Nel suo commento, ButterflyAnna scrive: “sfido chiunque di voi a dire che all'inizio di questa malattia non avete pensato che perdere chili su chili e non mangiare fosse la cosa più giusta del mondo […] era solo voler dimagrire e voler restringere a tutti i costi […]Perché il pensiero era quello e i comportamenti erano quelli di una ragazza che voleva diventare sempre più magra a ogni costo […]Poi a quei 36 chili ci sono arrivata e non mi hanno portato felicità solo a quel punto ho capito di essere malata”.
In rigoroso ordine random, partiamo da valle per arrivare a monte.
Io credo che la fisicità non sia un parametro poi così strettamente attendibile per valutare la “malattia”/“guarigione” da un DCA. Anche perché sono dell’idea che ciò che rende una persona affetta da anoressia non è il peso ma i pensieri, cioè il pattern mentale – essendo l’anoressia malattia mentale per psichiatrica definizione. Per cui, come ho già scritto altrove, ritengo che una persona possa essere malata di anoressia anche se pesa 150 Kg, se la sua forma mentis è quella propria dell’anoressia, perché è il quadro mentale che connota l’anoressia, non la fisicità.
È ovvio, e lo capisce anche un bambino, che ci sono certi livelli di sottopeso che per forza non sono compatibili con la salute. Riprendendo l’esperienza raccontata da ButterflyAnna, è palese che una donna che pesa 36 Kg (a meno che non sia alta un metro e un cavolo) non può essere in salute e deve recuperare, su questo credo non ci sia neanche da discutere.
Per il resto, il termine “sottopeso” (come il termine “sovrappeso”, del resto) è molto generico, e pertanto di pressoché impossibile applicazione su vasta scala, data l’estrema soggettività di ognuna di noi. Quello che andrebbe considerato – e che sarebbe in effetti scientificamente corretto considerare, come dimostrano diversi studi recentemente condotti – è il Set-Point di peso corporeo fisiologico, che è un qualcosa di individualizzato per ciascuna di noi, e non risponde propriamente al canonico concetto di “normopeso secondo il B.M.I.” (sebbene sia vero che molte persone hanno un proprio Set-Point che corrisponde ad un valore di B.M.I. compreso nel range del normopeso). Il Set-Point è una sorta di “termostato del peso corporeo” che viene geneticamente determinato, ed è regolato per essere mantenuto intorno ad un punto fisso da complessi meccanismi di feedback (omeostasi). Questi meccanismi di equilibrio tendono a mantenere il valore di peso preimpostato dal Set-Point relativamente costante.
Il peso ovviamente sballa di molto quando, con un DCA, ci alimentiamo in maniera del tutto anomala e pieghiamo l’organismo alterando il metabolismo e dunque perdendo/prendendo peso. Tuttavia, poiché il Set-Point di peso corporeo fisiologico è appunto geneticamente determinato, nel momento in cui si riprende ad alimentarci regolarmente e correttamente, dopo il tempo necessario al metabolismo per riattivarsi e ricominciare a lavorare a regime, il nostro organismo tenderà a riportare il peso ai valori originari.
E questo giusto per chiarire da un punto di vista prettamente medico i discorsi sul sottopeso/sovrappeso.
Per quanto riguarda il concetto di “guarigione”, purtroppo è vero che molte persone che non hanno vissuto un DCA sulla propria pelle si fermano all’esteriorità, che è l’unica cosa che riescono a vedere e quindi a concepire, e pensano che il peso corporeo sia l’unico parametro che possa decretare lo stato di “guarigione” o meno di una persona. Ovviamente chiunque abbia avuto/abbia un DCA credo sappia bene che non è semplicemente così che stanno le cose.
Io penso che si dovrebbe focalizzare un po’ meno l’attenzione sul peso, e concentrarla maggiormente sulla qualità della vita. Quando si parla di “qualità della vita”, infatti, si fa contemporaneamente riferimento sia al campo fisico che a quello psicologico: è indubbio che non si possa avere una buona qualità della vita con un corpo fisicamente non in salute (vuoi per il sottopeso eccessivo in chi è affetta da anoressia, vuoi per i danni prodotti dalle condotte di compensazione in chi è affetta da bulimia, vuoi per le abbuffate in chi soffre di binge, vuoi per l’alimentazione altalenante in chi ha un DCAnas, etc…), e allo stesso tempo è indubbio che non si possa avere una buona qualità della vita con una mentalità pervasa dal DCA... perché tanto più esso è presente nella nostra testa, tanto più si perde in vita sociale, lavoro, studio, sport, e tutte quelle cose che rendono la nostra vita appunto una vita di qualità.
Ergo, secondo me è la qualità della vita che va a valutare quanto una persona sia “guarita” o meno da un DCA, compendiando sia gli aspetti fisici che quelli mentali… ammesso e non concesso che per malattie come i DCA si possa parlare di “guarigione”. Io infatti preferisco il termine “remissione” e sottolineo che, personalmente, non sono “guarita” dall’anoressia nel senso canonico del termine, perché mi capita tuttora di avere talvolta dei pensieri, che però riconosco come malati, e dunque non agisco. So che ci sono, ma li lascio lì, confinati in quell’angolino della mia testa, e non mi condizionano più nè comportamentalmente né mentalmente. È proprio per questo che ormai fortunatamente da diversi anni sto vivendo una remissione della malattia.
Tornando invece a monte, e dunque facendo riferimento alla prima parte del commento di ButterflyAnna, premetto che: quello che sto per scrivere fa parte della mia esperienza personale, ergo non ha alcun valore a carattere generale. Ciò significa che probabilmente alcune di voi si rispecchieranno comunque in ciò che scrivo, ed altre no. In ogni caso, nessuna pretesa di verità assoluta: semplicemente quello che ho vissuto io, e dunque la MIA personale verità, più o meno estendibile agli altri.
Nelle parole di ButterflyAnna, io NON mi ritrovo PER NIENTE
Se vogliamo considerare il B.M.I. come riferimento, allora è tutta la vita che io sono “sottopeso”. Giusto per dire, se vogliamo considerare il B.M.I. come riferimento, allora tutti i membri della mia famiglia sono “sottopeso” da tutta la vita (eppure nessuno di loro ha un DCA). Sono sempre stata magra (e bassa) credo semplicemente perché, geneticamente, provengo da una famiglia in cui siamo tutti magri (e bassi): se di “sottopeso” vogliamo parlare, è un “sottopeso” del tutto fisiologico, che ci caratterizza tutti quanti. Poi, personalmente, con l’anoressia, ho ovviamente trasceso ogni limite di peso e sono arrivata ad una magrezza assolutamente patologica e del tutto incompatibile con la salute. Tuttavia attualmente, grazie all’aiuto della dietista che tuttora mi segue, ho recuperato il mio Set-Point di peso fisiologico, sto pertanto seguendo un “equilibrio alimentare” mirato proprio al mantenimento di questo peso e naturalmente all’evitamento della riadozione di comportamenti alimentari restrittivi e, salvo i danni permanenti che l’anoressia ha prodotto al mio corpo e che purtroppo mi dovrò portare dietro vita natural durante (mi riferisco a osteopenia e infertilità), sono perfettamente in salute e posso senza alcun problema fare sport, lavorare come istruttrice ed arbitro di karate, lavorare come medico, e se mi avanza un po’ di tempo nelle mie incasinatissime giornate anche prendermi un attimo di pausa per dedicarmi alle cose che mi piacciono come per esempio leggere e disegnare.
