venerdì 3 gennaio 2014
Diete e anoressia
Uno dei tanto classici quanto falsi luoghi comuni sull’anoressia, è che essa rappresenta il risultato di una dieta andata a finire male. Okay, dato che la maggior parte della gente pensa che l’anoressia sia la conseguenza di una dieta degenerata, vediamo un po’ di sfatare questo mito. E non semplicemente con il mio parere che, opinabile per definizione, ha una validità estremamente limitata, ma con l’aiuto di uno studio scientifico condotto da alcuni ricercatori finlandesi nel 2010.
Tanto per cominciare, immaginatevi due ipotetiche adolescenti: Adolescente A e Adolescente B. Entrambe le adolescenti “fanno una dieta”. Il che potrebbe significare che vogliono perdere qualche chilo, oppure che vogliono eliminare i fuoripasto e mangiare in maniera salutare, oppure che vogliono fare più attività fisica. A prescindere dal perché, le due ragazze iniziano a ridurre l’alimentazione in quantità e qualità. Adolescente A si comporta come la stragrande maggioranza delle persone che decidono di “mettersi a dieta”: un po’ riesce a seguirla, un po’ non ci riesce. Perde qualche chilo, poi lo riprende. In certi momenti fa più sport, in altri ne fa di meno. Dopo un po’ si annoia, e lascia perdere. Insomma, alla fin fine sta comunque bene. Per Adolescente B, invece, le cose vanno diversamente: si ammala di anoressia.
Le motivazioni tali per cui una persona sviluppa un DCA sono estremamente numerose nonché variabili da individuo ad individuo, poiché ogni persona ha un differente patrimonio genetico, un differente carattere, un differente background, delle differenti esperienze di vita, che si embricano in maniera estremamente complessa tra di loro, per dare vita al DCA stesso. Per cui, la frase “L’anoressia inizia con una dieta andata a finire male” mi sembra estremamente riduttiva. Sicuramente all’esordio dell’anoressia c’è una restrizione alimentare, per cui potrebbe semmai essere più corretto il dire: “L’anoressia inizia con un bilancio energetico negativo”… ma non è questo il punto. Perché è molto più vero il contrario: la stragrande maggioranza delle diete non portano all’anoressia. Dunque, cos’è che rende una piccola percentuale di persone vulnerabili allo sviluppo di un conclamato DCA dopo un periodo di bilancio energetico negativo?
Alcuni ricercatori finlandesi, perciò, hanno deciso di provare a vedere se esistesse un modo per predire quali, tra le millemila ragazzine che “fanno la dieta”, avessero un più alto rischio di sviluppare un disturbo alimentare conclamato. Il loro studio ha dimostrato che esiste. La risposta sembra essere legata alla comprensione di quelle che sono le vere motivazioni che spingono una ragazza a restringere l’alimentazione. Se l’intraprendere un regime alimentare restrittivo è motivato da manie di controllo, ansia, ossessività, senso di colpa, difficoltà relazionali, pregressi eventi vissuti come traumatici, scarsa autostima, rabbia, etc, sarà molto facile che la persona sviluppi l’anoressia, cosa che invece non succede praticamente mai alle persone che si mettono a dieta prettamente per motivi estetici.
Questi scienziati finlandesi sono dunque partiti proprio da questa domanda: quali fattori rendono alcune adolescenti più propense a sviluppare un DCA rispetto ad altre, che pure “fanno la dieta”? Nel formulare il loro studio hanno prestato attenzione non solo alle differenze nel comportamento alimentare ma soprattutto (la parte più importante del loro studio, a mio avviso) a numerose variabili psicologiche – il che dimostra che l’anoressia non è banalmente una “dieta degenerata”, ma ci stano ben altre problematiche dietro. Insomma, per rispondere alla domanda questi scienziati hanno inizialmente reclutato 595 ragazze finlandesi di 15 anni. Tutte queste ragazze hanno risposto a dei questionari relativi alla loro passata/presente salute fisica e mentale, ai loro comportamenti, alle loro esperienze di vita, e ad alcune brevi domande relative a diete e DCA. (Isomaa et al., 2010).
128 di queste ragazze avevano comportamenti alimentari restrittivi e rispondevano a uno o più dei criteri diagnostici del DSM-IV per i DCA, per cui sono state richiamate per interviste face-to-face più dettagliate. Solo 113 delle 128 ragazze sono ritornate per sottoporsi al colloquio orale, e di queste 81 sono state considerate “a rischio sviluppo anoressia”. Soltanto 65 di queste, però, si sono presentate ai successivi follow-up. I ricercatori però non hanno condotto ulteriori indagini sulle ragazze che seguivano una dieta ma non rispondevano a nessun criterio del DSM-IV per i DCA, e non le hanno neanche sottoposte a follow-up: questo secondo me è il grosso punto debole di questo studio (anche perché le persone indagate sono rimaste solo quelle che fin dall’inizio presentavano un comportamento borderline verso il DCA, il che ha probabilmente influenzato negativamente la significatività dei loro risultati).
Ad ogni modo, con le 81 interviste orali ottenute, i ricercatori hanno suddiviso le quindicenni in 4 gruppi mutualmente esclusivi (le cui descrizioni le traduco direttamente dallo studio in questione):
A dieta per vanità (in originale: “Vanity Dieters” – mi scuso per le pessime traduzioni di questi termini, ma non esiste un diretto equivalente in italiano) (28 ragazze). Le ragazze a dieta per vanità hanno iniziato la loro dieta per ottenere un corpo più snello, più sensuale e più appetibile, potremmo dire più in linea con gli standard della società odierna. Si mettono dunque a dieta con un obiettivo ben preciso, e generalmente la loro dieta prevede l’eliminazione di cibi ad alto contenuto calorico, dei dolci, associato ad un modesto incremento dell’attività fisica.
A dieta per sovrappeso (in originale: “Overweight Dieters”) (12 ragazze). Le ragazze a dieta per sovrappeso hanno iniziato la loro dieta per cercare di evitare la comparsa di quelle patologie che tipicamente si associano al sovrappeso e all’obesità (come per esempio il Diabete Mellito di tipo II, l’ipertensione arteriosa, la sindrome metabolica, etc…). La loro dieta è moderata, e anche l’esercizio fisico è contenuto e regolare. Questo gruppo include solo e soltanto ragazze che quando si sono messe a dieta erano oggettivamente sovrappeso (B.M.I.>25).
