venerdì 25 luglio 2014
Nuova normalità
In un articolo che ho letto qualche giorno fa, era riportata un’intervista ad una paziente con una neoplasia, in cui raccontava quali strategie di coping aveva messo in atto per far fronte alla sua malattia e alla chemioterapia.
”Il cancro è diventata la mia nuova normalità” – asserisce la paziente in quest’intervista.
Perciò mi è venuto da pensare che questo tipo di pensiero può essere applicato anche alla strada del ricovero da un DCA. La strada del ricovero dall’anoressia è diventata la mia nuova normalità. Per molto tempo ho considerato l’anoressia stessa “normale”. Sebbene razionalmente mi rendessi perfettamente conto che il mio comportamento alimentare era anomalo, lo reputavo comunque “normale” per me stessa. Stavo semplicemente seguendo il mio progetto per sentirmi in controllo. Ed è difficile valutare quanto sia anomalo un determinato comportamento quando sei malata di anoressia da tanti anni, perché viene meno la memoria di com’erano le cose prima dell’anoressia, di come facessi a vivere tranquillamente prima. L’anoressia è anomala, è bizzarra ma, a suo modo, col tempo finisce anche per diventare assolutamente “normale”.
Per questo ho scritto che parte del lavoro che sto facendo adesso consiste nel rendere la strada del ricovero la mia nuova normalità. Rompere tutte le vecchie abitudini legate all’anoressia e iniziare a percorrere la strada del ricovero potrebbe sembrare la cosa più naturale e normale da fare.
E invece è estremamente difficile per chi ne è dentro. Certo, ci sono segnapassi fissi nelle nostre giornate: andare a lavoro/a scuola, fare sport, mettere in ordine la casa, uscire con gli amici, etc. E, a fianco a questo, ci sono tutte le cose da fare inerenti la lotta contro il DCA: fare i 5 pasti quotidiani seguendo l’ “equilibrio alimentare”, andare a fare la spesa al supermercato, cucinare e, per chi adottava comportamenti di compensazione, trovare modi per riempire il tempo che veniva precedentemente utilizzato per fare esercizio fisico allo sfinimento, per abbuffarsi, per vomitare, per fare checking.
Il nostro aspetto fisico a poco a poco si normalizza, il peso torna nella norma, e forse ricominciamo anche a comportarci normalmente. Niente di male, anzi, al contrario, solo che questo non significa che l’anoressia se n’è andata. Non significa che l’anoressia se n’è andata, o che ci sentiamo distaccate da essa come se fosse semplicemente parte del nostro vissuto. Il DCA continua a sembrare “normale”, uno standard di vita, per un sacco di tempo anche dopo che i comportamenti esteriormente più malati se ne sono andati. È molto più facile, per il nostro cervello, “imparare” i comportamenti tipici di un DCA piuttosto che dimenticarli. E le emozioni positive che l’anoressia stessa suscita, aiutano la stessa a diventare sempre più forte e ad ingranare sempre di più nella nostra testa. I comportamenti che si devono adottare per percorrere la strada del ricovero non sono gratificanti come la restrizione alimentare, non hanno perciò tutta la sua forza, ed è per questo che impiegano tanto tempo a diventare solidi come prima lo era il DCA. Ed è per questo che la strada del ricovero è così lunga da percorrere.
In ogni caso, io sto facendo diventare il ricovero la mia nuova normalità. Questo non significa che adesso vada tutto sempre a meraviglia e che non abbia assolutamente più alcun problema, ovviamente. Questo significa però che, se anche l’anoressia c’è sempre, io sto combattendo.
La cosa più difficile è iniziare a percorrere la strada del ricovero, è fare il primo passo. La cosa positiva è che, una volta trovato il coraggio per farlo, man mano che il tempo passa, le cose diventano un po’ meno dure. Fortunatamente, il nostro cervello si abitua. Si è abituato all’anoressia, perciò non c’è alcun motivo per cui adesso non possa abituarsi al percorrere la strada del ricovero.
”Il cancro è diventata la mia nuova normalità” – asserisce la paziente in quest’intervista.