Essere perfettamente in salute da un punto di vista prettamente fisico non significa appunto, come dicevo, essere del tutto “guarita” dall’anoressia, perché se così fosse immagino che certi pensieri non mi passerebbero più neanche per l’anticamera del cervello. Ma significa che attualmente ho un corpo in salute e del tutto funzionale che mi permette di vivere a 360°, e che mi ha consentito di tornare ad avere un’ottima qualità della vita.
Io non ho mai avuto dunque il desiderio di essere magra poiché, banalmente, sono sempre stata magra.
Per quanto attiene la mia personale esperienza, il bisogno di controllo è stato il punto focale di tutto il disturbo alimentare. Io volevo avere il controllo assoluto. Su tutto. Su ogni singolo aspetto della mia vita. La cosa è partita da ambiti diversi dall’alimentazione e poi, in un formidabile colpo di coda, anche il versante alimentare è stato tirato dentro questo mio bisogno di programmare – e dunque controllare – ogni singolo secondo delle mie giornate.
Volevo “semplicemente” avere sotto controllo ogni singolo respiro della mia vita, e questo controllo che già mettevo in atto su altre cose, ad un certo punto ha iniziato a passare anche attraverso il canale alimentare. L’obiettivo della mia restrizione, in effetti era proprio questo: elaborare una forma di controllo su quello che mangiavo. Il dimagrimento è stata l’ovvia conseguenza, ma non mi ha mai fatto piacere, anzi, mi metteva a disagio, non avrei voluto (anche perché comprometteva le mie prestazioni sportive, e al tempo facevo agonismo ed ero a buon livello), ma avevo bisogno del controllo, e se “il prezzo da pagare” era quello di perdere chili, allora andava bene tutto, allora accettavo il compromesso, pur di non abbandonare la sensazione di sicurezza e di forza che quel (l’illusorio) controllo mi faceva provare.
Non ho mai avuto, dunque, l’obiettivo di restringere l’alimentazione per dimagrire (difatti non mi sono mai pesata, neanche nella fase più acuta dell’anoressia, proprio perché del peso in sé non me ne poteva fregare di meno, né ho mai contato le calorie o cose del genere), il mio unico pensiero era incentrato sul desiderio di avere il controllo su tutto. Ogni altra cosa era mera conseguenza.
Mai voluto diventare più magra… ma sempre voluto esercitare un controllo sempre più totale.
Salvo poi rendermi conto, ovviamente, che quell’anoressia che credevo di controllare, era proprio ciò che mi controllava in misura spietata.
27 commenti:
Sai Veggie, la tua storia mi fa sempre pensare molto, e mi trovo a chiedermi “chissà perché, nel tuo caso, controllo ha significato proprio “restrizione”?” Mi chiedo, cioè, ma è una domanda senza risposta credo … Chissà perché non hai adottato altri comportamenti a livello alimentare tipo, non so, nutrirti solo di cibi macrobiotici o di una certa marca, o crudi (per dire cose a caso eh). Immagino che non avrebbe cambiato niente a livello mentale, perché comunque il controllo ti avrebbe portato ad avere comportamenti “patologici”, e avresti comunque potuto sviluppare un dca o un doc o un'altra malattia. Ma mi incuriosisce molto questo punto, probabilmente perché io non ho assolutamente tutto questo senso del controllo! Sono perfezionista, ma in maniera molto diversa … Infatti, io paura di perdere il controllo (=binge, ma anche disordine, cambiamenti di programma, e così via). Temo il controllo e lo esercito in modo forzato, come un mezzo per la perfezione in ogni campo e non come un fine per tenere sotto controllo gli aspetti della mia vita... Credo perché in tanti casi la vita mi ha dimostrato di non essere controllabile! Quanto siamo diversi noi esseri umani!
Bon, era solo un commento “filosofico”, ma mi fa riflettere, se ancora ce ne fosse bisogno, sulla pericolosità degli stereotipi e dell’ “omogeneizzazione” culturale che viviamo. Un bacione
Ciao veggie! Prima di tutto grazie per la tua risposta e grazie per aver scritto questo post perché e sempre utile sentire esperienze diverse e punti di vista diversi!
Per quanto riguarda il mio commento nell'altro post forse mi sono espressa male..quello che volevo dire non è che il peso nei dca è molto importante dal punto di vista fisico ma lo è dal punto di vista mentale..cioe so benissimo che non è l'essere sottopeso a fare di una ragazza un anoressica ma quel pensiero che io e penso molte di noi avevano sopratutto all'inizio della malattia(che c'è ancora solo ne sono più consapevole) ,il pensiero ossessivo del cibo del peso del ristringere,poi dimagrire per me è solo uno dei sintomi o comunque una conseguenza di quel pensiero,infatti sono d'accordo con te nel dire che il peso in se non non fa un anoressica ma il pensiero ossessivo di voler a tutti i costi controllare quel peso controllare l'alimentazione e ogni aspetto della vita si che fa un anoressica! Poi ovviamente ognuno ha le sue esperienze..io non sono brava con le parole ma spero di aver reso l'idea stavolta!
per quanto riguarda te ho appena capito da questo post di averti vista un po di tempo fa su mtv!!! Come ho letto quello che hai scritto sulla tua esperienza ho ricollegato le cose..detto cio..GRAZIE GRAZIE GRAZIE DI ESISTERE!!la tua esperienza mi è servita per aprirmi gli occhi la tua storia mi ha dato una speranza per la prima volta nella vita..non so se sia stato un caso o il destino a farmi mettere su mtv nel momento in cui c'era la tua storia ma ringrazio di averla vista perché mi è stata di grande aiuto per capire che tutto quello che vivevo e vivo non è normale e una vita felice non è così come la vivo io..sei una persona stupenda ed è stupendo quello che fai per tutte noi sei un esempio da seguire per me..ti mando un abbraccio:*
Come puoi immaginare, Veggie, sono d'accordo su quanto scrivi circa il (non) ruolo del peso corporeo nella genesi dei disturbi alimentari, che è invece determinata da un intreccio complesso e altamente individuale di fattori biologici, genetici (?), esperienziali.
Ritrovo anche non pochi punti di contatto fra le nostre esperienze.
Come te, anch'io non mi sono mai trovata in una condizione di "sovrappeso": per utilizzare la terminologia più puntuale che tu proponi, il mio set-point di peso corporeo attuale rientra nel range atteso per un individuo del mio sesso, altezza e struttura fisica.
In secondo luogo, neanch'io mi sono curata del calo ponderale, neppure nella fase più acuta del disturbo (che, fortunatamente, è stata di breve durata).
Anzi, dirò che, se per assurdo la restrizione alimentare non avesse prodotto alcuna manifestazione visibile, ne sarei stata solo felice: il disturbo per me ha sempre rappresentato qualcosa di estremamente privato, una sorta di zona d'ombra da coltivare in solitudine.
Era, come è stato per te, un bisogno di controllo; personalmente il punto non stava tanto nell'estendere tale bisogno già espresso in altri domini della vita, quanto piuttosto una sorta di piccolo segreto, di rifugio solitario, di impegno (sic) assunto solo e soltanto nei confronti di me stessa.
