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venerdì 11 ottobre 2013
Perchè non amo il mio corpo, e non penso sia importante il farlo
Amare il proprio corpo rappresenta una sorta di Sacro Graal per chi ha un DCA. Messaggi sull’importanza dell’imparare ad amare il proprio corpo bombardano le persone che hanno un disturbo alimentare da ogni dove. Amare il proprio corpo e la propria fisicità è visto sia come la chiave per prevenire l’insorgenza dei DCA, sia come un obiettivo di cruciale importanza da raggiungere per poter “guarire” dall’anoressia.
Adesso vi svelerò un segreto: Io sto percorrendo la strada del ricovero, e non amo il mio corpo.
Ecco. L’ho detto. Non amo il mio corpo e non mi piace la mia fisicità, ma ho comunque fatto grandi passi avanti sulla strada del ricovero, e ora come ora le cose mi stanno andando bene, grazie mille.
Io non ho mai avuto il desiderio di essere magra perché, banalmente, io sono sempre stata magra. La mia principale spinta verso l’anoressia è stata il bisogno di avere tutto sotto controllo. Io volevo avere il controllo assoluto. Su tutto. Su ogni singolo aspetto della mia vita. La cosa è partita da ambiti diversi dall’alimentazione e poi, in un formidabile colpo di coda, anche il versante alimentare è stato tirato dentro questo mio bisogno di programmare – e dunque controllare – ogni singolo secondo delle mie giornate.
Volevo “semplicemente” avere sotto controllo ogni singolo respiro della mia vita, e questo controllo ad un certo punto ha iniziato a passare anche attraverso il canale alimentare. L’obiettivo della mia restrizione, in effetti era proprio questo: elaborare una forma di controllo su quello che mangiavo. Il dimagrimento è stata l’ovvia conseguenza, ma non mi ha mai fatto particolarmente piacere, anzi, mi metteva a disagio, non avrei voluto (anche perché comprometteva le mie prestazioni sportive, e al tempo ero a buon livello), ma avevo bisogno del controllo, e se “il prezzo da pagare” era quello di perdere chili, allora andava bene tutto, allora accettavo il compromesso, pur di non abbandonare la sensazione di sicurezza e di forza che quel(l’illusorio) controllo mi faceva provare.
Ho sempre avuto quest’abnorme bisogno di sentire che avevo tutto sotto controllo. Per quanto, vista dall’esterno, la cosa possa sembrare (ed essere a tutti gli effetti) patologica, sul momento io me ne fregavo, perché non mi rendevo conto di quanto il mio bisogno di controllo fosse eccessivo. Non mi ponevo il problema, perché per me non era un problema.
Sebbene la parvenza di controllo che mi pareva di esercitare con l’anoressia mi abbia probabilmente aiutata a sedare delle ansie sottostanti, non mi sono mai curata particolarmente della mia fisicità. Sapevo di essere una ragazza magra, ma era una constatazione fine a se stessa. E anche quando sono entrata nell’anoressia, ero consapevole che stavo perdendo peso, ma anche questa era una considerazione fine a se stessa. Il mio cervello non registrava veramente la perdita di peso: io volevo sentire che avevo il controllo, non m’importava quale fosse il mio peso (difatti non mi sono mai pesata). Io mi sentivo in controllo, quindi non riuscivo a capire come mai le persone che mi circondavano fossero così preoccupate per me.
Mi arrivavano barlumi di consapevolezza sul fatto che avessi un problema (sebbene, certo, razionalmente sapessi benissimo che mi stavo alimentando in maniera insufficiente) quando per qualche motivo succedevano cose che sfuggivano alle mie pretese di controllo. Quando succedeva qualcosa che non avevo programmato, andavo veramente ai pazzi. E restringevo l’alimentazione come se, per contrappasso, questo tipo di controllo potesse andare a compensare quelle aree della mia vita (la vasta gamma dei cosiddetti “imprevisti”) in cui invece non potevo avere per definizione alcun controllo.
