Come gli alchimisti trasformavano il ferro in oro… voi potete trasformare l’oscurità in luce. Siete tutte benvenute.

venerdì 9 gennaio 2015

"Mi sento come se desiderassi che il mio DCA peggiori..."

Nei commenti del post precedente, una commentatrice anonima ha scritto:  

“Mi sento come se desiderassi che il mio DCA peggiori, così da poter essere ricoverata. È un pensiero strano, vero?”

Vorrei perciò scrivere il post odierno in risposta a questa domanda.

Cara Anonima, non lo definirei un pensiero proprio “strano”, poiché credo che diverse altre persone con un DCA possano averne avuto uno simile (come confermano anche, nei commenti al post precedente, un'altra commentatrice anonima, Christiane e Ilaria). Casomai è un pensiero patologico, questo sì, nel senso che è un pensiero indotto dalla malattia, dal DCA stesso: e proprio per questo, nel contesto della malattia, non è un pensiero affatto strano.

Ti voglio lanciare però una provocazione rivolgendoti questa domanda a mia volta: PERCHE’ desideri che il tuo DCA peggiori a tal punto da necessitare di un ricovero? 

È perché desideri che la tua malattia venga legittimata con un’etichetta diagnostica medica?
È perché ti sembra che ora come ora nessuna delle persone che ti sta intorno si renda conto di quanto stai male?
È perché nessuno ti sta aiutando e supportando in maniera adeguata?
 È perché senti di non riuscire ad esprimere il tuo malessere?
È perché pensi di non essere abbastanza malata?
È perché credi di meritarti solo il peggio?

Potrei andare avanti per molto, ma mi fermo qui perché credo che tu abbia afferrato il senso di quello che voglio dirti. Cerca di comprendere PERCHE’ ti sembra di aver bisogno che il tuo DCA peggiori a tal punto da necessitare un ricovero, dopodiché pensa a COME puoi ottenere le medesime cose SENZA dover essere ospedalizzata.

Per esempio, se hai bisogno di supporto/aiuto per tener testa al tuo DCA, e ti sembra che in questo momento non riesci ad ottenerlo, valuta la possibilità di dire esplicitamente alle persone che ti circondano come ti senti dentro, a prescindere alla tua fisicità, e quale tipo di aiuto/supporto avresti bisogno di ricevere da parte loro. Parla loro di come ti senti, e lascia che ti aiutino e che ci siano per te.

So che per chi non ha mai vissuto un DCA sulla propria pelle, e avanza per stereotipi, può essere difficile comprendere la gravità di un qualsiasi disturbo alimentare se non vede uno scheletro ambulante… ma tu, che stai vivendo un DCA sulla tua pelle in questo momento, non hai alcun bisogno di diventare uno scheletro ambulante per sapere che stai male. Tu stai male, è palese, lo sai già: ed è per questo che necessiti di tutto l’aiuto e il supporto possibile, completamente a prescindere dall’esteriorità. Perché la sofferenza di un DCA non può certo essere quantificata: men che meno in chili.

Ogni qualsiasi DCA, in tempi più o meno lunghi, porta al medesimo outcome se non viene adeguatamente trattato: il decesso. Per cui, quello che stai attraversando, a prescindere da ciò che il tuo corpo può dimostrare, è reale, ed è serio, e necessita di cure adeguate. Non ti far infinocchiare dai pensieri che la malattia ti mette in testa, e corri ai ripari prima di peggiorare ulteriormente, sia fisicamente che mentalmente, la situazione: chiedi aiuto a persone professionalmente competenti, perché è quello che ti può far stare meglio, e che può permetterti di vivere una vita di qualità, allontanandoti sempre di più dalla malattia.

Ricordati che ciò che àncora alla malattia, a prescindere dalla fisicità, è il non avere fiducia nelle proprie capacità di cambiare la situazione, il piangersi addosso, il darsi per vinte, lo scuotere la testa e rafforzare così l’unica fede spontanea che l’anoressia conosca, quella tanto fatalistica quanto comoda del “tanto nulla cambierà”. Il combattere contro l’anoressia si nutre proprio della consapevolezza che tu puoi cambiare tutto quello che adesso ti fa stare male, e che per fare questo non hai bisogno di arrivare ad alcun estremo, anzi: meno hai toccato il fondo, prima inizi a combattere, maggiori saranno le tue possibilità di successo.

Ti faccio un enorme in bocca al lupo.

