venerdì 1 febbraio 2013
Comorbidità
L’idea di questo post nasce da un commento che mi ha lasciato Marcella al post “Cosa dire/non dire a una persona che ha un DCA”. Potete andare a leggere il commento e la risposta estemporanea che le ho dato, se vi va, ma oggi vorrei centrarmi su un punto in particolare, ovvero la comorbidità legata ai DCA.
Nel suo commento, Marcella parla di correlazione tra DCA e bipolarismo, accennando ad alcuni studi che sono stati condotti al riguardo. Incuriosita, mi sono armata dei miei preziosissimi Google Scholar e PubMed, e ho svolto qualche ricerca in merito.
È stato così che ho scoperto che, in realtà, ben pochi studi sono stati condotti in merito alla coesione tra DCA e altri disturbi psichiatrici, e l’unica correlazione che parrebbe essere dimostrata in termini scientifici, è la correlazione tra DCA e DOC (Disturbo Ossessivo-Compulsivo). Questi pochissimi studi che ho trovato e spulciato affermano che l’avere un DOC rende più grave il DCA, più difficile il trattamento, e più lungo il tempo necessario per avere una remissione. Un paio studi più recenti mostrano chiaramente la presenza di un significativo overlap tra DCA e DOC, e teorizzano lo sviluppo in un futuro ormai prossimo di specifici trattamenti per le persone che presentano questa comorbidità.
Entrando un po’ più nello specifico di quel poco che sono riuscita a reperire, c’è uno studio del 2004 condotto da Walter Kaye e dai suoi colleghi e pubblicato nell’ American Journal of Psychiatry, che stima quanto spesso i disturbi d’ansia (il DOC è un sottotipo di disturbo d’ansia) sono presenti in persone affette da anoressia e bulimia. Questo studio mostra che a circa il 70% delle persone con un DCA viene diagnosticato prima o poi anche un disturbo d’ansia. Molto spesso, peraltro, il disturbo d’ansia viene datato come d’esordio antecedente a quello del DCA stesso. Per inciso, tra le persone con un disturbo d’ansia il 41% è affetto da DOC, e il 20% da fobia sociale (disturbo d’ansia sociale). Date le cifre, dunque, il problema è ben rilevante. (Viene da chiedersi come mai, allora, gli studi condotti in merito siano così scarsi…)
Il gold standard nel trattamento del DOC è una forma di terapia cognitivo-comportamentale conosciuta come “Esposizione con Prevenzione della Risposta” (E/PR). L’idea è relativamente lineare: il soggetto deve creare una gerarchia delle cose che gli creano ansia e che normalmente gl’innescano una compulsione. Per esempio, per qualcuno che è ossessionato dall’idea che ci siano germi dappertutto, uno dei punti più bassi della lista potrebbe essere un qualcosa come: “Toccare un paio di guanti sterili da chirurgo non ancora stati utilizzati”. Uno dei punti più in alto, invece, potrebbe essere: “Toccare la maniglia della porta dell’ambulatorio di un medico”, oppure: “Avere accanto una persona che tossisce”. Insieme allo psicoterapeuta, la persona inizia in maniera estremamente graduale ad esporsi a questi stimoli che percepisce come ansiogeni, provando a non innescare alcuna compulsione in risposta (nell’esempio che ho fatto, correre subito a lavarsi le mani) per lenire l’ansia. Il punto è che poco a poco, così facendo, la persona impara a tollerare l’ansia e a rendersi conto che non morirà se anche viene a contatto con qualche germe.
Alcuni ricercatori hanno allora tentato di utilizzare alcune component dell’E/PR per trattare l’ansia provata nei confronti dell’alimentazione da parte dei soggetti affetti da DCA. In uno studio del 2011 pubblicato nell’ International Journal of Eating Disorders, i ricercatori dell’Università della Columbia per la prima volta hanno delineato un modello comportamentale di anoressia e bulimia guidato da ansia e ossessività.
(Date un’occhiata alla figura qui sotto, cui ho aggiunto una didascalia copiata – e poi da me tradotta – dallo studio originale.)
Figura 1. Modello dell’Anoressia Nervosa. Un trait di ansia basale elevata e ossessività interagisce con molteplici fattori ambientali, cosicché le pazienti sviluppano comportamenti maladattativi, tra cui l’evitamento di alcuni cibi, e rigidi schemi di restrizione alimentare, e sperimentano elevati livelli di ansia nella loro interazione col cibo. Questi comportamenti interconnessi alla restrizione alimentare conducono ad un incremento dell’ansia relativa all’alimentazione, e viceversa. Questi comportamenti compaiono in chiunque si sottoponga ad una dieta povera di lipidi (a bassa densità energetica), e poco variata. Questo, ovviamente, promuove la perdita di peso. Il basso peso si ripercuote sulle caratteristiche di base e porta a un aumento dei livelli di ansia e ossessività.
