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venerdì 13 febbraio 2015
Tenete duro e mirate bene
Come potete vedere dai commenti del post precedente, ieri mi è stato lasciato un commento in anonimo da una ragazza che si definisce Pro Ana. Mi riferisco a questo commento:
“Qsto post è veramente noioso, così come trovo molto noioso tutto in generale di qsto blog. Tu dici ke combatti l’anoressia e pensi ke fai la cosa giusta, ma allora come te lo spieghi ke non ti legge quasi nessuno? I tuoi post hanno circa 15 commenti l’uno (a volte comprese le tue risp) e ci sono anke persone ke nn approvano, io invece ho un blog pro ana e ti assicuro ke di solito ci sono almeno una quarantina di commenti a post come minimo, e ti assicuro ke le altre sono daccordo con me, anke se tu disprezzi qllo ke facciamo. Tu dici ke le cose come il D.A. o i consigli per nn mangiare o quelli x vomitare sono kavolate, ma guarda caso il post con i consigli x vomitare è qllo + gettonato sul mio blog, quindi forse nn è tutta qsta kavolata come dici. Quindi, se tu pensi ke hai ragione e ke noi pro ana abbiamo torto, come spieghi ke io ho + consensi di te? Come spieghi ke ci sono molto più blog pro ana ke nn blog come il tuo? Come spieghi ke il mio blog viene letto e commentato molto + del tuo? …Forse xkè nn hai tutta la ragione ke credi.”
Ora, non so come la pensiate voi, ma a me pare abbastanza evidente che si tratti di una palese provocazione. E di fronte alle provocazioni, in genere, si aprono 2 scuole di pensiero: da una parte c’è chi suggerisce di ignorarle di sana pianta affinché la persona provocatrice si cuocia da sola nel suo brodo, dall’altra c’è chi dice di rispondere al fuoco col fuoco per non lasciare la provocazione impunita e tenere testa a quella persona facendole abbassare la cresta. Non nego che ambedue le possibilità abbiano un senso logico, e non nego che, quando ho finito di leggere quel commento, avevo già deciso quale delle 2 strade imboccare. Tuttavia, mentre stavo per partire per la mia tangente, mi è tornata in mente una cosa: mi è tornato in mente quando, durante il mio primo periodo di tirocinio in Pronto Soccorso, quando il Dr. Tommaso B. era ancora il mio tutor, c’era un’infermiera che era veramente intollerabile. Innumerevoli volte sono stata sul punto di produrmi in sclerate magistrali di fronte a suddetta infermiera, ed altrettante volte Tommaso mi ha fermata semplicemente dicendomi: “Vincila in gentilezza”. Ecco, queste sue parole mi sono tornate in mente anche ieri, quando ho letto il commento in questione. Mi tornano in mente anche adesso, ed io mi fido al 100% di Tommaso. Per cui, ecco quello che voglio fare: vincere in gentilezza. Non voglio ignorare la provocazione come niente fosse, perché dedico risposte a chiunque commenti sul mio blog, favorevolmente o meno. Ma non voglio neanche ribattere alla provocazione con altra provocazione, perché mi sembra un comportamento infantile e fine a se stesso, che mi pone allo stesso – infimo – livello di chi ha lasciato un commento del genere. Però, voglio vincere in gentilezza: ecco perché voglio dare a questo commento marcatamente provocatorio una risposta seria.
(Don’t worry, ragazze, l’ironia non mancherà comunque…)
E dunque, mia cara anonima Pro Ana, eccomi qua a rispondere al tuo commento.
Mi chiedi perché il tuo blog attira più lettrici rispetto al mio, e perché ottieni molti più consensi di me. Per poter rispondere, a te e alle mie scarsissime lettrici, a questa domanda, ho bisogno di un esempio. Vi ricordate il Caso Stamina? Davide Vannoni propagandava un metodo di cura per la malattie neurodegenerative, che diceva essere basato sulla conversione delle cellule staminali mesenchimali in neuroni. Il caso è arrivato (dopo tanto, troppo tempo) ad un processo, che ha concluso che questo psicologo della comunicazione, che tanto si vantava del suo metodo miracoloso che avrebbe salvato vite umane – ma che si rifiutava di pubblicare, nota bene – era in realtà un mero truffatore. Prima di arrivare a questa sentenza, tuttavia, c’è stato un lungo periodo di incertezza, con cui i mass media sono andati a nozze, e che ha visto l’opinione pubblica spaccarsi in due: soprattutto il Web era pieno di sostenitori del Metodo Stamina, mentre la contraria opinione scientifica (su una problematica medica, eh, non sulla letteratura del Rinascimento!) faceva fatica ad affermarsi, stile “siamo riprecipitati nel Medioevo”.
Ecco, questo esempio ricalca perfettamente quella che è la contrapposizione tra il mio blog e i blog Pro Ana: mia cara commentatrice Pro Ana, il morivo per cui il tuo blog riceve più visualizzazioni e più consensi del mio, è meramente perché il tuo blog è ricco di pathos, di scritti sensazionalistici, di thispo allucinanti, di fantasiosi resoconti sulla tua alimentazione e sul tuo peso, mentre il mio si limita ad essere una raccolta di consigli di auto-aiuto per combattere contro l’anoressia, e un piccolo compendio di studi scientifici esposti in maniera semplificata su vari aspetti dei DCA. Detto in maniera più terra-terra: il tuo blog è pieno di BALLE ROBOANTI, mentre sul mio blog viene scritta la ben più MODESTA VERITA’.
[A seguire, lungo pippone sul perché su Internet le balle proliferano a sfare, e sul perché la verità non ce la può fare: vi ho avvertite, siete ancora in tempo a cliccare la “X” rossa in alto a destra.]
Di fronte ad un commento come quello succitato, mi sono posta qualche interrogativo: perché nel Web è così difficile parlare dei DCA in modo serio, e le bufale scritte dalle Pro Ana sembrano avere un inspiegabile successo? La gente ha svenduto neuroni ultimamente, o si faceva prendere per i fondelli così facilmente anche prima? Come mai la gente si lascia abbindolare da un metodo fumoso e approssimativo come quello Stamina, o da una lista di consigli “per diventare anoressica”? Perché leggono cose del tutto aleatorie e discutibilissime, su un blog a caso scritto da una sconosciuta, e ci credono al volo? Cos’è, un incantesimo?
Okay, andiamo con ordine. E dunque, consideriamo in primis la problematica del contesto.
Il contesto medico/scientifico consta di una sorta di competizione tra colleghi ricercatori, che fanno a gara a che fa per primo la migliore scoperta. In questo tipo di sfida non devi apparire intelligente, ma devi esserlo veramente, mettendo in campo argomentazioni che resistano alla prova dei fatti, poiché questi verranno incontrovertibilmente messi alla prova da tutti i tuoi colleghi. Se propagandi in maniera sensazionalistica e fumosa argomentazioni che possono essere smontate con dati di fatto, sarai destinato alla sconfitta, e potrai dire ciao-ciao alla tua carriera. Detto meccanismo serve tuttavia per far confrontare tra di loro i ricercatori, e determina una selezione naturale in cui le teorie più fallaci soccombono, mentre le teorie dimostrabili vincono.
