venerdì 11 luglio 2014
Il vuoto
Per molto tempo la restrizione alimentare ha rappresentato per me una sorta di “ancora di salvezza”. Rappresentava la mia forma di immunità ad ogni qualsiasi problema e difficoltà della vita. Era un po’ come se pensassi: finché riesco a restringere l’alimentazione ho la manifestazione tangibile che ho il controllo, e se ho il controllo su tutto, niente può andare storto. Non importava quanto le cose potessero andare effettivamente storte, quanto la mia vita potesse essere un completo casino, l’idea che sì, ma tanto sto restringendo l’alimentazione quindi ho il controllo, era un mantra, una lampadina costantemente accesa nella mia testa.
Ho perso il treno e arriverò all’Università con un’ora di ritardo, e mi perderò una lezione importante ai fini dell’esame? sì, ma tanto sto restringendo l’alimentazione quindi ho il controllo
Quel colloquio di lavoro non è andato granché bene? sì, ma tanto sto restringendo l’alimentazione quindi ho il controllo
Ho avuto da ridire con quel professore che un domani mi farà l’esame di Cardiologia? sì, ma tanto sto restringendo l’alimentazione quindi ho il controllo
Mi sento la più inetta tra tutti i miei colleghi? sì, ma tanto sto restringendo l’alimentazione quindi ho il controllo
Ho litigato con il mio migliore amico? sì, ma tanto sto restringendo l’alimentazione quindi ho il controllo
Non mi sono classificata prima in quella gara di karate? sì, ma tanto sto restringendo l’alimentazione quindi ho il controllo
Non ho raggiunto l’obiettivo che mi ero prefissa? sì, ma tanto sto restringendo l’alimentazione quindi ho il controllo
… e così via.
E poi sono arrivata a constatare un ineluttabile dato di fatto.
In nessun modo la mia restrizione alimentare e la mia sensazione di avere il controllo su tutto potevano attenuare le conseguenze dei miei errori e le cavolate che facevo nella mia vita, essi funzionavano soltanto come una sorta di auto-affermazione – una specie di salvaguardia contro il crollo della mia autostima.
E l’errore che compiamo tutte noi quando ragioniamo in questo modo (perché sono del tutto certa di non essere l’unica a ragionare così) è che attribuiamo la nostra identità e il nostro valore ad una para mentale, anziché concentrarci su quelle che sono le nostre vere abilità, delle quali potremo essere, a ragione, orgogliose, come per esempio la nostra bravura in Matematica, nel lavoro, nello sport, nel cantare, nel disegnare, o in qualsiasi altra cosa.
Ed è proprio in questo che risiede il problema: perdonate il francesismo, ma A NESSUNO FREGA UN CAZZO DEL FATTO CHE RESTRINGIAMO L’ALIMENTAZIONE E QUINDI ABBIAMO IL CONTROLLO.
Il restringere l’alimentazione ergo l’avere la sensazione di essere in controllo non ci rende in alcun modo persone migliori né tantomeno persone speciali o più interessanti. Ciò non arricchisce in alcun modo la nostra vita. In effetti, paradossalmente, il restringere l’alimentazione, pur facendoci sul momento percepire un’illusoria sensazione di controllo, alla lunga dà così tanti problemi che non mi basterebbero i prossimi 50 post per elencarli tutti.
Perché, alla fine della fiera, tutto quello che l’anoressia lascia dentro è il vuoto. Quel senso di vuoto che si pianta in testa e rimane sempre lì, preciso identico.
Perché il vuoto che deriva dall’anoressia è vuoto vero, ed è una cosa tremenda.
Il vuoto vero non è il niente. Il niente è troppo poco.
Per dirvi, ecco due scene.
Uno: Vai in gita scolastica, arrivi in una camera d’albergo e apri un cassetto di un armadio per metterci la tua roba. Il cassetto è vuoto, e cominci ad infilarci mutande, magliette, calzini.
Due: Torni a casa tua, nel cassetto più basso dell’armadio tieni tutti i soldi che hai, nascosti in una scatola da scarpe. Ti pieghi, lo apri, il cassetto è vuoto.
