venerdì 6 dicembre 2013
Gestire la consapevolezza di sè
La consapevolezza di sè è un qualcosa d’interessante. Ci modella, ci rende quelle che siamo, c’insegna e ha un notevole impatto sulle nostre vite. Senza la consapevolezza di sé non possiamo imparare niente su noi stesse. Se non impariamo niente su noi stesse, non possiamo crescere interiormente. E senza crescita interiore, si rimane stagnanti nell’impasse.
La consapevolezza di sè non sempre è una cosa piacevole, e chi ha un DCA lo sa bene. Talvolta si notano cose di noi stesse che vorremmo soltanto spazzare sotto il tappeto. Altre volte scopriamo cose che ci fanno dire “A-ha!”, e delle vere e proprie rivelazioni spezzano la sofferenza indotta dal DCA. Altre volte ancora, la consapevolezza di sé è scomoda. Ci rendiamo conto, forse a malincuore... forse anche accidentalmente... e poi dobbiamo affrontare quello cui ci siamo messe faccia a faccia. Dobbiamo guardare nello specchio della nostra mente e decidere cosa farne di ciò che vediamo lì.
Per chi ha un DCA, non è sempre facile acquisire la consapevolezza di sè. Occorre impegnarsi contro le resistente poste in essere dalla malattia per riuscire a vederci veramente, a conoscere noi stesse, a capire quello che vogliamo dalla vita e come poterlo ottenere. Molto spesso, la consapevolezza di sé e l’introspezione vanno di pari passo: combattere contro l’anoressia infatti significa anche discernere quella che è la parte malata dalla parte sana e razionale di noi, e cercare di far prevalere quest’ultima.
In un certo senso, la consapevolezza di sè equivale al raccontare a noi stesse la nostra propria storia – ma senza parole smielate, senza soffermarsi sui dettagli insignificanti, e smettendola d’indossare gli occhiali dalle lenti rosa dell’anoressia. “Siediti un po’ qui, Veggie, e lascia che ti racconti la storia di te stessa in questa giornata. Lascia che ti spieghi come gli eventi t’influenzano, e cosa tutto questo potrebbe significare”. Ecco, è così che la mia mente lavora quando cerco di fare introspezione. A volte devo usare tutta la mia forza per spingere via un masso che mi ostruisce il passaggio, così da poter vedere la luce dietro di esso. A volte è come cercare di districare nodi incasinatissimi. A volte mi vedo costretta ad aprire una porta che avrei preferito tenere chiusa.
Ma la consapevolezza di sè ci rende delle persone migliori, ci rende più forti e dunque più in grado di combattere attivamente contro l’anoressia, per questo dobbiamo prenderla come se fosse un’avventura: qualche volta è piacevole, qualche volta no, ma è comunque una strada che si sta percorrendo e che ci porta avanti. Talvolta è un’arrampicata ripidissima. Talvolta è una tranquilla strada pianeggiante. E noi siamo, allo stesso tempo, le autiste e le passeggere.
Sebbene tutti i giorni la vita c’impartisca delle lezioni, è bene cercare sempre di guardare dentro noi stesse. Perché? Consapevolezza di sé. Se non possiamo essere esperte in nient’altro, possiamo almeno cercare di essere esperte di NOI STESSE.
Torniamo un attimo all’analogia della porta. “A volte mi vedo costretta ad aprire una porta che avrei preferito tenere chiusa” ho scritto. Siamo individui complessi – tutte noi, nessuna eccezione – ed è perciò perfettamente naturale, anche per le persone più sicure di se stesse, tutte d’un pezzo, o sempre allegre e sorridenti voler rifuggire dalla consapevolezza di sé, a volte. Figuriamoci quindi chi ha un DCA. Eppure, ogni piccola cosa che costituisce la nostra vita quotidiana contribuisce a costruire la nostra consapevolezza di sé. La consapevolezza di sé non deve alterare la propria vita né cambiare le proprie decisioni. Non deve neanche riguardare necessariamente i nostri problemi alimentari. Al cuore, la consapevolezza di sé riguarda più che altro la capacità di gestire le emozioni. Questo è: la capacità di gestire le emozioni.