L’ansia correlata al dover incrementare le razioni alimentari giornaliere e al progressivo recupero del peso, interferisce costantemente con il recupero di peso stesso in persone affette da anoressia, e con le difficoltà ad interrompere il circolo vizioso abbuffata/vomito delle persone affette da bulimia. Da qui la conclusione che non si possano fare passi avanti nella strada del ricovero fino a che questi timori non vengono affrontati. In un articolo del 2012 pubblicato in European Eating Disorders Review, alcuni psicoterapeuti ipotizzano che una delle ragioni per cui la terapia che coinvolge anche i familiari sia efficace per molte adolescenti, sia perché essa comporta l’affrontare direttamente questi timori. Fino a che le pazienti non possono (teoricamente) scegliere autonomamente cosa mangiare perché vivono in famiglia e quindi devono “sottostare” a ciò che cucina la madre, non possono scegliere di evitare cibi “ansiogeni”. Ai genitori, ovviamente, allo stesso tempo, viene insegnato come poter gradualmente agire per limitare i vari rituali connessi all’alimentazione delle proprie figlie.
Quello che mi ha colpito di più, però, è uno studio che è stato pubblicato proprio poche settimane fa, e che affronta la tematica del trattamento di DOC e DCA, questa volta proprio valutando delle ragazze ricoverate in una clinica specializzata per il trattamento dei disturbi alimentari. Pubblicato su Cognitive Behaviour Therapy, in questo studio i ricercatori trattano 56 ragazze affette da anoressia, bulimia o DCAnas, seguendo uno specifico programma elaborato per persone affette contemporaneamente anche da DOC. Di queste 56 pazienti, al 41% era stata diagnosticata anoressia, al 25% bulimia, al 34% DCAnas. I tassi e i livelli di disturbo ossessivo compulsivo erano invariati a prescindere dalla diagnosi di differente DCA. Dopo il trattamento, i ricercatori hanno trovato un miglioramento significativo sui punteggi negli specifici test relativi a DOC e disturbi alimentari, come valutato da una serie di indagini e di auto-report. Peraltro, quasi tutte le pazienti con bulimia erano riuscite a spezzare il circolo vizioso abbuffata/vomito, ed alcune pazienti con anoressia erano riuscite ad aumentare il loro peso corporeo.
A questo punto, però, considerato il contenuto di quest’ultimo studio, che ad una prima lettura farebbe pensare a chiunque che effettivamente esista una comorbidità tra DCA e DOC e dunque una possibile univocità di trattamento, non posso fare a meno di esprimere la mia opinione in merito.
Questo è indubbiamente un buon risultato, ma il problema è che in questo studio (nè in altri di cui io sia a conoscenza o sia riuscita a trovare) il gruppo trattato non viene comparato a null’altro. Anche gli altri studi che ho menzionato hanno mostrato che trattare il DCA migliora anche il quadro di DOC che eventualmente è concomitantemente presente. Ma questo significa che il miglioramento evidenziato in questo studio nella fattispecie è stato determinato esclusivamente grazie ad un’alimentazione più regolare e all’assenza di comportamenti di compenso? E che ruolo ha svolto il fatto che questo studio fosse stato specificatamente condotto su un peculiare gruppo, ovvero su ragazze ricoverate in una clinica specializzata per il trattamento di DCA? Il risultato sul trattamento del DCA sarebbe stato differente se le ragazze non avessero ricevuto in contempo un trattamento per il DOC? E cosa sarebbe successo se avessero seguito una terapia specificatamente mirata sul trattamento del DOC, e non avessero invece trattato il DCA? Certo, mi rendo conto che non sarebbe etico dividere le ragazze in 3 gruppi e trattare il primo gruppo solo per il DCA, il secondo solo per il DOC, e il terzo per entrambi, e vedere quali sarebbero le differenze… ma penso che renderebbe lo studio più attendibile.
Un altro fattore di cui i ricercatori non hanno tenuto conto in questo studio è l’uso di psicofarmaci, che viene solo menzionato ma di fatto non considerato ai fini dei risultati stilati. Come avrete letto dal relativo link, l’89% delle 56 pazienti esaminate assumevano psicofarmaci al momento in cui lo studio è stato realizzato. Gli sperimentatori giustificano la mancata tenuta in considerazione di questo fatto precisando che solo il 7% delle ragazze aveva iniziato a prendere psicofarmaci durante quel ricovero. Ma non viene detto niente a proposito del trattamento delle altre pazienti, che già prendevano psicofarmaci prima di essere ricoverate: in seguito al ricovero queste ragazze hanno aumentato o diminuito le dosi dei farmaci che già prendevano? O hanno cambiato tipo di farmaco assunto? Questi interrogativi cui lo studio non risponde, secondo me invece sono importanti, in quanto la variazione di dose o di tipo di farmaco influenzano significativamente la sintomatologia del DOC.
(Sebbene un altro recente studio che ho letto indichi che nessuno psicofarmaco è in realtà effettivamente efficace nel trattamento dell’anoressia.)
Peraltro, se ci avete fatto caso leggendo l'articolo al link, uno dei ricercatori che ha elaborato questo studio è il direttore sanitario della clinica dove lo studio è stato condotto. Questo mi rende un po’ scettica in merito ai risultati ottenuti, penso sia naturale.
I ricercatori concludono che (mia traduzione): “Il trattamento simultaneo di DOC e disturbi alimentari condotto utilizzando un approccio multimodale che utilizza la tecnica dell’E/PR per l’approccio ad entrambe le patologie, può rappresentare un’efficace strategia terapeutica per le persone che presentano questa comorbidità”. Ma quanto efficace? Migliore di ogni qualsiasi altra modalità di trattamento? Quanto migliore? Per quanto tempo durano i risultati? È un miglioramento effettivo e duraturo, permanente, o dopo una prima fase di miglioramento le 56 ragazze esaminate sono tornate al punto di partenza o sono comunque ri-peggiorate? Su nessuna di queste pazienti è stato condotto un follow-up a distanza di tempo. Migliorare durante un ricovero in una clinica è una cosa certamente positiva… ma il vero e proprio rodaggio alla vita esterna non avviene fino al momento della dimissione.
