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mercoledì 29 giugno 2011
Freni al ricovero: Quando la fame (non) colpisce
Sebbene non sempre presente, nello scrivere questa serie di post mi sono resa conto che anche questo freno può avere un ruolo rilevante nel bloccare il percorso sulla strada del ricovero.
(Non) sentirsi affamate
Talvolta, soprattutto quando si studia sodo o si lavora, non conta molto quante ore si va avanti senza mangiare. Non si sente comunque la fame. Molti fattori possono concorrere a questo, per esempio la concentrazione mentale, il fatto che magari si debba stare sedute, e così via. Quando smettiamo di studiare o di lavorare, solo allora ci accorgiamo di aver fame. Ma mentre stiamo studiando o lavorando? Non abbiamo fame. Proprio non ne abbiamo.
Questo può rendere estremamente difficile il seguire l’ “equilibrio alimentare”, perchè per chi sta combattendo contro un DCA non è facile mangiare, e lo è ancora meno il farlo quando non ha fame. Eppure, bisogna razionalizzare. Perché in certe situazioni non ci viene fame? Forse perché qualcuno potrebbe vederci mangiare, e questo c’infastidisce. Forse perché non vogliamo unirci a mensa coi nostri colleghi. O forse perché scatta il richiamo dell’anoressia che ci dice che se ignoriamo la fame, allora siamo più forti (ma più forti di cosa?), e forse non abbiamo neanche bisogno di mangiare e possiamo tranquillamente saltare quel pasto. In fin dei conti, davvero non abbiamo fame! Quindi, perché mangiare? La risposta è: per non farci fregare di nuovo dall’anoressia. Perché dandogliela vita si entra in un trip di pensieri distorti dai quali uscire è sempre più difficile.
Comunque, cosa succede all’appetito, dunque?
Facile dire: “Un DCA altera il metabolismo è il senso di fame/sazietà, perchè quest’aspetto viene completamente controllato dalla testa”, ma non è questo il punto. Il punto è che un DCA fa perdere quello che ogni essere vivente possiede come istinto naturale, fin dalla nascita: l’alimentazione intuitiva (“Intuitive eating”). Non so se sapete di cosa sto parlando (ho trattato l’argomento in QUESTO POST), in ogni caso, per farla estremamente breve, è una cosa del tipo: mangia quando hai fame, smetti quando ti senti piena. Ho sentito diverse dietiste dire alle loro pazienti, che erano terrorizzate all’idea di riprendere peso, di seguire l’alimentazione intuitiva: se avessero mangiato quando erano affamate e avessero smesso quando si sentivano piene, non avrebbero preso peso.
Non penso che quest’affermazione sia del tutto sbagliata, in certi frangenti può essere pure valida, ma credo che non si possa fare di tutta l’erba un fascio, e che questa asserzione non sia applicabile a chi sta cercando di combattere contro un DCA. Perché molto spesso noi ci troviamo a dover mangiare anche se non siamo affamate, per seguire l’ “equilibrio alimentare”. Prima dell’esordio dell’anoressia, non ci si preoccupa particolarmente di quanto o cosa si mangi, ma dopo le cose cambiano radicalmente. È per questo che si ha bisogno di una rieducazione da un punto di vista alimentare, di un riassestamento del metabolismo, di seguire delle linee-guida senza farci giudare unicamente dal nostro istinto. Bisogna lavorare col e sul nostro corpo. E questo significa anche mangiare quando non siamo affamate, e rispettare con rigore l’ “equilibrio alimentare”.
Parte del percorso consiste nel rompere le rigide regole alimentari che ci eravamo auto-imposte per anni ed anni. È difficile relazionarsi al fatto che il nostro corpo non è in grado di darci segnali veritieri su quando abbiamo fame e quando siamo sazie, ed è per questo che l’ “equilibrio alimentare” è estremamente utile: è un sistema che ci permette di mangiare quando ne abbiamo bisogno, ed è abbastanza flessibile da adattarsi alla nostra vita quotidiana.