14 commenti:

Anonimo ha detto...

A volte arriva il momento in cui si è esauste fisicamente ma soprattutto mentalmente, in cui viene a mancare la forza di affrontare quotidianità e relazioni, ci si convince che l'unico modo per risalire sia toccare il fondo e quindi si desidera toccarlo il prima possibile questo fondo; può anche darsi che si auspichi finalmente sia qualcun altro ad occuparsi di noi perché si è stanche di farlo e/o si è capito di non saperlo fare nel modo giusto.

Anonimo ha detto...

io penso che alla gente non gliene freghi niente del prossimo... se stiamo bene ok se stiamo male tanti saluti.. quando io ero caduta nel vortice nessuno si preoccupava di cosa mi stesse passando per la testa.. bastava solo che io mangiassi davanti a loro anche una melo per farli stare sereni... l'unica cosa che facevano era parlare dietro e facendo notare miei genitori ed ai miei parenti quanto io fossi diventata magra... l'aiuto non si può cercare in altre persone.. cosi come non si può cadere in disturbi alimentari solo per farsi notare. i tuoi perchè li trovo utili per capire cosa realmente le sta succedendo e spero anche io che lei si possa riprendere capendo che se ha bisogno di farsi aiutare il vero aiuto deve partire principalmente solo da lei...

Wolfie ha detto...

Mi trovo significativamente più d’accordo con quello che ha scritto bea bilba, rispetto a quello che hai scritto la prima persona anonima che ha commentato. Tolti i genitori, i fidanzati, e gli amici intimi, penso anch’io che la soglia d’interesse che il resto del mondo ha per noi sia più o meno pari a zero. Per cui, se si aspetta che siano gli altri a fare qualcosa per noi, si può aspettare all’infinito e non solo peggiorare, ma anche morire nel frattempo. Nel mondo della speranza si può sperare ciò che si vuole, però la vedo come una speranza estremamente irrealistica, e destinata perciò a rimanere delusa. Inoltre, non vedo tante speranze di miglioramento se è qualcun altro a fare le cose per noi: io miglioro se mi impegno in prima persona, e provo e riprovo a fare le cose, ma l’avere qualcuno che fa le cose al posto mio mi sembra un’illusione da bacchetta magica. Sarebbe senza dubbio più bello e più semplice se ci fosse qualcuno che potesse combattere le nostre battaglie, difenderci dai colpi ed incassare al posto nostro, ma così noi non muoveremmo un passo, quindi non sarebbe utile per noi alla fin fine. Chi non desidererebbe il “magico aiuto dall’alto”???????!!!!! Ma è solo un’illusione, quindi bisogna mettercela tutta e agire per noi stesse, poiché siamo le uniche che abbiamo il potere di cambiare la nostra vita: non gli altri, non le circostanze, ma solo noi stesse.
Nonostante questo, capisco ciò che scrive la prima commentatrice, perché anch’io anni fa ho toccato il mio personale fondo, e quindi so quanto ci si possa sentire esauste: però non bisogna farci vincere dalla mentalità “perdente e distruttiva” della malattia, ma bisogna trovare in noi la forza di reagire, e la consapevolezza che bisogna reagire da sole e chiedere aiuto, perché è l’unica cosa che possa cambiare in meglio la nostra situazione.

Alla ragazza che scrive il commento oggetto del post, invece, vorrei dire: Cara anonima, so benissimo quanto in certi momenti sia dura. Ma non ti devi far vincere da ciò che ti mette in testa il dca: per esperienza ti assicuro che più precipiti verso il basso, più tempo e fatica ti ci vorranno per tornare verso la superficie. Quindi, interrompi la tua caduta libera prima possibile!!!!!!!!!! Chiedi aiuto, rompi le catene a cui ti lega il dca, lo so che è difficilissimo, ma quando l’avrai fatto vedrai che ringrazierai te stessa per averlo fatto, e anzi ti chiederai perché non l’avessi fatto prima. Ascolta te stessa: se stai male hai tutto il diritto di chiedere e ricevere aiuto. Conta sulle tue forze, perché sono quelle che ti porteranno lontana quanto vorrai, se non ti arrendi. Non arrenderti. Noi tutte crediamo nella tua possibilità di farcela a cambiare le cose in meglio, senza bisogno che tu arrivi a toccare il fondo!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
Un abbraccioneeeeeee!!!!!!!!!!!!!!!

Kiki ha detto...

