggie, so che non ha molto a che fare con il post ma non sapevo dove altro scriverti. Ho visto ieri sera il film Briciole, sull"anoressia e bulimia prodotto dalla Rai. E sono rimasta sconcertata! Cercavo ieri film sull'argomento perché vedere storie, anche sapendo che sono finte, di ragazze che c'è l hanno fatta mi da un po di speranza. Comunque cercando su vari blog ho visto moltissimi commenti e recensioni positive sul film, dove elogiavano la regia, il casting e il modo in cui era stato trattato l'argomento. Mi ero fatta un sacco di buone aspettative, tutte amaramente deluse dopo appena 10 min di film; sono comunque dell'idea che per criticare qualcosa bisogna conoscerla e quindi ho finito di vedere il film. Il modo in cui presentano la malattia, di come la famiglia "cerca" di stare vicino alla ragazza e di tutti i problemi che la ragazza con la sua malattia ha creato alle persone che le stavano vicino è a dir poco ridicolo. Comunque ciliegina sulla torta: il film finisce con i genitori che si separano a causa delle liti sul problema della figlia, come a dire che non solo la ragazza era malata per scelta propria ma che era anche causa della separazione dei genitori. Scusa il commento lunghissimo e fuori luogo, volevo condividere con voi la mia opinione e sono curiosa di sapere le vostre se avete visto il film. Non potrò mai ringraziarti abbastanza per la forza e la speranza che mi dai attraverso il blog, ti abbraccio. Federica.
@ GaiaCincia – Io sono una sorta di nerd delle statistiche, figurati… però, naturalmente, con la razionalità di chi sa bene che le statistiche non riusciranno mai a definire l’individualità… In quanto alla tua domanda… Personalmente, l’indipendenza dalla famiglia è stato un fattore che ha agito positivamente nel mio personale percorso di ricovero… ma questa è solo un’opinione soggettiva basata sulla mia esperienza e che, in quanto tale, vale meno di meno zero… Più in generale, mi verrebbe di rispondere: dipende. Dipende dal momento del percorso di ricovero in cui si verifica il distacco dalla famiglia, e dall’età della persona. Mi spiego meglio… Se il distacco avviene in un momento precoce del ricovero, ci può effettivamente essere un alto rischio ricaduta in cui la persona si ritrova di nuovo in balìa del DCA, e senza più nessuno accanto che gli fa da contraltare esterno, lanciando un salvagente… Se invece il distacco avviene più tardivamente, quando la persona ha più consapevolezza e determinazione, allora diventa un fattore positivo. Discorso simile per l’età a cui una persona si distacca dalla famiglia… a 14 anni difficilmente una ragazza sarà in grado di badare a se stessa, e lì il distacco può essere deleterio… Su una persona maggiorenne, invece, il distacco può avere conseguenze positive perché avviene ad un’età in cui la persona dovrebbe essere più in grado di prendersi cura di sé… Grazie per lo spunto di riflessione!... Un abbraccio…
@ Wolfie – Mi fa davvero piacere che questo ciclo di post t’interessi così tanto!... Grazie!... Hai capito perfettamente cosa intendevo quando parlavo dell’importanza dei fattori predittivi positivi/negativi del ricovero, mi fa piacere rendermi conto che il messaggio è passato correttamente… E comunque sì, anch’io credo che il supporto altrui sia molto importante… Perché senza nulla negare all’elemento più fondamentale in assoluto che è la nostra determinazione a combattere il DCA e la nostra forza di volontà, sicuramente le fatiche si stemperano almeno un pochino se si hanno vicino persone su cui sappiamo di poter contare…
@ Vele/Ivy – Penso che il lavorare su noi stesse, e sulle cose che non vanno ma che possiamo migliorare, sia un punto-chiave per poter stare meglio…
@ Federica – Ciao Federica, puoi scrivermi dove vuoi, qui sul blog o direttamente tramite mail all’indirizzo: veggie.any@gmail.com . A parte questo… Premetto che io personalmente non ho mai visto il film di cui parli… però la tua critica costruttiva mi sembra intelligente e ben articolata, e penso che quella che tiri fuori sia una tematica interessante per costruirci un post… Come puoi vedere, adesso sto scrivendo questo ciclo di post in merito alla definizione di “ricovero”, ma se la cosa può interessarti e non ti disturba, una volta finito questo ciclo di post si potrebbe aprire una discussione proprio partendo dal tuo commento su questo film… che ne dici? Fammi sapere se l’idea ti piace… Un abbraccio…
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