Perciò mi è venuto da pensare che questo tipo di pensiero può essere applicato anche alla strada del ricovero da un DCA. La strada del ricovero dall’anoressia è diventata la mia nuova normalità. Per molto tempo ho considerato l’anoressia stessa “normale”. Sebbene razionalmente mi rendessi perfettamente conto che il mio comportamento alimentare era anomalo, lo reputavo comunque “normale” per me stessa. Stavo semplicemente seguendo il mio progetto per sentirmi in controllo. Ed è difficile valutare quanto sia anomalo un determinato comportamento quando sei malata di anoressia da tanti anni, perché viene meno la memoria di com’erano le cose prima dell’anoressia, di come facessi a vivere tranquillamente prima. L’anoressia è anomala, è bizzarra ma, a suo modo, col tempo finisce anche per diventare assolutamente “normale”.
Per questo ho scritto che parte del lavoro che sto facendo adesso consiste nel rendere la strada del ricovero la mia nuova normalità. Rompere tutte le vecchie abitudini legate all’anoressia e iniziare a percorrere la strada del ricovero potrebbe sembrare la cosa più naturale e normale da fare.
E invece è estremamente difficile per chi ne è dentro. Certo, ci sono segnapassi fissi nelle nostre giornate: andare a lavoro/a scuola, fare sport, mettere in ordine la casa, uscire con gli amici, etc. E, a fianco a questo, ci sono tutte le cose da fare inerenti la lotta contro il DCA: fare i 5 pasti quotidiani seguendo l’ “equilibrio alimentare”, andare a fare la spesa al supermercato, cucinare e, per chi adottava comportamenti di compensazione, trovare modi per riempire il tempo che veniva precedentemente utilizzato per fare esercizio fisico allo sfinimento, per abbuffarsi, per vomitare, per fare checking.
Il nostro aspetto fisico a poco a poco si normalizza, il peso torna nella norma, e forse ricominciamo anche a comportarci normalmente. Niente di male, anzi, al contrario, solo che questo non significa che l’anoressia se n’è andata. Non significa che l’anoressia se n’è andata, o che ci sentiamo distaccate da essa come se fosse semplicemente parte del nostro vissuto. Il DCA continua a sembrare “normale”, uno standard di vita, per un sacco di tempo anche dopo che i comportamenti esteriormente più malati se ne sono andati. È molto più facile, per il nostro cervello, “imparare” i comportamenti tipici di un DCA piuttosto che dimenticarli. E le emozioni positive che l’anoressia stessa suscita, aiutano la stessa a diventare sempre più forte e ad ingranare sempre di più nella nostra testa. I comportamenti che si devono adottare per percorrere la strada del ricovero non sono gratificanti come la restrizione alimentare, non hanno perciò tutta la sua forza, ed è per questo che impiegano tanto tempo a diventare solidi come prima lo era il DCA. Ed è per questo che la strada del ricovero è così lunga da percorrere.
In ogni caso, io sto facendo diventare il ricovero la mia nuova normalità. Questo non significa che adesso vada tutto sempre a meraviglia e che non abbia assolutamente più alcun problema, ovviamente. Questo significa però che, se anche l’anoressia c’è sempre, io sto combattendo.
La cosa più difficile è iniziare a percorrere la strada del ricovero, è fare il primo passo. La cosa positiva è che, una volta trovato il coraggio per farlo, man mano che il tempo passa, le cose diventano un po’ meno dure. Fortunatamente, il nostro cervello si abitua. Si è abituato all’anoressia, perciò non c’è alcun motivo per cui adesso non possa abituarsi al percorrere la strada del ricovero.
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16 commenti:
Leggendo l'ultima frase mi é venuto in mente che ho letto che il nostro cervello fa fatica a staccarsi dalle abitudini, ma xke é "pigro" non xke le reputa dannose, semplicemente xke é più facile continuare a fare come ha sempre fatto.. Ma con la costanza si può abituare ad altro..
Certo é più facile mentalmente continuare ad applicare i comportamenti a cui siamo abituati ormai, ma credo ci voglia più forza a dire "no questo comportamento é sbagliato/dannoso io non lo farò più" anche xkè poi il cervello si abitua al nuovo comportamento piano piano e poi diventa quello il normale..
Esempio stupido: se ero stressata o annoiata mi piantavo davanti alla tv con la Nutella e il pane, ora invece esco a farmi una camminata, le prime volte mi sarei tagliata un piede piuttosto che uscire, ora ne sento il bisogno, anche xkè ho visto che é molto meglio e più utile: a sfondarmi di Nutella mi veniva solo mal di pancia e lo stress e la noia rimanevano, uscendo invece ho conosciuto gente in giro col cane simpaticissimi, viene anche una mia amica delle volte e spettegoliamo e lo stress passa.. Lo trovo piacevole uscire a camminare e non più un dovere che mi impongo.