Spostiamoci adesso in altro contesto: il bar. Al bar non occorre dimostrare niente di serio: le ipotesi strillate di fronte a cappuccino e cornetto alla marmellata non sono destinate a riviste specialistiche, e non aiutano a far carriera. La competizione rappresenta dunque solo uno sfogo, un modo per gasarsi di fronte ai presenti. In una sfida da bar vince chi riesce meglio ad apparire intelligente, chi simula meglio conoscenze che non ha. Tragico? No, ci mancherebbe. Che importanza ha se al bar una cricca di italiani medi sputano sentenze su tematiche di cui non hanno competenze? Il nostro è un Paese libero, per cui chiunque è liberissimo di dire ogni qualsiasi cagata gli passi per la testa, perché rimane a livello di chiacchiera.
In passato, i ricercatori scientifici e i frequentatori di bar rappresentavano 2 mondi a sé stanti: la caciara dei bar non si mescolava in alcun modo con un serio confronto tra varie ipotesi scientifiche destinate alla pubblicazione e alla divulgazione. Da nessun bar è mai uscita alcuna pubblicazione scritta in stampatello, con le “K” al posto del “CH” e gli errori ortografici. Poi però è arrivato Internet, che ha cambiato le carte in tavola. Il Web permette un’ampissima condivisione delle informazioni, chiunque può leggere qualsiasi cosa, chiunque può scrivere, condividere, commentare ed esprimere giudizi. Giudizi – e qui sta il problema – scritti.
Le balle, le balle scritte sui blog Pro Ana nella fattispecie, e i commenti a sostegno delle balle, sul Web sono scritti, non più orali come le ciance da bar. Di conseguenza, subiscono il fascino delle cose scritte: anche se sono emerite cazzabubbole, come una serie di consigli per vomitare o per non mangiare, hanno l’apparenza di cose serie, hanno tutto il carisma del Verbo (sì, pur essendo atea lo intendo stavolta in senso biblico: la Parola scritta). Su Internet ogni qualsiasi opinione, poiché scritta, ha la pretesa di essere seria come nel contesto scientifico, anche se la modalità espressiva è quella del bar: niente carriere da perseguire, per cui basta apparire intelligenti, tanto chi mai redigerà un saggio con le tue sclerate su blogger? Quando si va nel mondo virtuale, quello che conta è vincere, riuscire ad avere l’ultima parola, e a volte anche le parolacce e le offese (spesso e volentieri coperte dall’anonimato) sono d’aiuto: se ti trovi in difficoltà e ti metti ad infamare l’altra persona, magari quella si allontana disgustata, e tu vinci. D’altronde, non stiamo mica a Stanford: questa è l’arena di Internet.
Inoltre, chiunque tenga un blog Pro Ana si sente investita dall’incarico di scrivere post – e un post è come un articolo, sembra sempre ufficiale e serio – utilizzando una miriade di enfasi (MI TENGO SOTTO LE 700 KCAL AL GIORNO! SONO RIUSCITA A VOMITARE! MIA MAMMA MI CONTROLLAVA MA IO L’HO FREGATA! HO PERSO ALTRI 2 KG!) e focalizzandosi tantissimo sull’emozione. Tutto ciò dovrebbe già iniziare a far suonare un campanello d’allarme: una balla che punta sull’emotività riduce le difese del raziocinio, produce trasporto emotivo, fa perdere il lume della ragione. Un medico, un ricercatore, uno scienziato, quando lavorano, non devono emozionarsi: se cedono all’emozione, e pensano di avere tra le mani la verità senza averla testata più e più volte, potrebbero perdere nella competizione tra intelligenti e rigorosi, con tanti cari saluti alla carriera. Se io scrivo un post su come l’anoressia può svilupparsi in donne non vedenti, o sulla multifattorialità causale dell’anoressia, occorre che lo faccia citando fonti ben precise e rintracciabili, altrimenti il mio blog perde di credibilità, e tutto quello che scrivo può essere opinabile. Quando si scende nel campo dell’opinabilità, diventa giusto tutto e il contrario di tutto, per cui in tale campo chiunque venga a dirmi che l’anoressia è la malattia delle ragazzine sceme che vogliono fare le modelle potrebbe pure avere ragione. Ecco perché ho scelto di impostare il mio blog diversamente, aiutandomi con fonti scientifiche nella redazione dei miei post, anche se questo può risultare pesante o noioso.
L’utente-media che razzola su un blog Pro Ana, altresì, utilizza infondate informazioni come fossero oro colato: ecco che viene coinvolta in una sorta di caccia al tesoro, in cui ci si aggrappa a quella che viene vista come la verità più gustosa, e in cui si cerca di dimostrare con ogni mezzo (diari alimentari, consigli per vomitare, lettere di Ana e di Mia, 10 comandamenti Pro Ana, etc…) che quella verità è migliore delle altre. È chiaro che in un blog del genere la verità non può vincere facile, perché non è sensazionalistica né performante, nel momento in cui ci si trova immersa in un contesto di balle emozionanti e gasanti.
Un articolo dettagliato sui ricercatori che hanno preso un premio Nobel per aver studiato i neuroni che si occupano dell’orientamento è spesso difficile e noioso, e se viene pubblicato su blogger non riceverà molti commenti, così come non riceverà molti “Mi piace” se pubblicato su FaceBook. Tuttavia, un articolo su 5 persone morte dopo essersi fatte il vaccino anti-influenzale, manderà tutti in fibrillazione, verrà letto millemila volte, e condiviso nonché commentato altrettante.
Inoltre, i blog Pro Ana lanciano i loro post con titoli roboanti e fotografie allucinanti: ecco che la cosa funziona ancora meglio, perché c’è ancor più emozione immediata, si riesce meglio ad attirare l’attenzione, si catturano più lettrici fogate e possedute dal demonio digitale che commentano in maniera acefala e impulsiva, condividono, e danno così un’apparente autorevolezza ad ogni post.
In questo modo, tutto si mescola: quando, in passato, Internet non era granché diffuso, e la divulgazione andava per la maggiore tra le aule dell’Università e i laboratori di ricerca, per le balle era difficile affermarsi: arrivavano alla frontiera e venivano fermate e perquisite. Forse il sapere era nelle mani di un numero più ridotto di persone, ma senz’altro era tutto molto più verificato. Attualmente, invece, su Internet si trova di tutto, qualsiasi cosa si voglia sapere è a portata di click, tuttavia così facendo si innesca una tipologia di competizione che porta al prevalere dei contenuti più emotivamente coinvolgenti, non di quelli effettivamente seri e verificati.