In ogni caso, penso che questo studio possa essere un punto di partenza. Se effettivamente c’è una comorbidità tra DCA e DOC, trattare persone che presentano entrambe le patologie può essere veramente difficile, ma questo non significa che queste persone, col tempo, non possano arrivare comunque a condurre una vita più sana e produttiva.
Penso che ci sia disperatamente bisogno che vengano condotti molteplici nuovi studi in questa direzione, e che, contemporaneamente, nel compiere questi studi sia necessario prendere in esame quante più variabili possibile (per quanto, mi rendo conto, sia difficile) per poter successivamente sviluppare il trattamento migliore, quanto più efficace possibile.
Nel suo commento, Marcella parla di correlazione tra DCA e bipolarismo, accennando ad alcuni studi che sono stati condotti al riguardo. Incuriosita, mi sono armata dei miei preziosissimi Google Scholar e PubMed, e ho svolto qualche ricerca in merito.
È stato così che ho scoperto che, in realtà, ben pochi studi sono stati condotti in merito alla coesione tra DCA e altri disturbi psichiatrici, e l’unica correlazione che parrebbe essere dimostrata in termini scientifici, è la correlazione tra DCA e DOC (Disturbo Ossessivo-Compulsivo). Questi pochissimi studi che ho trovato e spulciato affermano che l’avere un DOC rende più grave il DCA, più difficile il trattamento, e più lungo il tempo necessario per avere una remissione. Un paio studi più recenti mostrano chiaramente la presenza di un significativo overlap tra DCA e DOC, e teorizzano lo sviluppo in un futuro ormai prossimo di specifici trattamenti per le persone che presentano questa comorbidità.
Entrando un po’ più nello specifico di quel poco che sono riuscita a reperire, c’è uno studio del 2004 condotto da Walter Kaye e dai suoi colleghi e pubblicato nell’ American Journal of Psychiatry, che stima quanto spesso i disturbi d’ansia (il DOC è un sottotipo di disturbo d’ansia) sono presenti in persone affette da anoressia e bulimia. Questo studio mostra che a circa il 70% delle persone con un DCA viene diagnosticato prima o poi anche un disturbo d’ansia. Molto spesso, peraltro, il disturbo d’ansia viene datato come d’esordio antecedente a quello del DCA stesso. Per inciso, tra le persone con un disturbo d’ansia il 41% è affetto da DOC, e il 20% da fobia sociale (disturbo d’ansia sociale). Date le cifre, dunque, il problema è ben rilevante. (Viene da chiedersi come mai, allora, gli studi condotti in merito siano così scarsi…)
Il gold standard nel trattamento del DOC è una forma di terapia cognitivo-comportamentale conosciuta come “Esposizione con Prevenzione della Risposta” (E/PR). L’idea è relativamente lineare: il soggetto deve creare una gerarchia delle cose che gli creano ansia e che normalmente gl’innescano una compulsione. Per esempio, per qualcuno che è ossessionato dall’idea che ci siano germi dappertutto, uno dei punti più bassi della lista potrebbe essere un qualcosa come: “Toccare un paio di guanti sterili da chirurgo non ancora stati utilizzati”. Uno dei punti più in alto, invece, potrebbe essere: “Toccare la maniglia della porta dell’ambulatorio di un medico”, oppure: “Avere accanto una persona che tossisce”. Insieme allo psicoterapeuta, la persona inizia in maniera estremamente graduale ad esporsi a questi stimoli che percepisce come ansiogeni, provando a non innescare alcuna compulsione in risposta (nell’esempio che ho fatto, correre subito a lavarsi le mani) per lenire l’ansia. Il punto è che poco a poco, così facendo, la persona impara a tollerare l’ansia e a rendersi conto che non morirà se anche viene a contatto con qualche germe.
Alcuni ricercatori hanno allora tentato di utilizzare alcune component dell’E/PR per trattare l’ansia provata nei confronti dell’alimentazione da parte dei soggetti affetti da DCA. In uno studio del 2011 pubblicato nell’ International Journal of Eating Disorders, i ricercatori dell’Università della Columbia per la prima volta hanno delineato un modello comportamentale di anoressia e bulimia guidato da ansia e ossessività.
(Date un’occhiata alla figura qui sotto, cui ho aggiunto una didascalia copiata – e poi da me tradotta – dallo studio originale.)
Figura 1. Modello dell’Anoressia Nervosa. Un trait di ansia basale elevata e ossessività interagisce con molteplici fattori ambientali, cosicché le pazienti sviluppano comportamenti maladattativi, tra cui l’evitamento di alcuni cibi, e rigidi schemi di restrizione alimentare, e sperimentano elevati livelli di ansia nella loro interazione col cibo. Questi comportamenti interconnessi alla restrizione alimentare conducono ad un incremento dell’ansia relativa all’alimentazione, e viceversa. Questi comportamenti compaiono in chiunque si sottoponga ad una dieta povera di lipidi (a bassa densità energetica), e poco variata. Questo, ovviamente, promuove la perdita di peso. Il basso peso si ripercuote sulle caratteristiche di base e porta a un aumento dei livelli di ansia e ossessività.