Le emozioni alimentano le reazioni.
Le emozioni alimentano le azioni.
Le emozioni determinano l’umore.
Le emozioni possono guidare le decisioni.
Dunque, le emozioni che con l’anoressia ci affanniamo tanto a soffocare, sono in realtà estremamente importanti.
Ma a volte ci sembra che queste emozioni siano più grandi di noi. Ci sembra di non riuscire a tollerarle. Così mettiamo la maschera dell’anoressia per fingere che non esistano. Abbracciamo il nostro disturbo alimentare proprio per fuggire dalle emozioni, soprattutto da quelle che ci fanno paura. Ci sono tanti possibili scenari quante sono le emozioni stesse.
Ma, come delle avventuriere della nostra interiorità, dobbiamo resistere dall’indossare la maschera dell’anoressia, ed andare avanti. Così, decidiamo di aprire quella porta che avremmo preferito rimanesse chiusa. E la si richiude di scatto, ci si allontana da essa, non abbastanza pronte ad affrontare ciò che potremmo trovarvi dietro. Si rimane così in disparte, ascoltando quello che fingiamo di non ascoltare. O forse è il contrario - forse si fa finta di ascoltare cosa c'è dietro quella porta, per tutto il tempo in cui non ci sentiamo ancora pronte. Si continua a mantenere la distanza, ma abbiamo già aperto la porta, quindi non è come se non avessimo fatto attenzione, giusto?
Ma poi, c’è qualcosa che ci chiama. Non lo si vuole ancora affrontare, ma siamo pronte ad ascoltare. Così ci si riavvicina cautamente alla porta, e si appoggia su di essa un orecchio.
Ed ecco che ci troviamo trascinate nel viaggio. Aspettiamo, ascoltiamo, forse dialogando con noi stesse: “Mi sento davvero così?”. “No, certo che non mi sento così”. “O mi sento così?”. “Ma non è così che mi comporto!”. “Può essere vero quell che provo, allora?”. “Non voglio provare questo, ho scelto l’anoressia proprio per non dover provare più niente!”. Siamo abbastanza vicine all’avventurare la testa al di là della porta, per concedere a quello che ci attende di occupare un pezzetto della nostra mente. Ma l’anoressia ci fa ancora pensare che è ingiusto dover affrontare certe cose… perché non tutte le emozioni sono positive come sembrano quando si stringe quella coperta di Linus che è l’anoressia.
Tuttavia, alla fine, mettendoci tutto il nostro coraggio e trattenendo il fiato, ci permettiamo non solo di ascoltare ciò che si sussurra dietro la porta, ma anche di riconoscerlo, qualsiasi cosa sia. “Ci sono delle cose di me che non mi piacciono, e per coprirle sto adottando una strategia di coping che mi farà più male che bene a lunga gittata: un DCA”. “Il vero problema non è il mio aspetto fisico né cosa/quanto mangio, i veri problemi sono quelli che mi tengo dentro e che fingo d’ignorare scaricando tutte le mie preoccupazioni sul comodo capro espiatorio del comportamento alimentare errato”. “Ecco, l’anoressia mi fa pensare questa cosa e me la fa passare per vera, ma in realtà sono consapevole che si tratta di una balla bella e buona”. Così, riuscendo finalmente ad aprire gli occhi, possiamo iniziare a vedere uno spiraglio di luce.
E adesso sappiamo quel che dobbiamo fare. Cominciamo ad essere consapevoli di noi stesse e delle bugie che l’anoressia ci racconta. Abbiamo aperto la porta: siamo pronte a fronteggiare qualsiasi cosa ci aspetti al di là di essa.