Oltre (a continuare) ad essere:
una buona figlia per i genitori;
una buona sorella per i fratelli;
una valida studentessa per i professori e i compagni;
una simpatica barista per i clienti;
un'affidabile babysitter per le famiglie che mi affidavano i figli;
una donna attraente e disinibita per gli uomini;
ora volevo essere un'asceta, una dura, una che ha il pieno controllo di sé per me stessa.
Si trattava di portare agli estremi quella responsabilità che sentivo nei confronti degli altri, trasformandola in qualcosa che mi facesse innamorare di me stessa.
Infine - e qui torno a notare gli aspetti in comune - sono anch'io dell'opinione che nell'ambito dei DCA non ci si possa attendere una guarigione nel senso canonico del termine; al più una remissione (non che sia poco, intendiamoci...).
Per utilizzare la mia metafora preferita: dipingendo quel quadro che è la mia vita, miscelando le varie tinte sulla mia tavolozza, sia per puro caso, sia per distrazione, mi sono trovata a impiegare una tinta cupa chiamata restrizione alimentare... allora, mi sembrava la più adatta ad esprimere ciò che sentivo.
A un certo punto, quei dipinti rigorosamente monocromatici, quella tavolozza in cui tutti i colori si erano insozzati di quel fosco pigmento, hanno iniziato a darmi l'affanno (e non solo in senso figurato...).
Ho deciso, con cuore e mente, di ricominciare a dipingere con tutti i colori di cui ancora disponevo: un po' secchi, in fondo ai tubetti... ma c'erano ancora!
Ed è ciò che continuo a fare ora: dipingo.
Quel tono di grigio rimarrà sempre sulla mia tavolozza, non posso eliminarlo con un colpo di spugna, si è infiltrato nel legno; ma posso girarci attorno, ponendo attenzione ogni volta nell'impiegare altri colori, e persino a cercarne di nuovi, per arricchire la mia tavolozza.
E devo ammettere che mi riesce sempre più naturale.
@Christiane : "Si trattava di portare agli estremi quella responsabilità che sentivo nei confronti degli altri, trasformandola in qualcosa che mi facesse innamorare di me stessa." Spero non ti spiaccia ma ho copiato questa frase sul mio pc ... è esattamente quel che intendo io quando parlo di perfezionismo ... Grazie per averlo espresso così bene!
A presto a tutte :-*
ciao veggie.
ho letto il tuo post come al solito e questa volta ho deciso di scrivere una cosa nache io e di farti una domanda diretta.
mi riallaccio al primo commento di Anais. Dici sempre che tu non hai mai voluto dimagrire ma semplicemente controllare ogni cosa e quindi anche il cibo...ma il cibo può essere controllato anche senza restringere...cioè perchè sei dimagrita? cosa ti ha portato a perdere cosi tanto peso da incorrere in infertilità e osteopenia se in realtà non sei partita dal desiderio di dimagrire?
io credo che alla base di un dca ci sia comunque il bisogno di restringere vuoi x dimagrire vuoi x farla finita con la vita vuoi x attirare l'attenzione...ma uno per il semplice desiderio di controllo non può dimagrire drasticamente anche perchè quando ti trovi sottopeso vuol dire che il controllo lo hai perso già del tutto!
per il resto io sono d'accordo con te. il dca è una malattia mentale e come tale va guardata ed è giusto svincolarla dal concetto di sottopeso o normopeso.
"avevo bisogno del controllo, e se “il prezzo da pagare” era quello di perdere chili, allora andava bene tutto, allora accettavo il compromesso, pur di non abbandonare la sensazione di sicurezza e di forza che quel (l’illusorio) controllo mi faceva provare."
Sai, io in un certo senso nella parola "controllo" (dico rispetto all'alimentazione) non mi ci sono mai trovata.
Mi ci trovo invece molto quando parli di "sensazione di sicurezza". All'inizio no, perché all'inizio ho iniziato eliminando i dolci come in una dieta ipocalorica, poi dopo un po ho iniziato a mangiare ogni cosa ridotta a miniporzioncine e poi avevo lasciato come categoria permessa solo la verdura (4-5 cibi)e 1-2 tipi di legumi.
Forse, soprattutto in certi periodi, in cui sceglievo pochissime varietá di cibi, questo mi dava un'enorme senso di sicurezza..Quando ero triste per qualcosa che mi era appena successo, o preoccupata per il futuro, sapevo che potevo ritornare a quel momento in cui avevo mangiato il mio "cibo sicuro", e sentirmi al sicuro di nuovo.
Cioé hai presente come se avessi hai un'esame importante e per rassicurarti magari fai il tuo piccolo rituale quotidiano tipo, non so, toccare la collana portafortuna regalata da una persona cara?
Peró ti giuro che delle volte sembrava piú un Disturbo Selettivo dell'alimentazione che un disturbo "restrittivo" (scusa se lo chiamo cosi ma non mi va di chiamarla Anoressia, credo sia troppo pesante per quello che ho avuto io..casomai dcanas).
"Il dimagrimento è stata l’ovvia conseguenza, ma non mi ha mai fatto piacere.."
In questo non saprei..sai io non so mai se chiamarlo "dimagrimento"..nel senso, si si dimagrisce.
Peró per me era come una sfida-rivolta a me stessa- ad arrivare sempre piú in basso (se oggi arrivo a X kg, domani devo sfidarmi ad avere X in meno" e cosi via..
Il numero della bilancia era ció che decideva se avevo vinto la sfida o no. E quello poi, credo sia diventato l'intero scopo, forse ancora piú del restringere al minimo l'alimentazione.
Per cui, al contrario della tua esperienza, il numero era fondamentale, perché diventava come un trofeo ma non in se, solo a patto che ci fosse sempre uno sfidarmi, un gioco di numeri proprio in cui non c'era un numero basso, perché da quel numero si puó sempre togliere.
Da tutto si poteva sempre sottrarre.. anche quando "sgarravo" e mangiavo normale a differenza di molte io non avevo la paura folle di ingrassare, perché per me l'importante era smaltire via l'esatto importo di ció che nel mio corpo era entrato..L'importante diciamo é che non ci fosse un surplus..
La cosa delle calorie almeno in me stessa non l'ho mai capita.
Vedo tanta gente che cerca di rientrare in X kcal giornaliere, mentre io le ho sempre contate dopo aver mangiato..un po come se fosse anch'esso un modo di annullare il fatto di aver mangiato.
Le contavo e il vedere un numero su un foglio mi dava calma..Alla fine, pensavo, non posso sapere esattamente quanto c'é nel mio stomaco adesso, o quanto ingrasseró, ma se lo calcolo invece posso saperlo e misurarlo precisamente.
ps. Comunque anche il pesarmi per me corrispondeva a una sicurezza credo..cioé, anche quando il numero rimaneva uguale o oscillava di poco (che é stata credo la parte piú lunga dopo l'iniziale calo..) io dovevo sapere quanto pesavo in ogni istante della mia giornata.
Se qualcosa andava storto, saperlo mi avrebbe tranquillizzata.
Se dovevo affrontare una giornata, saperlo me l'avrebbe fatta trascorrere piú in sicurezza.
