venerdì 15 agosto 2014
Naomi Wolf l'ha cannata. L'ha cannata parecchio.
Dopo aver letto il commento che una lettrice anonima ha lasciato al mio ultimo post, ho deciso che devo proprio scrivere un nuovo post riguardante la correlazione tra anoressia e scomparsa/ricomparsa del ciclo mestruale, ma per stenderlo in via definitiva mi ci vorrà sicuramente qualche giorno, per cui, nel frattempo, nel post di oggi vi parlerò di una segnalazione che mi è stata fatta tramite e-mail alcune settimane fa da una di voi lettrici. La segnalazione in questione è relativa al primo libro scritto da Naomi Wolf: “Il mito della bellezza”. Ho dato un’occhiata su Amazon, e il rating di questo libro mi ha mostrato che è molto gradito, e che molti – come si evince dai commenti delle recensioni – l’hanno trovato scioccante e “gli ha aperto gli occhi”. Okay, lo ammetto: non ho letto questo libro, e non è mia intenzione farlo in futuro (non leggo libri di questo tipo, non penso siano in alcun modo utili al mio percorso di ricovero). Però ho cercato su Internet cosa fosse stato scritto su questo libro, e la cosa che più ha attirato la mia attenzione sono state le statistiche blandamente sbagliare riportate dall’autrice e dalle persone che hanno citato il suo testo.
(Mi viene anche da pensare che i libri in fondo sono un oggetto commerciale. La cosa più importante per farsi pubblicare un libro è perciò convincere l’editore che le persone lo compreranno. Nessuna garanzia sul fatto che le notizie riportate su un qualsiasi libro siano corrette. E magari spesso e volentieri non lo sono, solo che uno si legge il libro e non si prende la briga di verificare.)
Se state pensando: e chi se ne frega?, io credo che dovrebbe importarvene, perché un sacco di volte si prendono per oro colato cose assolutamente non vere. E ci può anche stare. Ma Naomi Wolf è una consulente politica, una giornalista, una scrittrice, un’attivista femminista statunitense, dunque un personaggio pubblico: ergo i dati che riporta nei suoi libri sono spesso e volentieri citati dai mass media americani, e si sa che i mass media hanno un forte impatto nel determinare come e cosa la gente recepirà in merito ai DCA, e forse influenzano anche l’attitudine che i medici possono avere nei confronti di queste malattie. Pertanto, non penso che Naomi Wolf aiuti né la causa femminista né la corretta informazione sui DCA scrivendo cose non vere.
Citando informazioni che ho trovato su Internet:
“Nel suo primo libro, “Il mito della bellezza”, l’autrice afferma che la seconda ondata di femministe non ha avuto molto successo. Nel 1990 le donne erano sottopagate, e non giudicate in base alla qualità del loro lavoro, ma in base al loro aspetto fisico. La maggior parte delle donne lavoranti perciò soffriva di anoressia e bulimia, ed era forzata a concludere il proprio percorso di studi. Le restanti donne che non si mettevano a dieta, spendevano tutto il loro denaro in cosmetici e chirurgia plastica. E la causa di tutto ciò era proprio rappresentata dal “mito della bellezza”.
Grazie al suo debutto con questo libro, la Wolf ha ottenuto istantaneo successo in tutto il mondo. Ha viaggiato, fatto letture, preso parte a discussioni, è apparsa in TV. Il suo libro è diventato un best seller. Nei dibattiti pubblici le statistiche sull’anoressia riportate nel capitolo “Fame” sono state spesso citate. Secondo i dati riportati dalla Wolf, il 20% delle studentesse americane soffre di anoressia, e il 60% di bulimia. Solo una piccola percentuale non ha alcun DCA. La sua asserzione: “150000 morti per anoressia ogni anno” è ciò che più ha catturato l’attenzione dei mass media.