Molto probabilmente quello che troveremo dietro la porta non ci farà strillare dalla gioia, ma non sarà mai così terribile come ce lo faceva immaginare l’anoressia quando la porta stava ancora chiusa. E, fissando quella porta e tutto ciò che si trova oltre essa, con 1) un po’ di fiducia in noi stesse, 2) la consapevolezza che siamo umane, e 3) il desiderio di conoscere le vere noi stesse oltre alle maschere create dall’anoressia, ci aiuta ad incrementare giorno dopo giorno la nostra consapevolezza di sé.
L’intricatissimo lavoro d’introspezione che è necessario per prendere le distanze dall’anoressia richiede tempo, attenzione, dedizione, pazienza, coraggio e cura. Non possiamo pare passi avanti sulla strada del ricovero se continuiamo ostinatamente a sbattere contro una porta che ci rifiutiamo di aprire. Dobbiamo prendere viceversa il coraggio a quattro mani, e aprirla. Buttarla giù. E, prendendoci tutto il tempo che ci è necessario, riuscire a guardare oltre quella porta senza il timore di non essere capaci di affrontare ciò che ci attende. Perché lo siamo.
La consapevolezza di sè non sempre è una cosa piacevole, e chi ha un DCA lo sa bene. Talvolta si notano cose di noi stesse che vorremmo soltanto spazzare sotto il tappeto. Altre volte scopriamo cose che ci fanno dire “A-ha!”, e delle vere e proprie rivelazioni spezzano la sofferenza indotta dal DCA. Altre volte ancora, la consapevolezza di sé è scomoda. Ci rendiamo conto, forse a malincuore... forse anche accidentalmente... e poi dobbiamo affrontare quello cui ci siamo messe faccia a faccia. Dobbiamo guardare nello specchio della nostra mente e decidere cosa farne di ciò che vediamo lì.
Per chi ha un DCA, non è sempre facile acquisire la consapevolezza di sè. Occorre impegnarsi contro le resistente poste in essere dalla malattia per riuscire a vederci veramente, a conoscere noi stesse, a capire quello che vogliamo dalla vita e come poterlo ottenere. Molto spesso, la consapevolezza di sé e l’introspezione vanno di pari passo: combattere contro l’anoressia infatti significa anche discernere quella che è la parte malata dalla parte sana e razionale di noi, e cercare di far prevalere quest’ultima.
In un certo senso, la consapevolezza di sè equivale al raccontare a noi stesse la nostra propria storia – ma senza parole smielate, senza soffermarsi sui dettagli insignificanti, e smettendola d’indossare gli occhiali dalle lenti rosa dell’anoressia. “Siediti un po’ qui, Veggie, e lascia che ti racconti la storia di te stessa in questa giornata. Lascia che ti spieghi come gli eventi t’influenzano, e cosa tutto questo potrebbe significare”. Ecco, è così che la mia mente lavora quando cerco di fare introspezione. A volte devo usare tutta la mia forza per spingere via un masso che mi ostruisce il passaggio, così da poter vedere la luce dietro di esso. A volte è come cercare di districare nodi incasinatissimi. A volte mi vedo costretta ad aprire una porta che avrei preferito tenere chiusa.
Ma la consapevolezza di sè ci rende delle persone migliori, ci rende più forti e dunque più in grado di combattere attivamente contro l’anoressia, per questo dobbiamo prenderla come se fosse un’avventura: qualche volta è piacevole, qualche volta no, ma è comunque una strada che si sta percorrendo e che ci porta avanti. Talvolta è un’arrampicata ripidissima. Talvolta è una tranquilla strada pianeggiante. E noi siamo, allo stesso tempo, le autiste e le passeggere.
Sebbene tutti i giorni la vita c’impartisca delle lezioni, è bene cercare sempre di guardare dentro noi stesse. Perché? Consapevolezza di sé. Se non possiamo essere esperte in nient’altro, possiamo almeno cercare di essere esperte di NOI STESSE.