Io per esempio, a differenza di molte, non ho mai vissuto "cosi male" gli oscillamenti di pochi grammi..mi incazzavo di piú se non potevo pesarmi e sapere il mio peso o se non calavo piú (se oscillava non era un calo, che nella mia ottica era un calo solo se calavo di un gruppetto di 5 kg oppure se proprio della metá per poi arrivare a 5-che era la metá del 10 che era il vero obiettivo per la sfida)..
È una sensazione particolare leggere il tuo post, Veggie, e tutti questi commenti, ragazze. Mi ha fatto venire in mente 2 considerazioni che condivido con voi:
-ognuno porta con sé un bagaglio enorme che è la sua storia e il forte bisogno di raccontarla: dietro ognuno di noi c'è un mondo, che è molto di più di un semplice numero di chili o un valore del BMI.
-dietro ognuno c'è un mondo diverso, ma è stupendo vedere che, anche con esperienze così diverse, ci si comprende benissimo (forse anche meglio di alcuni clinici, azzarderei!): ad esempio io, pur non ritrovandomi per niente nell'esperienza di controllo di Veggie, credo di aver compreso alla grande quali meccanismi si sono instaurati nella tua vita. È proprio questa differenza tra di noi, il fatto che ognuna è una persona unica, che ci permette di vedere l'esperienza delle altre con un po' di oggettività e di poter consigliare. Con la delicatezza di chi ha vissuto sulla propria pelle la sofferenza. Ed aiutando gli altri, senza accorgersene si aiuta anche se stesi. Ecco il motivo per cui questo blog è uno strumento prezioso!
P.s. Scusatemi, ma io sono un'inguarible ottimista: dai DCA secondo me SI GUARISCE. Questo non comporta cancellare il ricordo del disturbo o negarlo. Per un po' rimarranno pensieri e abitudini, ma a furia di non dar loro retta, spariranno e torneranno a non contare più nulla. In ogni caso, Remissione o Guarigione, potremo esser orgogliose di esserci tirate fuori dallo Schifo.
E' la Fede che conosco anch'io che commenta ? =)
Comunque...per la cronaca..se tu Veggie sei bassa io sono un tappo!
il mio è il commento più profondo di tutti =P
Ciao veggie!
Io nella parola "controllo" non mi ci vedo proprio, non mi ci sono mai vista.. Non credo di averlo mai avuto... Io dimagrivo così, a casaccio.
A volte conto/avo le calorie e a volte no, a periodi tengo o meno d.a., mi abbuffo/avo spesso liberamente di frutta e verdura, senza neanche pesarle, un po' vomitavo, un po' digiunavo e un po' mi ammazzavo di sport. Ai dolci, al gelato e al cioccolato non ho mai saputo rinunciare..
In realtà non so cosa significhi il controllo, e tutto questo perfezionismo nemmeno me lo ritrovo...
Odio il peso delle responsabilità, ed il cibo è solo un modo per non pensarci, per non far fronte a doveri/obblighi/impegni/scadenze ecc.
E' una cosa un po' provocatoria, ma la dico lo stesso..
"L'anoressia è una questione di mente, non di peso" è vero, è giusto, è esatto.
Ma chissà perchè lo dicono sempre le persone che sono state spaventosamente magre..
Se lo dicesse una ragazza sovrappeso, sembrerebbe quantomeno ridicola...
Un po' come "L'importante è partecipare, non vincere" suona bene in bocca ad uno che ha vinto o quasi, sembra una giustificazione, una scusa, un tentativo di consolazione, se detto a chi, o da parte di chi, è arrivato ultimo. "Comodo, pensarla così, no?" verrebbe persino da rispondergli ghignando.
"Peso 80 kg e ho la mente da anoressica" susciterebbe credo qualche risatina in più rispetto alla stessa frase pronunciata da una di 40 kg.
O dopotutto, tra noi normopeso e sovrappeso non circolerebbe "l'altro meme".. Non sono abbastanza malata per chiedere aiuto. Dopotutto.. Mica peso 40 kg!
Non sarà indispensabile nella definizione e per la diagnosi, ma è anche una forma di legittimazione personale e sociale..
E' una critica alla società, al senso comune, non certo a te!
Un bacio
Ciao Veggie, complimenti per il nuovo post, mi interessa moltissimo.
Sono D' accordo quando dici che l' anoressia É una malattia mentale, per cui il valore del peso É qualcosa di secondario, sicuramente non l' aspetto primario della patologia.
Mi pare di capire (e ne sono stupita!) che ognuna di noi ha una sua personale concezione di anoressia... Nel senso che, a parte alcuni indici in comune, tutte la vediamo con sfaccettature diverse, da prospettive differenti in base alla nostra esperienza passata o presente che sia. Pensavo ci fossero meno diversitá ad essere sincera. Sarà che ci sono dentro da non molto tempo (gennaio 2014), forse devo capirci ancora di più.
Comunque per la mia esperienza, sopratutto quella dei mesi passati, il peso contava. E neanche poco. Mi pesavo una volta al dì, cercando conforto nella bilancia, cercando sicurezza e motivazione per andare avanti. Vedere scritto un kg in memo, mezzo kg, significava complimentarmi con me stessa perché la mia restrizione alimentare mischiata all' intensa attivitá fisica funzionava. Al contrario, osservare un kg in più (magari soltanto perché dovevo andare in bagno e avevo bevuto molto) significa un fallimento. L' ennesima delusione verso la mia persona. Mi innervosivo e aumentavo l' attivitá fisica e diminuivo il cibo da mangiare.
Con questo non voglio assolutamente dire che il peso fosse fondamentale inizialmente. Lo É divenuto dopo.
Sono partita da disturbo depressivo e una "voglia" di cibarmi di prodotti sani, la definirei ortoressia, come alcuni dottori mi hanno suggerito. NON VOLEVO DIMAGRIRE. Ero normopeso, con un rotolino di pancia che poteva darmi fastidio ogni tanto, ma non mi interessavano le diete come altre amiche facevano.
La mia depressione mi ha portato a vedere completamente nero, ad isolarmi e ad essere sempre più abbattuta e in guerra con me stessa.
Avrei voluto essere migliore, in tutti i campi. Aspirai alla perfezione, sia fisica che intellettuale.
Sport, dieta, studio. La mia vita, la mia sopravvivenza.
Ho eliminato inizialmente dolci, pasta. Poi " ho perso il controllo" andando a pensare che un cibo come la carne, o il pane, non fossero cibi sani, ma che portassero numerose malattie. Altra eliminazione... Arrivando a mangiare (meglio bere, direi) minestre, verdure, frutta e tisane... Praticando la corsa di un' ora è mezza in collina e studiando 8-9 ore al giorno.
Sono arrivata ad essere fortemente anemica... (Mai stata prima) E così É partito il ricovero in ospedale.
Avevo l' insano bisogno di sentirmi perfetta, soddisfatta di me stessa e mi gratificava riuscire a controllarmi.
Il mangiare poco è stato il modo più facile per ottenerlo. Ho sempre risposto alla domanda dei medici "perché mangiavi così poco?" Dicendo: "Avevo la testa piena di pensieri e non volevo avere anche lo stomaco pieno. Lo stomaco É molto più facile da controllare"
Scusate se mi sono espressa in maniera estremamente noiosa e lunga, sentivo però di condividere quello che mi É accaduto.
