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venerdì 21 giugno 2013

Le cose buone (NON) arrivano per chi sa aspettare: I veri danni delle lunghe liste d'attesa

Chiedere aiuto quando si ha un DCA, è sempre un qualcosa di estremamente difficile per chiunque si trovi in questa situazione. Le motivazioni per cui è difficile possono essere molteplici, e variabili da persona a persona. Per alcune rivelare il proprio DCA può suscitare sentimenti d’intensa vergona. Per altre chiedere aiuto è umiliante. Per altre ancora c’è la difficoltà di abbandonare una strategia di coping che, per quanto patologica, è comunque assolutamente funzionale. E così via. Per non parlare delle difficoltà che s’incontrano nel parlare del proprio DCA a degli psicoterapeutici che potrebbero non essere in sintonia con la nostra personalità, o scarsamente provvisti d’empatia.

Comunque, in genere, quando proprio non se ne può veramente più del disturbo alimentare, quando stiamo veramente male e ci rendiamo conto che non abbiamo più niente da perdere, ci si decide a rivolgersi alla ASL/USL richiedendo di essere prese in carico e seguite per il nostro DCA. Cosa succede? Succede che nella maggior parte dei casi si riesce ad avere un appuntamento, ma le liste d’attesa sono spaventosamente lunghe. È l’altra faccia della medaglia dell’avere una sanità pubblica: la cosa estremamente positiva è che chiunque, a prescindere dal proprio status economico, può accedere alle cure. La cosa negativa è che questo crea liste d’attesa veramente lunghissime. La cosa è naturalmente variabile da regione a regione: qui dove vivo io le cose vanno relativamente bene, ma parlando con altre ragazze che hanno un DCA e che hanno chiesto aiuto in regioni differenti da quella in cui abito io, mi sono sentita dire che anche solo per avere un primo appuntamento c’è da aspettare 3 – 4 mesi.

In quale magico mondo una lista d’attesa di 4 mesi può essere considerate accettabile? (E non mi riferisco solo ai DCA, ma a tutte le malattie, comprese quelle più letali.)

Se una ragazza sottopeso causa anoressia si rivolge alla propria ASL/USL, e le viene detto che prima di avere un appuntamento dovrà attendere 4 mesi, il messaggio subliminale che passa è: non sei abbastanza malata. Non hai bisogno di essere visitata con urgenza. Non meriti medici che ti seguano. Non sei abbastanza importante da essere aiutata. Smettila di essere così infantile. Ripigliati.

Questo è il motivo per cui molte ragazze che soffrono d’anoressia/bulimia vanno incontro a problemi di salute anche gravi (e, purtroppo, in alcuni casi letali) mentre sono in lista d’attesa. Tuttavia, la maggior parte delle ragazze riesce in qualche modo a farcela e a rimanere relativamente stabile fino a che non arriva il giorno dell’appuntamento. Che cosa succede poi?

Alcuni ricercatori si sono posti questa domanda e hanno provato a capire in che modo una lunga attesa possa influenzare la successiva risposta al trattamento da parte di una malata di DCA. I risultati cui sono giunti paiono tutt’altro che incoraggianti.

Uno studio a tal proposito è stato pubblicato lo scorso anno su “Behaviour Research and Therapy”, ed i ricercatori hanno valutato i fattori che hanno portato le pazienti affette da un DCA ad abbandonare la terapia ambulatoriale. Alcuni di questi fattori sono strettamente individuali, ma uno dei più importanti predittori di abbandono della terapia è rappresentato proprio dalla lunghezza della lista d’attesa prima di avere un appuntamento (Carter et al., 2012).

Esaminiamo quindi un po’ i dati, e vediamo cosa hanno trovato questi ricercatori. Per prima cosa, la definizione di “abbandono”.

“L’ “abbandono” della terapia viene comunemente definito come una cessazione non consensuale della terapia da parte della paziente, o dovuto all’incapacità della paziente di accettare gli obiettivi del trattamento stesso (per esempio, raggiungere un B.M.I. pari a 18, o cessare il vomito autoindotto).”
 (mia traduzione) 

Il mancato compimento fino alla fine del percorso terapeutico è un qualcosa di molto serio: la statistica dice che dal 30 al 70% delle pazienti con un DCA non completano il loro percorso terapeutico. Piuttosto che considerare queste pazienti come non complianti, a me questo sembra un chiaro segnale sia della forza dell’anoressia, sia dell’ansia estrema prodotta dall’idea di abbandonare sia i comportamenti sia il pattern mentale tipico del DCA.