(Non) sentirsi affamate
Talvolta, soprattutto quando si studia sodo o si lavora, non conta molto quante ore si va avanti senza mangiare. Non si sente comunque la fame. Molti fattori possono concorrere a questo, per esempio la concentrazione mentale, il fatto che magari si debba stare sedute, e così via. Quando smettiamo di studiare o di lavorare, solo allora ci accorgiamo di aver fame. Ma mentre stiamo studiando o lavorando? Non abbiamo fame. Proprio non ne abbiamo.
Questo può rendere estremamente difficile il seguire l’ “equilibrio alimentare”, perchè per chi sta combattendo contro un DCA non è facile mangiare, e lo è ancora meno il farlo quando non ha fame. Eppure, bisogna razionalizzare. Perché in certe situazioni non ci viene fame? Forse perché qualcuno potrebbe vederci mangiare, e questo c’infastidisce. Forse perché non vogliamo unirci a mensa coi nostri colleghi. O forse perché scatta il richiamo dell’anoressia che ci dice che se ignoriamo la fame, allora siamo più forti (ma più forti di cosa?), e forse non abbiamo neanche bisogno di mangiare e possiamo tranquillamente saltare quel pasto. In fin dei conti, davvero non abbiamo fame! Quindi, perché mangiare? La risposta è: per non farci fregare di nuovo dall’anoressia. Perché dandogliela vita si entra in un trip di pensieri distorti dai quali uscire è sempre più difficile.
Comunque, cosa succede all’appetito, dunque?
Facile dire: “Un DCA altera il metabolismo è il senso di fame/sazietà, perchè quest’aspetto viene completamente controllato dalla testa”, ma non è questo il punto. Il punto è che un DCA fa perdere quello che ogni essere vivente possiede come istinto naturale, fin dalla nascita: l’alimentazione intuitiva (“Intuitive eating”). Non so se sapete di cosa sto parlando (ho trattato l’argomento in QUESTO POST), in ogni caso, per farla estremamente breve, è una cosa del tipo: mangia quando hai fame, smetti quando ti senti piena. Ho sentito diverse dietiste dire alle loro pazienti, che erano terrorizzate all’idea di riprendere peso, di seguire l’alimentazione intuitiva: se avessero mangiato quando erano affamate e avessero smesso quando si sentivano piene, non avrebbero preso peso.
Non penso che quest’affermazione sia del tutto sbagliata, in certi frangenti può essere pure valida, ma credo che non si possa fare di tutta l’erba un fascio, e che questa asserzione non sia applicabile a chi sta cercando di combattere contro un DCA. Perché molto spesso noi ci troviamo a dover mangiare anche se non siamo affamate, per seguire l’ “equilibrio alimentare”. Prima dell’esordio dell’anoressia, non ci si preoccupa particolarmente di quanto o cosa si mangi, ma dopo le cose cambiano radicalmente. È per questo che si ha bisogno di una rieducazione da un punto di vista alimentare, di un riassestamento del metabolismo, di seguire delle linee-guida senza farci giudare unicamente dal nostro istinto. Bisogna lavorare col e sul nostro corpo. E questo significa anche mangiare quando non siamo affamate, e rispettare con rigore l’ “equilibrio alimentare”.
Parte del percorso consiste nel rompere le rigide regole alimentari che ci eravamo auto-imposte per anni ed anni. È difficile relazionarsi al fatto che il nostro corpo non è in grado di darci segnali veritieri su quando abbiamo fame e quando siamo sazie, ed è per questo che l’ “equilibrio alimentare” è estremamente utile: è un sistema che ci permette di mangiare quando ne abbiamo bisogno, ed è abbastanza flessibile da adattarsi alla nostra vita quotidiana.
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sabato 11 giugno 2011
Freni al ricovero: L'asso nella manica
Molte di voi, scrivendomi tramite e-mail, mi hanno chiesto come mai scegliere d’intraprendere la strada del ricovero sia così difficile, come mai sia così difficile seguirla, e come mai l’anoressia rappresenta comunque una calamita così potente da determinare numerose ricadute; come mai è così difficile staccarsene, e come poterci riuscire. Pertanto, ho deciso di scrivere una serie di post cercando in ognuno di essi di mettere in luce quali sono gli aspetti che ci tengono legate all’anoressia di modo che, prendendone più apertamente coscienza, possiamo essere in grado di contrastarli, dandoci ulteriori chances di percorrere la strada del ricovero. Paragonando il ricovero ad una strada che si percorre in auto, vediamo quali ne sono i freni.