Ecco, questi sono due cassetti, e tutti e due sono vuoti.
Ma sono la stessa cosa?
Non penso proprio.
Perché il vuoto vero non è il niente, ma il niente dove invece dovrebbe esserci qualcosa. Qualcosa di importante, che c’è sempre stato, poi a un certo punto guardi e ti accorgi che quella cosa non c’è più.
Ecco, questo è il vuoto. Non l'assenza, la mancanza.
E questa è l’anoressia.
Ho perso il treno e arriverò all’Università con un’ora di ritardo, e mi perderò una lezione importante ai fini dell’esame? sì, ma tanto sto restringendo l’alimentazione quindi ho il controllo
Quel colloquio di lavoro non è andato granché bene? sì, ma tanto sto restringendo l’alimentazione quindi ho il controllo
Ho avuto da ridire con quel professore che un domani mi farà l’esame di Cardiologia? sì, ma tanto sto restringendo l’alimentazione quindi ho il controllo
Mi sento la più inetta tra tutti i miei colleghi? sì, ma tanto sto restringendo l’alimentazione quindi ho il controllo
Ho litigato con il mio migliore amico? sì, ma tanto sto restringendo l’alimentazione quindi ho il controllo
Non mi sono classificata prima in quella gara di karate? sì, ma tanto sto restringendo l’alimentazione quindi ho il controllo
Non ho raggiunto l’obiettivo che mi ero prefissa? sì, ma tanto sto restringendo l’alimentazione quindi ho il controllo
… e così via.
E poi sono arrivata a constatare un ineluttabile dato di fatto.
In nessun modo la mia restrizione alimentare e la mia sensazione di avere il controllo su tutto potevano attenuare le conseguenze dei miei errori e le cavolate che facevo nella mia vita, essi funzionavano soltanto come una sorta di auto-affermazione – una specie di salvaguardia contro il crollo della mia autostima.
E l’errore che compiamo tutte noi quando ragioniamo in questo modo (perché sono del tutto certa di non essere l’unica a ragionare così) è che attribuiamo la nostra identità e il nostro valore ad una para mentale, anziché concentrarci su quelle che sono le nostre vere abilità, delle quali potremo essere, a ragione, orgogliose, come per esempio la nostra bravura in Matematica, nel lavoro, nello sport, nel cantare, nel disegnare, o in qualsiasi altra cosa.
Ed è proprio in questo che risiede il problema: perdonate il francesismo, ma A NESSUNO FREGA UN CAZZO DEL FATTO CHE RESTRINGIAMO L’ALIMENTAZIONE E QUINDI ABBIAMO IL CONTROLLO.
Il restringere l’alimentazione ergo l’avere la sensazione di essere in controllo non ci rende in alcun modo persone migliori né tantomeno persone speciali o più interessanti. Ciò non arricchisce in alcun modo la nostra vita. In effetti, paradossalmente, il restringere l’alimentazione, pur facendoci sul momento percepire un’illusoria sensazione di controllo, alla lunga dà così tanti problemi che non mi basterebbero i prossimi 50 post per elencarli tutti.
Perché, alla fine della fiera, tutto quello che l’anoressia lascia dentro è il vuoto. Quel senso di vuoto che si pianta in testa e rimane sempre lì, preciso identico.
Perché il vuoto che deriva dall’anoressia è vuoto vero, ed è una cosa tremenda.
Il vuoto vero non è il niente. Il niente è troppo poco.
Per dirvi, ecco due scene.
Uno: Vai in gita scolastica, arrivi in una camera d’albergo e apri un cassetto di un armadio per metterci la tua roba. Il cassetto è vuoto, e cominci ad infilarci mutande, magliette, calzini.
Due: Torni a casa tua, nel cassetto più basso dell’armadio tieni tutti i soldi che hai, nascosti in una scatola da scarpe. Ti pieghi, lo apri, il cassetto è vuoto.
Ecco, questi sono due cassetti, e tutti e due sono vuoti.
Ma sono la stessa cosa?