Ps. Io sarei una eterna pessimista, però riguardo al discorso remissione-guarigione dalla anoressia credo che si possa riuscire a guarire. Credo che ci siano delle ferite estremamente profonde, le quali ci lasceranno inevitabilmente un segno, una cicatrice. Non É detto che la cicatrice ci porti ancora dolore nel corso degli anni... Nonostante sia sempre lì dentro di noi! Deve essere ben medicata, curata attentamente e con impegno, forza, coraggio, volontá... Però a distanza di anni, credo, si possa farla osservare agli altri standone molto distante... Soddisfatte che sia solo un ricordo... Contente che sia solo il passato e non più il nostro presente.
@ Softy: ciao, penso di capire ciò che intendi... e anche se non figura tra i fattori che hanno determinato la mia personale esperienza di DCA, sono dispostissima ad ammettere che, in alcuni casi, l'insoddisfazione per la propria fisicità possa contribuire alla loro insorgenza.
Ciò detto, penso che, di per sé, i chili in eccesso non bastino a produrre un disturbo di tale portata... ipotizziamo che una persona gravemente obesa, caduta preda dell'anoressia, anche dopo una restrizione alimentare prolungata rientri, al più, nel range del "normopeso" (perdonate i termini imprecisi, so che capite cosa intendo...). Ciò significa che l'anoressia di questa persona sia meno reale? E' un po' il discorso fatto qualche mese fa circa la vincitrice di The Biggest Loser: la restrizione scriteriata e l'attività fisica estenuante sono persino auspicabili in una persona obesa; diventano preoccupanti solo dopo che la medesima abbia raggiunto il "normopeso".
Secondo me, questo è un pregiudizio di massa che, più o meno scientemente, molte di noi si trovano a fare proprio per perseverare nel disturbo, per non mettere in discussione il mondo di ossessioni, rituali, sensi di colpa e controllo (ricercato o rigidamente mantenuto) che ci siamo costruite.
Penso (magari sbagliandomi!) che anche la persona affetta da DCA più interessata alla forma fisica e all'esteriorità riconosca, prima o poi, che sono ben altri - o almeno, anche altri i nodi irrisolti che l'hanno condotta al disturbo alimentare.
Certo, una donna cannone che si proclami anoressica, e che pure agisca i comportamenti della malattia, può suscitare il riso di molti; tuttavia, quante ragazze "in carne" sono insoddisfatte della propria figura, iniziano una dieta (auspicabilmente dietro consulto del dietologo/dietista/nutrizionista), ottengono dei risultati (più o meno significativi, più o meno duraturi) e continuano intanto a vivere?
Ripeto Softy, intendo la tua provocazione e vi ritrovo non poca verità, ma ribadisco che per la mia personale esperienza il fattore "peso corporeo" non ha avuto alcun...peso ;-) - e sì, sono stata in "sottopeso" (secondo il BMI e l'occhio comune), ma mai spaventosamente magra...
L'aver riconosciuto che quel peso non le ha portato la felicità è stato già un grande passo, secondo me. Solo così si può avere la consapevolezza che bisogna trovare la volontà per uscirne.
Ogni volta che leggo qualcuno che scrive che un dca non è questione di peso mi si apre il cuore, ragazze, sul serio. Pertanto, leggere questo post, e poi anche le vostre parole nei commenti, ragazze, mi riempie di sollievo. Perché io sono sempre stata normopeso. Nella mia esperienza di dca, nel momento in cui mi sono ammalata, dopo una brevissima parentesi di anoressia, sono scivolata alla bulimia, che è poi la malattia contro cui combatto tutt’ora. Io ero normopeso prima di ammalarmi, e sono rimasta normopeso durante tutte le fasi della malattia anche se ovviamente ho avuto delle oscillazioni di peso, ma comunque sempre entro l’ambito del normopeso, e sono anche adesso normopeso (mi riferisco al normopeso secondo il bmi, poi sono d’accordo sul discorso che è più corretto usare il concetto di set-point, lo dice anche la mia nutrizionista). Eppure il dca ha reso la mia vita un vero e proprio inferno, soprattutto negli anni in cui ero pienamente dentro la bulimia, e vivevo le mie giornate in funzione di questa malattia, e di tutte le ossessioni che essa aveva costruito nella mia testa, cercando di incastrarle con una parvenza di “vita normale”. Per cui, proprio sulla base della mia esperienza, sottoscrivo il fatto che non solo l’anoressia, ma nessun dca è e mai dovrebbe essere considerato una pura questione di peso. Credo che questo anzi sia solo un luogo comune a cui le persone credono, perché è così che viene presentata l’anoressia tramite la televisione: con delle immagini di ragazze estremamente magre. Bhè, vi posso assicurare che non c’è alcun bisogno di raggiungere un sottopeso enorme per stare male ed avere la vita soffocata da un dca. Questo può succedere benissimo anche nel più pieno normopeso. So che è una cosa sciocca, ma ci tenevo per l’ennesima volta a sottolinearla, perché credo che far capire in generale che si può stare male, e anche profondamente, per un dca (ovvero per i problemi che somatizziamo nel dca), anche senza essere estremamente magre, sarebbe una cosa d’importanza fondamentale da far capire a tutti, affinchè i dca possano essere compresi nella loro complessità e molteplicità di manifestazioni cliniche, che non sempre sono visibili in maniera lampante, ma che non per questo sottendono ad una sofferenza minore.
Dato il mio dca è stato prevalentemente la bulimia, ovviamente non mi posso riflettere nella tua esperienza materiale, Veggie. Però, anche se può sembrare strano, mi rifletto nei pensieri di fondo. Mi rifletto nel non essere mai stata particolarmente focalizzata sul peso e sui pasti, mi rifletto nell’aver adottato comportamenti alimentari disfunzionali solo per sedare altre ansie ed altre problematiche di fondo: in questo si, mi rispecchio completamente.
Ciascuna di noi vive la propria storia, la propria esperienza, i propri problemi, e forse abbiamo anche una “modalità alimentare” diversa per buttarli fuori, eppure io ci vedo comunque unite di fondo, dalla condivisione di una mentalità che è pressochè impossibile da spiegare a parole, ma che so che voi capite anche senza bisogno che io dica niente.
Un abbraccione a tutte!!!!!!!!!!!!!!!!!