A dieta per sconquasso emotivo (in originale: “Depressed Dieters”) (33 ragazze). Le ragazze a dieta per sconquasso emotivo hanno iniziato la loro dieta in un momento particolarmente difficile della loro vita, che le aveva emotivamente molto scosse, con l’idea che le loro problematiche avrebbero potuto migliorare perdendo del peso. La tipologia di dieta è variabile tra queste ragazze, ma nella maggior parte dei casi è caratterizzata dal saltare pasti, abbuffarsi e poi vomitare, assumere lassativi, o fare tantissima attività fisica per regolare l’apporto energetico.
A dieta per bisogno di controllo (in originale: “Controllers Dieters”) (8 ragazze). Le ragazze a dieta per bisogno di controllo forniscono proprio questa spiegazione quando vengono chieste le motivazioni per cui la dieta è stata intrapresa: perché avevano bisogno di controllare tutto, anche l’alimentazione. Nella stragrande maggioranza dei casi sono ragazze originariamente normopeso o addirittura sottopeso. La loro dieta consiste nel ridurre progressivamente quantità e variabilità degli alimenti ingeriti.
[La descrizione dell’ultima categoria mi colpisce molto perchè personalmente me la ritrovo in pieno, dal momento che la mia restrizione alimentare è stata sempre strettamente legata alla mia necessità di sentire che tenevo tutto sotto controllo, alimentazione compresa.]
Fatta questa prima suddivisione in 4 gruppi, i ricercatori hanno considerato i primi 2 separatamente dagli altri 2: ai primi 2 gruppi è stato ascritto un basso rischio di sviluppare un DCA, viceversa gli ultimi 2 gruppi sono stati definiti come ad alto rischio di DCA.
Questa suddivisione è stata confermata ad un follow-up eseguito dopo 3 anni, ad Agosto 2013. Nelle persone appartenenti ai primi 2 gruppi, quelli considerato cioè a basso rischio, solo 3 persone avevano sviluppato un DCA subclinico, e nessuna un DCA conclamato. Viceversa, negli altri 2 gruppi, ovvero quelli considerati ad alto rischio, ben 10 avevano sviluppato un DCA subclinico, e addirittura 19 avevano sviluppato un DCA conclamato. Le differenze sono evidentemente statisticamente significative: le ragazze dei 2 gruppi ad alto rischio avevano una probabilità circa 15 volte maggiore di sviluppare un DCA rispetto alle altre. Notevole, come risultato.
Gli autori dello studio concludono:
“Quel che abbiamo scoperto ha palesi implicazioni cliniche: anche il solo chiedere da parte di genitori, insegnanti, allenatori, chiunque stia quotidianamente vicino alle adolescenti, il perché si sono messe a dieta, può dare un’idea della probabilità che quella ragazza possa sviluppare un DCA. Le ragazze che si mettono a dieta perché hanno delle difficoltà nella loro vita quotidiana o delle difficoltà emotive, o che sembrano eccessivamente attratte da un bisogno di controllo, devono essere strettamente monitorate. Lo studio suggerisce inoltre che le diete seguite dalle adolescenti sono sostanzialmente innocue, se non motivate dalle caratteristiche presenti negli ultimi 2 sottogruppi.”
(mia traduzione)
Anche se personalmente non penso che le ragazze originariamente effettivamente sovrappeso che si mettono a dieta debbano essere automaticamente considerate come soggetti a basso rischio di sviluppo di un DCA (poiché io credo che se la persona ha dei vissuti emotivi pesanti o delle manie di controllo, è comunque ad alto rischio, quale che sia il suo peso di partenza), penso che comunque i risultati di questo studio siano importanti ed interessanti, perché mostrano che, appunto, l’anoressia non è la mera conseguenza di una dieta finita male, ma è piuttosto successiva a problematiche psicologiche d’altro tipo. Inoltre questo studio permette, sebbene ovviamente in maniera approssimativa, di valutare sulla base delle motivazioni alla dieta, se la ragazza è effettivamente a rischio di sviluppare un DCA, o se la sua dieta è sostanzialmente innocua.
Tanto per cominciare, immaginatevi due ipotetiche adolescenti: Adolescente A e Adolescente B. Entrambe le adolescenti “fanno una dieta”. Il che potrebbe significare che vogliono perdere qualche chilo, oppure che vogliono eliminare i fuoripasto e mangiare in maniera salutare, oppure che vogliono fare più attività fisica. A prescindere dal perché, le due ragazze iniziano a ridurre l’alimentazione in quantità e qualità. Adolescente A si comporta come la stragrande maggioranza delle persone che decidono di “mettersi a dieta”: un po’ riesce a seguirla, un po’ non ci riesce. Perde qualche chilo, poi lo riprende. In certi momenti fa più sport, in altri ne fa di meno. Dopo un po’ si annoia, e lascia perdere. Insomma, alla fin fine sta comunque bene. Per Adolescente B, invece, le cose vanno diversamente: si ammala di anoressia.
Le motivazioni tali per cui una persona sviluppa un DCA sono estremamente numerose nonché variabili da individuo ad individuo, poiché ogni persona ha un differente patrimonio genetico, un differente carattere, un differente background, delle differenti esperienze di vita, che si embricano in maniera estremamente complessa tra di loro, per dare vita al DCA stesso. Per cui, la frase “L’anoressia inizia con una dieta andata a finire male” mi sembra estremamente riduttiva. Sicuramente all’esordio dell’anoressia c’è una restrizione alimentare, per cui potrebbe semmai essere più corretto il dire: “L’anoressia inizia con un bilancio energetico negativo”… ma non è questo il punto. Perché è molto più vero il contrario: la stragrande maggioranza delle diete non portano all’anoressia. Dunque, cos’è che rende una piccola percentuale di persone vulnerabili allo sviluppo di un conclamato DCA dopo un periodo di bilancio energetico negativo?