Nel 1994, la professoressa Christina Hoff Sommers – certo non un’esperta di DCA – le ha risposto nel suo libro “Who stole feminism?” Questa professoressa è risalita alla fonte dei dati sulla mortalità per anoressia, ed ha così scoperto che la Wolf aveva citato un libro di Brumberg, che si riferiva a sua volta ad una newsletter della American Anorexia And Bulimia Association (AABA). Brumberg aveva tuttavia frainteso questa newsletter: la AABA palrava infatti di 150000 affette (NON decedute!) da anoressia”.
In ogni caso, Naomi Wolf ha corretto quest’affermazione nelle riedizioni successive del libro. Ma è tutto qui? Un ricercatore (tale Schoemaker), accortosi dell’errore, ha voluto approfondire tutte le altre statistiche che Naomi Wolf aveva citato nel suo libro (nell’ULTIMA edizione del suo libro) confrontandole con quelle che si evincevano dalla letteratura scientifica.
La maggior parte delle ricerche scientifiche cui Schoemaker ha fatto riferimento erano quelle condotte da Hoek e Van Hoeken nel 2002-2003. E per quantificare l’entità dell’assurdità delle statistiche di Naomi Wolf, ha ideato un indice che ha chiamato WOLF (come acronimo di Wolf’s Overdo and Lie Factor). Un esempio: prendendo l’originale affermazione di Naomi Wolf, secondo la quale ci sono 150000 decessi annui per anoressia, e dividendo questa cifra per il reale numero di decessi che si sono verificati in un anno causa anoressia (circa lo 0,56% di tutte le malate di anoressia muore in un anno, il che significa, partendo da un totale di malate pari a 150000, che ne muoiono effettivamente circa 525 ogni anno), si ottiene 286.
Ergo: la statistica riportata da Naomi Wolf sovrastima di circa 300 volte il numero reale di persone morte per anoressia in un anno.
Questa è una tabella tratta da “A critical appraisal of the anorexia statistics in The Baeuty Myth: introducing WOLF” (C. Schoemaker, 2004) che mostra l’entità degli sfondoni tirati da Naomi Wolf in merito alle statistiche citate nel suo libro. Insomma, l’ha padellata.
Schoemaker afferma che:
“La media dello WOLF nelle 23 statistiche sull’anoressia considerate è 8,28. E questo dopo le correzioni che la Wolf ha apportato all’ultima edizione del suo libro (riguardo al tasso di mortalità annuale) […] In sintesi: in media, ogni statistica sull’anoressia riportata anche sull’ultima edizione de “Il mito della bellezza” dev’essere divisa per 8 per potersi anche solo avvicinare al dato reale”.
(mia traduzione)
Nel suo articolo Schoemaker affronta anche altri punti salienti, ma il principale è relativo al fatto che Naomi Wolf non aiuta nessuno pompando i numeri, nè asserendo che l’anoressia è una malattia epidemica. Non è affatto epidemica, ma questo certo non significa che allora ce ne possiamo sbattere. L’anoressia è una malattia seria e grave, sia dal punto di vista fisico che psichico. Non perché colpisce un numero “epidemico” di persone, bensì per quelli che sono i devastanti effetti che questa malattia ha sulla vita di chi se ne ammala.
Questo è. I medici, gli psichiatri, gli psicologi ed i dietisti non dovrebbero, e fortunatamente non lo fanno, curarsi delle malattie solo quando esse raggiungono dimensioni epidemiche. Ci sono un sacco di malattie che sono più rare dell’anoressia, e che sono oggetto di numerose ricerche e di attenzione medica. Ed è giusto che sia così, perché l’impatto che le malattie hanno sul paziente, sulla sua famiglia, e sulla sanità in toto, è massivo. I pazienti non dovrebbero essere scagati perché le loro patologie sono così rare che non è conveniente, da un punto di vista economico, spendere soldi sulla ricerca di cause e terapie. Le cose fortunatamente non funzionano così. Perciò non c’è alcun bisogno (almeno spero!) di pompare le statistiche in un maldestro tentativo di aumentare l’attenzione.