Non penso proprio.
Perché il vuoto vero non è il niente, ma il niente dove invece dovrebbe esserci qualcosa. Qualcosa di importante, che c’è sempre stato, poi a un certo punto guardi e ti accorgi che quella cosa non c’è più.
Ecco, questo è il vuoto. Non l'assenza, la mancanza.
E questa è l’anoressia.
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21 commenti:
Sai di cosa mi sono resa conto? Restringere l'alimentazione era soprattutto un modo per non avere desideri. "Se ho desideri non sono felice, se non mangio non ho desideri, se non mangio sono felice".
Beh...tutte cavolate ;)
La cosa più assurda è che, sebbene in un modo diverso, potrei dire che per me con la bulimia è stato lo stesso.
Sembra che mi sia appena contraddetta, ma non è così: con la bulimia (almeno per come l'ho vissuta io) non esiste la sensazione di sentirsi in controllo (per questo ho scritto "in un modo diverso"), però esiste comunque la routine del comportamento malato, che diventa dunque abitudine, e pertanto mantra da ripetere di fronte a qualsiasi difficoltà della vita. Perchè anch'io, ad un certo punto della malattia, qualsiasi contrarietà o insuccesso nella vita lo trasferivo sulla bulimia: e così questa malattia mi ha sempre limitata enormemente, ma mi ha anche "protetta", perchè poi diventava una sorta di "scusa" con cui giustificare a me stessa ogni cosa che andava male o, in alternativa, con cui sfogarmi per ciò che era andato male. Era un pretesto universale, insomma. Mi permetteva comunque di non affrontare i miei problemi, creandomi un "fantoccio" su cui riversarli.
E lo sapete qual è la cosa veramente più assurda? E' che anche la bulimia, proprio come l'anoressia, alla fine lascia solo il vuoto.
So benissimo cosa voglia dire sentire il vuoto come dici tu.
E' un baratro enorme e sconfinato.
Però sperimentare il vuoto può essere utile e non bisogna averne paura.
Ovviamente non sto parlando del vuoto del post, ma di quel vuoto dove il suono risuona limpidamente.
Tempo fa avevo scritto un post sul Vuoto al quale avevi anche commentato se ricordi. http://almacattleya.blogspot.it/2012/05/lesperienza-del-vuoto.html
Credo sia essenziale differenziare i due tipi di Vuoto.
P.S.: Per quanto riguarda il tuo ultimo commento al mio post, sarò sincera. Anch'io desiderei di non avere queste cicatrici fisiche e psicologiche. Se qualcuno mi chiedesse faresti tutto daccapo e uguale, sinceramente direi di no. Ma questo lusso non mi è concesso quindi che devo fare? Rinnegarle? Sarebbe come chiudere gli occhi davanti a quello che mi è successo. Fare finta che non sia successo praticamente nulla. Questo sì che sarebbe davvero terribile.
E non voglio limitarmi alla sola sopravvivenza.
Un bacione a te e a tutt* voi.
X me restringere l'alimentzione ha significato sempre "essere più forte" sentirmi cioè più sicura soprattutto di fronte a situazioni nuove o imprevisti.
Più che restringere x me si tratta di mangiare do meno rispetto agli altri in un determinato contesto o di mangiare uguale ma sapere di aver bruciato di più.
Questo meccanismo di pensiero è nato in me nel momento di crisi acuta e si è manifestato in modo forte nei momenti di ricaduta...tuttavia mi dispiace rendermi conto che compare tuttora anche semplicemente di fronte ad una situazione nuova...nonostante tutto il lavoro fatto è una specie di costante di fronte a ciò che è nuovo o non definito...
Cosa ci guadagno? Nulla...
Cosa ho perso? Tutto...
È un meccanismo che porta solo a sentirsi ancora più diversi...
E secondo me porta gli altri ad emarginarti di più...
Ciao
Raffa
Un' ultima aggiunta...
Ogni tanto vorrei riuscire a mangiare serenamente senza pensare a nulla....svegliarmi e mangiare come una persona normale...senza pensare alla dieta da seguire senza schemi fissi.