Alcuni ricercatori finlandesi, perciò, hanno deciso di provare a vedere se esistesse un modo per predire quali, tra le millemila ragazzine che “fanno la dieta”, avessero un più alto rischio di sviluppare un disturbo alimentare conclamato. Il loro studio ha dimostrato che esiste. La risposta sembra essere legata alla comprensione di quelle che sono le vere motivazioni che spingono una ragazza a restringere l’alimentazione. Se l’intraprendere un regime alimentare restrittivo è motivato da manie di controllo, ansia, ossessività, senso di colpa, difficoltà relazionali, pregressi eventi vissuti come traumatici, scarsa autostima, rabbia, etc, sarà molto facile che la persona sviluppi l’anoressia, cosa che invece non succede praticamente mai alle persone che si mettono a dieta prettamente per motivi estetici.
Questi scienziati finlandesi sono dunque partiti proprio da questa domanda: quali fattori rendono alcune adolescenti più propense a sviluppare un DCA rispetto ad altre, che pure “fanno la dieta”? Nel formulare il loro studio hanno prestato attenzione non solo alle differenze nel comportamento alimentare ma soprattutto (la parte più importante del loro studio, a mio avviso) a numerose variabili psicologiche – il che dimostra che l’anoressia non è banalmente una “dieta degenerata”, ma ci stano ben altre problematiche dietro. Insomma, per rispondere alla domanda questi scienziati hanno inizialmente reclutato 595 ragazze finlandesi di 15 anni. Tutte queste ragazze hanno risposto a dei questionari relativi alla loro passata/presente salute fisica e mentale, ai loro comportamenti, alle loro esperienze di vita, e ad alcune brevi domande relative a diete e DCA. (Isomaa et al., 2010).
128 di queste ragazze avevano comportamenti alimentari restrittivi e rispondevano a uno o più dei criteri diagnostici del DSM-IV per i DCA, per cui sono state richiamate per interviste face-to-face più dettagliate. Solo 113 delle 128 ragazze sono ritornate per sottoporsi al colloquio orale, e di queste 81 sono state considerate “a rischio sviluppo anoressia”. Soltanto 65 di queste, però, si sono presentate ai successivi follow-up. I ricercatori però non hanno condotto ulteriori indagini sulle ragazze che seguivano una dieta ma non rispondevano a nessun criterio del DSM-IV per i DCA, e non le hanno neanche sottoposte a follow-up: questo secondo me è il grosso punto debole di questo studio (anche perché le persone indagate sono rimaste solo quelle che fin dall’inizio presentavano un comportamento borderline verso il DCA, il che ha probabilmente influenzato negativamente la significatività dei loro risultati).
Ad ogni modo, con le 81 interviste orali ottenute, i ricercatori hanno suddiviso le quindicenni in 4 gruppi mutualmente esclusivi (le cui descrizioni le traduco direttamente dallo studio in questione):
A dieta per vanità (in originale: “Vanity Dieters” – mi scuso per le pessime traduzioni di questi termini, ma non esiste un diretto equivalente in italiano) (28 ragazze). Le ragazze a dieta per vanità hanno iniziato la loro dieta per ottenere un corpo più snello, più sensuale e più appetibile, potremmo dire più in linea con gli standard della società odierna. Si mettono dunque a dieta con un obiettivo ben preciso, e generalmente la loro dieta prevede l’eliminazione di cibi ad alto contenuto calorico, dei dolci, associato ad un modesto incremento dell’attività fisica.
A dieta per sovrappeso (in originale: “Overweight Dieters”) (12 ragazze). Le ragazze a dieta per sovrappeso hanno iniziato la loro dieta per cercare di evitare la comparsa di quelle patologie che tipicamente si associano al sovrappeso e all’obesità (come per esempio il Diabete Mellito di tipo II, l’ipertensione arteriosa, la sindrome metabolica, etc…). La loro dieta è moderata, e anche l’esercizio fisico è contenuto e regolare. Questo gruppo include solo e soltanto ragazze che quando si sono messe a dieta erano oggettivamente sovrappeso (B.M.I.>25).
A dieta per sconquasso emotivo (in originale: “Depressed Dieters”) (33 ragazze). Le ragazze a dieta per sconquasso emotivo hanno iniziato la loro dieta in un momento particolarmente difficile della loro vita, che le aveva emotivamente molto scosse, con l’idea che le loro problematiche avrebbero potuto migliorare perdendo del peso. La tipologia di dieta è variabile tra queste ragazze, ma nella maggior parte dei casi è caratterizzata dal saltare pasti, abbuffarsi e poi vomitare, assumere lassativi, o fare tantissima attività fisica per regolare l’apporto energetico.
A dieta per bisogno di controllo (in originale: “Controllers Dieters”) (8 ragazze). Le ragazze a dieta per bisogno di controllo forniscono proprio questa spiegazione quando vengono chieste le motivazioni per cui la dieta è stata intrapresa: perché avevano bisogno di controllare tutto, anche l’alimentazione. Nella stragrande maggioranza dei casi sono ragazze originariamente normopeso o addirittura sottopeso. La loro dieta consiste nel ridurre progressivamente quantità e variabilità degli alimenti ingeriti.
[La descrizione dell’ultima categoria mi colpisce molto perchè personalmente me la ritrovo in pieno, dal momento che la mia restrizione alimentare è stata sempre strettamente legata alla mia necessità di sentire che tenevo tutto sotto controllo, alimentazione compresa.]
Fatta questa prima suddivisione in 4 gruppi, i ricercatori hanno considerato i primi 2 separatamente dagli altri 2: ai primi 2 gruppi è stato ascritto un basso rischio di sviluppare un DCA, viceversa gli ultimi 2 gruppi sono stati definiti come ad alto rischio di DCA.
Questa suddivisione è stata confermata ad un follow-up eseguito dopo 3 anni, ad Agosto 2013. Nelle persone appartenenti ai primi 2 gruppi, quelli considerato cioè a basso rischio, solo 3 persone avevano sviluppato un DCA subclinico, e nessuna un DCA conclamato. Viceversa, negli altri 2 gruppi, ovvero quelli considerati ad alto rischio, ben 10 avevano sviluppato un DCA subclinico, e addirittura 19 avevano sviluppato un DCA conclamato. Le differenze sono evidentemente statisticamente significative: le ragazze dei 2 gruppi ad alto rischio avevano una probabilità circa 15 volte maggiore di sviluppare un DCA rispetto alle altre. Notevole, come risultato.