La mia opinione è che, anziché incrementare assurdamente i numeri basandosi sul niente, solo al fine di fare scena, dovremmo semplicemente parlare più spesso (e molto più correttamente di quanto purtroppo generalmente non venga fatto) dell’anoressia. Bisognerebbe esaltare la qualità, non la quantità. A tal proposito, l’indice WOLF mi sembra un semplice ed utile strumento per quantificare le esagerazioni tirate fuori dai mass media. Il suo acronimo si rifà infatti ad una scrittrice che non dovrebbe più essere creduta se tirasse fuori altre statistiche sull’anoressia.
(Mi viene anche da pensare che i libri in fondo sono un oggetto commerciale. La cosa più importante per farsi pubblicare un libro è perciò convincere l’editore che le persone lo compreranno. Nessuna garanzia sul fatto che le notizie riportate su un qualsiasi libro siano corrette. E magari spesso e volentieri non lo sono, solo che uno si legge il libro e non si prende la briga di verificare.)
Se state pensando: e chi se ne frega?, io credo che dovrebbe importarvene, perché un sacco di volte si prendono per oro colato cose assolutamente non vere. E ci può anche stare. Ma Naomi Wolf è una consulente politica, una giornalista, una scrittrice, un’attivista femminista statunitense, dunque un personaggio pubblico: ergo i dati che riporta nei suoi libri sono spesso e volentieri citati dai mass media americani, e si sa che i mass media hanno un forte impatto nel determinare come e cosa la gente recepirà in merito ai DCA, e forse influenzano anche l’attitudine che i medici possono avere nei confronti di queste malattie. Pertanto, non penso che Naomi Wolf aiuti né la causa femminista né la corretta informazione sui DCA scrivendo cose non vere.
Citando informazioni che ho trovato su Internet:
“Nel suo primo libro, “Il mito della bellezza”, l’autrice afferma che la seconda ondata di femministe non ha avuto molto successo. Nel 1990 le donne erano sottopagate, e non giudicate in base alla qualità del loro lavoro, ma in base al loro aspetto fisico. La maggior parte delle donne lavoranti perciò soffriva di anoressia e bulimia, ed era forzata a concludere il proprio percorso di studi. Le restanti donne che non si mettevano a dieta, spendevano tutto il loro denaro in cosmetici e chirurgia plastica. E la causa di tutto ciò era proprio rappresentata dal “mito della bellezza”.
Grazie al suo debutto con questo libro, la Wolf ha ottenuto istantaneo successo in tutto il mondo. Ha viaggiato, fatto letture, preso parte a discussioni, è apparsa in TV. Il suo libro è diventato un best seller. Nei dibattiti pubblici le statistiche sull’anoressia riportate nel capitolo “Fame” sono state spesso citate. Secondo i dati riportati dalla Wolf, il 20% delle studentesse americane soffre di anoressia, e il 60% di bulimia. Solo una piccola percentuale non ha alcun DCA. La sua asserzione: “150000 morti per anoressia ogni anno” è ciò che più ha catturato l’attenzione dei mass media.
Nel 1994, la professoressa Christina Hoff Sommers – certo non un’esperta di DCA – le ha risposto nel suo libro “Who stole feminism?” Questa professoressa è risalita alla fonte dei dati sulla mortalità per anoressia, ed ha così scoperto che la Wolf aveva citato un libro di Brumberg, che si riferiva a sua volta ad una newsletter della American Anorexia And Bulimia Association (AABA). Brumberg aveva tuttavia frainteso questa newsletter: la AABA palrava infatti di 150000 affette (NON decedute!) da anoressia”.
In ogni caso, Naomi Wolf ha corretto quest’affermazione nelle riedizioni successive del libro. Ma è tutto qui? Un ricercatore (tale Schoemaker), accortosi dell’errore, ha voluto approfondire tutte le altre statistiche che Naomi Wolf aveva citato nel suo libro (nell’ULTIMA edizione del suo libro) confrontandole con quelle che si evincevano dalla letteratura scientifica.