L’autorevolezza (nota bene: autorevolezza – NON autorità! – che si guadagna sul campo, e NON viene imposta) che consegue al titolo di studio conseguito, e alla propria competenza professionale, su Internet conta poco e nulla, in quanto i criteri per vincere la competizione su Internet sono differenti.
Un blog Pro Ana non è altro che libera divulgazione di materiale non verificato, e per di più in mano a persone non competenti, destinato a un pubblico di persone altrettanto non competenti, che alla fin fine vogliono solo essere intrattenute per cercare di dimenticare i veri problemi che hanno nella vita quotidiana ma che non riescono altresì ad affrontare: questo mix determina un successo quasi sicuro per ogni qualsiasi balla roboante. Matematico.
Del resto, il successo delle balle non è proprio solo dei blog Pro Ana, ma è comune al Web più in generale, e non è eliminabile, altrimenti ci sarebbe un controllo ed una censura dei contenuti. Certo, si potrebbe comunque scegliere di selezionare i contenuti, oscurando i siti Pro Ana ed altri che propinano altrettante balle, ma in fin dei conti chiunque si dichiarerebbe contrario ad una selezione così stretta: il Web è una sorta di Isola Che Non C’è, e piace perché libero ed anarchico. Se vogliamo una totale libertà d’espressione, dobbiamo anche essere consapevoli che in essa sono comprese la disinformazione e gli strafalcioni.
Per inciso, ho letto circa un mesetto fa un articolo in cui c’era scritto che FaceBook aveva intenzione di inserire un “tasto anti-bufale”. Io non sono registrata a FaceBook, quindi non so se questa cosa sia stata resa operativa o meno ma, in ogni caso, ho i miei seri dubbi sul fatto che una trovata del genere possa funzionare. Immaginate un post scritto da una ragazza che si definisce Pro Ana che riceve delle segnalazioni come bufala: all’autrice basterà sostenere che chi l’ha segnalato non capisce il suo “stile di vita”, è invidiosa della sua magrezza ed è in combutta con quella fazione di blogger rompicoglioni che dicono di essere Pro Recovery, farà la parte della vittima, susciterà un sacco di clamore, e via dicendo. Discussioni no limits, visite per il suo blog a palla, e così le balle non avranno problemi a passare la frontiera.
In conclusione, mia cara anonima Pro Ana: è vero, il tuo blog viene più letto e commentato del mio perché delle balle scritte con pathos fanno più figura della verità semplice. Ma il numero di lettrici – ergo di commenti – niente dice in merito alla qualità, e men che meno alla veridicità e alla ragione, di ciò che viene scritto: il fatto che anche millemila persone possano credere ad un mucchio di balle, questo non le trasforma in alcun modo in verità. E se anche millemila persone affermano una cosa stupida, quella cosa non smette comunque di essere stupida.
Nella lotta per il numero di visualizzazioni del proprio blog su Internet, le balle hanno terra fertile ed artiglieria pesante. Per i partigiani della verità e della serietà scientifica, invece, c’è solo una malconcia trincea e una decina di carabine arrugginite. Rinforzi? Neanche l’ombra… Perciò, ragazze: tutte voi che leggete/commentate il mio blog, e sapete ancora distinguere il divario che corre tra questo e un blog Pro Ana… tenete duro, e mirate bene.
“Qsto post è veramente noioso, così come trovo molto noioso tutto in generale di qsto blog. Tu dici ke combatti l’anoressia e pensi ke fai la cosa giusta, ma allora come te lo spieghi ke non ti legge quasi nessuno? I tuoi post hanno circa 15 commenti l’uno (a volte comprese le tue risp) e ci sono anke persone ke nn approvano, io invece ho un blog pro ana e ti assicuro ke di solito ci sono almeno una quarantina di commenti a post come minimo, e ti assicuro ke le altre sono daccordo con me, anke se tu disprezzi qllo ke facciamo. Tu dici ke le cose come il D.A. o i consigli per nn mangiare o quelli x vomitare sono kavolate, ma guarda caso il post con i consigli x vomitare è qllo + gettonato sul mio blog, quindi forse nn è tutta qsta kavolata come dici. Quindi, se tu pensi ke hai ragione e ke noi pro ana abbiamo torto, come spieghi ke io ho + consensi di te? Come spieghi ke ci sono molto più blog pro ana ke nn blog come il tuo? Come spieghi ke il mio blog viene letto e commentato molto + del tuo? …Forse xkè nn hai tutta la ragione ke credi.”
Ora, non so come la pensiate voi, ma a me pare abbastanza evidente che si tratti di una palese provocazione. E di fronte alle provocazioni, in genere, si aprono 2 scuole di pensiero: da una parte c’è chi suggerisce di ignorarle di sana pianta affinché la persona provocatrice si cuocia da sola nel suo brodo, dall’altra c’è chi dice di rispondere al fuoco col fuoco per non lasciare la provocazione impunita e tenere testa a quella persona facendole abbassare la cresta. Non nego che ambedue le possibilità abbiano un senso logico, e non nego che, quando ho finito di leggere quel commento, avevo già deciso quale delle 2 strade imboccare. Tuttavia, mentre stavo per partire per la mia tangente, mi è tornata in mente una cosa: mi è tornato in mente quando, durante il mio primo periodo di tirocinio in Pronto Soccorso, quando il Dr. Tommaso B. era ancora il mio tutor, c’era un’infermiera che era veramente intollerabile. Innumerevoli volte sono stata sul punto di produrmi in sclerate magistrali di fronte a suddetta infermiera, ed altrettante volte Tommaso mi ha fermata semplicemente dicendomi: “Vincila in gentilezza”. Ecco, queste sue parole mi sono tornate in mente anche ieri, quando ho letto il commento in questione. Mi tornano in mente anche adesso, ed io mi fido al 100% di Tommaso. Per cui, ecco quello che voglio fare: vincere in gentilezza. Non voglio ignorare la provocazione come niente fosse, perché dedico risposte a chiunque commenti sul mio blog, favorevolmente o meno. Ma non voglio neanche ribattere alla provocazione con altra provocazione, perché mi sembra un comportamento infantile e fine a se stesso, che mi pone allo stesso – infimo – livello di chi ha lasciato un commento del genere. Però, voglio vincere in gentilezza: ecco perché voglio dare a questo commento marcatamente provocatorio una risposta seria.
(Don’t worry, ragazze, l’ironia non mancherà comunque…)
E dunque, mia cara anonima Pro Ana, eccomi qua a rispondere al tuo commento.