Carissima Veggie, i tuoi post sono sempre bellissimi e questo mi ha colpito davvero davvero tanto! Proprio in questo periodo, quando ho aperto il blog ho provato le stesse identiche sensazioni che descrivi nel post. Sono arrivata a desiderare di essere ricoverata, sò che è un pensiero indotto dalla malattia stessa e altamente patologico ma mi sono chiesta il perché e penso proprio di averlo capito. Per prima cosa come ti ho già detto non mi sento abbastanza malata e allora sentivo ( e a volte anche adesso purtroppo) il bisogno di avere un'etichetta, qualcosa che attestasse chiaramente il dolore che provo, le persone che ho attorno credono sia un problema di poco conto, una cosa passeggera o una stupida "fissa" e siccome mi mostro ab stanza normale nel mangiare e non sono a un sottopeso da ricovero non mi sento compresa, la gente attorno a me in primis non mi vede come una persona malata e allora me ne convinco anch'io. Ovviamente tutto ciò mi fa desiderare essere ricoverata o che mi venga diagnosticato il disturbo perché allora potrei dire si, sono malata e le persone attorno a me se ne renderanno finalmente conto e in automatico me ne convincersi anch'io e porterei ancora di più contro questo problema, penso che io voglia che mi venga sbattuta in faccia la realtà per convincermi ancora di più a continuare a lottare con più forza, ecco penso sia questo. Alla fine però sò e mi rendo conto che se sto male, sto male a prescindere di un'etichetta e che chi non vive sulla propria pelle tutto questo non capisce senza che gli venga posta davanti la diagnosi medica e quindi mi sono convinta che devo lottare perché si, ho un problema e l'unica cosa che conta e che sia IO a saperlo e a rendermene conto. Scusami per il papiro piuttosto sconclusionato e ti ringrazio tantissimo per tutto Veggie, spero di riuscire a non dare ascolto al DCA che mi dice di non essere malata perché non ho una inutile etichetta.Ti mando un bacione :* <3

Ilaria* ha detto...

Avevo già detto che tale pensiero sia "normale", almeno per la mia esperienza, durante un disturbo alimentare. Mi é piaciuto particolarmente la fine del tuo post, Veggie, l'esportazione a combattere contro la malattia, contro quel dannato ragionamento del "tanto non cambia nulla".
Sono anni, e tutt'ora lo credo, che penso che niente cambierà, che nonostante gli sforzi non sarò ripagata, che non accadrà mai ciò che desidero... Già caratterialmente sono una che aspetta la famosa "manna dal cielo", molti lamenti e poche azioni. Ovviamente ciò non fa altro che peggiorare il disturbo stesso... Ragionare così non fa altro che alimentare la patologia, cosicché essa si impadronisce sempre di più di noi stesse, rendendoci schiave.
Proprio per questo sono d'accordo stima con le ragazze Bea, Wolfie e Christiane in merito al fatto che siamo NOI STESSE che dobbiamo lottare, rimboccarci le maniche e agire...
Contare su gli altri é bello, è giusto, é un rafforzamento per la nostra battaglia... Sapere che familiari, amici, ragazzo sono pronti a darci una mano, un conforto, é un ausilio estremo.
Però la guerra la facciamo noi contro l'anoressia, la bulimia etc.. Gli altri sono soltanto un accessorio in più...
Che poi, si, brutto ammetterlo, ma é vero, a parte poche persone, al resto del mondo non gliene frega un cavolo di come stai, del delirio in cui sei, se dicono di esserti vicine, di solito, la loro vicinanza è soltanto dirti di mangiare, di pensare positivo... E magari se ingrassi di qualche kg ti dicono: "come stai bene... lo vedi che avevo ragione io.. Dovevi mangiare!"
A quel punto non puoi replicare, avresti voglia di farlo, ma che senso avrebbe? Non capirebbero. Puoi solo farli illudere di esserti stati di aiuto...

Federica ha detto...