La maggior parte delle ricerche scientifiche cui Schoemaker ha fatto riferimento erano quelle condotte da Hoek e Van Hoeken nel 2002-2003. E per quantificare l’entità dell’assurdità delle statistiche di Naomi Wolf, ha ideato un indice che ha chiamato WOLF (come acronimo di Wolf’s Overdo and Lie Factor). Un esempio: prendendo l’originale affermazione di Naomi Wolf, secondo la quale ci sono 150000 decessi annui per anoressia, e dividendo questa cifra per il reale numero di decessi che si sono verificati in un anno causa anoressia (circa lo 0,56% di tutte le malate di anoressia muore in un anno, il che significa, partendo da un totale di malate pari a 150000, che ne muoiono effettivamente circa 525 ogni anno), si ottiene 286.
Ergo: la statistica riportata da Naomi Wolf sovrastima di circa 300 volte il numero reale di persone morte per anoressia in un anno.
Questa è una tabella tratta da “A critical appraisal of the anorexia statistics in The Baeuty Myth: introducing WOLF” (C. Schoemaker, 2004) che mostra l’entità degli sfondoni tirati da Naomi Wolf in merito alle statistiche citate nel suo libro. Insomma, l’ha padellata.
Schoemaker afferma che:
“La media dello WOLF nelle 23 statistiche sull’anoressia considerate è 8,28. E questo dopo le correzioni che la Wolf ha apportato all’ultima edizione del suo libro (riguardo al tasso di mortalità annuale) […] In sintesi: in media, ogni statistica sull’anoressia riportata anche sull’ultima edizione de “Il mito della bellezza” dev’essere divisa per 8 per potersi anche solo avvicinare al dato reale”.
(mia traduzione)
Nel suo articolo Schoemaker affronta anche altri punti salienti, ma il principale è relativo al fatto che Naomi Wolf non aiuta nessuno pompando i numeri, nè asserendo che l’anoressia è una malattia epidemica. Non è affatto epidemica, ma questo certo non significa che allora ce ne possiamo sbattere. L’anoressia è una malattia seria e grave, sia dal punto di vista fisico che psichico. Non perché colpisce un numero “epidemico” di persone, bensì per quelli che sono i devastanti effetti che questa malattia ha sulla vita di chi se ne ammala.
Questo è. I medici, gli psichiatri, gli psicologi ed i dietisti non dovrebbero, e fortunatamente non lo fanno, curarsi delle malattie solo quando esse raggiungono dimensioni epidemiche. Ci sono un sacco di malattie che sono più rare dell’anoressia, e che sono oggetto di numerose ricerche e di attenzione medica. Ed è giusto che sia così, perché l’impatto che le malattie hanno sul paziente, sulla sua famiglia, e sulla sanità in toto, è massivo. I pazienti non dovrebbero essere scagati perché le loro patologie sono così rare che non è conveniente, da un punto di vista economico, spendere soldi sulla ricerca di cause e terapie. Le cose fortunatamente non funzionano così. Perciò non c’è alcun bisogno (almeno spero!) di pompare le statistiche in un maldestro tentativo di aumentare l’attenzione.
La mia opinione è che, anziché incrementare assurdamente i numeri basandosi sul niente, solo al fine di fare scena, dovremmo semplicemente parlare più spesso (e molto più correttamente di quanto purtroppo generalmente non venga fatto) dell’anoressia. Bisognerebbe esaltare la qualità, non la quantità. A tal proposito, l’indice WOLF mi sembra un semplice ed utile strumento per quantificare le esagerazioni tirate fuori dai mass media. Il suo acronimo si rifà infatti ad una scrittrice che non dovrebbe più essere creduta se tirasse fuori altre statistiche sull’anoressia.
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9 commenti:
Ciao Veggie! Motto probabilmemte Naomi Wolf voleva semplicemente far parlare così... Nel caso invece lo avesse fatto apposta, beh io non mi farei curare da lei manco per un raffreddore.