Ancora oggi se so che poi non posso muovermi ...mangio meno e x forza....perché???????????
Fa molto riflettere questo post.
È vero, ho notato anche io che quando le cose vanno male tendevo (e tendo ancora) a rassicurarmi dicendomi che tanto io sono più magra degli altri e che io sto mangiando di meno e quindi sono più forte. Sentirmi dire che sono magra fa sparire tutti i miei problemi perché alla fine è l'unica cosa che conta. Ma non è così, anzi, proprio nessuno sta a fare caso se io mangio di più o di meno.
E quest'ansia di mangiare di meno crea davvero un vuoto, perché tendiamo a dare la precedenza alla nostra malattia e mettiamo in secondo piano tutto il resto, come le amicizie, le uscite, gli hobby, e alla fine perdiamo tutto restando sole con i nostri demoni. E penso che non valga la pena di vivere così, perché non è vivere.
Io dalla restrizione alimentare traggo ancora solo e soltanto forza. Ogni pasto saltato, ogni porzione dimezzata, ogni brontolio dello stomaco... mi rassicurano, mi fanno sentire "fiera", speciale, FORTE. E io vi credo quando dite che questa forza è effimera, illusoria, che in verità cela solo un grande vuoto... ma non riesco a farne a meno.
Ciao Veggie, grazie come sempre per i tuoi post.
Manu
bellissimo post Veggie, e incredibilmente vero, non solo x l'anoressia e il controllo, come dici e vivi tu, ma per ogni disturbo e sintomo alimentare: ogni problema viene eclissato dal cibo, ogni guaio della vita si nasconde là, nel non mangiare o nel mangiare troppo, ma questo è solo un raccontarsela, alla fine si sta peggio, e quando te ne accorgi fai di tutto per venirne fuori e affrontare le difficoltà con altri strumenti -che non sono certo le restrizioni o le abbuffate- come cercano di fare le persone che vengono da me e come ho fatto io tanto tempo fa ;-)
L’anoressia non è soltanto il vuoto.
L’anoressia non è soltanto una mancanza.
L’anoressia è il vuoto in cui si sprofonda una mancanza.
Ma non si vive per sempre, e arriva un momento in cui anche con la cazzo di anoressia è l’ora di darci un taglio, perciò proviamo ad abbozzarla di prenderci per il culo, e adesso tutte fuori a vedere che succede.
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A Manu:
Vai, sentitici ora tutte quelle cose, e goditela, perché finirà presto, e dopo sarà un tale merdaio che non lo immagini neanche per sbaglio.
Più forte spari, più forte sarà il contraccolpo. E te lo prenderai tutto in pieno, e manderà tutto a puttane. Tutto.
Sei solo un’altra delle tante “prima esaltate, poi sfigate”, come tutte noialtre del resto – perché è proprio così che va l’anoressia.
Benvenuta nel club.
Ma secondo te, nelle persone affette da anoressia, questo vuoto cosa è esattamente? Mi affascina molto questo concetto, se fosse in mio potere ti ci farei scrivere un intero post. Vorrei anche aggiungere che TANTE persone di cui leggo il blog, anche persone di più di 25 anni e malate da anni...credono che il loro riuscire a digiunare perché malate le renda speciali. Credono che il fatto di non avere più il ciclo le renda più belle e speciali...credono tutte queste stronzate. E noto che purtroppo, CASUALMENTE, non leggono il tuo blog.
Veggie hai scritto in un modo così...cristallino...potente...hai scritto per immagini... così intensa non ti avevo mai sentita...sai che mi sembra tu sia innamorata? (O anche sul punto di diventarlo)
Susi (in bocca al lupo per la tua passione)
Bé, tu sai che io ho sempre sostenuto che l'anoressia mi aiutasse a colmare quel vuoto che sentivo. In realtà non mi rendevo conto (e non me ne sono resa conto per anni ed anni) che era proprio l'anoressia a crearmi quel vuoto.
Il fatto è che poi, se passa un po' di tempo, o forse troppo tempo, inizi anche a creare una sorta di dipendenza da quel vuoto, è come se non ne potessi più fare a meno.