Davanti alla malattia, come avete già ben detto voi ragazze, si è soli: si può anche aver la fortuna del sostegno di amici, familiari, medici, ecc., ma alla fine l'unica persona che può davver far qualcosa per star meglio sei tu. Questo non deve essere un pensiero triste: abituiamoci a pensare positivo! Tu hai il potere di cambiare le cose, di sentirti Felice. All'inizio sono solo parole, ma tutte le ragazze che seguono questo blog è che sanno cosa vuol dire affrontare un DCA hanno testimoniato con le loro parole che credere di avere il potere di uscirne non è inutile.
Ho espresso tante volte anche io il desiderio di toccare il fondo e ho pensato che non ero "abbastanza malata". Poi ho realizzato: non sarò mai "abbastanza malata". Il mio corpo, per quando debole e sottile, non lo sarebbe mai stato "abbastanza" per esprimere il mio dolore. La malattia non si sarebbe mai accontentata.
Bisogna ribellarsi a questo pensiero e ripetersi: io sono già "abbastanza ", ho un "peso" al di là di un numero e al di là di quello che gli altri vedono e comprendono.

Jonny ha detto...

Strano no, fallimentare sì.
Qualunque cosa speri di ottenere da un peggioramento del tuo disturbo alimentare, poco ma sicuro che non otterrai un cazzo.
Ah, sì, una cosa sì: starai peggio.
L'unica cosa che si ottiene quando un disturbo alimentare peggiora, è lo stare peggio.
Nient'altro.
Se è questo che vuoi, va beh, son cazzi tuoi.
Ma sappi che persone che corrono al tuo capezzale per salvarti, cliniche con formule magiche per guarire, ricoveri che ti cambiano la vita, esistono solo nella tua fantasia malata.
Nella realtà esiste solo una miseria sempre maggiore tanto più la malattia peggiora.
Per lo meno sappi qual è la merda che dici di desiderare solo perchè non l'hai ancora toccata con mano.

Mary ha detto...

All'anonima del post:

Non credo che il tuo sia un pensiero strano. Credo sia guidato da un grande dolore. E quando il dolore si fa troppo grande da riuscire a contrastarlo, i pensieri che facciamo possono sembrare strani.
Io mi dissocio un po' da quello che è stato detto fino a qui; pur essendo d'accordo sul fatto che il disturbo alimentare possa essere affrontato solo in prima persona, credo che in alcuni momenti molto difficili possa servire qualcun altro, nelle cui mani mettere se stesse e la propria vita, se ci si rende conto che non ce la si sta più facendo. Non credo significhi arrendersi o scappare; semplicemente riconoscere un proprio limite temporaneo. E sottolineo, temporaneo. Credo possa essere un primo atto di coraggio, un primo atto di cura nei confronti di se stesse. Chiedi aiuto. Dì a qualcuno che ti possa aiutare quello che hai scritto qui. Rifletti sul perché vorresti essere ricoverata. Cosa cerchi, in un ricovero, che ora ti manca ora? E potresti avere ragione, può anche darsi che un ricovero sia la scelta migliore per te in questo momento. Ma non aspettare di peggiorare a tal punto che il ricovero sia indispensabile. Non aspettare di finire in una terapia intensiva. Sceglilo tu, attivamente.
Spero che tu possa trovare quello che cerchi e che possa stare meglio.
Un abbraccio grande.

Veggie ha detto...

@ Anonimo (10 Gennaio 2015, ore: 00.04) – Credo tu abbia usato nel tuo commento una espressione-chiave: “ci si convince che”. Vero. Può essere proprio questo il fulcro: perché ci si può convincere di ogni qualsiasi cosa se davvero lo si vuole, ci si può anche convincere che Babbo Natale esiste, che la crisi economica in Italia finirà da un giorno all’altro, che restringere l’alimentazione ci fa bene, che se ci si butta da un tetto si vola, e ci se ne può convincere così tanto da arrivare a prendere ogni qualsiasi asserzione si possa fare per dogma della fede (il nostro cervello è fenomenale in questa tipologia di auto-inganni…)… il fatto è che, se si ha bisogno di CONVINCERSI che una cosa sia vera, ciò implica necessariamente che quella cosa NON LO E’. E arrivare a questa consapevolezza secondo me è un grande punto di partenza: se una cosa è vera, non hai bisogno in alcun modo di convincertene, perché è vera in sé per sé… se invece hai bisogno di piegare la realtà per convincerti di una determinata cosa, quale che sia, vuol dire che stai tentando di trasformare un’assurdità in una tua personale realtà di comodo. Ecco che hai però implicitamente già tracciato un distinguo tra ciò che è vero e ciò che non lo è. Ergo, se una persona ha bisogno di convincersi che toccare il fondo sia l’unico modo per risalire, vuol dire che in realtà sa che si può tranquillamente (e molto più facilmente) risalire ben prima di averlo fatto. L’auspicio che ci sia qualcuno che si occupi di noi lo vedo naturalmente molto umano… ma anche molto utopistico. Certo, nessuno dice che dobbiamo fare tutto da sole: anzi, la psicoterapia e la consulenza dietistica servono proprio ad affiancarci professionisti che ci diano con competenza una mano laddove noi da sole difettiamo necessariamente… Però, il primus movens dobbiamo essere noi. Dobbiamo essere noi a rivolgerci a queste figure professionali chiedendo aiuto, e dobbiamo essere noi a mettercela tutta per cercare di sfruttare quanto più possibile questo aiuto a nostro pro… E, soprattutto, dobbiamo essere noi a mantenerci per la giusta strada, una volta imboccata. Perché nessuno, mai, può camminare al nostro posto, a prescindere da quanto lo si possa desiderare. Non funzionerebbe.
Grazie per essere passato/a di qui, ed aver lasciato il tuo commento… Un abbraccio forte…