Per Softy: Ciao Softy, vorrei rispondere alle seconda parte del tuo commento, che trovo molto interessante, riportandoti la mia esperienza. Io sono sempre stata normopeso, in tutte le varie fasi del mio dca, e lo sono anche in questo momento. Ritengo perciò che, come affermi tu, è solo la società che ha questa visione distorta per cui solo la magrezza estrema può essere indicativa della presenza di un dca. Questa visione distorta penso sia influenzata pesantemente dai messaggi che vengono mandati dai mass media e dalla televisione in particolare, ma si tratta di un luogo comune che dev’essere sfatato al più presto. Anch’io, in passato, ERRONEAMENTE la pensavo così. E’ un luogo comune di cui per anni ho cercato fortemente di auto-convincermi, perché mi ha permesso di auto-giustificarmi per anni nel mio non chiedere aiuto a nessuno, e nel mio permanere nelle bulimia. Mi dicevo che, visto che dall’esterno non si notava nulla di particolare, allora “andava tutto bene”. Insomma, se il mio peso era normale, non potevo essere poi così malata, no?????!!!!!! Andava tutto bene, lo potevo gestire, non ero mica sottopeso!!!!!!!!! Facendomi infruscare la testa da questi discorsi, ho giustificato la malattia per anni, e per altrettanti anni ben mi sono guardata dal chiedere aiuto. Ma sono stati anni terribili. E il fatto che fossi normopeso non diminuiva di una virgola la mia sofferenza interiore. Per anni mi sono dannata, cicli di abbuffata-vomito-abbuffata-vomito-eccetera fino anche a cinque, sei volte al giorno, niente vita sociale, appena riuscivo a portare avanti la scuola, la testa perennemente inchiodata sul dca, un mare di possibilità ed opportunità che mi sono bruciata e che non torneranno più. Ora sto meglio, per fortuna e grazie all’aiuto di psicologa, nutrizionista, e della mia volontà, ma se mi volto indietro non posso che provare irritazione di fronte al luogo comune che è solo la magrezza a fare il dca. A chi la pensa così, farei vivere anche uno solo dei miei giorni peggiori in piena bulimia, per fargli capire quanto profondamente si sbagli. Se anche ora come ora la mentalità della società è plagiata da quello che si sente dire in televisione, io conosco bene la mia verità: sono normopeso, ma non mi vergogno a dire che i dca non sono questione di peso, e lo dico a testa alta, perché ci credo e perché sono convinta che sia vero sulla base della mia personale esperienza. Le persone se la ridono? “Risus abundat in ore stultorum”.
Un abbraccione a te!!!!!!!!!!!!!!!
Questo post può essere molto utile per riflettere ognuno sulla propria storia personale...
Io ammetto che, all inizio della malattia, volevo essere magra e quindi ero costretta a restringere l alimentazione, ma perché volevo perdere peso e non avevo alcun peso come obiettivo... anche io non sono mai stata sovrappeso, ma normopeso con una qualità di vita molto buona: studio, sport, divertimento con gli amici, ottima salute. Poi arrivando ad un peso critico il mio corpo ha iniziato a mandare segnali di allarme.
Comunque anche io penso non si possa parlare di guarigione ma remissione, perché certi pensieri non se ne andranno mai, ma dobbiamo imparare a conviverci.
Un abbraccio Veggie
@(Mai più) Enigma: non credo che ci conosciamo! È la seconda volta che commento su questo blog ed è da poco che "esploro" questo mondo. ;) P.s. Sarà anche il commento meno serio il tuo, ma è spontaneo! E poi anche io non sono una pertica!
A Softy S:
Tu lanci una provocazione, io rispondo sullo stesso piano.
Che differenza c’è tra una persona si fa un taglio su un braccio ed esibisce davanti agli occhi altrui una grande fasciatura incerottata, e una persona che si fa lo stesso taglio su un braccio e lo nasconde sotto la manica della camicia? Quelle 2 persone provano forse un diverso dolore, data la medesima tipologia di ferita?
In altre parole: quanto cazzo conta il parere altrui, di fronte al modo in cui ti senti tu interiormente?
Se è dalla “legittimazione sociale” agli occhi altrui che prescinde la tua patologia, allora non stai male davvero.
Confrontate:
http://evaviolata.blogspot.it/2008/09/giudicare.html (primo commento)
http://anoressiabulimiaafterdark.blogspot.it/2009/12/il-plateau-infinito.html (terzutlimo commento)
http://minutrodivitalilla.blogspot.it/2011/10/non-ho-l.html(secondo commento)
Le buone intenzioni vanno bene anche senza invenzioni
@ Anais N – Premesso che, come scrivevo nel post, prima di interessare il livello alimentare, il mio controllo aveva compendiato (o forse sarebbe più corretto dire “inglobato”) molteplici ambiti della mia vita… ovviamente non ti so dire con assoluta certezza perché ho scelto miratamente il canale restrittivo. Ben pensandoci, credo che fosse perché un regime restrittivo è facilmente programmabile, e difatti la mia restrizione alimentare era nata proprio come una serie di programmi di controllo da mettere in atto in maniera sequenziale (vedi risposta che ho dato alla commentatrice Anonima, altrimenti rompo le palle perché mi ripeto millemila volte). Detto questo, anch’io sono dell’idea che, se non fosse stata l’anoressia, sarebbe stato qualcos’altro, perché la tendenza al controllo era quella, quindi penso fosse inevitabile che sarebbe andata prima o poi a toccare campi deleteri per la mia salute/qualità della vita. Sono pienamente d’accordo sul fatto che la vita non sia controllabile… non lo è per antonomasia, in effetti: ed è proprio per questo che, paradossalmente, io cercavo di controllare tutto. Perché volevo controllare anche l’incontrollabile. Perché pensavo che anche gli imprevisti, se nascevano durante un mio piano di controllo, potevano essere gestiti pensando a quale piano di controllo avrei potuto impostare la volta successiva per far sì che l’imprevisto non si ripetesse. Suona discretamente folle, ne sono consapevole, ma all’epoca ragionavo così… e così ho continuato per molti anni. Di certo questa è una mia tendenza caratteriale… ma ora come ora ci lavoro sopra, per tentare di tenerla a bada…
P.S.= Paradossalmente, io non sono mai stata una perfezionista, tutt’altro… Pretendevo il meglio possibile da me stessa, ma sulla base dei miei riconosciuti limiti, non sulla linea di una teorica perfezione…
@ ButterflyAnna – Grazie a te per il tuo commento, altroché!... Certo, ognuna di noi vive la propria esperienza, è ovvio… Infatti questo post non è qui per dire che io ho ragione e tu hai torto, o viceversa, ma semplicemente per illustrare il mio punto di vista sulla cosa… che è differente dal tuo, ma va benissimo così, perché siamo 2 persone diverse, e dunque ognuna è depositaria della propria personale verità… Capisco quello che dici, ti sei spiegata benissimo, semplicemente in quello che scrivi io non mi ci ritrovo, perché non l’ho vissuta affatto in quel modo che tu descrivi. Ma, ripeto, si tratta semplicemente di essere persone differenti e vivere alcuni aspetti della medesima malattia in maniera diversa, tutto qui…
Sì, è vero, mi puoi sicuramente aver vista su MTV, perché qualche anno fa sono stati girati 5 video sulla tematica dell’anoressia, prendendo spunto dalle esperienze di vita di 5 persone diverse, tra cui io… Tra l’altro, per la cronaca, il video in questione lo trovi anche linkato sulla colonnina di destra di questo blog… E sono io che ringrazio te per quello che hai scritto, perché mi fa estremamente piacere leggere che il mio video ha avuto questo impatto su di te. GRAZIE…
@ Christiane – Ti quoto in pieno quando scrivi che se il DCA non ti avesse prodotto alcuna manifestazione fisica tangibile per te sarebbe stato un sollievo: l’ho pensato spesso anch’io… perché, se così fosse stato, sarei potuta andare avanti a percepire quelle sensazioni positive che mi dava il controllo, senza incorrere in danni fisici. Poi, certo, tu lo connoti con le sfumature che sono caratteristiche della tua personale esperienza, nella quale per forza di cose io non mi posso rispecchiare… però credo che sia simile la sensazione di fondo, ecco, l’importanza del controllo a prescindere dal peso corporeo o dal cibo in sé. Mi piace moltissimo la metafora del dipinto che hai fatto, la sposo completamente… perché, al di là delle parole che si possono utilizzare per definire un malessere od il progressivo allontanamento da esso, quello che fa veramente la differenza è il riuscire a ricominciare progressivamente a vivere. A vivere a pieno, senza essere più inficiate dell’anoressia, o quantomeno esserne inficiate il meno possibile.