Torniamo un attimo all’analogia della porta. “A volte mi vedo costretta ad aprire una porta che avrei preferito tenere chiusa” ho scritto. Siamo individui complessi – tutte noi, nessuna eccezione – ed è perciò perfettamente naturale, anche per le persone più sicure di se stesse, tutte d’un pezzo, o sempre allegre e sorridenti voler rifuggire dalla consapevolezza di sé, a volte. Figuriamoci quindi chi ha un DCA. Eppure, ogni piccola cosa che costituisce la nostra vita quotidiana contribuisce a costruire la nostra consapevolezza di sé. La consapevolezza di sé non deve alterare la propria vita né cambiare le proprie decisioni. Non deve neanche riguardare necessariamente i nostri problemi alimentari. Al cuore, la consapevolezza di sé riguarda più che altro la capacità di gestire le emozioni. Questo è: la capacità di gestire le emozioni.
Le emozioni alimentano le reazioni.
Le emozioni alimentano le azioni.
Le emozioni determinano l’umore.
Le emozioni possono guidare le decisioni.
Dunque, le emozioni che con l’anoressia ci affanniamo tanto a soffocare, sono in realtà estremamente importanti.
Ma a volte ci sembra che queste emozioni siano più grandi di noi. Ci sembra di non riuscire a tollerarle. Così mettiamo la maschera dell’anoressia per fingere che non esistano. Abbracciamo il nostro disturbo alimentare proprio per fuggire dalle emozioni, soprattutto da quelle che ci fanno paura. Ci sono tanti possibili scenari quante sono le emozioni stesse.
Ma, come delle avventuriere della nostra interiorità, dobbiamo resistere dall’indossare la maschera dell’anoressia, ed andare avanti. Così, decidiamo di aprire quella porta che avremmo preferito rimanesse chiusa. E la si richiude di scatto, ci si allontana da essa, non abbastanza pronte ad affrontare ciò che potremmo trovarvi dietro. Si rimane così in disparte, ascoltando quello che fingiamo di non ascoltare. O forse è il contrario - forse si fa finta di ascoltare cosa c'è dietro quella porta, per tutto il tempo in cui non ci sentiamo ancora pronte. Si continua a mantenere la distanza, ma abbiamo già aperto la porta, quindi non è come se non avessimo fatto attenzione, giusto?
Ma poi, c’è qualcosa che ci chiama. Non lo si vuole ancora affrontare, ma siamo pronte ad ascoltare. Così ci si riavvicina cautamente alla porta, e si appoggia su di essa un orecchio.
Ed ecco che ci troviamo trascinate nel viaggio. Aspettiamo, ascoltiamo, forse dialogando con noi stesse: “Mi sento davvero così?”. “No, certo che non mi sento così”. “O mi sento così?”. “Ma non è così che mi comporto!”. “Può essere vero quell che provo, allora?”. “Non voglio provare questo, ho scelto l’anoressia proprio per non dover provare più niente!”. Siamo abbastanza vicine all’avventurare la testa al di là della porta, per concedere a quello che ci attende di occupare un pezzetto della nostra mente. Ma l’anoressia ci fa ancora pensare che è ingiusto dover affrontare certe cose… perché non tutte le emozioni sono positive come sembrano quando si stringe quella coperta di Linus che è l’anoressia.
Tuttavia, alla fine, mettendoci tutto il nostro coraggio e trattenendo il fiato, ci permettiamo non solo di ascoltare ciò che si sussurra dietro la porta, ma anche di riconoscerlo, qualsiasi cosa sia. “Ci sono delle cose di me che non mi piacciono, e per coprirle sto adottando una strategia di coping che mi farà più male che bene a lunga gittata: un DCA”. “Il vero problema non è il mio aspetto fisico né cosa/quanto mangio, i veri problemi sono quelli che mi tengo dentro e che fingo d’ignorare scaricando tutte le mie preoccupazioni sul comodo capro espiatorio del comportamento alimentare errato”. “Ecco, l’anoressia mi fa pensare questa cosa e me la fa passare per vera, ma in realtà sono consapevole che si tratta di una balla bella e buona”. Così, riuscendo finalmente ad aprire gli occhi, possiamo iniziare a vedere uno spiraglio di luce.