@ bea bilba – Sono fondamentalmente d’accordo con te. Non dico che alla gente non gliene freghi assolutamente niente del prossimo in maniera generalista, ma sicuramente a parte le persone cui ognuno è più affezionato (che possono essere per esempio gli amici più stretti, o i familiari) per il resto anch’io sono dell’idea che il tasso di menefreghismo sia considerevolmente alto… Ergo, condivido con te l’idea che se una sta male, è di per se stessa che si deve dar da fare per cambiare le cose. Sono d’accordo, l’aiuto non si può cercare negli altri… anche perché, paradossalmente, se così fosse e poi quegli altri venissero meno, si ricadrebbe immediatamente nel DCA… per cui, siamo noi a dover aiutare noi stesse (ovviamente anche tramite l’indirizzo di esperti), gli altri tutt’al più possono essere di supporto… che è quando dovrebbe essere, e non di più. Che poi non si possa cadere in un DCA per farsi notare, anche in questo ti quoto… credo che le cause di un DCA siano ben più complesse e profonde di un banale voler farsi notare, per il quale peraltro basterebbe mettere in atto numerosi altri espedienti ben più semplici e funzionali. Ti abbraccio forte…

Veggie ha detto...

@ Wolfie – Prima cosa, grazie per le bellissime (nonché verissime) parole che hai dedicato all’anonima su cui è centrato questo post… spero sia passata a leggerle, e che ne faccia tesoro… Detto questo, sono perfettamente d’accordo in merito al fatto che il miglioramento dipende da noi, ed è proporzionale all’impegno che ci mettiamo, e credo questo sia vero non solo per la lotta contro un DCA, ma per ogni qualsiasi aspetto della vita… Le conquiste sono nostre solo quando le realizziamo noi, e solo in tal modo possono diventare durature… certo, avere qualcuno che lavora per noi idealmente è fantastico, e chi lo nega… ma eventuali vantaggi sarebbero solo sul breve termine: togli la persona che ha lavorato per noi, ed ecco che si ritorna sulla linea dello starter… Lavorare per noi stesse richiede infinitamente più olio di gomito… ma i ben più sudati risultati saranno anche più duraturi…

@ Christiane – Christiane, grazie. Le parole che hai scritto sono di un bello e di un giusto allucinante. La frase “ce la faccio, nonostante di DCA” credo debba diventare una sorta di nostro grido di battaglia… poiché, in effetti, è proprio così: magari qualcosa del DCA dentro rimane sempre, però si può andare in remissione per un lasso più o meno lungo di tempo, il che significa appunto che, nonostante la vocetta del DCA che si fa sentire da qualche parte della nostra mente, noi riusciamo a tenerle testa e ad andare avanti, a vivere la nostra vita, riempiendola di quello che ci piace fare per noi stesse… Vita che, per carità, non sarà comunque un idillio, perché la vita di per sé è comunque composta da alti e bassi… ma che sarà comunque una vita di gran lunga migliore rispetto a quando l’anoressia la faceva da padrona… Non solo non dobbiamo permettere a nessun altro di vivere al nostro posto… ma credo questo sia oggettivamente impossibile, pur volendolo… perché alla fine della fiera, la vita è sempre nelle nostre mani, e siamo noi e noi soltanto a decidere cosa poterne fare… se lasciare che vinca il disastro, o provare a realizzare il nostro piccolo capolavoro…