Tanto per cominciare, quindi, il primo ed estremamente importante freno al ricovero, che è:
L’anoressia è un asso nella manica
Cosa intendo dire con questo? Quello che accade con l’anoressia (come ho anche detto sul video che ho fatto per MTVnews, e che, se non l'avete già visto, potete trovare QUI) è un qualcosa del tipo: siamo brave a restringere l’alimentazione senza sgarrare, da questo punto di vista teniamo tutto sotto controllo – cosa che la stragrande maggioranza della gente non sa fare – e, cosa più importante, ne siamo consapevoli. Non c’è bisogno che qualcuno ce lo dica. Certo, sappiamo anche di essere intelligenti, sensibili, brave nello sport o in ambito scolastico o lavorativo, ma lo sappiamo solo nel momento in cui gli altri ce lo dicono, nel momento in cui riceviamo una lode, e comunque non ci fidiamo mai al 100% della sincerità di chi ci dice cose del genere. Lo sappiamo, ma non ne siamo consapevoli, non è una cosa che ci viene da dentro, dobbiamo avere una conferma esterna. Perciò, quando ci si rende conto da sole che siamo brave a restringere l’alimentazione controllandola, per la prima volta la nostra autostima risale e ci rendiamo pienamente conto di possedere almeno un’abilità. Un qualcosa che sembra renderci diverse dagli altri, e speciali. Per la prima volta si trova qualcosa rispetto alla quale non nutriamo alcun dubbio di potercela fare, e sentiamo di possedere una vita.
L’’ironia, ovviamente, sta nel fatto che l’anoressia in realtà distrugge la vita, e ci rende ancora più insicure in merito a tutte le altre nostre abilità. Ma siamo comunque brave a restringere l’alimentazione. Siamo comunque più brave di chiunque altro nel controllare – ci sembra – ogni aspetto della nostra vita. Siamo comunque brave a tirare avanti fino al limite estremo. Ecco perché l’anoressia diventa il nostro asso nella manica. Dunque, il DCA distrugge la nostra già scarsa sicurezza in ogni qualsiasi nostra abilità, eccetto il fatto che siamo di gran lunga migliori degli altri nel controllo. Per dirla in un modo che anche le ragazze pro-ana/mia apprezzerebbero, siamo le Dee del Controllo.
Ovvio quindi che s’inizia ad utilizzare l’anoressia come un anestetico, una strategia di coping, un qualcosa per sentirci meglio quando tutto nella nostra vita sembra andare storto. Si prende un brutto voto ad un compito/interrogazione/esame? Vabbè – vorrà dire che oggi non faremo merenda. Si fa un colloquio di lavoro e non si viene scelte? Okay – abbiamo mangiato solo 3 biscotti e mezzo bicchiere di latte a colazione: fanculo il lavoro. Si ricevono critiche da pare di genitori/amici/colleghi di lavoro/superiori? Pazienza – siamo riuscite a restringere l’alimentazione in ogni singolo pasto della giornata, e questo ci fa stare in pace col mondo. Non importa quanto le cose possano andare storte, non contano i disastri che possono accadere, pazienza!, in fin dei conti, abbiamo comunque l’anoressia. E l’anoressia sorregge e sostiene quel poco che è rimasto della nostra sconquassata e lacerata autostima. In altre parole, l’anoressia funziona davvero come un asso nella manica: rende tutto il resto scarsamente importante di fronte ad essa stessa.
Ora, ovviamente, la domanda è: nel momento in cui si decide di percorrere la strada del ricovero e di combattere contro l’anoressia, come possiamo andare avanti senza il nostro asso nella manica? Come possiamo relazionarci con tutte le cose che ci feriscono senza la protezione dell’anoressia?
Una risposta ovvia è: imparare ad adottare altre strategie di coping non disfunzionali, che ci consentano di relazionarci e di interagire costruttivamente con quello che attualmente ci fa stare male.
