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venerdì 4 settembre 2009

Psicoterapia

Nel momento in cui si è nel pieno di un DCA, è estremamente difficile riuscire a formulare la richiesta di una psicoterapia. Questo perché non ci si sente ancora pronte a domandarci dov’è che vogliamo veramente andare, ma soprattutto fino a che punto siamo disposte a fare introspezione per cercare di sviscerare le vere cause che hanno portato all’anoressia raggiungendo così consapevolezza e desiderio.

Iniziare una psicoterapia è difficile anche perché si teme che il terapeuta possa non essere altro che l’ennesima persona che vede unicamente l’aspetto fisico, i tratti materiali, tangibili della sofferenza anoressica. Inoltre, si ha paura che il terapeuta possa portarci via tutto il mondo, tutta la realtà che con il DCA abbiamo faticosamente costruito, riportandoci alla condizione primigenia che ha determinato l’innesco dell’anoressia stessa.

In fin dei conti, l’anoressia non è che il tentativo di diventare invisibili per essere viste, perciò, se qualcuno ci portasse via questa possibilità allontanando il sintomo e ripristinando la “normalità”, che cosa ci resterebbe? È per questo che la psicoterapia è un passo così difficile da affrontare.

Nel momento in cui siamo nel pieno di un DCA, è solo la rabbia che ci tiene in vita, una vita colma di rancore e di paura. Abbiamo paura della nostra rabbia, ed abbiamo paura della nostra paura. Ci sentiamo in dovere di cercare sempre di nascondere a tutti e in qualsiasi modo i sentimenti contraddittori che in certi momenti invadono la nostra mente, spingendoci a cercare aiuto e a rifiutarlo al tempo stesso. Molto spesso cerchiamo di nasconderli persino a noi stesse.

Man mano che ci si abitua a convivere con l’anoressia, si perde il ricordo di come sia possibile vivere senza. Sopravviviamo da così tanto tempo con questo sintomo da aver dimenticato com’era quando non c’era. E così non si riesce a vedere veramente il nostro corpo fino in fondo, non riusciamo a credere fino in fondo che possa essere davvero danneggiato: questo corpo che non amiamo guardare, che spesso tocchiamo come se fosse unicamente uno strumento di cui dobbiamo accertare la funzione. Perché ci sembra di dover dimostrare – agli altri, ma soprattutto a noi stesse – quanto siamo capaci di non cedere al desiderio di cedere. Di farsi aiutare. Di parlarne con qualcuno.

Si pensa che il nostro corpo serva solo a sostenere la nostra mente, ma non le appartenga. E così, con l’anoressia, ci siamo costruite un corpo esile, un corpo quasi invisibile, per poter essere viste. Il nostro comportamento è contraddittorio, confonde e ci confonde. Una parte di noi stesse si aspetta che qualcuno riesca a scoprire l’inganno che noi stesse abbiamo costruito, e così ce ne liberi; che qualcuno ci accompagni nel percorso che ci porterà a spezzare le dinamiche che controllano ogni aspetto della nostra vita senza toglierci il sintomo sul quale ci appoggiamo; che comprenda quello che non possiamo esprimere e, accedendo al nostro segreto, ci garantisca il sostegno di cui sentiamo di aver bisogno, ma che ci rifiutiamo di chiedere.

Penso che sia per questo che è importante riuscire a legittimarsi la possibilità di chiedere aiuto ad uno psicoterapeuta. Non accontentandoci al primo tentativo, o scoraggiandoci se i feedback che riceviamo sono differenti da quelli che vorremo: ogni persona ha bisogno di un’altra persona particolare per potersi aprire, non vanno bene tutti per tutti, ed è perciò importante fare tentativi, e continuare a cercare finché non si trova il terapeuta adatto, che sarà la persona che riuscirà a fermarci con determinazione e con dolcezza. E allora sarà un sollievo essere smascherate e forzate ad interrompere la nostra recita distruttiva, il nostro suicidio cronico.

La finzione dell’anoressia è probabilmente così perfetta da ingannare anche le persone più attente, il personale medico più preparato.
Ma in realtà siamo noi stesse a tenderci le insidie più grandi.

Se sentite di aver bisogno d’aiuto, non abbiate timore di chiederlo. Non temete di non trovarlo, perché anche se non ve ne rendete conto, ci sarebbero sempre tante mani tese verso di voi, nel momento in cui trovaste il coraggio di afferrarle. Ma soprattutto, non temete di trovarlo. Perché poter contare su un supporto psicoterapeutico è importantissimo, ma non dimenticate che siete solo voi a poter salvare voi stesse.
 
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