Gli autori dello studio concludono:
“Quel che abbiamo scoperto ha palesi implicazioni cliniche: anche il solo chiedere da parte di genitori, insegnanti, allenatori, chiunque stia quotidianamente vicino alle adolescenti, il perché si sono messe a dieta, può dare un’idea della probabilità che quella ragazza possa sviluppare un DCA. Le ragazze che si mettono a dieta perché hanno delle difficoltà nella loro vita quotidiana o delle difficoltà emotive, o che sembrano eccessivamente attratte da un bisogno di controllo, devono essere strettamente monitorate. Lo studio suggerisce inoltre che le diete seguite dalle adolescenti sono sostanzialmente innocue, se non motivate dalle caratteristiche presenti negli ultimi 2 sottogruppi.”
(mia traduzione)
Anche se personalmente non penso che le ragazze originariamente effettivamente sovrappeso che si mettono a dieta debbano essere automaticamente considerate come soggetti a basso rischio di sviluppo di un DCA (poiché io credo che se la persona ha dei vissuti emotivi pesanti o delle manie di controllo, è comunque ad alto rischio, quale che sia il suo peso di partenza), penso che comunque i risultati di questo studio siano importanti ed interessanti, perché mostrano che, appunto, l’anoressia non è la mera conseguenza di una dieta finita male, ma è piuttosto successiva a problematiche psicologiche d’altro tipo. Inoltre questo studio permette, sebbene ovviamente in maniera approssimativa, di valutare sulla base delle motivazioni alla dieta, se la ragazza è effettivamente a rischio di sviluppare un DCA, o se la sua dieta è sostanzialmente innocua.
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20 commenti:
Hmmm. Di solito sono tendenzialmente d’accordo con quello che scrivi. Ma penso che il post di oggi sia affetto da un vizio di forma.
Lo studio in questione è notevole, cazzo, e chi lo nega, anch’io mi ritrovo assai nel 4° gruppetto, ma la domanda che ti faccio è: una persona deve essere consapevole che sta seguendo una dieta, per ESSERE a dieta? Me lo chiedo perché se qualcuno mi domandasse se ho mai fatto una dieta, la mia risposta di getto sarebbe: NO. Non ho mai “fatto una dieta”. Non ho mai pensato al mio comportamento alimentare come al “fare una dieta”.
Ho ristretto l’alimentazione, cazzo se l’ho fatto. TANTISSIMO. Ho dannatamente ristretto l’alimentazione. Ma non ho mai pensato a ciò come a “una dieta”. La dieta era quella che facevano quelle oche lobotomizzate delle mie idiote di colleghe per entrare in una 36, la mia restrizione alimentare era basata esclusivamente su una mia necessità psicologica di controllo totale ed assoluto. Non me ne fregava un cazzo di perdere o non perdere peso. Non me ne fregava un cazzo della salute. Non me ne fregava un cazzo della mia fisicità. Non me ne fregava un cazzo degli standard della società. Il cibo ridotto era solo un mezzo che avevo a disposizione per sentirmi in controllo. Non c’è mai stato nient’altro.
E mi pare assurdo che la gente definisca la mia restrizione alimentare “dieta” – perchè io non l’ho mai vissuta come tale. E mi chiedo perciò se tutte le ragazze appartenenti al 3° e al 4° gruppo non abbiano vissuto la “dieta” allo stesso modo in cui l’ho vissuta io – niente a che vedere col dimagrire, solo un modo per stare meglio a fronte dei propri problemi.
Poi non so, forse sono io che non ho capito una sega di cosa significhi il termine “dieta” – per me “mettersi a dieta” ha sempre voluto dire alimentarsi in maniera corretta per persone con particolari esigenze mediche (tipo i diabetici) o con reale obesità, persone aventi un’effettiva necessità di regolarizzare l’alimentazione. Per cui, non capisco per quale fottuto motivo la parola “dieta” venga utilizzata per descrivere persone che restringono l’alimentazione, che mangiano e poi vomitano, che si ammazzano di attività fisica. Mi sembra che qui ci sia un abuso o comunque un uso completamente erroneo del termine “dieta”. Voglio dire, piuttosto che “stare a dieta” queste persone hanno comportamenti quali la restrizione alimentare, il vomito autoindotto, e compagnia bella, che sono propri di un disturbo alimentare.
La parola “dieta” mi sta proprio sui coglioni quando si parla di anoressia. E’ una parola che può essere usata dagli stronzi in camice bianco, i cosiddetti medici, per indicare “la prescrizione di un piano alimentare specifico al fine di ottenere un ben preciso risultato medico”. Allora la “dieta” può essere considerata quel regime alimentare che viene prescritto dai dietisti e che consiste in una serie di prescrizioni alimentari ai fini di far tornare una persona in salute. QUESTA è una “dieta”. Un piano alimentare monitorizzato con un preciso scopo medico.
L’anoressia è ben altro che una banale “dieta”.
Come post da inizio anno questo è una "bomba"! ;)
Anche io trovo strano che abbiano richiamato solo le ragazze risultate "positive" al test, ma probabilmente si può spiegare con la scarsità dei fondi destinati a quella particolare ricerca.
Concordo con Jonny nel dire che non sempre si è consapevoli di star seguendo una dieta e che si può non ritenersi "a dieta" anche in un comportamento restrittivo...anche se si può "non ritenersi a dieta" anche nell'ossessione per il mangiare sano ed ecocompatibile (il che sembra una composizione esplosiva di ortoressia e anoressia, ma a detta di certi vegan-talebani tutto ciò dovrebbe salvare il mondo dalla distruzione...)
Il problema di fondo della ricerca credo che potrebbe essere questo: i ricercatori che l'hanno condotta sono partiti dallo "stereotipo" del DCA (=adolescente anoressica) anziché dalle cause. A me piacerebbe leggere di uno studio che mi spieghi: perché se ci sono due persone con stesse problematiche una sviluppa un DCA e l'altra diventa un serial killer?
Scusa, guardo troppi polizieschi #^_^#
Buona settimana!
Sai, Veggie, mi trovo in una strana posizione.
Da un lato rientro in tutti e quattro i gruppi di «ragazze a dieta» (sì l'ho fatto per vanità, sì non ero peso forma -bmi 23 in partenza-, sì l'ho fatto perché credevo che avrei risolto molti dei miei problemi e sì. L'ho fatto perché mi ritenevo una smidollata senza capacità di controllo), d'altra parte mi ritrovo in quello che dice Jonny: non mi sentivo a dieta.