P.S.= Quoto la risposta che hai scritto a Softy S…
@ Anonima (14 Novembre 2014, ore 15.53) – Ciao, hai fatto benissimo a lasciare il tuo commento!... Hai ragione, su certe cose non mi sono spiegata bene nel post… cerco di rimediare adesso, dunque. Prima di incorrere nell’anoressia, applicavo già altri “meccanismi di controllo” in numerosi ambiti della mia vita: programmavo strettamente le mie giornate, gli orari, le cose da fare, la scuola, lo sport... insomma, a poco a poco il controllo ha preso sempre più campo nella mia vita, spaziando praticamente in ogni ambito, e solo alla fine è stato intaccato anche il piano alimentare. La mia restrizione alimentare è sempre stata impostata come un piano di controllo: il punto focale infatti era decidere come programmare i miei pasti, e lo facevo secondo gradoni di lievissima riduzione di quello che mangiavo, da mantenere per un certo lasso di tempo, prima di passare al gradone successivo… difatti, tutto il peso che ho perso l’ho perso molto lentamente, nell’arco di quasi 2 anni, proprio perché la mia restrizione alimentare è stata estremamente lenta e graduale… Questo proprio perché non era una restrizione alimentare finalizzata a dimagrire, ma semplicemente ad organizzare, programmare e quindi controllare stages di piccolissime restrizioni progressive. Quello che m’interessava era proprio la programmazione, che era ciò che mi faceva percepire il (illusorio) controllo… poi, ovviamente, mangiando sempre un pochino di meno sono inevitabilmente dimagrita, ma a me del dimagrimento in sé non me ne sarebbe potuto interessare di meno, poiché ero tutta focalizzata nell’organizzazione dello schema di controllo alimentare. Se il mio peso per assurdo fosse rimasto costante, ma io avessi continuato con lo schema organizzativo del controllo alimentare, a me sarebbe andato benissimo. Poi, certo, col senno di poi ti dico che è ovvio che alla fine non controllavo più niente, ma che era l’anoressia che controllava me, assolutamente, anche se io lì per lì non avevo questa percezione… proprio perché il DCA mi aveva preso la mano.
Spero di essermi spiegata meglio adesso!... In ogni caso, rimango naturalmente a disposizione per qualsiasi altra tua domanda e/o precisazione!...
@ PrettyLittleGirl – Ti ringrazio per aver voluto condividere qui la tua preziosa esperienza… perché credo che sia anche un modo per far capire a chi ci legge da “esterno” alla malattia, quanto i disturbi alimentari possano essere sfaccettati, plurimi, e vissuti anche in maniera completamente diversa da persona a persona. Leggendo la tua esperienza, si capisce bene in che modo e quale strategia di coping rappresentasse per te il tuo DCA… e credo che, se pure applicato in modo diversi, il DCA alla fine sia esattamente questo: una strategia di coping. Quali che siano i parametri che si decide di monitorare, quale che sia la modalità con cui si decide di affrontare il DCA, alla fine della fiera diventa sempre una coperta di Linus sotto alla quale celare problematiche di portata ben maggiore, offuscandole con materialità di facile gestione…
@ Fede – Fede, hai scritto 3 grandi verità. Innanzitutto, quella relativa alla comprensione reciproca: è ovvio che non possiamo rispecchiarci in toto le une nelle altre, anche solo per il semplice fatto che siamo persone diverse ed abbiamo storie, background, caratteri differenti… però io credo che le difficoltà sottese ai DCA siano del tutto condivisibili, per questo si genera una profonda comprensione a livello mentale, anche quando c’è magari poco in comune al livello materiale. Io non metto infatti assolutamente in dubbio che tu, pur non avendo vissuto la mia stessa esperienza, sia in grado di capirmi molto più a fondo di quanto potrà mai fare ogni qualsiasi medico, che ha comunque un’esperienza indiretta di malattia, derivante unicamente dai suoi studi. E senza dubbio la cosa è non solo reciproca, ma estendibile a tutte noi. Altra profonda verità che hai scritto: quella relativa al fatto che aiutando le altre si riesce ad aiutare noi stesse. Io sono dell’idea che un percorso psicoterapeutico e una riabilitazione nutrizionale siano strumenti fondamentali per combattere contro un DCA… ma, di fianco a questo, sono altrettanto convinta che l’auto-aiuto che ci possiamo dare tra di noi sia comunque molto importante. Perché è proprio attraverso le parole delle altre, filtrate da un’ottica diversa dalla propria e quindi trasversale, ma comune nella logica (e nella sofferenza) di fondo, che si possono aprire porte che da sole non eravamo riuscita a dischiudere, e vedere realtà che da sole non prendevamo in considerazione. Infine, hai assolutamente ragione anche quando scrivi che il mondo interiore di ogni persona è immenso… così immenso che nessun numero riuscirà mai a racchiuderlo.
P.S.= “Guarigione”, “Remissione”… sono in fondo parole. Quello che conta è combattere contro l’anoressia, e cercare di stare meglio. A prescindere da come vogliamo chiamarlo. Un abbraccio…
@ (Mai più)Enigma – Nessuno vuol toglierti il primato per la profondità del tuo commento, tranquilla… così profondo che compensa la tua scarsità in altezza!... Oh, sto scherzando, eh!... Anche perché tra ma e te ci sono ben pochi centimetri di differenza…! ^__^ Grazie per essere passata, ti abbraccio fortissimo…
@ Softy S – Softy, innanzitutto sappi che eventualmente puoi provocarmi nonché criticarmi quanto ti pare e piace: non ho certo la pretesa di essere detentrice di verità assolute ed incontrovertibili, altri ci mancherebbe!, esprimo semplicemente la mia opinione, e se sei in disaccordo fai bene a dirmelo, la critica costruttiva è sempre benaccetta, perché può nascerne un dibattito altrettanto costruttivo ed interessante, nel momento in cui entrambe le parti sono pronte a confrontarsi con le ragioni dell’altra in maniera corretta e rispettosa… come, del resto, molto corretto e rispettoso mi sembra il tuo commento.
Rispondendo alla prima parte… posso dirti che perfezionista io non lo sono mai stata, però maniaca del controllo sì, eccome… Indubbiamente, nei comportamenti strettamente alimentari, io e te abbiamo fatto delle cose molto differenti… ma, come tu lasci chiaramente intravedere nell’ultima riga della prima parte del tuo commento, in ogni caso il cibo è un “pretesto” per far fronte a ben altri tipi di problematiche che hai… e lo stesso è valso per me. In questo siamo simili… e credo che lo siamo un po’ tutte quante, poiché sono dell’idea che il disturbo alimentare sia sempre una strategia di coping atta a far fronte a ben altri tipi di problematiche, di certo variabili da persona a persona.