Un’altra risposta è: lavorare sulla nostra scarsa autostima, per renderci conto che se qualcosa va storto non è necessariamente colpa nostra, perché non possiamo controllare tutto di tutto; e il fatto che qualcosa non vada come vorremmo non significa che noi siamo delle persone cattive, incapaci, o che tutto ci andrà male per sempre.
Un altro freno alla strada del ricovero in tal senso è che si sente la mancanza dell’anoressia. Ci si sente prive della nostra coperta di Linus, del nostro asso della manica. Ci manca la sensazione di forza, di potenza, di controllo, di soddisfazione che ci derivava dall’intima consapevolezza di essere capaci di fare qualcosa in maniera migliore di tutti gli altri. L’anoressia era, in fin dei conti, la nostra via d’uscita, il nostro getaway, e non c’è modo migliore di fuggire dalla vita che viverne il simulacro che il DCA ci propone, scollegandoci dal resto del mondo. L’anoressia era, dopotutto, il nostro paracadute, il nostro Piano B. C’illudeva con vera maestria convincendoci che con lei la nostra vita sarebbe stata migliore, e ci avrebbe aiutato a far fronte a tutti i nostri problemi. Ma l’anoressia non è una soluzione. Può sembralo, o al più pure esserlo, a breve termine. Ma su lunga gittata, finisce per diventare essa stessa Il Problema. E resta comunque qui, al nostro fianco.
L’anoressia ci accompagna sempre nel nostro percorso di vita. Non scompare semplicemente perché un bel giorno decidiamo di combattere intraprendendo la strada del ricovero, perché le bacchette magiche non esistono, non nella realtà. Rimane sempre la consapevolezza che siamo più brave di chiunque altro a restringere senza sgarrare e a mantenere, da questo punto di vista, il controllo. E perciò, rimane comunque estremamente difficile distinguere quelle che sono le illusioni e le bugie che ci racconta l’anoressia e trovare qualcosa che possa rimpiazzarla. Ma percorrere la strada del ricovero è anche questo: capire che l’anoressia è una bugia e un’illusione, ed è a questo che bisogna rinunciare: all’illusione.
Tanto per cominciare, quindi, il primo ed estremamente importante freno al ricovero, che è:
L’anoressia è un asso nella manica
Cosa intendo dire con questo? Quello che accade con l’anoressia (come ho anche detto sul video che ho fatto per MTVnews, e che, se non l'avete già visto, potete trovare QUI) è un qualcosa del tipo: siamo brave a restringere l’alimentazione senza sgarrare, da questo punto di vista teniamo tutto sotto controllo – cosa che la stragrande maggioranza della gente non sa fare – e, cosa più importante, ne siamo consapevoli. Non c’è bisogno che qualcuno ce lo dica. Certo, sappiamo anche di essere intelligenti, sensibili, brave nello sport o in ambito scolastico o lavorativo, ma lo sappiamo solo nel momento in cui gli altri ce lo dicono, nel momento in cui riceviamo una lode, e comunque non ci fidiamo mai al 100% della sincerità di chi ci dice cose del genere. Lo sappiamo, ma non ne siamo consapevoli, non è una cosa che ci viene da dentro, dobbiamo avere una conferma esterna. Perciò, quando ci si rende conto da sole che siamo brave a restringere l’alimentazione controllandola, per la prima volta la nostra autostima risale e ci rendiamo pienamente conto di possedere almeno un’abilità. Un qualcosa che sembra renderci diverse dagli altri, e speciali. Per la prima volta si trova qualcosa rispetto alla quale non nutriamo alcun dubbio di potercela fare, e sentiamo di possedere una vita.
L’’ironia, ovviamente, sta nel fatto che l’anoressia in realtà distrugge la vita, e ci rende ancora più insicure in merito a tutte le altre nostre abilità. Ma siamo comunque brave a restringere l’alimentazione. Siamo comunque più brave di chiunque altro nel controllare – ci sembra – ogni aspetto della nostra vita. Siamo comunque brave a tirare avanti fino al limite estremo. Ecco perché l’anoressia diventa il nostro asso nella manica. Dunque, il DCA distrugge la nostra già scarsa sicurezza in ogni qualsiasi nostra abilità, eccetto il fatto che siamo di gran lunga migliori degli altri nel controllo. Per dirla in un modo che anche le ragazze pro-ana/mia apprezzerebbero, siamo le Dee del Controllo.