Questi cinque profili non sono sempre saltati fuori contemporaneamente ma sono sempre stati presenti nella mia vita. Negli ultimi anni oscillo tra consapevolezza di avere un problema e la negazione dello stesso...
Se chiedessero perché ho cominciato a restringere l'alimentazione risponderei «perché ne sentivo il bisogno» o magari «perché ero un'obesa senza speranze», ma nessuna risposta potrebbe far capire perché davvero ho cominciato a restringere.
E la verità temo che sia 'per (a volte latente) disprezzo per me stessa' :)
@GaiaCincia: la ricerca non è stata fatta in Italia, i fondi ce li avevano di sicuro ;)
Senz’altro mi rispecchio nel terzo gruppo elencato da questo studio. E senz’altro sono d’accordo nel ritenere che un dca sia scaturito da problematiche che vanno ben oltre il voler “fare una dieta”, cosa per altro abbastanza comune tra le adolescenti, ma che nella maggior parte dei casi non sfocia in un dca. Ho avuto tante compagne di classe che “facevano le dieta”, poi però nessuna di loro si è ammalata di un dca. E io che invece volevo solo stare meglio, sentirmi meglio con me stessa, ecco che sono piombata nella bulimia.
Io non ho mai pensato al mio dca come ad una “dieta”, banalmente perché intercalavo momenti in cui cercavo di mangiare poco con abbuffate, per cui le caratteristiche in sé erano tali da non far pensare ad una dieta; ma comunque anche nelle prime fasi della malattia, quando effettivamente mangiavo di meno e facevo più esercizio fisico senza che fossero ancora comparse le abbuffate, non pensavo a quello che facevo come ad una “dieta”, ma come, appunto, ad un modo per sentirmi meglio con me stessa. Ovviamente il pensiero di base era malato perché, adesso lo riconosco e lo ammetto, è malato pensare di poter stare meglio con se stesse semplicemente sulla base del proprio peso, per stare meglio con se stesse ci vuole un lavoro su di sé che non ha niente a che vedere con l’alimentazione, ma io sul momento non me ne rendevo conto, e pensavo che tutto passasse attraverso il cibo, cosa ovviamente errata.
Forse una piccola percentuale di persone avrà sviluppato un dca perché la dieta gli è andata male, è possibile, ma di certo non sono la maggior parte!!!!!!!!!!!! E comunque se “la dieta gli è andata male” è perché dietro il fare quella dieta covavano problematiche ben più grosse ed importanti, se gli ha preso la mano così tanto da degenerare in un dca.
Per persephoneen:
I profili proposti da uno studio per forza di cose sono rigidi, perché c’è una necessità di “classificazione scientifica” che richiede una certa rigidità, però noi siamo esseri umani, e quindi non possiamo essere totalmente rigide e categorizzabili, per cui non vedo niente di strano nel fatto che tu ti rispecchi un po’ in tutte e quattro le categorie. Ti auguro di riuscire a lavorare sul tuo disprezzo per te stessa, e a stare meglio: la tua consapevolezza è una gran cosa, non permettere che venga sopraffatta dalla negazione!!!!!!!!!!!!!!!!!!
Un abbraccione!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
A me e' piaciuto tantissimo invece questo post, ma ho letto con altrettanto interesse là tua risposta.. Veggie ha fatto un riassunto di questa indagine, quindi non vengono dette quali domande siano state poste alle ragazze nei test..
Ma sono d'accordo con te che là parola dieta sia spesso fraintesa o usata diversamente dal significato che si trova sul vocabolario: spesso indica un alimentazione atta a dimagrire, ma invece dieta sta a indicare il piano alimentare che segui, x quello andrebbe specificato secondo me se dieta dieta dimagrante o dieta ingrassante..
Ma non sapendo le domande poste non sarei del tutto contro questo post, magari là paola dieta non l'hanno usata.. Ma cmq condivido il tuo pensiero: là parola dieta ha significati diversi da persona a persona..
@Wolfie: ti mando un forte abbraccio e...grazie :)
So che qui non è il posto giusto, ma ho trovato oggi un articolo che mi ha molto interessato sul "b.e.d." e ci tenevo a fartelo leggere: Binge eating disorder is an *actual* eating disorder
È più uno sfogo che un articolo scientifico, ma credo che sia importante ;)
Buon giornata!!
E' vero, sono dei risultati molto interessanti, perché si va a cercare la causa della dieta, si risale la fonte, per così dire. Mi chiedo però se tutte coloro che soffriranno di disturbi alimentari siano consapevoli delle loro motivazioni iniziali o se siano propense ad ammetterle... cioè, anche se una lo fa per manie di controllo, è probabile che per evitare problemi all'inizio dica che lo fa solo perché si sente un po' sovrappeso. Poi magari la mia è un'idea sbagliata, non essendo mai stata "dentro" il problema...
Ciao Veggie, come prima cosa... Buon Anno!
In secondo luogo, ci credi che la prima dieta che ho fatto nella mia vita è stata 4 anni fa per uscire dall'anoressia???
:)
Ciao!!!
Il dca è quasi sempre una combinazione dei sintomi di tutti e 4 i gruppi: vanità, sovrappeso, traumi e bisogno di controllo.
Cara Veggie, sono la ragazza che qualche post fa aveva commentato per ringraziarti della lettera che ora leggo quando ho bisogno di farmi forza.
Grazie per la bellissima risposta che
mi hai dato! Mi ha trasmesso tanta voglia di continuare a combattere!
Continuo a leggere i tuoi post e a rassicurarmi, pensando che non sono da sola in questa lotta. Un abbraccio. Deb
Per me è stato proprio così.. ho cominciato a cercare di mettermi a dieta fin da quando ero alle medie. Comincio domani, comincio lunedì, comincio dopo le vacanze.. duravo una settimana, perdevo qualcosa e poi lo rimettevo, e tutto cone prima. Sostanzialmente non me ne fregava nulla. Mi sarebbe piaciuto un sacco essere magra e bella, ma non lo vedevo alla mia portata, io non ne ero capace, non ci riuscivo. Mi facevo dare le diete seguite dai miei amici che avevano perso peso.. ma non le cominciavo neanche. Mi scocciava cucinare cose particolari apposta per me, fare la spesa, le verdure mi disgustavano, alla frutta non ero abituata..