E adesso sappiamo quel che dobbiamo fare. Cominciamo ad essere consapevoli di noi stesse e delle bugie che l’anoressia ci racconta. Abbiamo aperto la porta: siamo pronte a fronteggiare qualsiasi cosa ci aspetti al di là di essa.
Molto probabilmente quello che troveremo dietro la porta non ci farà strillare dalla gioia, ma non sarà mai così terribile come ce lo faceva immaginare l’anoressia quando la porta stava ancora chiusa. E, fissando quella porta e tutto ciò che si trova oltre essa, con 1) un po’ di fiducia in noi stesse, 2) la consapevolezza che siamo umane, e 3) il desiderio di conoscere le vere noi stesse oltre alle maschere create dall’anoressia, ci aiuta ad incrementare giorno dopo giorno la nostra consapevolezza di sé.
L’intricatissimo lavoro d’introspezione che è necessario per prendere le distanze dall’anoressia richiede tempo, attenzione, dedizione, pazienza, coraggio e cura. Non possiamo pare passi avanti sulla strada del ricovero se continuiamo ostinatamente a sbattere contro una porta che ci rifiutiamo di aprire. Dobbiamo prendere viceversa il coraggio a quattro mani, e aprirla. Buttarla giù. E, prendendoci tutto il tempo che ci è necessario, riuscire a guardare oltre quella porta senza il timore di non essere capaci di affrontare ciò che ci attende. Perché lo siamo.
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13 commenti:
Mi piace molto il tema che hai scelto di trattare oggi, non il raggiungimento della consapevolezza di sé ma imparare a gestire quello che questa consapevolezza ci porta a scoprire. È difficile cercare sé stessi, siamo sempre alla ricerca della versione migliore di sé,come se quello che siamo non fosse abbastanza.
Ero convinta che la nostra essenza non fosse che l'insieme di maschere che decidiamo di indossare, credevo che l'identità fosse un personaggio da interpretare, ma forse hai ragione tu: forse ho sbirciato dalla porta e quel che ho visto non è quello che voglio.
Ci rifletterò ;)
Al prossimo post, un abbraccio
gc
<3
Io in effetti sono una di quelle persone che tende a nascondersi dietro delle “maschere”, che infondo mi servono per proteggermi, forse tra le altre cose anche proprio dalla mia difficoltà di gestire le emozioni, che sicuramente ha giocato la sua parte nella nascita del mio dca.
Io non sono molto brava a gestire le emozioni, a volte mi rendo conto che ho proprio difficoltà a distinguerle (cioè, ci sono dei momenti in cui io stessa mi rendo conto che sto provando delle emozioni che però non riesco bene ad identificare), e quindi le “maschere” hanno una doppia funzione: da una parte mi servono per relazionarmi a chi mi sta di fronte con una protezione, dall’altra mi servono forse anche per difendermi da me stessa, o meglio, dalle emozioni che sento di non essere ancora in grado di gestire.
E’ totalmente vero quello che scrivi a proposito del fatto che si utilizza il dca per “coprire” altri problemi, forse il dca stesso è una di quelle tante “maschere” che indossiamo per cercare di far fronte alla vita quando ci troviamo in momenti di particolare difficoltà. E forse la via d’uscita è proprio il trovare altri modi per far fronte a quelle difficoltà.
Un abbraccione!!!!!!!!!!!!!!!!!!
Veggie, é da tempo che volevo farti una domanda( nn c entra niente con il tuo ultimo post) ma mo interessa il tuo parere, anche se nn sei una psycologa. Come tu sai io vivo in svizzera, e da noi oltre a chiamare questo inferno detto anoressia usiamo anche la parola MAGERSUCHT che letteralmente viene tradotto dipendenza di magrezza. Quindi spesso si pone la domanda quando si parla di anoressia: è una malattia è quindi nn si ha colpa di averla, o é una dipendenza e quindi si sceglie di averla? Io spesso mi pongo questo problema, perche ho tantissimi sensi di colpa , rinforzati anche dalle persone che ho attorno , perche secondo loro nn faccio nulla per uscire appunto da questa dipendenza. Saluti miriam
E' difficile togliersi le mille maschere che occultano il nostro vero io, semplicemente perché spesso non ci rendiamo nemmeno conto di indossarle.Per questo raggiungere la consapevolezza di sé è così difficile. Ma deve essere comunque un obiettivo a cui tendere!