Quando sono stata ricoverata in una clinica per la prima volta (ero minorenne, ed è stato un ricovero coatto) ho veramente sclerato. Io non ero assolutamente pronta né consenziente, quindi ovviamente quel ricovero è stato un completo insuccesso. Mi sentivo dilaniata dal fatto che la mia routine fosse scandita dagli impegni organizzati dalla clinica, e che la mia alimentazione fosse gestita da un dietista: in questo modo non avevo più alcun controllo, e questo per me era intollerabile. Non potevo più controllare niente, e non potevo neanche alleviare l’ansia e la rabbia che da ciò mi derivavano restringendo l’alimentazione. È in questo periodo che è nato l’altro mio problema, quello dell’autolesionismo, che ho iniziato ad adottare come nuova strategia di coping, non potendo più ricorrere alla restrizione alimentare. Il mio corpo cambiava, e io non potevo sopportarlo, non per il peso in sé per sé, di quello me ne fregava poco e niente, come del resto sempre poco e niente me n’era fregato, bensì perché quei cambiamenti del mio corpo non li stavo decidendo io, non li stavo controllando io. Il riprendere peso lo vivevo come sinonimo del non avere più controllo, ed era questo che non riuscivo a sopportare: il fatto che qualcuno mi avesse strappato via il mio “amato” controllo. Non m’importava del peso in sé, ma mi spezzava la sensazione di non poter più controllare niente. Il mio corpo non mi piaceva semplicemente perché era la materiale dimostrazione del fatto che non esercitavo più il controllo.
Inutile aggiungere che quando ho terminato questo ricovero ho avuto immediatamente una ricaduta, eh?! Comunque il tempo è passato, io ho fatto altri ricoveri, stavolta per mia scelta, e a poco a poco, molto lentamente, le cose hanno iniziato a migliorare (anche se ho comunque avuto delle ulteriori ricadute). Nel momento in cui ho ricominciato ad alimentarmi regolarmente senza più restringere, a poco a poco la mia testa ha cominciato a funzionare meglio, e quindi anche quest’assoluta necessità di controllo (che era comunque rinforzata dalla restrizione alimentare in uno dei quei famosi serpenti che si mordono la coda) si è lentamente attenuata sempre di più.
Ma non se n’è mai andata. Non del tutto.
Eccomi qua, oggi, per lo più priva dei comportamenti alimentari tipici dell’anoressia (okay, ogni tanto mi capita ancora di fare la cresta a qualche pasto, lo ammetto, ma è un evento veramente occasionale), con un residuo e persistente certo bisogno di controllo, e tuttora non amo la mia fisicità. E con ciò?
Col tempo, ho imparato a far prevalere la razionalità sull’illogico bisogno di controllo, e sui suoi riflessi sulla mia fisicità. Sono più consapevole del fatto che è impossibile che io riesca a controllare ogni singolo aspetto della mia vita. So che quando mi trovo in difficoltà tendo sempre ad utilizzare la restrizione alimentare come surrogato di controllo, e so che questo non ha un senso logico. So anche che il mio peso o la mia fisicità non rispecchiano in alcun modo il controllo che riesco ad avere o meno sulla mia vita. E so che adesso che ho sostanzialmente raggiunto il mio set-point di peso corporeo, rimarrò più o meno qui, salvo un paio di chili in più o in meno come margine d’oscillazione. Evidentemente, il mio bisogno di controllo non ha niente a che fare con il mio corpo.
Inoltre, ho imparato a separare il mio bisogno di controllo sia dalla mia fisicità che dalla mia autostima. Come dicevo prima, al di là dell’anoressia, non ho mai prestato particolare interesse alla mia fisicità. Non mi sono mai giudicata per la mia apparenza esteriore. Mi sono sempre giudicata molto, molto di più per le mie capacità scolastiche e sportive, e cose di questo genere. Certo, l’anoressia ha cambiato qualcosa, nel senso che ho utilizzato la mia fisicità come marker della presenza o meno del controllo: fintanto che restringevo l’alimentazione, ero in controllo. Ma sono adesso consapevole che questo in realtà non esprime in alcun modo niente della persona che sono.
Da un punto di vista prettamente fisico, quello che cerco di fare è lavorare sull’accettazione del mio corpo. Non mi piace la mia fisicità, e non credo che debba necessariamente piacermi. Ma è necessario che io abbia un certo peso per riuscire a tener dietro a tutte le mie attività della vita quotidiana, e per riuscire ad avere una buona qualità della vita.