Non ho letto il libro, magari lo farò, prima o poi. Al di là dei dati più o meno aggiustati a piacimento, non ho ben capito se il messaggio di fondo del libro sia che il proporre incessantemente certi canoni di bellezza abbia il potere di indurre il disturbo alimentare o che quantomeno ne sia una concausa. Perché, se è così, il libro non lo leggo. Sono un po' stanca di quei discorsi. Mi ci metto per prima, è vero, io stessa inseguo spesso una mia personale idea di "bellezza" o "perfezione", ma è solo una trappola creata dalla mia testa, con cui la bellezza ha poco a che fare. E infatti ne esco sempre stanca, è una lotta. Per contro, conosco tante ragazze felici che vivono la ricerca di "un po' di bellezza in più" con un sorriso in viso e vanno così a farsi le unghie e le sopracciglia, oppure un massaggio. Questo le fa sentire più belle e, in effetti, dopo, lo sono.
Per il messaggio di fondo del tuo articolo, concordo con te e penso sia importante considerare sempre la malattia come un male da curare perché dà dolore e riduce la qualità della vita di chi ne è affetto, fosse anche una sola persona, piuttosto che un qualcosa da trattare all'ingrosso, solo se raggiunge caratteri epidemici. Però spesso ormai, se si vuole vendere, bisogna ingigantire le cose, far di tutto un grosso fiocco rosa, a discapito della loro realtà e serietà, con il rischio di fornire informazioni sbagliate e/o superficiali. E a volte è meglio avere a che fare con una persona che non conosce le cose, piuttosto che con una che ne conosce la versione sbagliata, perché alla prima puoi spiegare da zero, alla seconda è poi difficile far cambiare idea...
Continua a pubblicare :)
Mary
Non vedo l'ora che tu pubblichi quel post! Dato che l'argomento mi interessa direttamente mi piacerebbe avere le idee un po' più chiare a riguardo.
Comunque trovo vergognosa la presenza di dati falsi su un libro del genere: insomma se controllare le fonti è importante, in casi come questo lo è ancora di più! Però secondo la mia opinione parlando di malattie come l'anoressia e la bulimia i numeri sono relativamente importanti: ciò non giustifica un errore di queste dimensioni, ma alla fine per una ragazza malata cosa cambia sapere che altre 1000 piuttosto che 4000 ragazze hanno il suo stesso problema? Per me, niente.
Aspetto con ansia il tuo prossimo post!
Quel che leggo in questo post mi lascia piuttosto sconcertata. Premetto che non ho letto il libro in questione e, dopo questo post, non mi è certo venuta voglia di farlo.
Ho una mia idea, comunque, e forse sarà sicuramente sbagliata, però io peso questo: Naomi Wolf non sarà sicuramente una sciocca. Le sarebbe bastato controllare meglio le sue fonti per capire che quello che aveva intenzione di scrivere era sbagliato. Ad altri ricercatori è bastato poco per svelare i suoi errori, quindi avrebbe potuto benissimo esserci riuscita anche lei stessa. Si potrebbe pensare che non abbia approfondito, tuttavia io non credo che sia stata così sprovveduta. Per cui, forse mi sbaglio ma penso che il suo errore sia stato intenzionale. Un libro che fa spettacolo tirando in ballo un dato così enorme, è sempre un libro che attira di più rispetto ad un testo in cui i dati vengono messi più in sordina. Per cui, scusatemi se sono così terraterra, ma visto che si scrive per vendere, ho come l’idea che Naomi Wolf abbia curato molto più l’aspetto del sensazionalismo che non quello della veridicità delle affermazioni da lei riportate. Perché è ovvio che dire che due milioni di ragazze soffrono di dca fa molta più scena che non dire che dieci ragazze soffrono di dca. Pensate alla notizia in questi giorni trasmessa da tutti i telegiornali sul virus ebola: fino a che il virus era confinato a poche popolazioni dell’Africa, silenzio totale. Poi, quando si è diffuso ed ha cominciato ad interessare anche Europa ed America, allora ci hanno propinato servizi su servizi. Eppure la gente moriva di ebola anche prima che la notizia giungesse sui nostri teleschermi. E la stessa cosa secondo me vale per questo libro: Naomi Wolf avrà forse pensato che se si fosse attenuta ai dati reali, nessuno le avrebbe dato corda, mentre invece se avesse gonfiato la cosa, sarebbe stata molto di più sotto i riflettori. E quindi così ha fatto.