@ Kiki – Cara Kiki, il tuo è tutt’altro che un papiro sconclusionato, anzi… hai saputo riassumere benissimo tutto il ragionamento mentale che hai fatto… Ed è davvero bello leggere come, da una sensazione irrazionale e dettata dalla malattia come quella da cui sei partita, sei invece riuscita a ragionarci su con freddezza ed intelligenza, arrivando alle tue conclusioni, e sviscerando le motivazioni che ti portavano in realtà ad avere un pensiero del genere. Credo che questo sia stato un importantissimo punto di partenza. Per il resto, non posso che concordare con le tue conclusioni… quello che hai dentro, come ti senti, lo sai solo e soltanto tu, e non esiste alcuna esteriorità che possa mostrarlo o dimostrarlo. E, perciò, nel momento in cui tu sai che stai male, non hai bisogno di dimostrare niente a nessuno: hai solo bisogno di trovare il coraggio necessario per chiedere aiuto… perché è solo così, è solo cominciando a lavorare su te stessa, che puoi far riemergere ed affrontare le cose che non ti vanno adesso… L’etichetta niente dice rispetto a come ti senti tu: non è una indicazione clinica che ti renderà malata… se stai male, allora lo sei, a prescindere da ogni qualsiasi altra cosa. Non ti far fregare dal DCA, Kiki… non c’è nient’altro che te a poter dire come stai davvero. Ti abbraccio…

Veggie ha detto...

@ Ilaria – Ma infatti, Ilaria, nessuno dice che non si debba apprezzare e contare sul supporto degli altri… Anzi, è indubbio che percorrere la strada del ricovero sia un pelino meglio se abbiamo vicino persone che fanno il tifo, incoraggiano, vengono incontro se gli esprimiamo le nostre difficoltà. Ergo, gli altri come elemento di supporto vanno benissimo… ma come supporto e stop. Una rete di sicurezza, e nient’altro. Combattere poi è una cosa che dobbiamo fare da sole… perché solo noi abbiamo il potere di cambiare noi stesse, e la nostra vita. Sì, Ilaria, di cambiarla. Anche se la malattia cerca di farti credere che esista solo l’impasse. Anche se magari tu, come scrivi, sei caratterialmente più pessimista… Io non so se quello che desideri accadrà mai (oggettivamente, dipende da quanto il desiderio è realistico…), però se ti dai da fare è matematicamente impossibile che non cambi niente, poiché anche meramente per principio fisico ad ogni azione corrisponde una reazione… e in base alla reazione, puoi decidere come calibrarti e come orientare e muovere i tuoi prossimi passi.
In quanto al discorso dei commenti altrui… premesso che, sì, anch’io penso che salvo esiguo numero di persone che ci sono particolarmente strette, il resto del mondo se ne freghi di noi meno di meno zero… io credo che, escluse le persone ipocrite che lo fanno in maniera mirata e dunque con cattiveria, le restanti che fanno commenti su peso/alimentazione, lo fanno semplicemente con superficialità, ma senza malizia… D’altro canto, non conoscendo queste malattie, l’unica cosa che vedono è la fisicità, per cui è inevitabile che i loro commenti cadano su quella… e quei “come stai bene”, secondo me sono più che altro dei sospiri di sollievo nel momento in cui ci riprendiamo a fronte del fatto che ci hanno viste in condizioni fisiche particolarmente precarie…

@ Federica – La consapevolezza di essere sole di fronte al nostro DCA dev’essere una costatazione tutt’altro che triste, in effetti: perché significa che risiede tutto nelle nostre mani… tutto il potere di scegliere cosa fare/non fare, come comportarci, a chi chiedere aiuto, come combattere quotidianamente, e così via… il che significa, in altre parole, che se col DCA è tutto nelle nostre mani, allora noi abbiamo il potere di decidere TUTTO. E dunque di decidere di cambiare la nostra vita in meglio… e che dipende solo ed esclusivamente da noi. Non sarebbe forse molto peggio se, invece, le nostre sorti dipendessero da qualcun altro, e dunque dai suoi capricci?... No, avere il potere di uscirne non è inutile, anzi… è la sola cosa utile che possiamo avere a disposizione. Perché è fattivamente possibile migliorare significativamente la propria qualità della vita. E, sì, dipende da noi. Poi, certo, se seguiamo la logica della malattia stessa, allora non saremo mai “abbastanza malate”… ma il “quanto” siamo malate, paradossalmente, non ce lo può dire ciò che è oggetto di malattia stessa, poiché incapace di vedere sé… siamo noi che, vivendo quotidianamente con un certo fardello, sappiamo quanto si sta male… e questo è quanto: siamo malate e necessitiamo di adeguate cure, a prescindere da quel che il corpo può essere in grado o meno di mostrare esteriormente… Ti abbraccio…

Veggie ha detto...