In quanto alla seconda parte del tuo commenti, ti dico come la penso… Io sono una sportiva, nel senso stretto del termine: ho fatto sport fin da bambina, e tuttora sono peraltro arbitro ed istruttrice di karate. La mentalità dell’importanza del partecipare piuttosto che del vincere, credo pertanto sia profondamente radicata in me. E’ senz’altro una cosa che ho detto, che dico, che dirò… e ti posso assicurare che non è un pietismo, ma una cosa in cui credo profondamente. Poi, certo, può darsi che ci siano anche persone che lo dicono superficialmente, per mera consolazione… dentro la testa altrui non ci sono, non so cosa muove gli altri… posso però dirti con assoluta certezza cosa muove me stessa. E lo stesso vale per il DCA, per lo meno per quanto mi concerne. Io sono assolutamente convinta che l’anoressia (come ogni qualsiasi altro DCA, del resto) sia a prescindere dal peso. E non credo che una persona di 80 Kg possa essere meno malata di una persona di 40 Kg: se la forma mentis è analoga, parimenti la sofferenza è analoga. Ho sostenuto questo pensiero quando ero fortemente sottopeso, lo sostengo altrettanto adesso che sono tornata al mio Set-Point e non ho dunque più niente di fisicamente strettamente patologico correlabile all’anoressia. Parimenti penso che il peso non debba essere in alcun modo considerato parametro per chiedere o meno aiuto, come ho scritto anche in questo post:
http://anoressiabulimiaafterdark.blogspot.it/2011/03/chiedere-aiuto.html
Il meme “non sono abbastanza malata per chiedere aiuto” circola, è vero, ed è pronunciato da ragazze sovrappeso o normopeso… ma il fatto che circoli e che venga ripetuto, non lo rende corretto in alcun modo. Se anche millemila persone ripetessero una cosa sbagliata, quella non diventerebbe comunque giusta.
Che poi la gente in generale possa fare l’equazione mentale “magrezza eccessiva = anoressia” perché così gli è stato inculcato dai Mass Media, è altra storia… che denota peraltro una spaventosa ristrettezza di vedute.
(continua...)
(...continua)
Tu parli di legittimazione personale e sociale… dunque ti giro una domanda (volutamente provocatoria, eh! Faccio l’avvocato del diavolo, riallacciandomi ad un commento che Jonny ha lasciato prima di me, ma che è la stessa identica cosa che ho pensato anch’io, ancor prima di leggere il suo commento…): ma tu stai veramente male, o no?
Perché se una persona cerca negli occhi altrui conferma al suo dolore, mi viene da pensare che non sia poi così sofferente. Io penso che quando una persona sta male, sta male e basta… non si preoccupa di cosa gli altri potranno pensare di lei, come potranno accogliere quello che dice, cosa potranno pensarne… perché la sofferenza personale viene prima di tutto. Se uno sta male, sta male a prescindere, non ha bisogno della legittimazione altrui… Per cui, se una persona si preoccupa di quello che ne pensano gli altri, se ha bisogno che il proprio dolore venga riconosciuto dagli altri per esistere… mi fa pensare che non stia poi così male. E io credo che lo star male sia un assoluto personale, a prescindere da tutto e tutti.
(Ripeto: la mia vuole essere una mera provocazione… ed è una provocazione generale, assolutamente niente di personale, eh!... Questo sia chiaro!...)
@ Ilaria – Sì, Ilaria, hai ragione, e più vai avanti nel tuo percorso di ricovero, più te ne renderai conto: non esiste “l’anoressia” nel senso canonico del termine… esistono piuttosto “le anoressie”, una per ogni persona che ne è affetta, poiché ogni persona è una storia a sé, e dunque ciascuna di noi arriva al DCA percorrendo una sua propria strada, avendo i suoi propri problemi, e possedendo un carattere ed un background profondamente diverso… è dunque impossibile che esistano forti analogie tra persone diverse… Detto questo, ti ringrazio per aver condiviso qui la tua esperienza… Non sei stata affatto noiosa, anzi, ho letto con estremo interesse tutto quello che hai raccontato… Io non ho mai provato la depressione, quindi so bene che non posso neanche immaginare lontanamente cosa possa voler dire doversi relazionare con questa malattia… posso solo immaginare quanto sia difficile, ma naturalmente qui mi fermo. E, per quel poco che ho studiato al riguardo, so che non è infrequente trovare delle comorbidità che affiancano i DCA… Pur avendo dunque un’esperienza personale di vita molto differente dalla tua, capisco quando dici che l’alimentazione era molto più facile da controllare rispetto ai pensieri che avevi in testa… perché è lucida affermazione della tua consapevolezza che non è il cibo ad essere il vero problema, bensì tutto ciò che ti agitava la mente, tale per cui hai avuto bisogno di ricorrere alla strategia di coping rappresentata dal DCA… e io credo che questa consapevolezza sia un punto fermo molto importante nella tua personale battaglia.
P.S.= Onestamente, come le cose potranno andare in futuro per il DCA, non posso pronunciarmi… penso che si possa solo aspettare e vedere. E nel frattempo combattere quotidianamente, epr non dimenticarci di tenere a bada quello che ci ha fatte stare male…
@ Vele/Ivy – Sì, credo che quello sia stato molto importante per ButterflyAnna… e, in generale, è una grande verità…
@ Wolfie – Grazie per aver condiviso la tua esperienza, che epraltro getta un insight anche dalla parte della bulimia… e fa ben vedere come i DCA si possano compendiare a vicenda, se non altro nella forma mentis… Quoto in toto ciò che hai scritto a proposito dell’estrema marginalità del peso nel definire la presenza o meno di un DCA… essendo questi malattie mentali per medica definizione, mi fa sorridere l’idea che possano essere connotare in maniera puntuale da parametri fisici… E, sì, forse è proprio più una mentalità di fondo che ci accomuna, ben più del sintomo in sé…
@ Pulce – Sì, spero anch’io che questo post possa rappresentare a suo modo anche uno stimolo per la riflessione personale… Sai, io credo che anche quello che tu definisci il tuo voler perdere peso all’inizio della malattia fosse in realtà un sintomo messo in atto per nascondere altre e più profonde problematiche che avevi… In quanto alla guarigione/remissione, sono d’accordo con te: e credo inoltre che sia possibile convivere con determinati pensieri anche in maniera abbastanza ottimale, consapevoli che stanno lì in un angolo della mente, pronti ad attaccare quando abbassiamo la guardia, ma che possiamo essere perfettamente capaci di tenerli a bada…
@ Jonny – Come ho anch’io scritto alla stessa Softy S, è la mia medesima perplessità…
@ Anonimo (20 Novembre 2014, ore 13.01) - Chiedo venia, non ho ben capito il senso del tuo commento... Cioè, hai citato 3 miei vecchi commenti, 2 dei quali in cui parlo di alcune delle esperienze di ricovero/terapia che ho vissuto in passato (2 commenti sostanzialmente analoghi, tra l'altro...), e uno in cui parlo, rispondendo a Giulina, SRIJPB e a Piccola Ty, delle conseguenze in termini di danni fisici dell'anoressia... e dunque? Non vedo alcuna contraddizione tra quello che ho scritto in quei commenti, e ciò che ho scritto in questo post (anzi, a me sembra che sto a ribadire esattamente le stesse cose…), nè tantomeno alcuna invenzione. Ergo, credo proprio di non aver afferrato. Se ti va di spiegarmi più approfonditamente cosa intendi, dunque, son qua che ti ascolto.
Temo di essere stata abbondantemente fraintesa, ma non importa. Peace and love.
@ Softy S - Se ti va di spiegarmi in cosa ti ho frainteso, a me fa piacere. Sono qui pronta ad ascoltare e a rispondere, come sempre. Un abbraccio...
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