mercoledì 27 luglio 2011
Freni al ricovero: Il cambiamento
Concludo con questo post la serie dei freni che l’anoressia pone all’intraprendere la strada del ricovero, poiché la lista sarebbe molto più lunga, ma ho cercato di toccare quelli che per me sono i punti principali. Ne approfitto anche per ringraziare tutte quante per i commenti ai post precedenti che trattano di quest’argomento: i vostri feedback sono estremamente preziosi per me!
Comunque.
L’anoressia è familiare
Come ho scritto nel post precedente, l’anoressia per certi versi semplifica la vita; ma anche le cose difficili possono diventare relativamente più semplici se le ripetiamo abbastanza a lungo. Più che un “semplificatore”, in effetti, l’anoressia finisce per diventare familiare. Io stessa, entrata nell’anoressia quando avevo circa 14 anni, non riesco a capire come facessi, prima, a mangiare senza pensieri. Non me lo ricordo proprio. E penso che questo valga non soltanto per me. Penso che molte si chiedano come facessero a mangiare, prima. Come fosse la routine senza la restrizione alimentare o l’attività fisica compulsiva. E più che l’anoressia reitera, più diventa routinaria, più si fa difficile staccarsene. Perché, per quanto possa essere limitante, distruttiva, per quanto possa avere anche i suoi lati negativi, è un qualcosa cui siamo abituate, un qualcosa che, anche nel male, è ordinaria, abituale, la si può prevedere, e ciò che è prevedibile, in un certo senso, tranquillizza.
È un cambiamento. Il ricovero è un cambiamento. Decidere di percorrere la strada del ricovero significa fare un salto nel buio. Rompere gli schemi. Decidere di lasciare la strada vecchia per la nuova. Questo può essere terrorizzante, se paragonato a un’anoressia che, per quanto distruttiva, è comunque routinaria. Nella crisalide dell’anoressia, ogni accenno di cambiamento fa paura, è destabilizzante. Ci si rifiuta di ascoltare ogni segnale che ci può cambiare anche perché poi si ha paura di quello che dovrebbe succedere se dovessimo sentirci comunque uguali. L’anoressia è predicibile. Si sa quello che si deve dire e fare. Siamo le attrici consumate che recitano una parte sul palcoscenico del mondo. L’applauso finale ce lo facciamo da sole. Dato che programmiamo la vita minuto per minuto, l’ansia svanisce e finiamo per trovare il DCA a suo modo confortevole e familiare.
Ovviamente non è l’anoressia in sè che è un abitudine, però possono diventarlo molti degli atteggiamenti e dei comportamenti legati all’anoressia. Il checking, per esempio. Oppure lo svolgere una determinata attività fisica per un determinato lasso di tempo. Oppure il pesarsi più volte al giorno, o il non pesarsi mai. Oppure il redigere “piani di restrizione alimentare” giornalieri. E la strada del ricovero inizia proprio col rompere questi circoli viziosi: dare un taglio a tutti i comportamenti che reiterano i tipici pensieri dell’anoressia. È ben comprensibile come tutto questo possa essere terrorizzante, e come possiamo cercare scuse di fronte a noi stesse per rimandare.
Salvo gli aspetti emotivi gratificanti, alla lunga l’anoressia è un inferno. Ma è un inferno familiare. È un inferno col quale abbiamo imparato a rapportarci, con il che le fiamme non sono più poi così calde. È un inferno che ha un suo certo ritmo, una ragion d’essere e (posso dirlo?) una sua funzionalità. La restrizione alimentare non è un peso perché ci fa sentire forti e in controllo. E i deficit fisici che la restrizione comporta non sono poi così terribili quando ci abituiamo. Perché un qualcosa di obiettivamente distruttivo come l’anoressia fa provare sentimenti così positivi? Dov’è che l’ingranaggio s’incastra e comincia a girare, come impazzito, verso l’oscurità? L’oscurità fa meno paura del sole, in fin dei conti: dopo un po’ ci si abitua, anche se non si vedono le cose comunque s’intravedono le forme, e non si corre il rischio che la luce possa ferire gli occhi.