L’ansia correlata al dover incrementare le razioni alimentari giornaliere e al progressivo recupero del peso, interferisce costantemente con il recupero di peso stesso in persone affette da anoressia, e con le difficoltà ad interrompere il circolo vizioso abbuffata/vomito delle persone affette da bulimia. Da qui la conclusione che non si possano fare passi avanti nella strada del ricovero fino a che questi timori non vengono affrontati. In un articolo del 2012 pubblicato in European Eating Disorders Review, alcuni psicoterapeuti ipotizzano che una delle ragioni per cui la terapia che coinvolge anche i familiari sia efficace per molte adolescenti, sia perché essa comporta l’affrontare direttamente questi timori. Fino a che le pazienti non possono (teoricamente) scegliere autonomamente cosa mangiare perché vivono in famiglia e quindi devono “sottostare” a ciò che cucina la madre, non possono scegliere di evitare cibi “ansiogeni”. Ai genitori, ovviamente, allo stesso tempo, viene insegnato come poter gradualmente agire per limitare i vari rituali connessi all’alimentazione delle proprie figlie.
Quello che mi ha colpito di più, però, è uno studio che è stato pubblicato proprio poche settimane fa, e che affronta la tematica del trattamento di DOC e DCA, questa volta proprio valutando delle ragazze ricoverate in una clinica specializzata per il trattamento dei disturbi alimentari. Pubblicato su Cognitive Behaviour Therapy, in questo studio i ricercatori trattano 56 ragazze affette da anoressia, bulimia o DCAnas, seguendo uno specifico programma elaborato per persone affette contemporaneamente anche da DOC. Di queste 56 pazienti, al 41% era stata diagnosticata anoressia, al 25% bulimia, al 34% DCAnas. I tassi e i livelli di disturbo ossessivo compulsivo erano invariati a prescindere dalla diagnosi di differente DCA. Dopo il trattamento, i ricercatori hanno trovato un miglioramento significativo sui punteggi negli specifici test relativi a DOC e disturbi alimentari, come valutato da una serie di indagini e di auto-report. Peraltro, quasi tutte le pazienti con bulimia erano riuscite a spezzare il circolo vizioso abbuffata/vomito, ed alcune pazienti con anoressia erano riuscite ad aumentare il loro peso corporeo.
A questo punto, però, considerato il contenuto di quest’ultimo studio, che ad una prima lettura farebbe pensare a chiunque che effettivamente esista una comorbidità tra DCA e DOC e dunque una possibile univocità di trattamento, non posso fare a meno di esprimere la mia opinione in merito.
Questo è indubbiamente un buon risultato, ma il problema è che in questo studio (nè in altri di cui io sia a conoscenza o sia riuscita a trovare) il gruppo trattato non viene comparato a null’altro. Anche gli altri studi che ho menzionato hanno mostrato che trattare il DCA migliora anche il quadro di DOC che eventualmente è concomitantemente presente. Ma questo significa che il miglioramento evidenziato in questo studio nella fattispecie è stato determinato esclusivamente grazie ad un’alimentazione più regolare e all’assenza di comportamenti di compenso? E che ruolo ha svolto il fatto che questo studio fosse stato specificatamente condotto su un peculiare gruppo, ovvero su ragazze ricoverate in una clinica specializzata per il trattamento di DCA? Il risultato sul trattamento del DCA sarebbe stato differente se le ragazze non avessero ricevuto in contempo un trattamento per il DOC? E cosa sarebbe successo se avessero seguito una terapia specificatamente mirata sul trattamento del DOC, e non avessero invece trattato il DCA? Certo, mi rendo conto che non sarebbe etico dividere le ragazze in 3 gruppi e trattare il primo gruppo solo per il DCA, il secondo solo per il DOC, e il terzo per entrambi, e vedere quali sarebbero le differenze… ma penso che renderebbe lo studio più attendibile.
Un altro fattore di cui i ricercatori non hanno tenuto conto in questo studio è l’uso di psicofarmaci, che viene solo menzionato ma di fatto non considerato ai fini dei risultati stilati. Come avrete letto dal relativo link, l’89% delle 56 pazienti esaminate assumevano psicofarmaci al momento in cui lo studio è stato realizzato. Gli sperimentatori giustificano la mancata tenuta in considerazione di questo fatto precisando che solo il 7% delle ragazze aveva iniziato a prendere psicofarmaci durante quel ricovero. Ma non viene detto niente a proposito del trattamento delle altre pazienti, che già prendevano psicofarmaci prima di essere ricoverate: in seguito al ricovero queste ragazze hanno aumentato o diminuito le dosi dei farmaci che già prendevano? O hanno cambiato tipo di farmaco assunto? Questi interrogativi cui lo studio non risponde, secondo me invece sono importanti, in quanto la variazione di dose o di tipo di farmaco influenzano significativamente la sintomatologia del DOC.
(Sebbene un altro recente studio che ho letto indichi che nessuno psicofarmaco è in realtà effettivamente efficace nel trattamento dell’anoressia.)