Insomma, non so se il paragone ha senso, ma è un po' come la sindrome di Stoccolma, ti innamori della tua prigione e per quanto magari non ti piaccia o ti rendi conto essere una prigione, non riesci più a farne a meno.
In fondo, non è il problema anche di coloro che sono stati in prigione per 20/30 anni???
Uscire e riscoprire una vita "normale".
Imparare a vivere liberi.
La cosa bella è che si può. Sempre.
Un abbraccio
Claudia
Non ho un profilo che mi permette di entrare e scrivere nel tuo blog. Avrei però lo stesso il desiderio di dirti che ho accompagnato silenziosamente il tuo percorso. Ho imparato da te che si può uscire dal dca...ti ho visto cambiare e trasformare i tuoi scritti.
Ti auguro tanto bene
Susi
ho letto d'un fiato il tuo bellissimo, profondissimo post
Ho riletto questo post diverse volte... complimenti, non ho mai letto una descrizione migliore su cosa sia il vuoto...
È così, non si riesce mai a colmarlo, a volte ti senti addirittuta "piena " di vuoto, non riesci a liberartene.
Conosco benissimo quella sensazione, alcuni giorni la provo ancora, forse più intensamente di quando la provavo tutti i giorni...
Per me restringere significava essere migliore di qualcuno almeno in qualcosa, perché mi sono sempre sentita inferiore ai miei coetanei.
Pensavo di essere forte grazie alla restrizione.
Ma non è così...
Io non sono anoressica, o meglio non sono fisicamente riparabile all'anoressia perché nn sottopeso (ma prendere 400mcg di eutirox la mattina e 6 dulcolax la sera per quanto non particolarmente magra non è un comportamento che reputo normale. E mi ritrovo anche in molte trappole di cui parli spesso), ma conosco benissimo la sensazione di vuoto di cui parli. E la sento ogni volta che qualcuno o qualcosa mi disattende dopo aver investito tutta me stessa. Un vuoto profondo, un senso di non avere nulla per cui restare. E nello stesso tempo di non avere più nulla dentro.
E' complicato spiegarlo ma mi ritrovo nelle tue parole. Mi sottopongo a vere torture (notti insonni seduta sul pavimento, lavoro di 40 ore al giorno, digiuni, lacci ) per sentirmi più forte, più in controllo. Ma non serve perché quel vuoto che sento attorno a me è dentro.
Veggie... grazie. Mi aiuti sempre senza neanche esserne cosciente.
@ GaiaCincia - Indubbiamente per ciascuna di noi la restrizione alimentare rappresenta un qualcosa di assolutamente personale... ognuna di noi le ascrive il proprio significato... e tu le hai attribuito il tuo... e adesso sei anche riuscita a spiegarlo a te stessa. Non tutti i sillogismi funzionano... quello che hai scritto ne è il più palese esempio.
@ Wolfie - Vedi, io credo che anoressia e bulimia differiscano solo per il sintomo prettamente alimentare... ma le problematiche e soprattutto il dolore sotteso, è comune... per questo credo il mio discorso possa filare anche per un DCA che io non ho mai vissuto... perché quello che ci sta dietro, la sofferenza è la medesima a prescindere dal tipo di DCA scelto per esternarla...
@ AlmaCattleya - Credo che il vuoto possa essere positivo quando è voluto, perché ci sono momenti in cui ciascuna di noi ha bisogno di chiudere il resto del mondo fuori, e stare con se stessa... Diventa negativo quando scava sotto, e poi ti ci ritrovi immersa e capisci che hai perso cose che non puoi recuperare...
@ Raffa - Essendo una strategia di coping molto efficace, non ti deve stupire nè dispiacere che ricompaia... sono quegli automatismi che mettiamo in atto ogni qualvolta ci ritroviamo di fronte a cose difficili da affrontare... Però, io credo che il passo avanti sia proprio il rendersi conto che di questo si tratta: una strategia di coping, nè più e nè meno. E, da qui, la consapevolezza che ci sono molte altre strategie di coping da mettere in atto, e che queste sono molto meno deleterie della restrizione alimentare... e, perciò, si può cominciare per lo meno a cercare di shiftare, di cambiare modalità... Per cercare di recuperare almeno un po' quello che senti di avere perso.