Percorrere la strada del ricovero significa intraprendere la strada della luce. Ci vuole un sacco di tempo per capire se questo sia piacevole o meno, è non è sempre facile essere positive al 100% quando si cammina su una strada così difficile. Quello che ci deve mantenere in carreggiata è la consapevolezza che l’altra strada – quella dell’anoressia – è in realtà un vicolo cieco: prima o poi si finisce comunque per sbattere contro un muro. Intraprendere la strada del ricovero significa darsi una possibilità. E nessuno può dire cosa questa possibilità ci possa riservare. Magari il tempo per dedicarci a qualcosa che ci appassiona veramente. Magari la capacità di sederci sul divano e guardare un film dall’inizio alla fine senza avere l’ansia di dover fare ancora un po’ di attività fisica.
Questo è il ricovero. Non tutto il ricovero, ovviamente, ma parte di esso.
Il cambiamento non è necessariamente un qualcosa di negativo. Siamo molto più forti di quello che crediamo, ed abbiamo tutta la capacità di affrontare a testa alta le difficoltà che la vita ci pone davanti anche senza bisogno di ricorrere all’appoggio dell’anoressia. Perché siamo più forti SENZA l’anoressia.
P.S.= E' stata istituita una petizione on-line per istituire una giornata nazionale sui DCA: per firmarla, potete andare a questo link:
Petizione DCA
Io ho già firmato... e voi che aspettate a farlo? Ogni singola firma può essere preziosa! Aggiungetevi alla lista e fate girare la notizia!
Grazie a chiunque lo farà...!
Comunque.
L’anoressia è familiare
Come ho scritto nel post precedente, l’anoressia per certi versi semplifica la vita; ma anche le cose difficili possono diventare relativamente più semplici se le ripetiamo abbastanza a lungo. Più che un “semplificatore”, in effetti, l’anoressia finisce per diventare familiare. Io stessa, entrata nell’anoressia quando avevo circa 14 anni, non riesco a capire come facessi, prima, a mangiare senza pensieri. Non me lo ricordo proprio. E penso che questo valga non soltanto per me. Penso che molte si chiedano come facessero a mangiare, prima. Come fosse la routine senza la restrizione alimentare o l’attività fisica compulsiva. E più che l’anoressia reitera, più diventa routinaria, più si fa difficile staccarsene. Perché, per quanto possa essere limitante, distruttiva, per quanto possa avere anche i suoi lati negativi, è un qualcosa cui siamo abituate, un qualcosa che, anche nel male, è ordinaria, abituale, la si può prevedere, e ciò che è prevedibile, in un certo senso, tranquillizza.
È un cambiamento. Il ricovero è un cambiamento. Decidere di percorrere la strada del ricovero significa fare un salto nel buio. Rompere gli schemi. Decidere di lasciare la strada vecchia per la nuova. Questo può essere terrorizzante, se paragonato a un’anoressia che, per quanto distruttiva, è comunque routinaria. Nella crisalide dell’anoressia, ogni accenno di cambiamento fa paura, è destabilizzante. Ci si rifiuta di ascoltare ogni segnale che ci può cambiare anche perché poi si ha paura di quello che dovrebbe succedere se dovessimo sentirci comunque uguali. L’anoressia è predicibile. Si sa quello che si deve dire e fare. Siamo le attrici consumate che recitano una parte sul palcoscenico del mondo. L’applauso finale ce lo facciamo da sole. Dato che programmiamo la vita minuto per minuto, l’ansia svanisce e finiamo per trovare il DCA a suo modo confortevole e familiare.