Peraltro, se ci avete fatto caso leggendo l'articolo al link, uno dei ricercatori che ha elaborato questo studio è il direttore sanitario della clinica dove lo studio è stato condotto. Questo mi rende un po’ scettica in merito ai risultati ottenuti, penso sia naturale.
I ricercatori concludono che (mia traduzione): “Il trattamento simultaneo di DOC e disturbi alimentari condotto utilizzando un approccio multimodale che utilizza la tecnica dell’E/PR per l’approccio ad entrambe le patologie, può rappresentare un’efficace strategia terapeutica per le persone che presentano questa comorbidità”. Ma quanto efficace? Migliore di ogni qualsiasi altra modalità di trattamento? Quanto migliore? Per quanto tempo durano i risultati? È un miglioramento effettivo e duraturo, permanente, o dopo una prima fase di miglioramento le 56 ragazze esaminate sono tornate al punto di partenza o sono comunque ri-peggiorate? Su nessuna di queste pazienti è stato condotto un follow-up a distanza di tempo. Migliorare durante un ricovero in una clinica è una cosa certamente positiva… ma il vero e proprio rodaggio alla vita esterna non avviene fino al momento della dimissione.
In ogni caso, penso che questo studio possa essere un punto di partenza. Se effettivamente c’è una comorbidità tra DCA e DOC, trattare persone che presentano entrambe le patologie può essere veramente difficile, ma questo non significa che queste persone, col tempo, non possano arrivare comunque a condurre una vita più sana e produttiva.
Penso che ci sia disperatamente bisogno che vengano condotti molteplici nuovi studi in questa direzione, e che, contemporaneamente, nel compiere questi studi sia necessario prendere in esame quante più variabili possibile (per quanto, mi rendo conto, sia difficile) per poter successivamente sviluppare il trattamento migliore, quanto più efficace possibile.
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15 commenti:
mmmmmm....io ho conosciuto molte persone affette da anoressica che hanno sviluppato un comportamento ossessivo compulsivo. Nel lavarsi, nel cibo, nel come fare le cose....tutte pratiche tese ad allentare l'ansia. Io credo che questa incidenza sia mooolto più frequente di quanto non si immagini. L'anoressia ha qualcosa di fortemente ossessivo compulsivo, secondo me. Ci sono dei punti in comune, assolutamente.
Anoressia volevo dire e scusami per gli eventuali errori di analfabetismo ma ho fretta e scrivo alla velocità analfabetica della luce
Secondo me i doc e il dca sono molto legati... proprio come diceva Marcella, ci sono mole persone che soffrono di entrambe le patologie... purtroppo anche io, nei momenti dei pasti, ho dei " riti " che devo compiere tutti i giorni, per alleviare l'ansia ... e conosco moltissime altre ragazze che purtroppo hanno i loro riti.
Ti abbraccio
Oggi ho imparato una nuova parola :-)
Devo dire che (nella mia ignoranza) non avevo pensato che chi soffrisse di anoressia potesse presentare contemporaneamente delle altre patologie; però mi auguro che la medicina prosegua con questo studi, perché sicuramente se le patologie sono più di una anche le cure devono essere modificate.
molto interessante questo post!
Davvero interessante questo post!!!!!!!!!
Effettivamente, adesso che mi ci fai pensare, quando per la prima volta mi rivolsi a una psichiatra a causa del mio dca, lei mi consigliò di fare psicoterapia e mi prescrisse anche un farmaco chiamato fluoxetina che, ho scoperto successivamente, è utilizzato anche nel trattamento dei doc; perché comunque è vero che io di base sono una persona ansiosa.
Poi dopo un po’ il farmaco l’ho smesso di prendere, però ho continuato (e continuo ancora oggi) a fare psicoterapia, e in parte la mia psicologa basa questa psicoterapia proprio su un modello cognitivo-comportamentale, per cui effettivamente devo riconoscere che esistono delle analogie tra dca e doc.
Quello su cui ci sarebbe ulteriormente da indagare, semmai, è capire quale sia la vera natura della correlazione tra queste due affezioni: cioè, se l’averne una aumenta il rischio (o la certezza) di sviluppare l’altra; quale tra le due esordisce per prima; se necessariamente l’una si tira dietro l’altra, o se sono comunque cose scollegate, ed è un caso che una abbia tutte e due le malattie. Perché se si riesce a rispondere a questi punti, allora anche il trattamento potrebbe essere più agevole.
Ciao Veggie, complimenti, è un post davvero interessante, al quale non ho potuto fare a meno di aggiungere anche il mio contributo, suddividendolo in 2 commenti che ti ho riportato di seguito.
Da studentessa di biologia molecolare molto appassionata di neurobiologia, anch’io ho letto diversi studi riportati in letteratura riguardo alla correlazione tra DOC e DCA, che sottolineano come alcuni tratti perfezionistici della personalità ossessiva (rifiuto dell'insuccesso, paura di sbagliare, incapacità di esprimere o provare sentimenti negativi, bassa autostima, sentimenti di autosvalutazione e senso di inefficacia anche in persone particolarmente dotate, incapacità di godere del proprio successo, forte impulso autocritico ecc...) sono frequentemente presenti nei soggetti affetti da DCA, tanto che i 2 disturbi tendono ad essere attualmente considerati come un continuum di spettro. Tuttavia, i risultati ottenuti nelle varie indagini sono spesso contrastanti (ad esempio la comorbilità tra DOC e anoressia nervosa varia dal 9,5% al 62% a seconda del tipo di studio e del campione trattato) per cui finora non è stato possibile dare un'interpretazione univoca dei dati in possesso.