Poi non so cosa sia successo. A settembre 2012 mi sono messa a dieta. Sul serio. Solo che non era una dieta vera, mi nutrivo semplicemente di cavolfiore bollito e minestrone. E di biscotti di notte. Ho cmq perso 12 kg in 3 mesi. Sono anche andata dal dietologo a farmi fare una vera dieta, ma non l'ho mai seguita. Troppi carboidrati. Le calorie non mi interessavano, non le contavo. Non pensavo di avere un problema, ero solo una ragazza grassa che finalmente era riuscita a fare la dieta. Ed ero felice. Ho mantenuto il traguardo raggiunto, mangiando sempre minestroni e dolciumi, in quantità esagerate. A giugno 2013 mi sobo resa conto che così non poteva andare, mangiavo troppo male, e poi ero ancora grassa. Cominciai a contare le calorie e a vomitare dopo le abbuffate. Persi 5 kg in un mese e mezzo. Non mi venne più il ciclo, ebbi problemi ai reni, allo stomaco.. Tornai dal dietologo. Mi propose una dieta di mantrnimento di sole 1000 calorie. Troppe per me. Mi disse che per stare meglio avrei dovuto mettere su qualche kg, magari un paio. No. Mi chiese se fosse più importante il peso o la salute. Abbassai gli occhi ma risposi "il peso", mentre il mio ragazzo lì accanto mi inveiva contro.
Ho mantenuto il nuovo peso raggiunto per qualche mese, mi era anche tornato il ciclo. Smisi quasi completamente di vomitare. Ma ora, a dicembre, ho perso altri 2 kg. E non riesco a ritrovare la strada del mantenimento..
La dieta è diventata una trappola, un'ossessione, un disturbo alimentare. Non saprei nemmeno dire quando.. fin da subito? Quando ho cominciato a vomitare? Quando ho cercato di diventare vegetariana e il ferro mi è sceso sotto i piedi? Quando ho vomitato due volte la stessa sera al matrimonio di un amico del mio ragazzo? Quando ho anteposto il peso alla salute? Quando ho cominciato a contare le calorie?
All'inizio era bello dimagrire.. ero forte, ero potente, ero controllata. Perchè ero io a controllare la dieta. Poi si è trasformata, ed è stata lei a controllare me..
Perchè non era successo prima? Che cos'è cambiato? Perchè proprio la dieta di quel settembre è andata a finire male? Questa domanda mi tormenta insieme alla ovvia "e ora come ne esco?"
@ Jonny – Hai ragione, effettivamente i ricercatori avrebbero potuto spiegare più dettagliatamente cosa intendessero utilizzando la parola “dieta”, e anche quanto le persone “a dieta” si rendono effettivamente conto di esserlo, a seconda che abbiano un DCA o meno. Effettivamente, anch’io con l’anoressia non ho mai pensato di stare “a dieta”, perché anche per me essa era il modo per soddisfare un mio bisogno di controllo, per cui se qualcuno nel periodo peggiore della mia anoressia mi avesse chiesto se stavo a dieta, credo proprio che avrei risposto di no… In effetti, quelle riportate relativamente alle ragazze degli ultimi 2 gruppi, più che diete sembrano proprio prodromi del DCA…
@ GaiaCincia – Onestamente non so quanti fondi fossero stati stanziati per lo studio in questione… Però magari (mia ipotesi) hanno richiamato solo le ragazze positive al test perché erano quelle che, sulla base di questa positività, avevano più possibilità di sviluppare un DCA teoricamente parlando… Comunque non so se esista uno studio come quello che ipotizzi tu, dovrei informarmi, anche se a naso penso che è molto difficile che esistano 2 persone che abbiano le stesse identiche problematiche (dovrebbero essere cloni…!), e che quello che porta al DCA sia diverso per ciascuna di noi… così come quello che porta ad ogni qualsiasi altra problematica, compreso il diventare un serial killer!... Hai perfettamente ragione sul fatto che, nella mentalità di chi ha l’anoressia, la restrizione alimentare non viene vissuta strettamente come sinonimo di dieta (anche per me è stato così, effettivamente…), e su questo punto gli autori dello studio avrebbero effettivamente potuto essere più chiari… Sui vegani non mi pronuncio: non condivido assolutamente una scelta alimentare di questo tipo, ma rispetto l’opinione e le scelte altrui.