Ovviamente non è l’anoressia in sè che è un abitudine, però possono diventarlo molti degli atteggiamenti e dei comportamenti legati all’anoressia. Il checking, per esempio. Oppure lo svolgere una determinata attività fisica per un determinato lasso di tempo. Oppure il pesarsi più volte al giorno, o il non pesarsi mai. Oppure il redigere “piani di restrizione alimentare” giornalieri. E la strada del ricovero inizia proprio col rompere questi circoli viziosi: dare un taglio a tutti i comportamenti che reiterano i tipici pensieri dell’anoressia. È ben comprensibile come tutto questo possa essere terrorizzante, e come possiamo cercare scuse di fronte a noi stesse per rimandare.
Salvo gli aspetti emotivi gratificanti, alla lunga l’anoressia è un inferno. Ma è un inferno familiare. È un inferno col quale abbiamo imparato a rapportarci, con il che le fiamme non sono più poi così calde. È un inferno che ha un suo certo ritmo, una ragion d’essere e (posso dirlo?) una sua funzionalità. La restrizione alimentare non è un peso perché ci fa sentire forti e in controllo. E i deficit fisici che la restrizione comporta non sono poi così terribili quando ci abituiamo. Perché un qualcosa di obiettivamente distruttivo come l’anoressia fa provare sentimenti così positivi? Dov’è che l’ingranaggio s’incastra e comincia a girare, come impazzito, verso l’oscurità? L’oscurità fa meno paura del sole, in fin dei conti: dopo un po’ ci si abitua, anche se non si vedono le cose comunque s’intravedono le forme, e non si corre il rischio che la luce possa ferire gli occhi.
Percorrere la strada del ricovero significa intraprendere la strada della luce. Ci vuole un sacco di tempo per capire se questo sia piacevole o meno, è non è sempre facile essere positive al 100% quando si cammina su una strada così difficile. Quello che ci deve mantenere in carreggiata è la consapevolezza che l’altra strada – quella dell’anoressia – è in realtà un vicolo cieco: prima o poi si finisce comunque per sbattere contro un muro. Intraprendere la strada del ricovero significa darsi una possibilità. E nessuno può dire cosa questa possibilità ci possa riservare. Magari il tempo per dedicarci a qualcosa che ci appassiona veramente. Magari la capacità di sederci sul divano e guardare un film dall’inizio alla fine senza avere l’ansia di dover fare ancora un po’ di attività fisica.
Questo è il ricovero. Non tutto il ricovero, ovviamente, ma parte di esso.
Il cambiamento non è necessariamente un qualcosa di negativo. Siamo molto più forti di quello che crediamo, ed abbiamo tutta la capacità di affrontare a testa alta le difficoltà che la vita ci pone davanti anche senza bisogno di ricorrere all’appoggio dell’anoressia. Perché siamo più forti SENZA l’anoressia.
P.S.= E' stata istituita una petizione on-line per istituire una giornata nazionale sui DCA: per firmarla, potete andare a questo link:
Petizione DCA
Io ho già firmato... e voi che aspettate a farlo? Ogni singola firma può essere preziosa! Aggiungetevi alla lista e fate girare la notizia!
Grazie a chiunque lo farà...!
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13 commenti:
In fondo nell'anoressia cerchiamo solo "sicurezza", quella sicurezza che forse una madre o un padre non riescono a darci.
Avevo 16 anni quando mi sono ammalata, ed un grande vuoto dentro e fuori. Mi sono creata tutta una serie infinita di regole solo per riuscire a sopravvivere.
Le regole mi davano la certezza di esistere.
Sai, se ci penso ora, mi viene quasi da ridere.
Vietato svegliarsi dopo le 8.
Vietato mangiare carboidrati.
Solo cibo "liquido" dopo le 15. Bilancia 6 volte al giorno, prima e dopo i pasti. Mai vestita. Mai senza essere prima andata in bagno.
Andare in bagno almeno 2 volte al giorno.
Non superare mai per nessun motivo 500 kcal al giorno.
Fare sempre la stessa strada per andare al lavoro.
Infilare sempre prima la scarpa destra.