Un altro problema riguarda l'insorgenza primitiva dell'uno o dell’altro tipo di disturbo: sono da tempo note molte evidenze sperimentali in cui l’estrema restrizione alimentare in soggetti normali possa determinare lo sviluppo di una sintomatologia ossessiva, accompagnata da pensieri anoressici e depressione. In pratica, la sottoalimentazione imposta dall’anoressia (che in questo caso sarebbe il disturbo primitivo) potrebbe fare insorgere pensieri ossessivi o aggravare un DOC già esistente. Questa associazione tra la causa (DCA) e l’effetto (DOC) è stata recentemente attribuita all’alterazione dell’attività serotoninergica prodotta dall’apporto dietetico deficitario.
Di tale correlazione ne è una testimonianza il primo studio sugli effetti della restrizione alimentare condotto da Keys negli anni ’40 (che tu, Veggie, hai già riportato in un tuo bellissimo post), noto come Minnesota Starvation Study, nel quale i ricercatori si proponevano di capire quali fossero gli effetti sull’uomo della denutrizione dilagante causata dalla II guerra mondiale e quali fossero le modalità più valide per operare la rialimentazione delle popolazioni che avevano sofferto la fame. I volontari “arruolati” in questo studio erano tutti obiettori di coscienza che si astennero dal partecipare alla guerra e che affermarono di sottoporsi volontariamente ad un regime controllato di restrizione alimentare al solo scopo scientifico di dare il loro contributo alla ricerca su come curare nel modo migliore le persone che, a causa del conflitto, avevano realmente sofferto di inedia. Furono quindi sottoposti ad una dieta ipocalorica di 1600 Kcal al giorno per 3 mesi fino a raggiungere il 25% del loro perso naturale. In queste condizioni di evidente sottopeso, oltre a manifestare sintomi fisici tipici della malnutrizione (astenia, riduzione del metabolismo basale, ipotermia, bradicardia, disturbi del sonno, perdita dei capelli, secchezza cutanea, dolori muscolari, disfunzioni sessuali ecc…), i soggetti in questione cominciarono a presentare anche tutta una serie di disturbi psichici che correlavano bene con la depressione, il DOC e i DCA (ansia, ossessioni accompagnate da compulsioni per mitigare l’ansia, senso di inadeguatezza, isolamento sociale, dismorfofobia, sensazione di essere in sovrappeso nonostante la denutrizione, largo consumo di spezie, tè, caffè e chewing-gum, ossessioni sul cibo, collezione di ricette di cucina, episodi di abbuffate…). Segue…
...Altri studi hanno invece messo in evidenza come il DOC possa essere frequentemente un fattore prodromico e dunque predisponente nei confronti dell’anoressia nervosa: lo dimostrerebbe il fatto che in alcune pazienti certi tratti ossessivi (come ad esempio l’ossessione per i risultati “perfetti” in campo lavorativo o scolastico, la mania dell’ordine e della pulizia ecc…) permangono anche dopo la remissione del DCA. In particolare, alcuni studi hanno dimostrato la presenza, in una % significativa di pazienti anoressiche in fase acuta, di sintomi ossessivi e compulsivi di gravità pari a quelli presenti in pazienti DOC, caratterizzati dallo stesso bisogno ossessivo di simmetria ed esattezza e dalla stessa compulsione all’ordine. Questi sintomi caratteristici sarebbero rimasti anche dopo la guarigione dal DCA, segno che il DOC era un fattore prodromico.
Per quanto riguarda invece le differenze tra DOC e DCA, è stato osservato come le ossessioni e i rituali messi in atto dalle pazienti con DCA hanno un carattere prevalentemente egosintonico, a differenza delle ossessioni e delle compulsioni non correlate al cibo dei pazienti DOC, che sono invece egodistoniche e invalidanti, e che, come già detto, possono essere presenti anche in pazienti con DCA. Di conseguenza, la paura di aumentare di peso, le preoccupazioni relative al cibo e al corpo sono definibili come pensieri prevalenti distinti da un’ideazione di tipo ossessivo.
Tuttavia, anch’io ho trovato in studi recenti che l’utilizzo della tecnica di “Esposizione con Prevenzione della Risposta” (E/PR) risulta efficace nel ridurre la sintomatologia sia nel DCA (dove prevale la paura di ingrassare ed il controllo del peso) sia nel DOC (dove invece sono presenti paure irrazionali di contaminazione, malattie, fallimenti ecc… controllate con lunghi rituali di verifica), mediante graduale esposizione al fattore ansiogeno, di fronte al quale si impedisce o si ritarda l’esecuzione del rituale compulsivo.
In effetti, concordo con te che nella maggior parte degli studi di comorbilità effettuati ci siano evidenti limiti legati alla eterogeneità delle variabili in gioco (pazienti con altri disturbi psichici o meno, presenza/assenza di terapia farmacologica, peraltro con differente dosaggio e durata…) oltre che l’effettiva mancanza di gruppi di controllo.
Queste ricerche rimangono comunque un ottimo suggerimento per chi, come me, soffre di anoressia, perchè ho provato su me stessa che espormi gradualmente a cibi ansiogeni mi consente, dopo un po’ di tentativi, di mangiarli senza ansia e in quantità del tutto normali.