@ persephoneen – Può darsi che l’ultima che hai scritto sia la tua verità… ma, se ci pensi, è una verità superficiale, quasi uno schermo. Il disprezzo per te stessa non credo sia una cosa innata, di certo nasce da qualcosa di più profondo, che magari varrebbe la pena di analizzare per uscire dall’impasse consapevolezza-negazione… Magari lavorare sulle problematiche che ti hanno fatto maturare del disprezzo per te stessa potrebbe esserti utile per capire quali sono le ragione che ti hanno spinto verso il DCA… Non perché questo sia risolutivo, né perché penso che rivangare il passato abbia particolare valenza sul presente, ma sicuramente credo che conoscere alcuni dei meccanismi che guidano i nostri comportamenti e le nostre percezioni possa essere utile per darci un strumento in più nella nostra quotidiana lotta contro il DCA…
P.S.= Grazie per il link!... Perché pensi che non sia il posto giusto?... Qualsiasi cosa scritta da una persona che abbia vissuto e viva l’esperienza di un DCA è sempre importante da condividere…
@ Wolfie – Se tutto il conquibus dei DCA fosse una dieta sfuggita di mano, credo sarebbe ben più facile il tirarsene fuori… E il fatto che la stragrande maggioranza delle adolescenti faccia almeno una dieta nella sua vita, e non si ammali di DCA, è un dato di gran lunga statisticamente più significativo di quelle – rare – eccezioni che invece si ammalano. Hai detto una cosa giustissima quando hai scritto che era una cosa che facevi solo per stare meglio con te stessa… Credo che questa sia una differenza fondamentale tra chi ha un DCA e che effettivamente mangia un po’ meno solo per poter indossare con più disinvoltura il bikini in Estate… Poi, è ovvio che il peso ha poco e niente a che vedere con lo stare bene con noi stesse… sicuramente in parte c’incide, non lo nego, ma senz’altro la maggior parte dello stare bene con noi stesse ci deve venire da dentro… sennò tutta la fisicità del mondo non servirà a niente…
@ Raki89 – Effettivamente anche nello studio che è stato originariamente pubblicato in lingua inglese, viene utilizzata proprio la parola “dieta”… ma sono d’accordo con te (con tutte voi) sul fatto che questa parola venga spesso e volentieri utilizzata un po’ impropriamente, come probabilmente è stato fatto anche in questo caso…
@ Laura C. – Ciao Laura, benvenuta sul blog!!... Anche a me ha fatto estremamente piacere poter leggere il tuo commento!... Ti avevo letta in altri blog, e scrivi sempre cose estremamente intelligenti ed interessanti, quindi mi fa davvero tanto piacere che tu sia approdata anche qui da me!... Non ti devi affatto scusare per la lunghezza del tuo commento che non annoia per sempre, anzi, offre molti spunti di riflessione… e comunque il blog è proprio qui per questo, affinché ognuna possa scrivere quello che vuole e come vuole, quindi sentiti sempre libera di scrivere tutto ciò che vuoi…! Comunque, a parte questa premessa… Io penso che le “categorie rigide” come quelle proposte da questo studio, siano molto utili da un punto di vista strettamente medico: il riuscire a schematizzare le problematiche serve infatti a noi medici per avere un’idea più precisa di cosa abbiamo alle mani, e dunque capire qual è la maniera più opportuna d’intervenire da un punto di vista terapeutico. Ovviamente, questa rigida categorizzazione è relativa a persone, ad esseri umani, che sono “fluidi” per eccellenza: sicuramente ciascuna di noi si inquadra più nell’uno o nell’altro sottogruppo, ma poi è ovvio che ciascuna di noi abbia un differente carattere, delle differenti esperienze di vita, un differente background, che fanno sì che anche il singolo individuo possa oscillare fra 2 o più dei gruppi proposti. Basandomi unicamente su quello che mi scrivi (e tieni conto che non ho idea di chi sei, ed è la prima volta che mi scrivi, quindi la mia opinione è basata esclusivamente su quello che mi pare d’intuire dalle tue parole… chiedo venia in anticipo se dovessi sbagliare), mi sembra di capire che tu hai attraversato un lungo ed estenuante periodo di sconquassi emotivi, che sul momento sei magari anche riuscita egregiamente a tamponare, ma che hanno lavorato sotto, e che ti hanno apportato, in fondo, uno sconquasso interiore così grande, da illuderti che il controllare l’alimentazione potesse rappresentare una sorta di nuovo tampone quando tutti gli altri si erano sfasciati. Leggendo quello che mi racconti sul tuo vissuto, ho come l’impressone – correggimi se sbaglio – che tu abbia agito sull’alimentazione perché ti sentivi come se ti restasse il corpo come unico “oggetto” da manipolare, come unica arma da scagliare in faccia a volti disorientati per chiedere disperatamente un aiuto. Ma queste sono solo mie illazioni che, evidentemente, lasciano solo il tempo che trovano. (continua...)
(...continua) Per cui, arrivando a rispondere alle tue domande (come vedi la sintesi non è neanche il mio forte…) io credo che, no, tu non debba necessariamente rifletterti in un’unica categoria. Perché sei un essere umano, non sei un robot che risponde a determinati prerequisiti e da quelli non si schioda; tu hai tutta una tua malleabilità che deriva dalla tua esperienza di vita, quindi penso sia perfettamente legittimo che tu ti possa sentire oscillante tra 2 diverse categorie, possibilissimo che in te ci siano entrambe le cose, in misura variabile a seconda delle diverse stagioni della tua vita. E, in quanto alle cause… io sono FERMAMENTE CONVINTA che NON esista una sola causa alla base di un disturbo alimentare. Anzi, viceversa, sono del tutto convinta che i DCA siano malattie multifattoriali, e che alla comparsa di essi contribuiscano millemila concause differenti, agenti contemporaneamente e variabilissime da persona a persona. Penso altresì che il ricercarle (o, per lo meno, il ricercare le predominanti… credo che individuarle tutte sarebbe pressoché impossibile, data la loro numerosità) possa avere la sua importanza, ma che non sia la cosa più fondamentale: quello che personalmente ritengo sia veramente importante è il lavorare (grazie anche all’aiuto della psicoterapia, ovviamente) sul nostro presente, al fine di poterci costruire un futuro migliore. Ti ringrazio ancora per il tuo commento… ripassa pure quando vuoi, e scrivi tutto ciò che vuoi, sarai sempre la benvenuta!...
P.S.= I DCAnas sono contemplati e codificati in quanto tali dal DSM… Il termine “subclinico” fa riferimento ad un qualsiasi DCA che risponde solo ad alcuni dei criteri che se soddisfatti in toto fanno porre diagnosi di certezza di quel determinato DCA (ad esempio, se una persona risponde a 2 dei 4 criteri diagnostici per l’anoressia, diciamo che quella persona ha un’anoressia subclinica)…
@ Vele/Ivy – Certo, a parole si può dire quel che si vuole… anche solo per giustificare un comportamento alimentare palesemente anomalo davanti agli occhi altrui, credo che ciascuna di noi abbia dato fondo a tutta la sua fantasia per inventarsi tutte le scuse possibili ed immaginabili… Ma questa ovviamente è la superficie. Le motivazioni vere sono quelle che si hanno dentro, e che certo non ci si mette a dire agli altri… a volte le sappiamo perfettamente, a volte c’è bisogno della psicoterapia per tirarle fuori e vederci chiaro… questo varia un po’ da persona a persona, ovviamente…
@ Claudia – Ci credo eccome, cara Claudia, anche perché potrei dire esattamente la medesima cosa… Buon anno anche a te!... ^___^
@ Anonimo (06 Gennaio 2014, ore: 16.53) – Penso semplicemente che dipenda da persona a persona. Personalmente, io sono il gruppo 4 fatto e sputato, mi ritrae precisa, e non ho elementi comuni con gli altri 3 gruppi. Però, come dimostrano anche i commenti delle altre ragazze, c’è chi si identifica piena in un singolo gruppo, e chi si riconosce invece in due o più gruppi. Credo sia una cosa assolutamente soggettiva, essendo noi esseri umani dotati di enorme variabilità.