Asciugare lo spazzolino dopo aver lavato i denti.
Non vomitare mai nel lavandino.
Tagliarsi solo con la mano signistra.
Non fumare più di 10 sigarette al giorno.
Non uscire di casa senza aver prima messo i cuscini del divano in scala di colore.
Lavare sempre i piatti dopo aver mangiato.
E queste sono solo alcune delle regole che mi hanno accompagnato per 15 anni della mia vita, e quando decisi di ricoverarmi, ricordo che la cosa più BELLA dei primi giorni fu che finalmente non avevo più regole e non avevo più nulla da fare.
Potevo dormire e non dovermi preoccupare di niente.
Finalmente per la prima volta, c'era qualcuno che si occupava e preoccupava di me.
Poi una volta uscita, ho dovuto imparare ad occuparmi e preoccuparmi di me... ma questa è un'altra storia... :)
Mi sono fermata a riflettere su questo fatto: anch'io se penso al "prima", non ricordo come facessi a mangiare senza pensieri e a mangiare normalmente.
Anche la mia alimentazione incontrollata è diventata una sorta di abitudine ed è quindi così difficile debellarla. Poi è legata all'incapacità di gestire le emozioni e tutto si complica.
I DCA sono davvero subdoli.
Il dca è un po’ come un’arma a doppio taglio: per certi versi ti rovina la vita, eppure ci rimani aggrappata perché col tempo si struttura, dà una qualche sicurezza, e non riesci più ad immaginare come poter vivere senza. Anche le cose più distruttive alla fine vanno bene, perché per lo meno si tratta di un dolore che siamo noi stesse ad infliggerci e che, perciò, diventa sopportabile e gestibile. Ed è molto meglio il dolore fisico del dca che quello emotivo cui si andrebbe incontro se ci si dovesse relazionare con il resto del mondo, per cui alla fine il dca finisce per diventare una vera protezione.
Per questo credo il cambiamento faccia così tanta paura. Mi ci è voluto tanto tempo per decidere di staccarmi dalla bulimia, perché avevo paura che poi sarebbe ritornato tutto come prima, perché con la bulimia almeno avevo una certezza (anche se era una certezza malata) e non mi andava proprio di metterla in discussione. Ma ho imparato che è solo mettendoci in discussione che si “cresce”, che si “matura”, e che anche i peggiori circoli viziosi possono essere spezzati se veramente lo si vuole.
La vita senza la costante presenza patologica di un dca all’inizio mi sembrava impensabile, poi però a poco a poco ho iniziato a distaccarmene, e mi sono accorta che le cose erano meno spaventose di quanto non mi fossi immaginata, e che, anzi, se avevo una possibilità di vivere, era proprio senza il dca!!!!!!!!
PS_ Ho firmato la petizione!!!!!!!!!!!
Petizione firmata ;) Spero vada a buon fine!!
Molte volte mi sono ritrovata a pensare come facessi prima a mangiare senza pensieri, a trovare nel cibo del piacere.
Non ho mai trovato una risposta. è come se avessi eliminato tutto ciò che riguarda il rapporto con l'alimentazione prima dell'anoressia.
Arrivo al momento in cui sono entrata in questo inferno... e poi i ricordi svaniscono.
Il cambiamento spaventa, in ogni ambito della vita.
è come quando si passa dalle scuole medie alle superiori... ma il cambiamento dall'anoressia alla vita lo vediamo come una cosa molto più complicata.
L'anoressia diventa la nostra vita, sentiamo il bisogno di seguirla quasi fosse più necessaria dell'ossigeno...
Veggieeeeeeeeeeeeeeeeeee, sono tornata!:D
Per quanto riguarda il passato, quando riuscivo a mangiare senza pensare troppo, be', non lo ricordo neanche io. Il ricordo più lontano che ho di me con il cibo è alla mensa dell'asilo, e ad essere sincera lasciavo tutto nel piatto e non mangiavo niente, quindi bo.