Miriam, anche fosse una dipendenza non c'entra niente la "colpa". Le dipendenze sono quanto di piu' potente esista! Guarda quante persone perdono tutto per la droga o l'alcol... e di sicuro non lo scelgono. Mi spiace che le persone che hai introno pensino che tu ti stia crogiolando nella malattia. E' abbastanza comune perche' i disturbi alimentari ancora non vengono presi molto sul serio. Ma certo che l'anoressia e' una malattia, e non so se c'entri la dipendenza (questo lo lascio dire a Veggie e alle piu' esperte). In ogni caso tu non hai scelto di star male e di causare problemi a chi hai intorno. Non farti convincere del contrario e cerca di lavorare sui sensi di colpa; sono dannosi, non ti aiutano e non hanno motivo di esisere. Un grande bacio, Kate
Per miriam: Cara miriam, neanch’io sono una psicologa, ho fatto tutt’altro genere di studi, eppure voglio comunque dare la mia risposta (la mia opinione personale) alla tua domanda. È certamente possibile che, in alcuni casi, l’anoressia possa rappresentare una forma di dipendenza dalla magrezza, ma che cos’è la dipendenza se non una vera e propria malattia a tutti gli effetti?????!!!!!! Io non penso proprio che si “scelga” di avere una dipendenza, penso piuttosto che si rimanga intrappolate dentro una dipendenza. E lo stesso vale per i dca. Non si sceglie una malattia (che, in questo caso, può implicare anche una forma di dipendenza come conseguenza), però si può scegliere di reagire di fronte alla malattia, di chiedere aiuto, di non subirla passivamente ma di combatterla. Mi dispiace davvero tanto di leggere che intorno a te le persone sono pronte a giudicarti e non ti aiutano, perché capisco che in una situazione del genere debba essere difficile dover combattere contro il tuo dca tutta da sola, senza nessuno accanto che ti sostenga; però cerca di guardare oltre le cattiverie che ti dicono solo perché non sanno cosa sia veramente l’avere un dca, passa sopra alle loro provocazioni, lascia perdere i sensi di colpa che non hai alcun motivo di avere e che possono solo peggiorare la situazione, e pensa solo a te stessa, e a cosa puoi fare per stare meglio. In bocca al lupo!!!!!!!!!!!!!!!!!!! Un bacioneeeeeeeeee!!!!!!!!!!!!!!!
Veggie, so che conosci l'inglese quindi ti segnalo un articolo che mi è piaciuto moltissimo e nel quale ho ritrovato alcuni dei tuoi pensieri:
http://www.newyorker.com/online/blogs/books/2013/12/anorexia-the-impossible-subject.html?utm_source=tny&utm_campaign=generalsocial&utm_medium=facebook
Kate
@ GaiaCincia – Non penso esistano formule universali per trovare la piena consapevolezza di sé… sono solo percorso individuali… Però si può apprendere come gestire quello che abbiamo. Sicuramente nella vita portiamo molte maschere… ma credo anche che l’identità personale sia svincolata da esse: la tua identità è quello che sei quando nessuno ti vede… quando non devi dimostrare niente a nessuno…
@ cooksappe – Thanks!... ^__^
@ Wolfie – Credo che l’ultima frase del tuo commento dia perfettamente un senso a tutto… la quoto in pieno…
P.S.= Grazie per la risposta che hai dato anche a Miriam… Verissima l’analogia tra dipendenza e malattia…