Ci vuole solo un po' di volontà le prime volte ma poi come dici tu diviene la nuova normalità, e piace pure di più :)
Fa strano dirlo, però sì... è abitudine.
Come quando tieni i libri disposti in un certo modo e poi per qualche motivo svuoti la libreria e li ridisponi in modo totalmente diverso: automaticamente torni a cercare il libro nella sua collocazione originaria, sbagliando ogni volta, ma poi ti abitui a non andare più a cercarlo là.
Ecco, i comportamenti distorti, quelli dettati dal disturbo, sono la vecchia collocazione dei libri, che a sua volta però è una RI-collocazione, dal momento che PRIMA sti benedetti libri erano in un ordine ancora diverso che ormai è bell'e dimenticato.
E se ci si è abituati una volta a trovarli a colpo sicuro una volta cambiata la disposizione, tanto da dimenticare quella prima, perchè non riuscirci una seconda volta? Certo, lasciarli come sono richiederebbe meno sforzo, è più 'rassicurante', è una confortante abitudine... ma penso che sconvolgere quell'ordine e crearne uno nuovo, alla lunga, valga la pena!
Detto contortamente ^^
Ci vuole un coraggio immenso per intraprendere la strada del ricovero: sappiamo cosa ci lasciamo alle spalle ma non cosa ci aspetta. Bisogna accettare di prendere peso, di vedere il proprio corpo cambiare, ma innanzitutto bisogna identificare il cibo per quello che è e non con tutto quello che ci costruiamo intorno.
Perché poi la restrizione diventa qualcosa di speciale nella nostra vita, come se fosse l'unica cosa che le da un senso, mentre il ricovero sembra quasi.. Banale.. Ma forse può aiutare a trovare quello che è davvero il senso della nostra vita.
E’ verissimo che ci si abitua alla malattia. Ci si abitua così tanto che, ad un certo punto, non si riesce più neanche a pensare, neanche a ricordare, una vita senza malattia.
Io a volte cerco di ricordare come mangiavo prima che la bulimia facesse il suo ingresso nella mia vita, ma non me lo ricordo, mi ricordo solo che mangiavo quello che mi andava, nelle quantità che mi andavano, ma se dovessi farlo adesso non ne sarei più capace. Mi sono abituata alla bulimia, poi mi sono abituata allo schema alimentare della nutrizionista, adesso mi mancherebbe solo l’ulteriore passo di riabituarmi a mangiare senza pensarci su. Ma questo è solo l’esempio più semplice e più sotto gli occhi di tutti. Sono ben altre le cose a cui ho perso l’abitudine a causa della malattia, cose ben più importanti. Ho perso la spontaneità nel relazionarmi con gli altri, ho perso la libertà di far vagare i pensieri sugli argomenti più disparati, ho perso la capacità di essere me stessa senza filtri. E ricominciare sotto una prospettiva più sana, non è affatto facile. Però, riconosco che col tempo le cose migliorano: all’inizio del mio percorso, più volte durante la giornata avevo l’impulso di correre in bagno, e dovevo impegnarmi tantissimo per non assecondarlo, e anche se non lo facevo la mia testa pensava sempre a quello. Adesso ci penso molto di meno, e anche se mi viene l’impulso resistere è diventato più facile, non sono perfetta, si capisce, però col tempo, a forza di “far imparare” alla mia mentalità nuove abitudini, quelle della malattia diventano sempre più secondarie. E io spero che, col tempo ancora, continuando a mettere in atto comportamenti sani, quei pensieri possano essere sempre più remoti; magari non spariranno del tutto, però saranno al minimo possibile, e credo che questo dovrebbe essere il risultato cui mirare nel “rieducare” la nostra testa ad una nuova normalità!!!!!!!!!!!!!!!
Un abbraccione!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
Ciao! Già "normalità" essere delle persone normali...è buffo!!!l'anoressia di normale non ha nulla...né fisicamente né mentalmente... però è in grado di entrare così profondamente dentro il tuo animo, il tuo cervello, il tuo corpo che x te diventa normale nutrirti in modo anomalo e farti quotidianamente del male.
Uscirne e riassettare di nuovo il cervello è un processo lungo e arduo...sì può ???