I ricercatori, per studiare quali fossero i fattori che allontanavano precocemente le ragazze affette da DCA dalla terapia, hanno valutato 189 pazienti che erano seguite in regime ambulatoriale tra il 2005 e il 2010. Le pazienti in questione avevano un’età compresa tra i 16 e i 53 anni (per lo più, comunque, erano intorno ai 26 anni), e solo 4 di queste (2,1%) erano uomini. Di queste pazienti, il 18% era affetta da anoressia, il 40,2% da bulimia, e il 41,8% da DCAnas. Di ciascuna paziente sono stati valutati molteplici parametri: il peso prima dell’esordio del DCA, il peso che avevano al momento dello studio, la durata del DCA, la presenza di comorbidità (autolesionismo, DOC, disturbo bipolare, disturbo borderline, disturbo d’ansia, depressione, etc…) e così via, nonché alcune informazioni demografiche di base.

I ricercatori hanno anche valutato quanto tempo queste persone fossero state in lista d’attesa prima di accedere al loro primo appuntamento. (Il trattamento in questione consisteva nella terapia cognitive-comportamentale, 20 sedute per le persone affette da bulimia/DCAnas, e 40 – 50 sedute per le persone affette da anoressia.)

Di tutte le pazienti che avevano iniziato il trattamento, il 55% l’ha portato a termine, mentre il 45% no. È una percentuale di abbandono altissima. Le pazienti che hanno abbandonato, l’hanno fatto per lo più dopo una dozzina di sedute. Non ci sono grosse differenze nei tassi d’abbandono della terapia in persone affette da diversi tipi di DCA. 

Se non è dunque la tipologia di DCA che influisce sul tasso d’abbandono della terapia, cos’altro lo fa?

Queste le risposte dei ricercatori:

• Peso corporeo. I maggiori tassi d’abbandono della terapia sono stati riscontrati nelle pazienti che avevano un minore peso corporeo.

• Comorbidità. La concomitante presenza di altre patologie psichiatriche oltre al DCA (soprattutto i disturbi d’ansia) ha favorito l’abbandono della terapia.

• Evitamento. Le pazienti che presentavano un atteggiamento di forte evitamento nei confronti delle emozioni negative, e una minore resistenza allo stress indotto dal percorso terapeutico, abbandonavano più facilmente la terpia. E, indovinate un po’…

• Lunghezza della lista d’attesa. Tanto più le pazienti avevano aspettato il trattamento, tanto più era lunga la lista d’attesa, tanto maggiore era poi l’abbandono della terapia. Nella fattispecie, il maggiore tasso d’abbandono della terapia è stato riscontrato nelle ragazze che avevano passato più di 3 mesi in lista d’attesa.

L’importanza dell’aver individuato questi 4 punti è che, tra tutti, la lunghezza della lista d’attesa è quello (teoricamente) più facilmente modificabile. Se una paziente si rivolge all’ASL/USL solo quando il suo peso è enormemente basso, non ci si può far nulla. Ed è difficile anche agire su fattori come la comorbidità o l’evitamento, sebbene lavorare su questi fronti potrebbe rendere una paziente meggiormente capace di portare a termine la terapia. Ma questi sono fattori strettamente individuali.

Viceversa, una lista d’attesa è un fattore esterno alle pazienti stesse, un fattore che dipende dall’efficienza e dalla disponibilità del sistema sanitario nazionale, e sul quale dunque è possibile agire concretamente. Una lista d’attesa pazzescamente lunga non ha ripercussioni negative solo a breve termine (la paziente potrebbe peggiorare drasticamente o addirittura morire durante l’attesa), ma anche a lungo termine, poiché la tendenza alla cronicizzazione dei DCA è un significativo predittore della possibilità che ha una persona di non riuscire ad essere aderente alla terapia, e dunque di non riuscire ad avere una remissione. Il problema è quindi duplice.

Gli autori dello studio, infatti, concludono:

“[…] Nelle persone affette da un disturbo alimentare, la motivazione all’intraprendere un percorso terapeutico è universalmente riconosciuta come un fattore critico nell’aderenza e nella riuscita del trattamento. Nell’esatto momento in cui una persona decide di chiedere aiuto per la sua anoressia/bulimia, la sua motivazione è al massimo livello possibile. Tuttavia, detta motivazione tende ad affievolirsi col tempo se non viene rapidamente ed efficacemente sostenuta. Pertanto, una lunga lista d’attesa rappresenta senz’altro uno dei fattori che favorisce l’abbandono terapeutico, prima e dopo aver iniziato un trattamento. E’ di fondamentale importanza dunque, per il sistema sanitario nazionale, avere ben chiare quali siano le conseguenze dell’avere lunghe liste d’attesa, e di come ciò favorisca l’abbandono terapeutico, e la proliferazione dei disturbi alimentari nei singoli individui.” 
(mia traduzione)
 
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