Ovvio quindi che s’inizia ad utilizzare l’anoressia come un anestetico, una strategia di coping, un qualcosa per sentirci meglio quando tutto nella nostra vita sembra andare storto. Si prende un brutto voto ad un compito/interrogazione/esame? Vabbè – vorrà dire che oggi non faremo merenda. Si fa un colloquio di lavoro e non si viene scelte? Okay – abbiamo mangiato solo 3 biscotti e mezzo bicchiere di latte a colazione: fanculo il lavoro. Si ricevono critiche da pare di genitori/amici/colleghi di lavoro/superiori? Pazienza – siamo riuscite a restringere l’alimentazione in ogni singolo pasto della giornata, e questo ci fa stare in pace col mondo. Non importa quanto le cose possano andare storte, non contano i disastri che possono accadere, pazienza!, in fin dei conti, abbiamo comunque l’anoressia. E l’anoressia sorregge e sostiene quel poco che è rimasto della nostra sconquassata e lacerata autostima. In altre parole, l’anoressia funziona davvero come un asso nella manica: rende tutto il resto scarsamente importante di fronte ad essa stessa.
Ora, ovviamente, la domanda è: nel momento in cui si decide di percorrere la strada del ricovero e di combattere contro l’anoressia, come possiamo andare avanti senza il nostro asso nella manica? Come possiamo relazionarci con tutte le cose che ci feriscono senza la protezione dell’anoressia?
Una risposta ovvia è: imparare ad adottare altre strategie di coping non disfunzionali, che ci consentano di relazionarci e di interagire costruttivamente con quello che attualmente ci fa stare male.
Un’altra risposta è: lavorare sulla nostra scarsa autostima, per renderci conto che se qualcosa va storto non è necessariamente colpa nostra, perché non possiamo controllare tutto di tutto; e il fatto che qualcosa non vada come vorremmo non significa che noi siamo delle persone cattive, incapaci, o che tutto ci andrà male per sempre.
Un altro freno alla strada del ricovero in tal senso è che si sente la mancanza dell’anoressia. Ci si sente prive della nostra coperta di Linus, del nostro asso della manica. Ci manca la sensazione di forza, di potenza, di controllo, di soddisfazione che ci derivava dall’intima consapevolezza di essere capaci di fare qualcosa in maniera migliore di tutti gli altri. L’anoressia era, in fin dei conti, la nostra via d’uscita, il nostro getaway, e non c’è modo migliore di fuggire dalla vita che viverne il simulacro che il DCA ci propone, scollegandoci dal resto del mondo. L’anoressia era, dopotutto, il nostro paracadute, il nostro Piano B. C’illudeva con vera maestria convincendoci che con lei la nostra vita sarebbe stata migliore, e ci avrebbe aiutato a far fronte a tutti i nostri problemi. Ma l’anoressia non è una soluzione. Può sembralo, o al più pure esserlo, a breve termine. Ma su lunga gittata, finisce per diventare essa stessa Il Problema. E resta comunque qui, al nostro fianco.
L’anoressia ci accompagna sempre nel nostro percorso di vita. Non scompare semplicemente perché un bel giorno decidiamo di combattere intraprendendo la strada del ricovero, perché le bacchette magiche non esistono, non nella realtà. Rimane sempre la consapevolezza che siamo più brave di chiunque altro a restringere senza sgarrare e a mantenere, da questo punto di vista, il controllo. E perciò, rimane comunque estremamente difficile distinguere quelle che sono le illusioni e le bugie che ci racconta l’anoressia e trovare qualcosa che possa rimpiazzarla. Ma percorrere la strada del ricovero è anche questo: capire che l’anoressia è una bugia e un’illusione, ed è a questo che bisogna rinunciare: all’illusione.
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