Mi chiedi perché il tuo blog attira più lettrici rispetto al mio, e perché ottieni molti più consensi di me. Per poter rispondere, a te e alle mie scarsissime lettrici, a questa domanda, ho bisogno di un esempio. Vi ricordate il Caso Stamina? Davide Vannoni propagandava un metodo di cura per la malattie neurodegenerative, che diceva essere basato sulla conversione delle cellule staminali mesenchimali in neuroni. Il caso è arrivato (dopo tanto, troppo tempo) ad un processo, che ha concluso che questo psicologo della comunicazione, che tanto si vantava del suo metodo miracoloso che avrebbe salvato vite umane – ma che si rifiutava di pubblicare, nota bene – era in realtà un mero truffatore. Prima di arrivare a questa sentenza, tuttavia, c’è stato un lungo periodo di incertezza, con cui i mass media sono andati a nozze, e che ha visto l’opinione pubblica spaccarsi in due: soprattutto il Web era pieno di sostenitori del Metodo Stamina, mentre la contraria opinione scientifica (su una problematica medica, eh, non sulla letteratura del Rinascimento!) faceva fatica ad affermarsi, stile “siamo riprecipitati nel Medioevo”.
Ecco, questo esempio ricalca perfettamente quella che è la contrapposizione tra il mio blog e i blog Pro Ana: mia cara commentatrice Pro Ana, il morivo per cui il tuo blog riceve più visualizzazioni e più consensi del mio, è meramente perché il tuo blog è ricco di pathos, di scritti sensazionalistici, di thispo allucinanti, di fantasiosi resoconti sulla tua alimentazione e sul tuo peso, mentre il mio si limita ad essere una raccolta di consigli di auto-aiuto per combattere contro l’anoressia, e un piccolo compendio di studi scientifici esposti in maniera semplificata su vari aspetti dei DCA. Detto in maniera più terra-terra: il tuo blog è pieno di BALLE ROBOANTI, mentre sul mio blog viene scritta la ben più MODESTA VERITA’.
[A seguire, lungo pippone sul perché su Internet le balle proliferano a sfare, e sul perché la verità non ce la può fare: vi ho avvertite, siete ancora in tempo a cliccare la “X” rossa in alto a destra.]
Di fronte ad un commento come quello succitato, mi sono posta qualche interrogativo: perché nel Web è così difficile parlare dei DCA in modo serio, e le bufale scritte dalle Pro Ana sembrano avere un inspiegabile successo? La gente ha svenduto neuroni ultimamente, o si faceva prendere per i fondelli così facilmente anche prima? Come mai la gente si lascia abbindolare da un metodo fumoso e approssimativo come quello Stamina, o da una lista di consigli “per diventare anoressica”? Perché leggono cose del tutto aleatorie e discutibilissime, su un blog a caso scritto da una sconosciuta, e ci credono al volo? Cos’è, un incantesimo?
Okay, andiamo con ordine. E dunque, consideriamo in primis la problematica del contesto.
Il contesto medico/scientifico consta di una sorta di competizione tra colleghi ricercatori, che fanno a gara a che fa per primo la migliore scoperta. In questo tipo di sfida non devi apparire intelligente, ma devi esserlo veramente, mettendo in campo argomentazioni che resistano alla prova dei fatti, poiché questi verranno incontrovertibilmente messi alla prova da tutti i tuoi colleghi. Se propagandi in maniera sensazionalistica e fumosa argomentazioni che possono essere smontate con dati di fatto, sarai destinato alla sconfitta, e potrai dire ciao-ciao alla tua carriera. Detto meccanismo serve tuttavia per far confrontare tra di loro i ricercatori, e determina una selezione naturale in cui le teorie più fallaci soccombono, mentre le teorie dimostrabili vincono.
Spostiamoci adesso in altro contesto: il bar. Al bar non occorre dimostrare niente di serio: le ipotesi strillate di fronte a cappuccino e cornetto alla marmellata non sono destinate a riviste specialistiche, e non aiutano a far carriera. La competizione rappresenta dunque solo uno sfogo, un modo per gasarsi di fronte ai presenti. In una sfida da bar vince chi riesce meglio ad apparire intelligente, chi simula meglio conoscenze che non ha. Tragico? No, ci mancherebbe. Che importanza ha se al bar una cricca di italiani medi sputano sentenze su tematiche di cui non hanno competenze? Il nostro è un Paese libero, per cui chiunque è liberissimo di dire ogni qualsiasi cagata gli passi per la testa, perché rimane a livello di chiacchiera.
In passato, i ricercatori scientifici e i frequentatori di bar rappresentavano 2 mondi a sé stanti: la caciara dei bar non si mescolava in alcun modo con un serio confronto tra varie ipotesi scientifiche destinate alla pubblicazione e alla divulgazione. Da nessun bar è mai uscita alcuna pubblicazione scritta in stampatello, con le “K” al posto del “CH” e gli errori ortografici. Poi però è arrivato Internet, che ha cambiato le carte in tavola. Il Web permette un’ampissima condivisione delle informazioni, chiunque può leggere qualsiasi cosa, chiunque può scrivere, condividere, commentare ed esprimere giudizi. Giudizi – e qui sta il problema – scritti.
Le balle, le balle scritte sui blog Pro Ana nella fattispecie, e i commenti a sostegno delle balle, sul Web sono scritti, non più orali come le ciance da bar. Di conseguenza, subiscono il fascino delle cose scritte: anche se sono emerite cazzabubbole, come una serie di consigli per vomitare o per non mangiare, hanno l’apparenza di cose serie, hanno tutto il carisma del Verbo (sì, pur essendo atea lo intendo stavolta in senso biblico: la Parola scritta). Su Internet ogni qualsiasi opinione, poiché scritta, ha la pretesa di essere seria come nel contesto scientifico, anche se la modalità espressiva è quella del bar: niente carriere da perseguire, per cui basta apparire intelligenti, tanto chi mai redigerà un saggio con le tue sclerate su blogger? Quando si va nel mondo virtuale, quello che conta è vincere, riuscire ad avere l’ultima parola, e a volte anche le parolacce e le offese (spesso e volentieri coperte dall’anonimato) sono d’aiuto: se ti trovi in difficoltà e ti metti ad infamare l’altra persona, magari quella si allontana disgustata, e tu vinci. D’altronde, non stiamo mica a Stanford: questa è l’arena di Internet.