Io sono uscita dalla fase critica 15 anni fa...ho avuto però diverse ricadute in seguito a eventi svariati....e oggi 35enne mi trovo di nuovo da un annetto in crisi.
Da fuori magari non sì percepisce perché il peso non è drastico....ma dentro l'anoressia sì fa sentire.
Imparare nuovi coping ...lo chiedo a tutti voi: cosa può fare una persona che non ha più amici e che è abituata a praticare mediamente 4-5ore di sport al giorno x non farlo più?
Perché lo psicologo mi continua a dire:" chiama un amico quando hai l'impulso muoverti!" Ma io grazie all' anoressia di amici non né ho più.
Scusate ...ho dimenticato la firma e approfitto x una precisazione..
Questa non è la richiesta di una consulenza specifica ...semplicemente la richiesta di un parere da parte di qualcuno che magari ci è passato o che mi capisce...
Grazie
Raffa
Siamo lupi, attaccati alle nostre abitudini. Credo che sia la consapevolezza a fare la differenza quando si tenta di cambiare. Ma non la consapevolezza del male che ci facciamo (lo sappiamo benissimo, ma non è abbastanza importante). È la presa di coscienza della vita a cui stiamo rinunciando a svegliarci.
Ciao Veggie, a presto! :*
Per Raffa: Ciao Raffa, io non so se si possa uscire o meno da un dca, perché io stessa mi rendo conto che non ne sono ancora uscita, e credo che certi aspetti mentali della malattia oramai integrati faranno sempre parte di me; però so per certo, perché l’ho vissuto, che si può uscire dai momenti peggiori, e riuscire quindi a stare meglio. Ti aiuta la psicoterapia, ti aiuta la nutrizionista e, sì, è vero, ti aiutano gli altri. Quando si ha un dca (che sia l’anoressia nel tuo caso o la bulimia nel mio caso) ci si isola tutte, anch’io mi sono isolata quando stavo male, ed infatti gli anni del liceo li ho passati praticamente sempre da sola. Poi però, quando ho iniziato l’università (ed ho iniziato anche a farmi seguire sia con la psicoterapia sia dalla nutrizionista), ho imparato poco a poco a riaprimi agli altri, ho stretto nuove amicizie tra le compagne universitarie, ho conosciuto quello che poi è diventato il mio attuale fidanzato. Se anche l’anoressia ti ha portato via tutte le amicizie che avevi, com’è purtroppo inevitabile, prova piano piano a riaprirti con le persone che ti stanno intorno adesso, perché per la mia esperienza gli altri sono veramente un valido supporto. E, nel frattempo che cerchi di stringere nuove amicizie, trova un’attività che ti piace fare (ti piace leggere? ti piace ascoltare la musica? ti piacciono i musei?) da sostituire all’attività fisica patologica!!!!!!!!!! In bocca al lupo!!!!!!!!!!!!
Grazie Wolfie !
Ogni persona che mi sprona verso l'apertura agli altri e alla vita può solo che farmi bene!!!
E grazie anche x aver condiviso con me parte della tua esperienza.
P.S.: leggere sì mi piace molto...soprattutto perché leggendo sei libero di immaginare i personaggi e gli ambienti come vuoi...mentre se guardi un film è tutto scelto dal regista ;)
Un abbraccio
Raffa
La necessità di costruire una nuova normalità in antitesi alla fottuta anoressia è una verità tanto inoppugnabile quando ardua da conseguire.
(Che poi, a ripensarci, c’è un’ironia che spacca: quando ho iniziato a restringere l’alimentazione mi sarei dannata per essere tutto tranne che normale, e adesso la “normalità” mi pare un concetto così astruso da risultare utopico.)
Per anni, paradossalmente, è stata l’anoressia ad essere “normale”, ma più vai avanti più cominci a svelare le falle – “from the top of the world I started seeing the cracks” (cit.). Il collante del bisogno che mi ha vincolata così strettamente all’anoressia per tanto tempo perciò adesso si sta sciogliendo. E nelle crepe che si aprono compaiono chiazze di oscurità, non luce. E io sto qui a chiedermi com’è che sono arrivata fino a questo punto, e cos’è quell’altro su cui poter costruire una nuova normalità, perché a me pare non mi sia rimasto un cazzo.