@ Deb – Figurati… Piuttosto grazie a te per il tuo commento, e per essere ripassata di qua!... Mi fa davvero un sacco di piacere leggere che stai continuando a combattere… perché lo so quanto sia dura e difficile la strada che stai percorrendo… lo so quanto sarebbe più semplice riabbandonarsi al DCA… Eppure, tu decidi scientemente, giorno dopo giorno, di tenere duro. E sarà proprio questa tenacia che ti porterà a tagliare i traguardi più importanti, e ad ottenere i migliori risultati. Non sarà mai facile, neanche nei giorni migliori… ma ti riapproprierai poco a poco della tua vita, e ti renderai conto che senza alcun dubbio ne valeva la pena.
Non sei sola. Io, noi, tutte quante, siamo sempre qui che combattiamo la tua stessa battaglia… fisicamente lontane, eppure in un certo senso fianco a fianco…
Ti abbraccio forte…
@ Softy S. – Secondo il mio parere, è esattamente il contrario… Mi spiego: non è la dieta che è diventata un disturbo alimentare… viceversa, è il disturbo alimentare che ti ha condizionato in che cosa/quanto mangiare… Per come la vedo io, il disturbo alimentare è la causa, e la dieta l’effetto, non viceversa… Il disturbo alimentare è la malattia, la dieta è solo un sintomo di questa malattia… Ma, a parte queste speculazioni che sono mera letteratura… Io credo che fissarsi a cercare di sviscerare per filo e per segno come mai è iniziato tutto, quali siano i minimi dettagli dell’esordio del DCA, sia una cosa abbastanza fine a se stessa. Non dico che non bisogna cercare cosa ci sta sotto al DCA, perché sicuramente ci sono problematiche da risolvere che sono tra le concause che hanno portato all’esordio del DCA stesso… però ritengo che sia abbastanza inutile sbattezzarsi alla ricerca di ogni singola causa, perché alla fine il passato è quello che è, e le cose successe non si possono cambiare. Infinitamente più utile, a mio avviso, è il trovare una risposta alla domanda con cui concludi il tuo commento: credo che sia proprio quella il fulcro del lavoro che devi (che ognuna di noi deve) fare su te stessa. A mio parere, e sulla base della mia esperienza, la forza di volontà e la ferma decisione di voler cambiare le cose rappresentano la chiave di volta per riuscire a combattere efficacemente contro il DCA… certo, a supporto di questo poi ci vogliono la psicoterapia e la riabilitazioni nutrizionale, perché è solo integrando tutte le cose che si può veramente arrivare a stare meglio…
@ Laura C. – Figurati Laura, grazie a te per avermi risposto nuovamente!... E’ un piacere – e altrettanto per me un onore – poter scambiare opinioni e pensieri con te!... Guarda, sono d’accordo con te sul fatto che, con gli anni, si matura una certa abitudine al controllo: è perfettamente naturale che sia così, perché il cervello umano è un organo programmato proprio per essere reiterativo, per cui più volte si fa una qualsiasi cosa (o ci si comporta in un determinato modo), più il nostro cervello tende ad assumere quella cosa/comportamento come default, da mettere un atto automaticamente e senza neanche bisogno di pensarci… Questa è mera biologia, il nostro cervello funziona così. La cosa a mio avviso positiva di questo tipo di funzionamento è che possiamo “abituare” il nostro cervello anche a comportamenti (alimentari e non) che non ci procurano nocumento, reiterandoli infinite volte, in maniera tale da andare a sostituire uno nuovo programma di default a quello che precedentemente si era adottato con la malattia. Questo naturalmente non significa che il soppiantamento sarà mai totale: a prescindere dall’anoressia, fin dall’infanzia io sono sempre stata una persona con una spiccata tendenza al controllo di qualsiasi cosa facessi… credo sia semplicemente la mia impronta caratteriale. Ergo, tenderò sempre a voler esercitare un certo controllo in quello che faccio… sono pienamente d’accordo con te sul fatto che questo controllo (sull’alimentazione e non) può costituire un mezzo di rappresentazione di noi stesse… quello che si può fare, più semplicemente, è cercare di canalizzare questo controllo in maniera tale da adottare strategie di coping che non compromettano la nostra salute fisica e mentale. In quanto al discorso della “diversità”, del sentirsi in qualche modo euforiche nella realizzazione di una diversità, ti lascio questo post… http://anoressiabulimiaafterdark.blogspot.it/2011/08/lasciar-andare-il-sentirsi-speciali.html
Ma non riesci a tenere la bocca chiusa Laura C. ??
Due sdolcinate logorroiche....che palle! Due analiste nella merda....
@ Anonimo (18 Gennaio 2014, ore: 07.43/45) – Bello che tu dica a Laura C. di tenere la bocca chiusa, quando poi sei il primo a sprecare fiato in futili commenti attaccabrighe. Ti faccio peraltro notare che se quello che scriviamo ti sembra palloso, nessuno ti sta obbligando a leggere. E dal momento che bazzichi un blog che parla solo di DCA e ti nascondi dietro l’anonimato per sfogare la tua vena passivo-aggressiva infamando ragazze che neanche conosci, la persona che è più nella merda sei palesemente proprio tu.
@ Laura C. – Penso che lavorare su se stessi, ovviamente con i propri tempi, sia indispensabile per la crescita interiore di qualsiasi essere umano. Ma ricordati che chi offende gratuitamente non ha mai ragione, qualsiasi cosa dica, anche se fosse una cosa giusta.
Molto interessante questo studio, ho pensato alla "dieta"che feci a 14 anni e devo dire che si,ero un po' sovrappeso,non tanto,però mi rispecchio nel penultimo gruppo,al 100% perchè il mio obiettivo non era raggiungere il normopeso ma essere magra e dimostrare a tutti che io avevo una grande forza di volontà,che potevo digiunare ecc...già da prima avevo problemi comunque.La cosa anormale era la grande rabbia,la frustrazione..il voled dimostrare.
Quindi trovo sia proprio una cazzata che chi si mette a dieta se in sovrappeso non è a rischio.Conosco tante persone che partivano addirittura obese e poi finivano clinicamente anoressiche o bulimiche o tutte e due.
A presto!
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