Inoltre, chiunque tenga un blog Pro Ana si sente investita dall’incarico di scrivere post – e un post è come un articolo, sembra sempre ufficiale e serio – utilizzando una miriade di enfasi (MI TENGO SOTTO LE 700 KCAL AL GIORNO! SONO RIUSCITA A VOMITARE! MIA MAMMA MI CONTROLLAVA MA IO L’HO FREGATA! HO PERSO ALTRI 2 KG!) e focalizzandosi tantissimo sull’emozione. Tutto ciò dovrebbe già iniziare a far suonare un campanello d’allarme: una balla che punta sull’emotività riduce le difese del raziocinio, produce trasporto emotivo, fa perdere il lume della ragione. Un medico, un ricercatore, uno scienziato, quando lavorano, non devono emozionarsi: se cedono all’emozione, e pensano di avere tra le mani la verità senza averla testata più e più volte, potrebbero perdere nella competizione tra intelligenti e rigorosi, con tanti cari saluti alla carriera. Se io scrivo un post su come l’anoressia può svilupparsi in donne non vedenti, o sulla multifattorialità causale dell’anoressia, occorre che lo faccia citando fonti ben precise e rintracciabili, altrimenti il mio blog perde di credibilità, e tutto quello che scrivo può essere opinabile. Quando si scende nel campo dell’opinabilità, diventa giusto tutto e il contrario di tutto, per cui in tale campo chiunque venga a dirmi che l’anoressia è la malattia delle ragazzine sceme che vogliono fare le modelle potrebbe pure avere ragione. Ecco perché ho scelto di impostare il mio blog diversamente, aiutandomi con fonti scientifiche nella redazione dei miei post, anche se questo può risultare pesante o noioso.
L’utente-media che razzola su un blog Pro Ana, altresì, utilizza infondate informazioni come fossero oro colato: ecco che viene coinvolta in una sorta di caccia al tesoro, in cui ci si aggrappa a quella che viene vista come la verità più gustosa, e in cui si cerca di dimostrare con ogni mezzo (diari alimentari, consigli per vomitare, lettere di Ana e di Mia, 10 comandamenti Pro Ana, etc…) che quella verità è migliore delle altre. È chiaro che in un blog del genere la verità non può vincere facile, perché non è sensazionalistica né performante, nel momento in cui ci si trova immersa in un contesto di balle emozionanti e gasanti.
Un articolo dettagliato sui ricercatori che hanno preso un premio Nobel per aver studiato i neuroni che si occupano dell’orientamento è spesso difficile e noioso, e se viene pubblicato su blogger non riceverà molti commenti, così come non riceverà molti “Mi piace” se pubblicato su FaceBook. Tuttavia, un articolo su 5 persone morte dopo essersi fatte il vaccino anti-influenzale, manderà tutti in fibrillazione, verrà letto millemila volte, e condiviso nonché commentato altrettante.
Inoltre, i blog Pro Ana lanciano i loro post con titoli roboanti e fotografie allucinanti: ecco che la cosa funziona ancora meglio, perché c’è ancor più emozione immediata, si riesce meglio ad attirare l’attenzione, si catturano più lettrici fogate e possedute dal demonio digitale che commentano in maniera acefala e impulsiva, condividono, e danno così un’apparente autorevolezza ad ogni post.
In questo modo, tutto si mescola: quando, in passato, Internet non era granché diffuso, e la divulgazione andava per la maggiore tra le aule dell’Università e i laboratori di ricerca, per le balle era difficile affermarsi: arrivavano alla frontiera e venivano fermate e perquisite. Forse il sapere era nelle mani di un numero più ridotto di persone, ma senz’altro era tutto molto più verificato. Attualmente, invece, su Internet si trova di tutto, qualsiasi cosa si voglia sapere è a portata di click, tuttavia così facendo si innesca una tipologia di competizione che porta al prevalere dei contenuti più emotivamente coinvolgenti, non di quelli effettivamente seri e verificati.
L’autorevolezza (nota bene: autorevolezza – NON autorità! – che si guadagna sul campo, e NON viene imposta) che consegue al titolo di studio conseguito, e alla propria competenza professionale, su Internet conta poco e nulla, in quanto i criteri per vincere la competizione su Internet sono differenti.
Un blog Pro Ana non è altro che libera divulgazione di materiale non verificato, e per di più in mano a persone non competenti, destinato a un pubblico di persone altrettanto non competenti, che alla fin fine vogliono solo essere intrattenute per cercare di dimenticare i veri problemi che hanno nella vita quotidiana ma che non riescono altresì ad affrontare: questo mix determina un successo quasi sicuro per ogni qualsiasi balla roboante. Matematico.
Del resto, il successo delle balle non è proprio solo dei blog Pro Ana, ma è comune al Web più in generale, e non è eliminabile, altrimenti ci sarebbe un controllo ed una censura dei contenuti. Certo, si potrebbe comunque scegliere di selezionare i contenuti, oscurando i siti Pro Ana ed altri che propinano altrettante balle, ma in fin dei conti chiunque si dichiarerebbe contrario ad una selezione così stretta: il Web è una sorta di Isola Che Non C’è, e piace perché libero ed anarchico. Se vogliamo una totale libertà d’espressione, dobbiamo anche essere consapevoli che in essa sono comprese la disinformazione e gli strafalcioni.
Per inciso, ho letto circa un mesetto fa un articolo in cui c’era scritto che FaceBook aveva intenzione di inserire un “tasto anti-bufale”. Io non sono registrata a FaceBook, quindi non so se questa cosa sia stata resa operativa o meno ma, in ogni caso, ho i miei seri dubbi sul fatto che una trovata del genere possa funzionare. Immaginate un post scritto da una ragazza che si definisce Pro Ana che riceve delle segnalazioni come bufala: all’autrice basterà sostenere che chi l’ha segnalato non capisce il suo “stile di vita”, è invidiosa della sua magrezza ed è in combutta con quella fazione di blogger rompicoglioni che dicono di essere Pro Recovery, farà la parte della vittima, susciterà un sacco di clamore, e via dicendo. Discussioni no limits, visite per il suo blog a palla, e così le balle non avranno problemi a passare la frontiera.
In conclusione, mia cara anonima Pro Ana: è vero, il tuo blog viene più letto e commentato del mio perché delle balle scritte con pathos fanno più figura della verità semplice. Ma il numero di lettrici – ergo di commenti – niente dice in merito alla qualità, e men che meno alla veridicità e alla ragione, di ciò che viene scritto: il fatto che anche millemila persone possano credere ad un mucchio di balle, questo non le trasforma in alcun modo in verità. E se anche millemila persone affermano una cosa stupida, quella cosa non smette comunque di essere stupida.
Nella lotta per il numero di visualizzazioni del proprio blog su Internet, le balle hanno terra fertile ed artiglieria pesante. Per i partigiani della verità e della serietà scientifica, invece, c’è solo una malconcia trincea e una decina di carabine arrugginite. Rinforzi? Neanche l’ombra… Perciò, ragazze: tutte voi che leggete/commentate il mio blog, e sapete ancora distinguere il divario che corre tra questo e un blog Pro Ana… tenete duro, e mirate bene.
venerdì 14 novembre 2014
R: Cosa si cerca con l'anoressia + varie & eventuali
Il post di oggi prende spunto da un commento che mi ha lasciato ButterflyAnna nel post di Venerdì scorso. Volevo risponderle direttamente nel format dei commenti come generalmente faccio con chiunque scriva su questo blog, ma poi mi sono resa conto che ne sarebbe venuto fuori un mezzo poema, quindi ho deciso di trasformarlo in un post… anche perché tratta la quantomai controversa tematica del peso inteso come parametro di malattia/guarigione dall’anoressia, che è inevitabilmente oggetto di innumerevoli discussioni, per cui colgo la palla al balzo per dire la mia e condividere con voi la mia esperienza.