Comunque penso che questo post si possa anche collegare al disturbo ossessivo compulsivo. Come credo saprai, il DOC è fatto da rigide regole da seguire e da vere e proprie ossessioni. Calcoli, pulizia, tic nervosi, azioni ripetute un certo numero di volte, eccetera...e tutto diventa abitudine, qualcosa che non pesa, ma anzi: qualcosa che non riusciamo a trattenere, qualcosa di naturale.
Ok, dopo aver sparato la mia cavolata quotidiano mi volatilizzo :D
Baci,
Ellie.
é triste che per avere un'inizio sia stata necessaria una fine,ma state certe che Giulia di quel "fiocchetto lilla" sarebbe orgogliosa,perchè in lei c'era la speranza,quella di cui tutti hanno diritto.Grazie a tutte,firmate e fate girare il più possibile.
Ste.
Ciao Veggie, innanzitutto ti faccio i miei piu' sinceri complimenti per il tuo blog e per i tuoi post molto interessanti. Mi chiamo Giulia e ho 15 anni. A 11 mi sono ammalata di anoressia e ho vissuto un inferno quotidiano che mai e poi mai avrei potuto immaginare. Restrizione, pesarsi piu' volte, inizalmente senso di frustrazione per non riuscire nel mio intento, ma pian piano sono caduta nel vortice. La mia vita' e' diventata un incubo, passavo tutte e mie giornate su una cyclette, avevo troncato ogni rapporto con i miei amici e non sgarravo in nulla. Mai. Quando il mio peso ha sfiorato i 26 kg per 154 cm, sono stata ricoverata piu' e piu' volte, fino ad avere una lenta risalita. Ma mi sentivo oppressa, il fiato e lo sguardo di tutti addosso, cosi' ho iniziato a strafogarmi di cibo, in modo da recuperare il prima possibile il peso ed essere lasciata in pace. In poco piu' di 3 mesi avevo raggiunto i 40 kili, mi sentivo meglio ed ero lasciata veramente in pace da tutti. Nessuno mi diceva piu' niente, ma io sentivo addosso la frustrazione, dato che non riuscivo a smettere di abbuffarmi. Pian piano pero' ci sono riuscita. Ho ristretto di nuovo la morsa, in modo quasi del tutto inconsapevole, senza pensarvi o contare le calorie. In due mesi ho perso dieci kili. E l'inferno e' ricominciato. Stavolta pero' sentivo che c'era qualcosa di diverso. Avevo appena iniziato le superiori, avevo trovato degli amici sinceri che sapevano ascoltarmi e io con loro mi sentivo davvero bene, accettata e a mio agio. Ma nel contempo vivevo il mio inferno privato, a contrattare l'olio da mettere nel piatto con il "mostro" di psicologa. Poi pian piano qualcosa e' cambiato. Ho capito da sola. Ho imparato a stare bene con me stessa e con gli altri, mi sentivo diversa. Ho ripreso a mangiare in modo rilassato, con occasionali abbuffate che tengo ancora oggi, ma sempre piu' di rado. Sto imparando ad accorgermi che non mi servono, mangio di tutto, conosco il mio fabbisogno e sto superando l'ansia di mangiare fuori. Pian piano mi sto ritrovando un equilibrio. Ho riscoperto la passione per la cucina, che avevo anche da piccola, il gusto di una nuova ricetta, il piacere nel condividerla. E, come ti dicevo spesso, sempre meno abbuffate (non ho MAI vomitato). Mi sento proprio meglio. Anche se non mancano le volte in cui sento dentro di me un incolmabile vuoto, un senso di completa inutilita' e un malessere inspiegabile. Poco tempo fa ho scoperto il tuo blog, ho letto quasi tutti i tuoi post e sono rimasta "abbagliata" dai tuoi messaggi positivi. E' ormai una settimana che sorrido ogni giorno. Che mi sveglio felice e ogni piccola azione mi rende felice. Analizzo i miei sentimenti tristi quando mi arrivano, trovo il motivo del loro arrivo, li caccio. Ho riscoperto in me una positivita' incredibile. Percio' ti volevo ringraziare per tutto quello che fai. Io non ti conosco, ma sento di volerti un gran bene, perche' mi hai insegnato ad apprezzare ogni momento e a riflettere su tutto quello che l'anoressia ci ha tolto e che noi possiamo riprenderci, basta volerlo.