Il che è per lo meno condannabile, perché il fatto che il numero di persone effettivamente malate di dca sia minore, non significa che quelle poche persone non soffrano comunque.
Ciao Veggie,
Non ho mai letto questo libro e penso che non lo farò perché mi basta così. Però sono rimasta destabilizzata da questo errore. Ovvio, tutti possono commettere errori perché siamo umani, ma se io fossi nella scrittrice avrei preso dei dati più attendibili, anche perché il dca è un argomento molto serio, e quindi da trattare nel modo giusto.
Aspetto il tuo prossimo post!
Ti abbraccio
@ Clarissa – Non potrei essere più d’accordo con te… Non sono ovviamente in grado di dire se l’autrice sia stata in buona od in malafede, ma in ogni caso quello che ha scritto è comunque ampiamente opinabile…
@ Mary – Onestamente, non avendolo letto, non sono in grado di dirti quale sia il messaggio di fondo del libro… In ogni caso, qualora l’obiettivo fosse quello che ipotizzi tu, concordo pienamente con te nel dire che anch’io ne ho un po’ le tasche piene di questi (falsi) luoghi comuni. Io sono dell’idea che i DCA abbiano praticamente niente a che fare con la bellezza, e rappresentino invece una sorta di strategia di coping per parare altre problematiche presenti nella nostra vita che sono molto più difficili da gestire e da affrontare… Purtroppo è vero quel che dici in conclusione al tuo commento. Lo vedo bene, in tutt’altro campo, poiché lavoro come istruttrice di karate: una cosa è insegnare il karate ai ragazzini che mettono piede in palestra per la prima volta, altro paio di maniche è insegnarlo a quelli che in passato avevano già fatto questo sport, ma in un'altra palestra. I primi sono molto più duttili e malleabili, imparano bene e relativamente in fretta… i secondi si portano dietro le impostazioni che avevano ricevuto nell’altra palestra, applicano determinati schemi di default, ed è veramente difficile riuscire a correggere i loro errori… Quindi non posso che essere d’accordo con te quando dici che è più facile spiegare da zero. Purtroppo – e torno a quel purtroppo iniziale – la TV dà spesso e volentieri informazioni sui DCA che sono assolutamente fuorvianti… e questo alimenta nella testa della gente una quantità di falsi cliché sui DCA che è a dir poso impressionante…
@ Killer – Da oggi puoi leggerlo!... Spero che ti piaccia e sia di tuo interesse!... Concordo con te sull’importanza di controllare le fonti: banalmente, sulle tesi di laurea esiste la bibliografia proprio per questo… a maggior ragione dovrebbe esserci nei libri divulgativi. È vero che, come dici, per il singolo i dati non cambiano niente, perché lui sta comunque male… però i dati cambiano l’opinione pubblica. Ed è su questo che la Wolf ha, a mio avviso, cercato di giocare…
@ Wolfie – Wolfie, hai assolutamente ragione… Penso che le esigenze economiche, purtroppo, spesso e volentieri sovrastino la necessità di scrivere la verità… a nostro discapito. Quello che fa notizia sta in prima pagina, altrimenti nel trafiletto di coda a pagina 16… è una triste realtà…
@ Pulce – Anch’io non ho intenzione di leggere questo libro… come tutti quelli affini. Non penso possano aiutare in alcun modo il mio percorso di ricovero, anzi… Certo, è ovvio che chiunque possa commettere errori, altro ci mancherebbe… ma, insomma, questo mi sembra un errore un po’ voluto, al fine di spettacolarizzare e polarizzare l’attenzione… mia opinione, eh, ci mancherebbe, magari mi sbaglio, però ho l’impressione che sia stato un errore un po’ tendenzioso…
@ Matteo – Grazie per la segnalazione!...