Nel suo commento, ButterflyAnna scrive: “sfido chiunque di voi a dire che all'inizio di questa malattia non avete pensato che perdere chili su chili e non mangiare fosse la cosa più giusta del mondo […] era solo voler dimagrire e voler restringere a tutti i costi […]Perché il pensiero era quello e i comportamenti erano quelli di una ragazza che voleva diventare sempre più magra a ogni costo […]Poi a quei 36 chili ci sono arrivata e non mi hanno portato felicità solo a quel punto ho capito di essere malata”.
In rigoroso ordine random, partiamo da valle per arrivare a monte.
Io credo che la fisicità non sia un parametro poi così strettamente attendibile per valutare la “malattia”/“guarigione” da un DCA. Anche perché sono dell’idea che ciò che rende una persona affetta da anoressia non è il peso ma i pensieri, cioè il pattern mentale – essendo l’anoressia malattia mentale per psichiatrica definizione. Per cui, come ho già scritto altrove, ritengo che una persona possa essere malata di anoressia anche se pesa 150 Kg, se la sua forma mentis è quella propria dell’anoressia, perché è il quadro mentale che connota l’anoressia, non la fisicità.
È ovvio, e lo capisce anche un bambino, che ci sono certi livelli di sottopeso che per forza non sono compatibili con la salute. Riprendendo l’esperienza raccontata da ButterflyAnna, è palese che una donna che pesa 36 Kg (a meno che non sia alta un metro e un cavolo) non può essere in salute e deve recuperare, su questo credo non ci sia neanche da discutere.
Per il resto, il termine “sottopeso” (come il termine “sovrappeso”, del resto) è molto generico, e pertanto di pressoché impossibile applicazione su vasta scala, data l’estrema soggettività di ognuna di noi. Quello che andrebbe considerato – e che sarebbe in effetti scientificamente corretto considerare, come dimostrano diversi studi recentemente condotti – è il Set-Point di peso corporeo fisiologico, che è un qualcosa di individualizzato per ciascuna di noi, e non risponde propriamente al canonico concetto di “normopeso secondo il B.M.I.” (sebbene sia vero che molte persone hanno un proprio Set-Point che corrisponde ad un valore di B.M.I. compreso nel range del normopeso). Il Set-Point è una sorta di “termostato del peso corporeo” che viene geneticamente determinato, ed è regolato per essere mantenuto intorno ad un punto fisso da complessi meccanismi di feedback (omeostasi). Questi meccanismi di equilibrio tendono a mantenere il valore di peso preimpostato dal Set-Point relativamente costante.
Il peso ovviamente sballa di molto quando, con un DCA, ci alimentiamo in maniera del tutto anomala e pieghiamo l’organismo alterando il metabolismo e dunque perdendo/prendendo peso. Tuttavia, poiché il Set-Point di peso corporeo fisiologico è appunto geneticamente determinato, nel momento in cui si riprende ad alimentarci regolarmente e correttamente, dopo il tempo necessario al metabolismo per riattivarsi e ricominciare a lavorare a regime, il nostro organismo tenderà a riportare il peso ai valori originari.
E questo giusto per chiarire da un punto di vista prettamente medico i discorsi sul sottopeso/sovrappeso.
Per quanto riguarda il concetto di “guarigione”, purtroppo è vero che molte persone che non hanno vissuto un DCA sulla propria pelle si fermano all’esteriorità, che è l’unica cosa che riescono a vedere e quindi a concepire, e pensano che il peso corporeo sia l’unico parametro che possa decretare lo stato di “guarigione” o meno di una persona. Ovviamente chiunque abbia avuto/abbia un DCA credo sappia bene che non è semplicemente così che stanno le cose.
Io penso che si dovrebbe focalizzare un po’ meno l’attenzione sul peso, e concentrarla maggiormente sulla qualità della vita. Quando si parla di “qualità della vita”, infatti, si fa contemporaneamente riferimento sia al campo fisico che a quello psicologico: è indubbio che non si possa avere una buona qualità della vita con un corpo fisicamente non in salute (vuoi per il sottopeso eccessivo in chi è affetta da anoressia, vuoi per i danni prodotti dalle condotte di compensazione in chi è affetta da bulimia, vuoi per le abbuffate in chi soffre di binge, vuoi per l’alimentazione altalenante in chi ha un DCAnas, etc…), e allo stesso tempo è indubbio che non si possa avere una buona qualità della vita con una mentalità pervasa dal DCA... perché tanto più esso è presente nella nostra testa, tanto più si perde in vita sociale, lavoro, studio, sport, e tutte quelle cose che rendono la nostra vita appunto una vita di qualità.
Ergo, secondo me è la qualità della vita che va a valutare quanto una persona sia “guarita” o meno da un DCA, compendiando sia gli aspetti fisici che quelli mentali… ammesso e non concesso che per malattie come i DCA si possa parlare di “guarigione”. Io infatti preferisco il termine “remissione” e sottolineo che, personalmente, non sono “guarita” dall’anoressia nel senso canonico del termine, perché mi capita tuttora di avere talvolta dei pensieri, che però riconosco come malati, e dunque non agisco. So che ci sono, ma li lascio lì, confinati in quell’angolino della mia testa, e non mi condizionano più nè comportamentalmente né mentalmente. È proprio per questo che ormai fortunatamente da diversi anni sto vivendo una remissione della malattia.
Tornando invece a monte, e dunque facendo riferimento alla prima parte del commento di ButterflyAnna, premetto che: quello che sto per scrivere fa parte della mia esperienza personale, ergo non ha alcun valore a carattere generale. Ciò significa che probabilmente alcune di voi si rispecchieranno comunque in ciò che scrivo, ed altre no. In ogni caso, nessuna pretesa di verità assoluta: semplicemente quello che ho vissuto io, e dunque la MIA personale verità, più o meno estendibile agli altri.
Nelle parole di ButterflyAnna, io NON mi ritrovo PER NIENTE.