Ti stimo moltissimo per il tuo coraggio e la tua forza di volonta', e scusa se ti ho "ammorbata" con tanti discorsi. Continuero' a seguirti, di blog cosi' dovrebbero essercene tanti.
Un fortissimo abbraccio
Giulia
Ciao veggie!
sono ancora viva, ho fatto un nuovo blog, se ti va di passarci...
Sai, penso che, come tutto quello che scrivi, non vale perssolo per l'anoressia.
vale anche per un qualsiasi problema, la morte di una persona cara, un handicap, un disagio.
bisogna avere la forza di reagire, di non crogiolarsi nel problema stesso.
bisogna reagire, rialzarsi.
domanda: posso firmare anchio, la petizione? non ne soffro, ma il problema mi è abbastanza caro e lo sai!
baci
minerva
@ Claudia – Sono d’accordo con te nel dire che l’anoressia è anche un bisogno di sicurezza… perché, se ci pensi, il darsi regole (e ti capisco benissimo perché, seppure molto diverse dalle tue, anch’io avevo il mio personale corollario di regole che mi ero autoimposta di seguire…) rispecchia una sorta di controllo che si estende dall’alimentazione ad ogni altro ambito della nostra vita… Perché ci sembra che controllando quelle cose, possiamo controllare ogni aspetto della nostra vita, e così l’ansia si abbassa… e anche se dovessimo fallire, siccome quel fallimento è derivato da una forma di controllo, ci fa pensare che ci basti cambiare il controllo per risolvere la situazione… senza renderci conto che quello che crediamo di controllare, in realtà, ci controlla e ci rende schiave… e quanto è faticoso liberarsene… E’ vero, se ci pensi dopo ti viene da ridere, anche a me viene da ridere… forse l’unica regola che dovremo darci è proprio quella di liberarci da queste regole…
@ Mia Wallace – “Subdoli”… hai usato un termine proprio azzeccato. Lo credo anch’io… proprio per questo è così difficile liberarsene… Certamente il background che porta al comportamento alimentare scorretto è quello su cui bisogna veramente lavorare… e trovare nuove “abitudini” che possano essere più sane…
@ Wolfie – Hai ragione, il DCA può apparire come una protezione… sicuramente è una sorta di armatura emotiva… Ma quello che fa da armatura non ti ripara solo dal male, ma anche dalle cose belle che potresti incontrare nella vita… e quella maschera che sembrava proteggerti, in fondo, ti soffoca e basta… Forse non ritorneremo più alla vita com’era prima dell’anoressia/della bulimia… ma possiamo costruircene una nuova, in cui il DCA non sia contemplato…
@ Sonia – Certamente il cambiamento pone sempre di fronte a qualcosa che non si conosce, a qualcosa d’ignoto… è per questo che fa così paura. Perché non si sa quello che ci aspetta… potrebbe essere anche un qualcosa di meraviglioso, ma poiché è più grande la paura che le cose possano peggiorare (anche se magari razionalmente ci si rende conto che non c’è niente di obiettivamente peggiore dell’anoressia…), allora si esita… Il primo passo è sempre quello più difficile… Poi le cose si fanno meno dure… ma quanta fatica per muovere quel primo passo… eppure, per quanto più faticoso, è anche il più importante… Perché solo iniziando a camminare possiamo arrivare a meta…
P.S.= Spero anch’io che la petizione vada a buon fine!...