Ho parlato con la psicologa che mi segue relativamente a questa presunta necessità di amare il proprio corpo, e mi veniva da ridere al pensiero di dovermi mettere davanti ad uno specchio ripetendo mantra quali “Sono davvero sexy” e “Amo il mio corpo”. Non fa per me, inutile mentire a me stessa. Così, anziché lavorare sull’imparare ad amare il mio corpo, abbiamo iniziato a lavorare sull’accettazione. Sulla consapevolezza che non mi piace la mia fisicità, e probabilmente non mi piacerà mai, ma che devo imparare ad accettare un certo standard corporeo, anche se non rispecchia la mia idea di “dimostrazione di controllo”, perché è quello che mi permettere di vivere una vita degna, concentrandomi invece sulle cose che veramente rappresentano i miei punti di forza, e valorizzandoli.
E questo, pian piano, sta facendo la differenza. Il mio corpo non mi piace, e il bisogno di controllo è sempre lì, ma faccio quello che c’è bisogno di fare (mangio seguendo l’ “equilibrio alimentare” che mi ha prescritto la dietista, e non cedo all’impulso di restringere) e questo mi consente di dedicarmi a quelle cose (sport, lavoro, tirocinio post-laurea, amicizie…) che nella vita mi piacciono e m’interessano realmente. Anziché pensare che se non restringo l’alimentazione allora non ho il controllo della mia vita, penso che grazie al non essere così ossessiva nell’espletare il mio controllo e al non restringere l’alimentazione, posso reggere tranquillamente un turno di 12 ore (la notte, 20 – 8) in Pronto Soccorso senza rischiare di svenire da un momento all’altro. E il turno di notte in Pronto Soccorso è una vera meraviglia, ve lo assicuro.
Ho raggiunto una condizione ideale? Non lo so. Ma ho trovato un equilibrio. E da qui andrò avanti, in quest'equilibrio. Mi viene da dirlo in Inglese, con una frase rubata ad una canzone, ma che rende moltissimo: it works for me. Non ho bisogno di amare il mio corpo. Non ho bisogno di trovare gradevole la mia fisicità. È un’inezia, a fronte della persona che sono. Piuttosto che prendermela perché una parte del mio corpo non è come la vorrei, mi preoccupo per la mia capacità di essere un medico capace, una buona istruttrice ed arbitro imparziale di karate, una buona amica, una persona corretta, una persona in grado di realizzare i propri obiettivi nella vita.
Dunque no, non amo il mio corpo. E allora?
Adesso vi svelerò un segreto: Io sto percorrendo la strada del ricovero, e non amo il mio corpo.
Ecco. L’ho detto. Non amo il mio corpo e non mi piace la mia fisicità, ma ho comunque fatto grandi passi avanti sulla strada del ricovero, e ora come ora le cose mi stanno andando bene, grazie mille.
Io non ho mai avuto il desiderio di essere magra perché, banalmente, io sono sempre stata magra. La mia principale spinta verso l’anoressia è stata il bisogno di avere tutto sotto controllo. Io volevo avere il controllo assoluto. Su tutto. Su ogni singolo aspetto della mia vita. La cosa è partita da ambiti diversi dall’alimentazione e poi, in un formidabile colpo di coda, anche il versante alimentare è stato tirato dentro questo mio bisogno di programmare – e dunque controllare – ogni singolo secondo delle mie giornate.
Volevo “semplicemente” avere sotto controllo ogni singolo respiro della mia vita, e questo controllo ad un certo punto ha iniziato a passare anche attraverso il canale alimentare. L’obiettivo della mia restrizione, in effetti era proprio questo: elaborare una forma di controllo su quello che mangiavo. Il dimagrimento è stata l’ovvia conseguenza, ma non mi ha mai fatto particolarmente piacere, anzi, mi metteva a disagio, non avrei voluto (anche perché comprometteva le mie prestazioni sportive, e al tempo ero a buon livello), ma avevo bisogno del controllo, e se “il prezzo da pagare” era quello di perdere chili, allora andava bene tutto, allora accettavo il compromesso, pur di non abbandonare la sensazione di sicurezza e di forza che quel(l’illusorio) controllo mi faceva provare.