Se vogliamo considerare il B.M.I. come riferimento, allora è tutta la vita che io sono “sottopeso”. Giusto per dire, se vogliamo considerare il B.M.I. come riferimento, allora tutti i membri della mia famiglia sono “sottopeso” da tutta la vita (eppure nessuno di loro ha un DCA). Sono sempre stata magra (e bassa) credo semplicemente perché, geneticamente, provengo da una famiglia in cui siamo tutti magri (e bassi): se di “sottopeso” vogliamo parlare, è un “sottopeso” del tutto fisiologico, che ci caratterizza tutti quanti. Poi, personalmente, con l’anoressia, ho ovviamente trasceso ogni limite di peso e sono arrivata ad una magrezza assolutamente patologica e del tutto incompatibile con la salute. Tuttavia attualmente, grazie all’aiuto della dietista che tuttora mi segue, ho recuperato il mio Set-Point di peso fisiologico, sto pertanto seguendo un “equilibrio alimentare” mirato proprio al mantenimento di questo peso e naturalmente all’evitamento della riadozione di comportamenti alimentari restrittivi e, salvo i danni permanenti che l’anoressia ha prodotto al mio corpo e che purtroppo mi dovrò portare dietro vita natural durante (mi riferisco a osteopenia e infertilità), sono perfettamente in salute e posso senza alcun problema fare sport, lavorare come istruttrice ed arbitro di karate, lavorare come medico, e se mi avanza un po’ di tempo nelle mie incasinatissime giornate anche prendermi un attimo di pausa per dedicarmi alle cose che mi piacciono come per esempio leggere e disegnare.
Essere perfettamente in salute da un punto di vista prettamente fisico non significa appunto, come dicevo, essere del tutto “guarita” dall’anoressia, perché se così fosse immagino che certi pensieri non mi passerebbero più neanche per l’anticamera del cervello. Ma significa che attualmente ho un corpo in salute e del tutto funzionale che mi permette di vivere a 360°, e che mi ha consentito di tornare ad avere un’ottima qualità della vita.
Io non ho mai avuto dunque il desiderio di essere magra poiché, banalmente, sono sempre stata magra.
Per quanto attiene la mia personale esperienza, il bisogno di controllo è stato il punto focale di tutto il disturbo alimentare. Io volevo avere il controllo assoluto. Su tutto. Su ogni singolo aspetto della mia vita. La cosa è partita da ambiti diversi dall’alimentazione e poi, in un formidabile colpo di coda, anche il versante alimentare è stato tirato dentro questo mio bisogno di programmare – e dunque controllare – ogni singolo secondo delle mie giornate.
Volevo “semplicemente” avere sotto controllo ogni singolo respiro della mia vita, e questo controllo che già mettevo in atto su altre cose, ad un certo punto ha iniziato a passare anche attraverso il canale alimentare. L’obiettivo della mia restrizione, in effetti era proprio questo: elaborare una forma di controllo su quello che mangiavo. Il dimagrimento è stata l’ovvia conseguenza, ma non mi ha mai fatto piacere, anzi, mi metteva a disagio, non avrei voluto (anche perché comprometteva le mie prestazioni sportive, e al tempo facevo agonismo ed ero a buon livello), ma avevo bisogno del controllo, e se “il prezzo da pagare” era quello di perdere chili, allora andava bene tutto, allora accettavo il compromesso, pur di non abbandonare la sensazione di sicurezza e di forza che quel (l’illusorio) controllo mi faceva provare.
Non ho mai avuto, dunque, l’obiettivo di restringere l’alimentazione per dimagrire (difatti non mi sono mai pesata, neanche nella fase più acuta dell’anoressia, proprio perché del peso in sé non me ne poteva fregare di meno, né ho mai contato le calorie o cose del genere), il mio unico pensiero era incentrato sul desiderio di avere il controllo su tutto. Ogni altra cosa era mera conseguenza.
Mai voluto diventare più magra… ma sempre voluto esercitare un controllo sempre più totale.
Salvo poi rendermi conto, ovviamente, che quell’anoressia che credevo di controllare, era proprio ciò che mi controllava in misura spietata.
Nel suo commento, ButterflyAnna scrive: “sfido chiunque di voi a dire che all'inizio di questa malattia non avete pensato che perdere chili su chili e non mangiare fosse la cosa più giusta del mondo […] era solo voler dimagrire e voler restringere a tutti i costi […]Perché il pensiero era quello e i comportamenti erano quelli di una ragazza che voleva diventare sempre più magra a ogni costo […]Poi a quei 36 chili ci sono arrivata e non mi hanno portato felicità solo a quel punto ho capito di essere malata”.
In rigoroso ordine random, partiamo da valle per arrivare a monte.
Io credo che la fisicità non sia un parametro poi così strettamente attendibile per valutare la “malattia”/“guarigione” da un DCA. Anche perché sono dell’idea che ciò che rende una persona affetta da anoressia non è il peso ma i pensieri, cioè il pattern mentale – essendo l’anoressia malattia mentale per psichiatrica definizione. Per cui, come ho già scritto altrove, ritengo che una persona possa essere malata di anoressia anche se pesa 150 Kg, se la sua forma mentis è quella propria dell’anoressia, perché è il quadro mentale che connota l’anoressia, non la fisicità.
È ovvio, e lo capisce anche un bambino, che ci sono certi livelli di sottopeso che per forza non sono compatibili con la salute. Riprendendo l’esperienza raccontata da ButterflyAnna, è palese che una donna che pesa 36 Kg (a meno che non sia alta un metro e un cavolo) non può essere in salute e deve recuperare, su questo credo non ci sia neanche da discutere.
Per il resto, il termine “sottopeso” (come il termine “sovrappeso”, del resto) è molto generico, e pertanto di pressoché impossibile applicazione su vasta scala, data l’estrema soggettività di ognuna di noi. Quello che andrebbe considerato – e che sarebbe in effetti scientificamente corretto considerare, come dimostrano diversi studi recentemente condotti – è il Set-Point di peso corporeo fisiologico, che è un qualcosa di individualizzato per ciascuna di noi, e non risponde propriamente al canonico concetto di “normopeso secondo il B.M.I.” (sebbene sia vero che molte persone hanno un proprio Set-Point che corrisponde ad un valore di B.M.I. compreso nel range del normopeso). Il Set-Point è una sorta di “termostato del peso corporeo” che viene geneticamente determinato, ed è regolato per essere mantenuto intorno ad un punto fisso da complessi meccanismi di feedback (omeostasi). Questi meccanismi di equilibrio tendono a mantenere il valore di peso preimpostato dal Set-Point relativamente costante.
Il peso ovviamente sballa di molto quando, con un DCA, ci alimentiamo in maniera del tutto anomala e pieghiamo l’organismo alterando il metabolismo e dunque perdendo/prendendo peso. Tuttavia, poiché il Set-Point di peso corporeo fisiologico è appunto geneticamente determinato, nel momento in cui si riprende ad alimentarci regolarmente e correttamente, dopo il tempo necessario al metabolismo per riattivarsi e ricominciare a lavorare a regime, il nostro organismo tenderà a riportare il peso ai valori originari.
E questo giusto per chiarire da un punto di vista prettamente medico i discorsi sul sottopeso/sovrappeso.