Ciao Veggie.. Come stai? Se leggi rispondi sul mio blog. Volevo salutarti, sapere se ti ricordi di me, volevo riprendere i contatti, ne ho bisogno, parecchio. Un abbraccio
Ciao Veggie, ho scoperto oggi questo blog. Mi è stato parecchio di aiuto! Potresti contattarmi per favore? Non ho nessuno con cui parlarne e sento che la cosa sta peggiorando. Ti lascio la mia e-mail. Scrivi se hai voglia...
Chiara
chiarettacla@live.it
Ciao! E' tantissimo tempo che leggo il tuo blog, ma questa è la prima volta che lascio un commento...Ho deciso di farlo perchè ho trovato questo post estremamente estremamente interessante. Io soffro di anoressia da quasi 5 anni ormai, e ho notato come, con il progredire (anzi, forse sarebbe più adatto dire "con il cronicizzarsi") della malattia, siano insorte manie indubbiamente del genere ossessivo-compulsivo anche in ambiti diversi della mia vita. Io sono giunta alla conclusione che insorgano spesso DOC nel momento in cui anche il "placebo placa-ansia" del DCA non è più sufficiente: il DCA permane, ma non basta più a lenire l'ansia che provoca l'approccio con il mondo esterno, quindi insorgono altri comportamenti di controllo, tipici dei DOC. A mio parere la stessa anoressia potrebbe essere considerata un DOC, almeno in certi casi, certamente nel mio; infatti io sono ossessionata più di tutti dai "numeri", conto ossessivamente le calorie, ed è quella la cosa più importante in assoluto, il fatto di esssere e rimanere magra è, per certi versi, secondario, anche se ovviamente viene di conseguenza....
Spero di non aver detto delle sciocchezze. Comunque ti ringrazio per le sempre interessanti letture. Un abbraccio!
LyraNerina
Ciao Veggie, questo post mi é piaciuto molto (come sempre!) e fa proprio capire quanto ci tieni a questo blog...
Ad ogni modo, capisco che tu non ti senta pienamente soddisfatta da questo ultimo studio, ma vorrei farti notare che la maggior parte degli studi psicologici (e sociologici) fatti hanno questo problema. Esistono decine e decine di teorie, esperimenti e quant'altro, ma spesso sono fini a sé stessi. È un po' come in passato, quando i grandi scienziati si chiedevano se esistesse veramente la sfera delle stelle fisse o meno. C'erano così tante teorie al riguardo, ma nessuna era certa o si basava sui giusti parametri. Così capita con la psicologia. Da quando ho iniziato a studiarla, credo che un buon 80% fosse di teorie sbagliate di cui prima dovevo studiarmi ogni particolare, e poi scoprivo che non mi sarebbe mai servita a nulla, dato che era già bella pronta la critica. Ed alla critica, seguiva uno studio, allo studio una nuova teoria e così via...
Io credo che questo studio abbia molte potenzialità, ma certamente non sarà lasciato da parte come verità inoppugnabile: verrà ripreso da altri psicologi, analizzato e poi portato avanti.
Sono contenta tu abbia fatto notare l'utilità delle terapie cognitivo-comportamentali, attualmente sono quelle che io apprezzo di più (naturalmente é un giudizio personale, dipende da persona a persona).
Un bacio,
EsseCi.
@ Marcella – Non ti preoccupare per gli errori di ortografia, anch’io spesso e volentieri ne metto quando scrivo di fretta, e per lo più non me ne accorgo neppure ^^” … Comunque sì, penso anch’io che la basilare correlazione tra DCA e DOC sia legata al fatto che vengono messi in atto una serie di comportamenti mirati a ridurre i livelli di ansia e a far percepire una qual certa sensazione di controllo… comportamenti che si estrinsecano con modalità diverse, ma che hanno lo stesso fine… Magari avere più studi mirati al riguardo, soprattutto per quanto riguarda la parte terapeutica… spero che verranno presto eseguiti…
@ Pulce – Bè, però il fatto che tu riconosca di avere dei “riti” rappresenta un punto di forza… perché sai su cosa poter andare a lavorare insieme alle dottoresse che ti seguono… Perché senz’altro un “rito” rappresenta un’efficace strategia di coping… ma puoi farti aiutare dalle persone che ti seguono a trovare delle strategie che siano maggiormente funzionali, e che non debbano necessariamente passare attraverso la ritualità…
@ Vele/Ivy – Io penso che servirebbero proprio cure personalizzate sulla singola paziente, perché ogni persona è una storia a sé… però, anche l’avere dei protocolli più attendibili per il trattamento di determinate comorbidità, per il momento, non sarebbe male…
@ anna – Grazie!...