Ho sempre avuto quest’abnorme bisogno di sentire che avevo tutto sotto controllo. Per quanto, vista dall’esterno, la cosa possa sembrare (ed essere a tutti gli effetti) patologica, sul momento io me ne fregavo, perché non mi rendevo conto di quanto il mio bisogno di controllo fosse eccessivo. Non mi ponevo il problema, perché per me non era un problema.
Sebbene la parvenza di controllo che mi pareva di esercitare con l’anoressia mi abbia probabilmente aiutata a sedare delle ansie sottostanti, non mi sono mai curata particolarmente della mia fisicità. Sapevo di essere una ragazza magra, ma era una constatazione fine a se stessa. E anche quando sono entrata nell’anoressia, ero consapevole che stavo perdendo peso, ma anche questa era una considerazione fine a se stessa. Il mio cervello non registrava veramente la perdita di peso: io volevo sentire che avevo il controllo, non m’importava quale fosse il mio peso (difatti non mi sono mai pesata). Io mi sentivo in controllo, quindi non riuscivo a capire come mai le persone che mi circondavano fossero così preoccupate per me.
Mi arrivavano barlumi di consapevolezza sul fatto che avessi un problema (sebbene, certo, razionalmente sapessi benissimo che mi stavo alimentando in maniera insufficiente) quando per qualche motivo succedevano cose che sfuggivano alle mie pretese di controllo. Quando succedeva qualcosa che non avevo programmato, andavo veramente ai pazzi. E restringevo l’alimentazione come se, per contrappasso, questo tipo di controllo potesse andare a compensare quelle aree della mia vita (la vasta gamma dei cosiddetti “imprevisti”) in cui invece non potevo avere per definizione alcun controllo.
Quando sono stata ricoverata in una clinica per la prima volta (ero minorenne, ed è stato un ricovero coatto) ho veramente sclerato. Io non ero assolutamente pronta né consenziente, quindi ovviamente quel ricovero è stato un completo insuccesso. Mi sentivo dilaniata dal fatto che la mia routine fosse scandita dagli impegni organizzati dalla clinica, e che la mia alimentazione fosse gestita da un dietista: in questo modo non avevo più alcun controllo, e questo per me era intollerabile. Non potevo più controllare niente, e non potevo neanche alleviare l’ansia e la rabbia che da ciò mi derivavano restringendo l’alimentazione. È in questo periodo che è nato l’altro mio problema, quello dell’autolesionismo, che ho iniziato ad adottare come nuova strategia di coping, non potendo più ricorrere alla restrizione alimentare. Il mio corpo cambiava, e io non potevo sopportarlo, non per il peso in sé per sé, di quello me ne fregava poco e niente, come del resto sempre poco e niente me n’era fregato, bensì perché quei cambiamenti del mio corpo non li stavo decidendo io, non li stavo controllando io. Il riprendere peso lo vivevo come sinonimo del non avere più controllo, ed era questo che non riuscivo a sopportare: il fatto che qualcuno mi avesse strappato via il mio “amato” controllo. Non m’importava del peso in sé, ma mi spezzava la sensazione di non poter più controllare niente. Il mio corpo non mi piaceva semplicemente perché era la materiale dimostrazione del fatto che non esercitavo più il controllo.
Inutile aggiungere che quando ho terminato questo ricovero ho avuto immediatamente una ricaduta, eh?! Comunque il tempo è passato, io ho fatto altri ricoveri, stavolta per mia scelta, e a poco a poco, molto lentamente, le cose hanno iniziato a migliorare (anche se ho comunque avuto delle ulteriori ricadute). Nel momento in cui ho ricominciato ad alimentarmi regolarmente senza più restringere, a poco a poco la mia testa ha cominciato a funzionare meglio, e quindi anche quest’assoluta necessità di controllo (che era comunque rinforzata dalla restrizione alimentare in uno dei quei famosi serpenti che si mordono la coda) si è lentamente attenuata sempre di più.
Ma non se n’è mai andata. Non del tutto.
Eccomi qua, oggi, per lo più priva dei comportamenti alimentari tipici dell’anoressia (okay, ogni tanto mi capita ancora di fare la cresta a qualche pasto, lo ammetto, ma è un evento veramente occasionale), con un residuo e persistente certo bisogno di controllo, e tuttora non amo la mia fisicità. E con ciò?