Per quanto riguarda il concetto di “guarigione”, purtroppo è vero che molte persone che non hanno vissuto un DCA sulla propria pelle si fermano all’esteriorità, che è l’unica cosa che riescono a vedere e quindi a concepire, e pensano che il peso corporeo sia l’unico parametro che possa decretare lo stato di “guarigione” o meno di una persona. Ovviamente chiunque abbia avuto/abbia un DCA credo sappia bene che non è semplicemente così che stanno le cose.
Io penso che si dovrebbe focalizzare un po’ meno l’attenzione sul peso, e concentrarla maggiormente sulla qualità della vita. Quando si parla di “qualità della vita”, infatti, si fa contemporaneamente riferimento sia al campo fisico che a quello psicologico: è indubbio che non si possa avere una buona qualità della vita con un corpo fisicamente non in salute (vuoi per il sottopeso eccessivo in chi è affetta da anoressia, vuoi per i danni prodotti dalle condotte di compensazione in chi è affetta da bulimia, vuoi per le abbuffate in chi soffre di binge, vuoi per l’alimentazione altalenante in chi ha un DCAnas, etc…), e allo stesso tempo è indubbio che non si possa avere una buona qualità della vita con una mentalità pervasa dal DCA... perché tanto più esso è presente nella nostra testa, tanto più si perde in vita sociale, lavoro, studio, sport, e tutte quelle cose che rendono la nostra vita appunto una vita di qualità.
Ergo, secondo me è la qualità della vita che va a valutare quanto una persona sia “guarita” o meno da un DCA, compendiando sia gli aspetti fisici che quelli mentali… ammesso e non concesso che per malattie come i DCA si possa parlare di “guarigione”. Io infatti preferisco il termine “remissione” e sottolineo che, personalmente, non sono “guarita” dall’anoressia nel senso canonico del termine, perché mi capita tuttora di avere talvolta dei pensieri, che però riconosco come malati, e dunque non agisco. So che ci sono, ma li lascio lì, confinati in quell’angolino della mia testa, e non mi condizionano più nè comportamentalmente né mentalmente. È proprio per questo che ormai fortunatamente da diversi anni sto vivendo una remissione della malattia.
Tornando invece a monte, e dunque facendo riferimento alla prima parte del commento di ButterflyAnna, premetto che: quello che sto per scrivere fa parte della mia esperienza personale, ergo non ha alcun valore a carattere generale. Ciò significa che probabilmente alcune di voi si rispecchieranno comunque in ciò che scrivo, ed altre no. In ogni caso, nessuna pretesa di verità assoluta: semplicemente quello che ho vissuto io, e dunque la MIA personale verità, più o meno estendibile agli altri.
Nelle parole di ButterflyAnna, io NON mi ritrovo PER NIENTE
Se vogliamo considerare il B.M.I. come riferimento, allora è tutta la vita che io sono “sottopeso”. Giusto per dire, se vogliamo considerare il B.M.I. come riferimento, allora tutti i membri della mia famiglia sono “sottopeso” da tutta la vita (eppure nessuno di loro ha un DCA). Sono sempre stata magra (e bassa) credo semplicemente perché, geneticamente, provengo da una famiglia in cui siamo tutti magri (e bassi): se di “sottopeso” vogliamo parlare, è un “sottopeso” del tutto fisiologico, che ci caratterizza tutti quanti. Poi, personalmente, con l’anoressia, ho ovviamente trasceso ogni limite di peso e sono arrivata ad una magrezza assolutamente patologica e del tutto incompatibile con la salute. Tuttavia attualmente, grazie all’aiuto della dietista che tuttora mi segue, ho recuperato il mio Set-Point di peso fisiologico, sto pertanto seguendo un “equilibrio alimentare” mirato proprio al mantenimento di questo peso e naturalmente all’evitamento della riadozione di comportamenti alimentari restrittivi e, salvo i danni permanenti che l’anoressia ha prodotto al mio corpo e che purtroppo mi dovrò portare dietro vita natural durante (mi riferisco a osteopenia e infertilità), sono perfettamente in salute e posso senza alcun problema fare sport, lavorare come istruttrice ed arbitro di karate, lavorare come medico, e se mi avanza un po’ di tempo nelle mie incasinatissime giornate anche prendermi un attimo di pausa per dedicarmi alle cose che mi piacciono come per esempio leggere e disegnare.
Essere perfettamente in salute da un punto di vista prettamente fisico non significa appunto, come dicevo, essere del tutto “guarita” dall’anoressia, perché se così fosse immagino che certi pensieri non mi passerebbero più neanche per l’anticamera del cervello. Ma significa che attualmente ho un corpo in salute e del tutto funzionale che mi permette di vivere a 360°, e che mi ha consentito di tornare ad avere un’ottima qualità della vita.
Io non ho mai avuto dunque il desiderio di essere magra poiché, banalmente, sono sempre stata magra.
Per quanto attiene la mia personale esperienza, il bisogno di controllo è stato il punto focale di tutto il disturbo alimentare. Io volevo avere il controllo assoluto. Su tutto. Su ogni singolo aspetto della mia vita. La cosa è partita da ambiti diversi dall’alimentazione e poi, in un formidabile colpo di coda, anche il versante alimentare è stato tirato dentro questo mio bisogno di programmare – e dunque controllare – ogni singolo secondo delle mie giornate.
Volevo “semplicemente” avere sotto controllo ogni singolo respiro della mia vita, e questo controllo che già mettevo in atto su altre cose, ad un certo punto ha iniziato a passare anche attraverso il canale alimentare. L’obiettivo della mia restrizione, in effetti era proprio questo: elaborare una forma di controllo su quello che mangiavo. Il dimagrimento è stata l’ovvia conseguenza, ma non mi ha mai fatto piacere, anzi, mi metteva a disagio, non avrei voluto (anche perché comprometteva le mie prestazioni sportive, e al tempo facevo agonismo ed ero a buon livello), ma avevo bisogno del controllo, e se “il prezzo da pagare” era quello di perdere chili, allora andava bene tutto, allora accettavo il compromesso, pur di non abbandonare la sensazione di sicurezza e di forza che quel (l’illusorio) controllo mi faceva provare.
Non ho mai avuto, dunque, l’obiettivo di restringere l’alimentazione per dimagrire (difatti non mi sono mai pesata, neanche nella fase più acuta dell’anoressia, proprio perché del peso in sé non me ne poteva fregare di meno, né ho mai contato le calorie o cose del genere), il mio unico pensiero era incentrato sul desiderio di avere il controllo su tutto. Ogni altra cosa era mera conseguenza.
Mai voluto diventare più magra… ma sempre voluto esercitare un controllo sempre più totale.
Salvo poi rendermi conto, ovviamente, che quell’anoressia che credevo di controllare, era proprio ciò che mi controllava in misura spietata.
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