@ Wolfie – Il medicinale di cui parli è un SSRI, ovvero un inibitore selettivo del reuptake della serotonina… ed è verissimo che viene utilizzato, tra le altre cose, anche nel trattamento dei disturbi d’ansia, sebbene si tratti questa di un’applicazione più trasversale… (Anche se, effettivamente, ultimamente l’uso degli SSRI s’è ampliato a una vasta gamma di patologie psichiatriche…) Certo, rispondere alle domande che proponi potrebbe essere una sfida interessante… anche se, per certi versi, credo che ci possa essere un certo margine di soggettività… perché sicuramente sarebbe un gran punto di forza se si riuscisse a trovare terapie più efficaci sia per DCA che per DOC…
@ Vanessa – Grazie mille per il tuo contributo, innanzitutto!... Ti ringrazio per aver puntualizzato tutto ciò che hai scritto nel tuo commento… e ti chiedo scusa se l’impostazione del mio post possa esserti parsa piuttosto semplicistica, considerato il tenore dell’argomento trattato… ho semplicemente cercato di mediare la tematica con il fatto che ho delle lettrici giovanissime, e quindi volevo che il post fosse fruibile anche per persone “non addette ai lavori”… In ogni caso, grazie davvero per le tue preziosissime precisazioni!!...
Sai, credo che l’eterogeneità dei gruppi di paziente su cui vengono condotti questi studi sia il principale fattore limitante degli stessi. D’altro canto, dati i disturbi di cui stiamo parlando, penso sarebbe estremamente difficile (per non dire sostanzialmente impossibile…) costruire un gruppo omogeneo… anche solo perché ogni persona ha la propria emotività, il proprio carattere, il proprio background… quindi paragonarla ad ogni qualsiasi altra è estremamente difficile…
Inoltre, l’altro limite – come anche tu fai notare – è rappresentato dal fatto che è veramente difficile stabilire se è nato prima il DCA, il DOC e quanto effettivamente essi siano interconnessi a livello del singolo, il che rende ulteriormente difficile trovare una “strategia terapeutica” che possa andare bene ad ogni qualsiasi persona…
In quanto all’E/PR, sono d’accordo con te: credo che l’esposizione molto graduale ad ogni qualsiasi stimolo ansiogeno possa essere la strategia migliore per ridurre l’ansia ad esso correlata… perché consente di adattarsi lentamente allo stimolo stesso, senza percepirlo come un carico emotivo eccessivo, il che lo rende tollerabile e, col tempo, permette di “normalizzarlo”.
E, tra l’altro… chissà se un domani non potremo essere colleghe, se anche tu sei interessata alla ricerca, visto che a me in futuro piacerebbe molto fare la ricercatrice (ovviamente nel mio campo, che è quello medico…) … magari!! ^__^
@ Hellie – Ciao Hellie, bentornata!... Mi fa davvero piacere rileggerti!... Certo che ripasserò anche dal tuo blog!... Ci si sente presto, allora… Ti abbraccio forte…
@ Chiarettacla – Ciao Chiarettacla, benvenuta!... Grazie per quello che hai scritto sul mio blog, mi fa davvero piacere se, in qualche modo, quello che scrivo può esserti d’aiuto. La mia mail è: veggie.any@gmail.com , se hai bisogno scrivimi pure… Un abbraccio stretto…
@ LyraNerina – Ciao!... Grazie per aver lasciato il tuo commento!... Non credo affatto che tu abbia scritto delle sciocchezze, anzi, tutt’altro: penso che le cose che tu hai scritto hanno certamente un senso o, quantomeno, hanno un senso per te stessa, sulla base di quella che è stata ed è tuttora la tua esperienza. Io credo che nei DCA la componente soggettiva della malattia sia elevatissima… ed è per questo che anche le psicoterapie funzionano meglio quando sono personalizzate sul singolo… Per cui, è tranquillamente plausibile il fatto che tu abbia potuto percepire il DOC come ulteriore metodica di placebo dell’ansia in aggiunta al DCA. Quel che è certo è che sicuramente tanto un DCA quanto un DOC siano strategie di coping essenzialmente mirate a lenire l’ansia grazie alla sensazione di (apparente) controllo che trasmettono… a prescindere poi dal peso in sé, anch’io sono assolutamente dell’idea che il peso sia un aspetto del tutto secondario nella dinamica mentale di un DCA. La domanda successiva da farsi, allora, secondo me, potrebbe essere: come posso riuscire a placare l’ansia senza mettere in atto comportamenti disfunzionali come quelli del DCA e del DOC?... e cercare di trovare una risposta.
P.S.= E, a proposito… non dire che il tuo DCA si è “cronicizzato”. Perché se dici così, ti costruisci da sola la tua prigione segregandoti in una situazione di immutabilità. Io credo che finchè una persona ha voglia di lavorare su se stessa, di combattere contro l’anoressia, non possa mai esistere una cronicizzazione, a prescindere dal tempo che passa dall’esordio clinico della malattia… Per cui, non ti limitare. Dopo “soli” 5 anni di malattia, hai tutta la possibilità e le capacità di riprenderti in mano la tua vita!... Ti abbraccio forte forte…
@ EsseCi – Sicuramente tutto gli studi psicologici hanno delle falle… perché sono compiuti sulla mentalità degli individui, ed essendo questa una cosa estremamente soggettiva, schematizzare e dare delle certezze in tale senso è molto difficile, per non dire proprio impossibile… Ed è per questo che, in tali campi, non credo si potrà mai arrivare a verità inoppugnabili… Però, se si riesce a muovere qualche passettino avanti, non è male… In quanto alla terapia cognitivo-comportamentale… anch’io penso che ci sia un bel margine di soggettività nell’apprezzamento o meno della stessa… che dipende sia dal tipo di disturbo nella fattispecie (per esempio, personalmente la ritengo più adatta al trattamento dei DOC piuttosto che dei DCA) sia dal carattere della persona che vi si sottopone…
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