@ Jonny – Sì, all’atto pratico è vero… se un DCA peggiora, si sta peggio sia fisicamente che mentalmente… e diventa sempre più difficile il rialzarsi e combattere…

@ Mary - In realtà a me non sembra affatto che tu ti sia dissociata da ciò che hanno scritto le altre ragazze... Hai (giustamente) spronato questa ragazza a ricercare attivamente un ricovero fin da subito: e questo non significa forse affrontare il DCA in prima persona?!... Certo, il supporto altrui può essere importante, soprattutto in certi momenti... così come è importante affidarsi ai medici e seguire le loro istruzioni, quando la malattia ci confonde la mente e non sappiamo più cosa sia corretto e cosa non lo sia... Ma nessuno può fare il "lavoro sporco" al posto nostro: per assurdo, se anche qualcun altro lo facesse, il giovamento sarebbe solo momentaneo... perché se non sei tu che lavori per ottenere un obiettivo, ma sono gli altri che te lo mettono in mano, non hai basi perché non hai lavorato su te stessa... per cui, basterà un soffio di vento per tornare esattamente al punto di partenza. Per il resto, concordo in pieno con la tua esortazione al parlarne, e al chiedere aiuto subito senza aspettare alcun peggioramento... perché è ovvio che prima s'inizia a combattere, più agile sarà il farlo...

Francesca ha detto...

Salve ragazze, non sapete quanto vi legga e quanto quello che dite mi serva per capire quello che sta passando mia figlia che da un anno e mezzo soffre di anoressia.
Vorrei un vostro consiglio, per questo vi racconto un pò il suo percorso...
Si è ammalata quando aveva 15 anni, ora ne ha 17 e, quando lei ancora non si era resa conto della situazione, ho iniziato a farle fare i primi controlli e ad avere le prime diagnosi, così a pochi mesi dalla "scoperta" ha iniziato ad avere supporto prima da una dietista, poi psicologico. Come potete immaginare all'inizio con molte difficoltà, poi accettando sempre di più l'aiuto, fino a riconoscerne il grande bisogno. Tutto questo percorso, ovviamente non l'ha portata tanto lontano, c'è stato un ricovero ospedaliero per la grande perdita di peso circa un anno fa, poi una piccola ripresa di peso (e sottolineo solo di peso), poi altri periodi bassi, fino ad arrivare ad oggi. Oggi, dopo tanta consapevolezza dei disagi che la malattia porta, non ce la fa più. Alla fine di tutti questi alti e bassi la situazione peso è ancora grave ma è la consapevolezza che è diversa, è lo stato mentale che vuole evadere ed è per questo che vi chiedo aiuto, perchè penso che ora si debba fare qualcosa di più concreto, ora l'aiuto deve essere ancora di più. Ma cosa veramente si può fare? Proprio ieri mi parlava di un ricovero in un centro specializzato per avere almeno una "riabilitazione alimentare", per ricordare come si mangia. Ovviamente a casa segue una dieta ma è tutto troppo strutturato, non si esce dagli schemi, quindi andare fuori e fare tutto è un problema perchè niente è pesato e tutto troppo condito. Lei ha sentito che in questi centri abituano a mangiare un pò di tutto. Contro c'è l'allontanamento da tutto e tutti, la scuola, quindi è molto combattuta. Sentendovi ho capito che molte di voi sono passate per questi ricoveri e mi sembra di capire che siano di aiuto, soprattutto nella condizione in cui si trova mia figlia ora. Però volevo sentire voi e sapere se una riabilitazione si può fare anche a casa, se con il tempo torna tutto ad essere più naturale o se un ricovero in questi casi aiuta a recuperare meglio.
Grazie ragazze per quello che fate, a tutte. Auguro a tutte tanta forza. A chi lotta la forza per combattere ogni istante con un mostro molto più grande di voi. A chi ha ritrovato un po' di pace la forza per ricominciare, siete le più forti dopo questa esperienza ma cercate anche di accettare le vostre debolezze che, se sfruttate bene, possono diventare i vostri più forti punti di forza. E grazie ancora per l'aiuto che date mettendo a disposizione degli altri le vostre esperienze. Un abbraccio grande

Veggie ha detto...