@ Miriam – Nessun problema Miriam, non c’è obbligo di scrivere commenti che debbano necessariamente avere una perfetta aderenza ai singoli post… In ogni caso, come tu hai giustamente scritto, io non sono una psicologa e non ho alcuna competenza psicologica, per cui nel rispondere alla tua domanda mi baso unicamente sulla mia esperienza, ed esprimo quello che è il mio parere, opinabile per definizione, e senza alcuna pretesa di verità universale… semplicemente il mio punto di vista. Per prima cosa, perciò, secondo me tu fai confusione tra i termini “malattia” e “dipendenza” che, a mio avviso, non sono né sinonimi né contrari, ma semplicemente due parole che hanno affinità e possono compenetrarsi (o anche sovrapporsi) in misura variabile. Io penso che nessuna di noi scelga scientemente e razionalmente la MALATTIA “anoressia”… quello che scegliamo scientemente è il SINTOMO, ovvero la restrizione alimentare… ma, pur scegliendo di controllare l’alimentazione, non scegliamo tutta la devastazione psicofisica che poi l’anoressia comporta… quella è una conseguenza che inizialmente non si riesce mai a preventivare, perché non ne siamo consapevoli… e se non siamo consapevoli di qualcosa, non si può certo parlare di scelta. Per cui, in definitiva, io penso che inizialmente si scelga un sintomo (la restrizione alimentare) come strategia di coping per far fronte ad altre problematiche che abbiamo, che però implica una malattia (l’anoressia, e tutte le sue conseguenze sulla salute fisica e mentale) sulla quale non operiamo alcuna scelta. Detto questo, se posso permettermi… secondo me dovresti ascoltare un po’ di meno quello che ti dicono gli altri, e concentrarti un po’ di più sul tuo percorso: i sensi di colpa possono essere tanto dilanianti quanto assolutamente fini a se stessi… non ti permetteranno di fare alcun passo avanti, anzi, ti inchioderanno nell’impasse. Vai oltre, Miriam. La gente vorrebbe sempre qualcosa di più o di meglio da te… quello che conta veramente, però, è ciò che vuoi tu da te stessa. Sfodera un po’ di quel sano egoismo che ti consenta di concentrarti su te stessa e sul percorso che stai facendo: lascia perdere sensi di colpa inconcludenti ed inutili, ed impiega costruttivamente il tuo tempo, anziché a struggerti, a pensare a cosa puoi attivamente fare per combattere contro l’anoressia… e ad agirlo. Ti abbraccio forte forte…
@ Vele/Ivy – E’ vero che a volte è difficile discernere se stiamo indossando una maschera o meno, perché alcune di esse col tempo diventano talmente egosintoniche che finiamo per non accorgerci neanche più che le stiamo indossando… Però il prendere le distanze da esse, e dunque l’acquisire consapevolezza, penso comunque possa essere d’aiuto…
@ Kate – Ti ringrazio per la tua preziosa risposta a Miriam… Anch’io ho espresso solo la mia opinione, e lascio comunque la parola autorevole ad eventuali esperti se/che passeranno di qua, perché io non sono psicologa né psichiatra, e dunque un’esperta proprio non lo sono… In ogni caso, ti ringrazio nuovamente per le tue parole perché ogni risposta rappresenta un arricchimento, perché permette a chi pone una domanda di vedere l’argomento che ha tirato in ballo sviscerato sotto più punti di vista, poiché visto da persone differenti… Tra l’altro, sono perfettamente d’accordo con te sul fatto che non c’entra niente la colpa, nonché sulla necessità di lavorare sui sensi di colpa, che sono dannosi, futili e non servono assolutamente a niente… Grazie ancora!...
P.S.= Grazie anche per il link che mi hai lasciato!... Chissà che quell’articolo non mi fornisca l’ispirazione per un futuro post…!! ^__^
Volevo ringraziare kate , wolfie e naturalmente veggie per le parole incoraggianti. Purtroppo sto passando un brutto periodo e sono intrappolata in questa stramaledetta anoressia. Leggo tutto cio che tu scrivi veggie, e concordo pienamente, ma poi nn riesco a metterlo in pratica. Cmq grazie e un forte abbraccio , miriam
Nn ho nulla da dire
Nn ho nulla da dire
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