@ Ellie – Bentornata, mia carissima!!... Spero che tu abbia trascorso delle vacanze serene e, soprattutto, rilassanti!... Comunque, non hai scritto per niente una cavolata, anzi… quello che hai scritto sul DOC è verissimo… non a caso, in alcuni manuali di psichiatria i DCA vengono proprio descritti come una peculiare variante di DOC… Tutto quello che diventa abitudinario, anche se mette (grosse) limitazioni, finisce a suo modo per diventare fonte di sicurezza… per questo è importante trovare le sicurezze dentro noi stesse, e non più nelle azioni che proiettiamo all’esterno…
@ Stefano – Se ribalti la situazione, però, ogni fine può essere considerata un inizio… Grazie a te per avermi messo al corrente della petizione!... Spero che questo link possa servire…
@ Giulia – Ciao Giulia, benvenuta! ^__^ Grazie a te per il tuo commento, e grazie per aver voluto condividere qui la tua storia… una storia diversa, eppure uguale a quella di tutte noi… forse perché, al di là dei meri fatti materiali, quello che ci unisce sono i sentimenti sottostanti… Vedi, io credo che sia vivere e preservarsi l’obiettivo cui tutte aneliamo. Ed è esattamente in questo modo che noi abbiamo percepito inizialmente l’anoressia: come l’unico modo che potevamo avere a disposizione per vivere e preservarci. È paradossale, ma quella forma di autolesionismo che è l’anoressia può apparire come l’unico modo per salvarsi la vita.
E’ vero, la società attuale che crea malattie delle quali poi la gente si ammala. Ma guarda cosa chiede ai soggetti sani. Di correre, di sottostare al bombardamento d’informazioni costanti, di non tremare di fronte alle miriadi notizie di abomini, morti, carneficine che si sentono da per tutto alternate alla famiglia Mulino Bianco, a bellezze costruite ed artificiose, a puttanate sparate sulla morale, su cosa è giusto e cosa è sbagliato. La società attuale chiede superficialità, ignoranza, omologazione. Chi si ferma a pensare, chi si prende un po’ di tempo, perde tempo. Da questo punto di vista, il problema sta forse nella nuova idea di “normalità” che sembra voler soffocare l’alterità, l’intimità, la differenza, la conoscenza. Trovare un proprio spazio (preservandosi) in questo calderone non credo sia facile se si vuole mantenere noi stesse. Ci vuole tempo per trovarlo. Non siamo macchine.
La scelta dell’anoressia è la scelta di morire per riuscire a vivere. Ma siamo come fenici e si risorge dalle nostre ceneri, continuamente. Si lotta e si va avanti. Una lotta che dura una vita.
Non ti far fregare dalle bugie che l’anoressia ti racconta, e non ti arrendere, continua a combattere a testa alta come stai facendo: puoi stare molto meglio senza l’anoressia. Puoi essere serena. E ce la puoi fare tranquillamente, sai?!!...
Un abbraccio forte…
@ minerva – Bentornata, minerva!... Ma certo che passerò a dare un’occhiata al tuo nuovo blog, con molto piacere!... Hai già firmato la petizione?... Chiunque può firmarla, anzi, più siamo e meglio è!... Perciò, diffondi pure la notizia, se ti va!...
I cambiamenti possono davvero fare paura, metterci in ginocchia e... non sempre si ha voglia o forza per intraprendere un cammino difficile... ti abbraccio
Vorrei che qualcuna di voi mi leggesse qui, sento che è il posto giusto. Grazie. www.cibonemico.blogspot.com
@ Pansy – Hai ragione… ma è anche vero che molto spesso, dopo la “botta” iniziale, ci si accorge che intraprendere quel cambiamento era la cosa giusta da fare… perché ci può dare tanto…
@ AliCin – Non appena avrò tempo verrò sicuramente a dare un’occhiata al tuo blog… Se sei arrivata per combattere contro l’anoressia, sì, direi che qui hai trovato proprio il posto giusto!... Un abbraccio, per ora…
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