@ Francesca – Ciao Francesca, innanzitutto ti ringrazio per essere passata di qui e per aver lasciato il tuo commento… Mi fa davvero molto piacere leggere che, in qualche modo, pur nel suo piccolo, quello che scrivo nonché i commenti delle altre ragazze ti sono almeno un pochino utili per affrontare la difficile situazione che stai vivendo con tua figlia…
Detto questo, provo a rispondere alla tua domanda… Tieni però conto del fatto che si tratta meramente della mia opinione personale, e dunque opinabile per definizione… lungi da me il voler essere depositaria di verità assolute… ergo, tutto quello che scrivo prendilo naturalmente con millemila molle, anche perché parlo di una persona e di una situazione che non conosco, se non attraverso le sole parole del tuo commento…
Io ho fatto 5 ricoveri in una clinica specializzata nel trattamento di DCA che, complessivamente, riconosco essermi stati utili ed importanti nel mio percorso. Questo non significa, naturalmente, che tale approccio sia l’unico possibile, o che vada universalmente bene per chiunque. Io credo infatti che ogni persona sia una storia a sé poiché ha il proprio carattere ed il proprio background, e proprio per questo non esistono panacee che vadano bene sempre e per chiunque: è tua figlia dunque che deve scegliere quale ritiene essere il percorso più adatto a se stessa, e seguirlo. Se in questo momento tua figlia ti dice che sente il bisogno di essere ricoverata in un centro specializzato, ha già espresso la sua scelta: per cui, ritengo sia questa la strada che dovete battere, in sintonia con le sue attuali necessità. Un centro specializzato peraltro non è una prigione: se tua figlia inizia questo percorso, e mentre lo fa si accorge che non la aiuta a sufficienza, o che comunque non fa per lei, voi genitori potete tranquillamene firmare dimissione volontaria, e farla tornare a casa intraprendendo poi un diverso tipo di percorso. Secondo me, un tentativo vale assolutamente la pena di farlo, a maggior ragione se è tua figlia a dirti che ora sente di avere questo bisogno: nella peggiore delle ipotesi, non dovesse funzionare, la situazione rimarrà invariata… ma potrebbe anche funzionare, e dunque farla stare meglio. Peggio di com’è adesso non può andare: ergo, sfrutta l’ondata di consapevolezza di tua figlia, e dalle l’opportunità di un ricovero in un centro specializzato per provare a farla stare meglio. Mettile in mano anche questo importante strumento per il suo percorso di ricovero. Io credo che la palla che lei ti ha lanciato chiedendo di poter andare in un centro specializzato, sia una palla da cogliere al balzo!... A maggior ragione se mi stai dicendo che lo schema alimentare e la psicoterapia che sta seguendo adesso, in regime domiciliare, non funzionano adeguatamente… perché tirare avanti ostinatamente su un qualcosa che non sta funzionando? Meglio provare a dare una svolta cambiando il contesto, allora. Mal che vada, ti ripeto, per fare marcia indietro hai sempre tutto il tempo e il modo… ma prima, provate a vedere quali opportunità si possono dischiudere con un ricovero in clinica. La scuola si recupera… le amicizie, se sono vere, restano tali, e non sarà certo un periodo di allontanamento a far scappare i veri amici a gambe levate… (anche perché i cellulari esistono anche durante il ricovero, quindi si può comunque rimanere in contatto…)… a me sembra che in questo momento la priorità sia la salute psicofisica di tua figlia: di fronte a quella, qualsiasi altra cosa passa in secondo piano. Anche perché, se poi lei sta male, le amicizie e la scuola le perde comunque, perché non regge più… quindi, direi che di fronte alla salute in questo momento le altre remore dovrebbero essere un po’ accantonate… e valuto dunque molto favorevolmente l’idea di un ricovero in una clinica specializzata da iniziare possibilmente quanto prima.
In ogni caso, sottolineo di nuovo che questo è soltanto il mio punto di vista, nessuna pretesa di verità universali…
Grazie ancora a te per il tuo commento… per qualsiasi cosa, scrivi quando vuoi: sarai sempre la benvenuta!...

 
Clicky Web Analytics Licenza Creative Commons
Anoressia: after dark by Veggie is licensed under a Creative Commons Attribution-NoDerivs 3.0 Unported License.