Col tempo, ho imparato a far prevalere la razionalità sull’illogico bisogno di controllo, e sui suoi riflessi sulla mia fisicità. Sono più consapevole del fatto che è impossibile che io riesca a controllare ogni singolo aspetto della mia vita. So che quando mi trovo in difficoltà tendo sempre ad utilizzare la restrizione alimentare come surrogato di controllo, e so che questo non ha un senso logico. So anche che il mio peso o la mia fisicità non rispecchiano in alcun modo il controllo che riesco ad avere o meno sulla mia vita. E so che adesso che ho sostanzialmente raggiunto il mio set-point di peso corporeo, rimarrò più o meno qui, salvo un paio di chili in più o in meno come margine d’oscillazione. Evidentemente, il mio bisogno di controllo non ha niente a che fare con il mio corpo.
Inoltre, ho imparato a separare il mio bisogno di controllo sia dalla mia fisicità che dalla mia autostima. Come dicevo prima, al di là dell’anoressia, non ho mai prestato particolare interesse alla mia fisicità. Non mi sono mai giudicata per la mia apparenza esteriore. Mi sono sempre giudicata molto, molto di più per le mie capacità scolastiche e sportive, e cose di questo genere. Certo, l’anoressia ha cambiato qualcosa, nel senso che ho utilizzato la mia fisicità come marker della presenza o meno del controllo: fintanto che restringevo l’alimentazione, ero in controllo. Ma sono adesso consapevole che questo in realtà non esprime in alcun modo niente della persona che sono.
Da un punto di vista prettamente fisico, quello che cerco di fare è lavorare sull’accettazione del mio corpo. Non mi piace la mia fisicità, e non credo che debba necessariamente piacermi. Ma è necessario che io abbia un certo peso per riuscire a tener dietro a tutte le mie attività della vita quotidiana, e per riuscire ad avere una buona qualità della vita.
Ho parlato con la psicologa che mi segue relativamente a questa presunta necessità di amare il proprio corpo, e mi veniva da ridere al pensiero di dovermi mettere davanti ad uno specchio ripetendo mantra quali “Sono davvero sexy” e “Amo il mio corpo”. Non fa per me, inutile mentire a me stessa. Così, anziché lavorare sull’imparare ad amare il mio corpo, abbiamo iniziato a lavorare sull’accettazione. Sulla consapevolezza che non mi piace la mia fisicità, e probabilmente non mi piacerà mai, ma che devo imparare ad accettare un certo standard corporeo, anche se non rispecchia la mia idea di “dimostrazione di controllo”, perché è quello che mi permettere di vivere una vita degna, concentrandomi invece sulle cose che veramente rappresentano i miei punti di forza, e valorizzandoli.
E questo, pian piano, sta facendo la differenza. Il mio corpo non mi piace, e il bisogno di controllo è sempre lì, ma faccio quello che c’è bisogno di fare (mangio seguendo l’ “equilibrio alimentare” che mi ha prescritto la dietista, e non cedo all’impulso di restringere) e questo mi consente di dedicarmi a quelle cose (sport, lavoro, tirocinio post-laurea, amicizie…) che nella vita mi piacciono e m’interessano realmente. Anziché pensare che se non restringo l’alimentazione allora non ho il controllo della mia vita, penso che grazie al non essere così ossessiva nell’espletare il mio controllo e al non restringere l’alimentazione, posso reggere tranquillamente un turno di 12 ore (la notte, 20 – 8) in Pronto Soccorso senza rischiare di svenire da un momento all’altro. E il turno di notte in Pronto Soccorso è una vera meraviglia, ve lo assicuro.
Ho raggiunto una condizione ideale? Non lo so. Ma ho trovato un equilibrio. E da qui andrò avanti, in quest'equilibrio. Mi viene da dirlo in Inglese, con una frase rubata ad una canzone, ma che rende moltissimo: it works for me. Non ho bisogno di amare il mio corpo. Non ho bisogno di trovare gradevole la mia fisicità. È un’inezia, a fronte della persona che sono. Piuttosto che prendermela perché una parte del mio corpo non è come la vorrei, mi preoccupo per la mia capacità di essere un medico capace, una buona istruttrice ed arbitro imparziale di karate, una buona amica, una persona corretta, una persona in grado di realizzare i propri obiettivi nella vita.
Dunque no, non amo il mio corpo. E allora?
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