P.S.= Perchè sei malata. Tutto qui. Sei malata e hai bisogno d'aiuto per sciogliere il meccanismo patologico che in questo momento ancora ti domina. Il "mangiare come una persona normale" mi sembra francamente utopistico per chi è passata attraverso un DCA... però, con l'aiuto adeguato sia da un punto di vista nutrizionale che psicoterapeutico, si può riacquisire molta più tranquillità nei confronti dell'alimentazione... che non sarà "normale", ma comunque del tutto gestibile. E questo è assolutamente possibile.
@ Killer - Hai perfettamente ragione... Una vita passata in balìa di un sintomo non può essere certo definita tale... è solo un simulacro di vita. E non vale in alcun modo la pena.
@ Manu - Credo sia solo una questione di tempo. e di esperienza. Sono fasi diverse di una stessa malattia, insomma. Io so, senza alcun margine di dubbio o d'errore, che quello che dico io (e le altre ragazze) un domani lo dirai anche tu. Questo è matematicamente certo. E mi dispiace così tanto. Mi dispiace così tanto perché io lo so tutto quello che ho perso, tutto quello che non riavrò indietro, tutto quello che ho mandato a quel paese, per quell'effimera sensazione di controllo e di forza. E il giorno in cui lo dirai anche tu, sarà il giorno in cui ti troverai nella mia stessa situazione. Ed è una situazione che non augurerei nemmeno alla mia peggiore nemica. Mi dispiace così tanto di poter vedere le cose in prospettiva, sapere già quanto ti dannerai, e quanto lo rimpiangerai, e non poter fare niente così.
@ Marta – Sì, credo anch’io che ognuna ascriva al proprio DCA un suo proprio significato, che copre comunque ciò che non si vuol vedere… ed è senz’ombra di dubbio un raccontarsela. Il passo avanti è trovare la forza e il coraggio di affrontare i propri problemi…
@ Jonny – E’ così, semplicemente. Quoto.
@ Marcella – Io penso che la concezione di questo vuoto sia estremamente variabile da persona a persona… quindi, più che scriverci io personalmente un post, secondo me dovremmo scriverci un post collettivo!... (Tra l’altro, lancio l’idea che mi hai suggerito, se qualcuna ha voglia di raccoglierla…) Le persone di cui parli… credo siano ancora molto dentro la malattia. Prima o poi anche la loro nuvoletta rosa sparirà, e si accorgeranno che tutto quello in cui credevano era solo un falso costrutto generato dallo stato patologico… e in quel momento (o in qualsiasi momento), se avranno voglia di leggere questo blog, saranno sempre le benvenute…
@ Susi – Grazie Susi, sono contenta che questo post ti sia piaciuto così tanto! ^__^ … In un certo senso hai ragione: sono innamorata del lavoro che ho da poco trovato (anche se è solo un contratto a tempo determinato…)… e, allo stesso tempo, in questi giorni ho “perso” (nel senso di “preso un’altra strada”, NON nel senso di “morto”, eh!...) un amico per me molto importante. Forse è una commistione delle 2 cose…
@ Claudia – Penso che in effetti sia un palliativo. Ti dà la sensazione, sul momento, di riempire il vuoto, ma in realtà ne crea uno ancora maggiore… E’ una sorta di serpente che si morde la coda, insomma. E, sì, come tutte le cose che, per quanto distorte, diventano abitudinarie, più la dura più è difficile staccarsene…
@ Dolores – Semplicemente grazie…
@ Pulce – Certo che non è così… è solo l’illusione malata che ti trasmette l’anoressia… Poi vai avanti, e ti rendi conto che le cose stanno diversamente… e allora inizi a combattere… E comunque, tu non sei inferiore affatto ai tuoi coetanei… nessuno lo è. Perché siamo tutti diversi, ergo è impossibile stabilire metri di paragone universali ed inconfutabili…