È un gran casino, però so che se risalissi alla radice dell’anoressia e di tutti i miei dannati problemi, alla fine della fiera troverei le mie stesse scelte ed azioni.
E allora cosa voglio davvero?
Forse solo barcamenarmi, tirare avanti, perché se mollo adesso corro veramente il rischio di rimanerci sotto. E non me lo posso permettere, cazzo, non posso cedere. Perciò, meglio tenere duro. Perché poi rimettere insieme i pezzi richiede mille volte il tempo che serve per crollare.
Ciao! Non ricordo più che cosa è normale...
Non è più normale nulla x me...
Quanto mangiare?
Cosa mangiare?
Quanto dormire?
Quanto riposarsi?
Quanta attività fisica fare e come farla e con chi farla?
Come ci si sente quando si esce con altre persone o semplicemente stando in mezzo alla gente?
Cosa mi piace veramente fare e cosa faccio x forza o compulsione?
...e le domande sarebbero infinite ...
Una lotta distruttiva contro se stessi...chi vincerà? Nessuno...è da quasi 20 anni che lotto...con salite discese mezze vittorie e sconfitte...quasi 20anni di logorio mentale e fisico ...
Sono ancora qui...viva...non più io ma viva...questa è l'unica certezza.
Il mio dramma? Pensare che sebbene sia sfinita e sconfortata ...la lotta non è terminata e forse mi accompagnerà x sempre.
Così lo psicologo ha concluso la sua seduta...con la definizione di "cronicizzarsi della malattia"..
Un macigno immane cadutomi addosso...ma come fai a dire ad una persona che ormai non c'è più nulla da fare e che devi accettare di convivere x sempre con i tuoi mostri più brutti!!!
Raffa
@ Raki – Sul piacere di più o di meno, lascio soggettiva valutazione… Senz’ombra di dubbio, però, percorrere la strada del ricovero è più funzionale e salutare che stagnare in una malattia… e certo non è facile, soprattutto all’inizio… ma è quello che dobbiamo cercare di fare per noi stesse, per darci almeno una possibilità…
@ Madama Farfalla – Esempio assolutamente centrato… è proprio così che funziona il nostro cervello, in effetti: va avanti per reiterazione… è per questo che per imparare nuove abitudini ci vuole tempo e pazienza… ma ne vale la pena, sì. Assolutamente. Provato & confermato.
@ Killer – E, paradossalmente, invece, è proprio il contrario: se io dico “Alzi la mano chi, qua dentro, non abbia ristretto l’alimentazione”, credo proprio che avremo zero mani alzate… ergo, qua dentro la restrizione alimentare è la cosa più banale che ci sia, l’abbiamo saputa mettere in atto tutte, per un lasso di tempo più o meno lungo. Viceversa, percorrere la strada del ricovero non è affatto altrettanto facile… e questo lo rende tutto meno che banale.
@ Wolfie – Hai perfettamente ragione… E ti assicuro che, effettivamente, più si va avanti, e più diventa facile… Forse non sarà mai spontaneo od immediato, però sicuramente c’è tanto margine di miglioramento…
@ Raffa – Penso che lo psicologo di base abbia ragione… coinvolgere altre persone e fare qualcosa con loro impegna la testa, e questo permette di tenerla almeno temporaneamente lontana dai trigger dell’anoressia… Se non sono amici possono essere familiari, colleghi di lavoro, compagni di squadra (per chi fa sport)… penso che il termine “amici” abbia un’accezione anche più generica. In alternativa, penso che attuare altre strategie di coping possa anche non implicare direttamente la presenza di altre persone… un distrattivo lo si può trovare sulla base di quello che ci piace fare: andare al cinema o al teatro, andare a fare un giro in auto, leggere, scrivere, disegnare, imparare una lingua straniera, iniziare a coltivare un hobby… meglio ancora se quest’ultimo coinvolge altre persone. Esempio banale, se ti piace fare decoupage, anziché farlo a casa da sola, puoi iscriverti ad un corso… il che combina la possibilità di distrazione, e la possibilità di fare nuove conoscenze… Perché è verissimo che l’anoressia allontana le amicizie… per cui, nel momento in cui una è fuori dalla fase critica, quello che può fare è cercare di costruire nuove amicizie, facendo nuove esperienze che allarghino le proprie cerchie… e saranno poi queste amicizie neonate a consolidarsi nel tempo e a diventare una sempre più valida fonte di supporto.