Ciao a tutti!
La presenza in una ragazza del ciclo e di un peso normale indubbiamente sono indici di uno stato di salute...tuttavia ricorrere semplicemente alla constatazione della presenza o assenza delle mestruazioni per diagnosticare un DCA lo ritengo riduttivo e inopportuno.
Ma questo secondo me deriva dal tentativo della scienza e della società attuale in generale di oggettivare,categorizzare ed etichettare tutto...anche quello che non si può; perché purtroppo quando si ha a che fare con le persone c'è un margine di variabilità troppo alto e i principi scientifici decadono...non vale x primo il principio di causa effetto...una stessa causa su diversi soggetti può portare a differenti conseguenze...
Cmq tornando al tema di questo post:
le mestruazioni dipendono da una molteplicità di fattori che non sempre sono correlati al peso!!!Attualmente io rientro a pieno nella diagnosi di anoressia, perché da marzo il mio ciclo è nuovamente scomparso. Quindi l'etichetta di “anoressia nervosa “ mi calza purtroppo a pennello....sebbene rispetto a momenti passati la mia mente sia molto più avanti e in parte“guarita” perché consapevole dei meccanismi che scattano e mi portano a star male...
Il ciclo è la prima cosa che mi scompare...io credo perché x anni non l'ho mai amato ed accettato più di tanto...era qualcosa di scomodo sconveniente e doloroso.
Sono sempre stata una bambina che non voleva crescere...ricordo perfettamente che i miei amichetti dicevano che volevano diventare grandi e io che volevo restare piccola facendo ridere così gli adulti che me lo chiedevano. Quando a 13 anni mi sono sviluppata non ero contenta ma infastidita perché sentivo che tutto stava cambiando...e mi ricordo che mentre mia madre diceva contenta che ero diventata “signorina” , io mi sono chiusa in bagno pregando il Signore di farmi diventare uomo ( sono etero cmq...non ho mai avuto tendenze strane).
Quando a 17mi sono ammalata di anoressia e il ciclo è andato via x me non è stato un problema...ho capito solo più tardi il casino che avevo combinato, quando ho cercato di farlo tornare in tutti i modi.
Ed è stato difficile e lo è tuttora....perché basta niente e va via . Spesso se ho un ragazzo è più facile che sia regolare...cmq va e viene ...ora da marzo non c'è più!
E questo ora come ora x me è molto brutto perché mi fa sentire “persa” ...e spesso guardandomi allo specchio mi chiedo: cosa sono??? Non sono pienamente DONNA ...non sono un uomo ...non sono una bambina...cosa sono???....forse una “donna a metà!
Un saluto a tutti!
Raffa
Per Clarissa Maria: Naomi Wolf non è un medico ma una giornalista, quindi non c'entra nulla il farsi curare da lei. I giornalisti di solito citano statistiche fatte da medici, quindi concordo sul fatto che non debbano fare citazioni assurde, ma prima di criticare un libro non letto, mi accerterei che la fonte delle citazioni non venga proprio dallo stesso mondo medico che la attacca.
@Clarissa Maria : Naomi Wolf è una giornalista e non un medico quindi non c'è pericolo di andare in cura da lei. Prima di criticare un libro che non si è letto che cita statistiche di cui non si conosce la provenienza bisognerebbe ricordarsi che i giornalisti fanno questo di mestiere: diffondo notizie da cui attingono, non sempre riescono a confutarne le tesi, ma quando arrivano specialisti in grado di farlo e si apre il dibattito, allora il giornalista ha espletato la sua funzione. Concordo sul fatto che bisognerebbe prestare molte più attenzione all'argomento senza dare informazioni che aggravino o, al contrario, sminuiscano il problema!
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