@ Michiyo – Cara Michiyo, tu NON SEI anoressica, perché nessuna di noi lo è, in quanto SIAMO persone e non malattie. Per cui, tutt’al più, ABBIAMO l’anoressia, ma sicuramente non siamo anoressiche. A parte questo, io non credo che una diagnosi di anoressia possa in alcun modo basarsi sul peso: essendo una malattia mentale, è agli aspetti mentali che dobbiamo guardare. Se la sovrastruttura mentale è quella dell’anoressia, si è malate a prescindere dal peso. Ma lasciamo da parte questi discorsi, le etichette cliniche non servono a granché… perché la profondità del tuo dolore la conosci solo tu, e prescinde completamente da ogni possibile definizione medica. Tu vivi un disagio, e quale che sia il nome che un medico gli darebbe, sicuramente meriti di essere accolta, ascoltata, ed aiutata… perché, come del resto giustamente scrivi tu stessa, il vero problema è quel vuoto che senti dentro. E non esisterà mai nessuna dimostrazione di presunta forza e di presunto controllo che cancellerà quella sensazione… fino a che non provi a lavorarci su… e a cercare di trovare alternative per riempirlo… e per crearti una vita fatta di cose che vadano oltre il senso di vuoto che tuttora provi.
@ .aRianna – Grazie a te per le tue parole…
Ciao Veggie, sono in ritardo, ho letto però questo bellissimo post. Sono immersa completamente in quel vuoto, e lo sono mentre mangio, mentre tentò di colmarlo mangiando, e mentre vomito perché capisco che non ho colmato proprio un bel niente. Ho provato quella sensazione di vuoto quando sono dimagrita tanto da non riconoscermi piu, e poi l'ho provata quando sono ingrassata con lo stesso identico risultato.
dove è la mia vita?
Avrei tanto bisogno di un tuo consiglio perché ho deciso che questo schifo non vale un cazzo e che desidero guarire. Provarci, per lo meno. Se ti va, vorrei intraprendere un serio percorso di guarigione accompagnata da uno psicologo ed un dietista, ma non so da dove cominciare.
So solo che voglio cominciare. Ti abbraccio, bellissimo post come sempre.
@ Sybil Vane - Sybil, nessun ritardo, figurati... Ci sono vari modi per iniziare un percorso di ricovero, vedi tu quale potrebbe esserti più congeniale, sulla base del tuo carattere, delle tue possibilità e dei tuoi impegni...
1 - Ricovero in una clinica specializzata in DCA. Puoi provare a metterti in contatto con delle cliniche specializzate nel trattamento di persone che hanno DCA, e alle quali puoi afferire vuoi come ricovero vero e proprio, vuoi in regime di Day-Hospital. Ne esistono di private e di convenzionate. Nella colonnina di destra della home di questo blog trovi un elenco dei principali centri convenzionati. In alternativa, puoi chiedere al tuo medico di famiglia (o direttamente al CUP della tua ASL) se ti fornisce qualche recapito di suddetti centri.
2 - Psicoterapia + dietista privatamente. Puoi scegliere se essere seguita ambulatorialmente sia da uno psicoterapeuta che da un dietista. Il vantaggio del farlo privatamente è che i tempi d'attesa sono brevissimi, e che puoi fissare un numero di incontri variabile sulla base delle tue esigenze e della fase del tuo percorso (ovviamente all'inizio avrai più bisogno di essere seguita, man mano che starai meglio potrai diradare...). Lo svantaggio è ovviamente il costo.
3 - Psicoterapia + dietista SSN. Analogamente, ti fai seguire sia da un dietista che da uno psicoterapeuta, però passando attraverso la ASL. I tempi sono piuttosto lunghi e non puoi scegliere le cadenza delle visite, però i costi sono molto contenuti.
Queste le 3 modalità principali... Vedi un po' te cosa può fare di più al tuo caso...
P.S.= La tua vita non sta da nessuna parte... Sei tu che la devi creatre da ora in poi. Ti abbraccio...
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