In quanto al discorso di uscire dall’anoressia… io non credo che per malattie come i DCA si poassa “guarire” nel senso proprio del termine… penso che dentro di noi qualcosa della patologia rimarrà sempre… però so per esperienza personale che si può stare molto meglio, che si può tornare ad avere un’ottima qualità della vita, e che è ciò cui bisogna puntare ad ottenere.
Ti abbraccio…
P.S.= Mi dispiace che tu sia seguita da uno psicologo che non ha molta voglia di lavorare, e t’invito a leggere questo: http://anoressiabulimiaafterdark.blogspot.it/2012/04/cronicita-e-dca-non-trattabili.html
@ GaiaCincia – Hai perfettamente ragione… Io credo che, in fondo, sappiamo tutte bene quando il DCA sia deleterio sotto ogni punto di vista… Poi possiamo pure non ammetterlo, neppure di fronte a noi stesse, ma io credo che in fondo quella consapevolezza stia in tutte noi… per questo, come sottolinei tu, è più importante guardare oltre… perché forse è concentrandoci su quello che manca che può far nascere la voglia di raggiungerlo…
@ Jonny – Se conosci qualcuno che sappia rispondere alla domanda “cosa voglio davvero?”, presentamelo perché gli dedico una statua!... Scherzi a parte, io credo innanzitutto che sapere cosa si vuole in maniera aprioristica sia veramente difficile e, per certi versi, anche miope, perché tarpa le ali ad altre possibilità… Secondariamente, io penso che tu possa aspirare a ben di più che al mero barcamenarti ed andare avanti…
Lo leggo subito!
Questo post mi ha fatto piangere. Per tanti motivi, perché sono sfinita. Perché lottare ogni giorno è dura, perché a volte sai che lasci una cosa che non funziona più per un'altra che comunque ti sembra non funzionare. Lasci una cosa che ti toglie energie, che ti fa cadere i capelli, ma che almeno ti illude un po'. La lasci per una via più sana, in cui ritrovi una dimensione più "umana", che un po' ti piace, ma che ti rimanda indietro delle sensazioni insostenibili. Ti senti orrenda, grassa, inadeguata. Fai marcia indietro. Dca, aiuto. Vorresti che almeno la vecchia soluzione si degnasse di funzionare, ma non funziona più nemmeno quella. Allora fai un passo di qui e uno di là. Decidi di uscire dal dca, ma poi torni sui tuoi passi, perché la sensazione è orrenda. Hai provato a resistere e hai imbarcato un mare di dolore. Capisci di avere dei vuoti enormi nei momenti liberi. Una te da soffocare, perché quello che senti fa troppo male. Quando il dca si alleggerisce, compaio io. E sto male. E so che è l'unica via.
Io ho un sogno. Il mio sogno è di tornare a vivere. Di poter vivere di nuovo. Per ora si tratta solo di resistere, qualunque decisione prenda. Decido di resistere se restringo, decido di resistere se mi muovo verso una nuova modalità più sana. Contratto ogni giorno per tenere almeno una via di mezzo. Contratto ogni pezzo di cibo. Contratto tutto. Mi tratto come una macchina senza emozioni, ma sono entrata a contatto con me e quindi non va più bene. E fa male. Hai ragione, bisogna continuare a lottare. Sperando di avere abbastanza risorse. E' una lotta solitaria. Non è semplice lottare per se stesse, quando proprio in quel "sé" c'è il problema.
Ho trovato il tuo blog per caso, ho letto buona parte degli articoli ed ho riflettuto molto prima di lasciare un commento... Bhe, ti ringrazio, di condividere le tue esperienze e le tue ricerche, di parlare di te come se stessi inevitabilmente raccontando la storia di molti; anche la mia.
Questo post mi ha aperto gli occhi su ciò che non sono mai riuscita a dire lucidamente: La normalità che vedo è frutto della perfetta costruzione della maniaca di controllo che è dentro me. Anzi, oltre me.
Perciò ti ringrazio, hai dato voce ad un pensiero che non posso far altro che trascrivere.
Sai, pensandoci è strano, non ti conosco eppure potrei dirti "ti voglio bene", perché ciò che scrivi diventa d'ispirazione per molti lettori che cercano un modo preliminare per affrontare il proprio problema (non la chiamo "malattia" poiché mi sono rifiutata di accettare alcuna diagnosi, fino ad ora).
Grazie
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