venerdì 7 giugno 2013
Cosa significa scegliere la strada del ricovero
Quando avevo più o meno sui 18 – 19 anni, nessuno sapeva cosa fare con me. Tutta la schiera di psicologi, dietisti, psichiatri, medici con cui avevo avuto a che fare, avevano di fatto alzato bandiera bianca. Dovevo essere io a scegliere scientemente, razionalmente e lucidamente di percorrere la strada del ricovero, dicevano loro, e questo era un qualcosa che io chiaramente non stavo facendo. Fino a che io non l’avessi fatto, non c’era niente che loro potessero fare per me. Avrei cominciato a percorrere la strada del ricovero quando sarei stata pronta.
Ovviamente, ho qualche problemuccio con questo modo di vedere la cosa. Non dico che sia una visione sbagliata, ma è quantomeno una visione molto semplicistica e riduttiva. Prima cosa, dà per scontato che una persona che è nel pieno dell’anoressia sia lucidamente e decisamente capace di scegliere di combattervi contro. Seconda cosa, fa sembrare il ricovero come una scelta sciente, un’unica e ben precisa scelta che una persona compie, e quando lo fa allora magicamente guarisce dall’anoressia.
Il problema è che la strada del ricovero non si sceglie lucidamente e scientemente una volta per tutte. Occorre scegliere di percorrere la strada del ricovero giorno dopo giorno, ogni mattina quando ci svegliamo e ci apprestiamo ad affrontare un’altra giornata, e bisogna rimarcare a noi stesse questa scelta ogni 5 – 6 volte al giorno. Occorre fare questa scelta anche quando proprio non vorremmo. Non è dunque una singola scelta che si fa una volta per tutte, e non è affatto semplice.
Se ci pensate, la stragrande maggioranza dei protocolli terapeutici per i DCA sono fatti per persone che cercano e vogliono (o, tutt’al più, accettano) seguire un protocollo terapeutico. E, insomma, è relativamente facile fare una psicoterapia e una riabilitazione nutrizionale ad una persona che è consenziente, vuole percorrere la strada del ricovero, e ce la mette tutta per essere aderente alle indicazioni mediche. Ma quando si parla di persone nel pieno dell’anoressia, laddove non è infrequente una spiccata difficoltà a comprendere quanto i propri pensieri e i propri comportamenti siano deviati, è veramente difficile riuscire ad intraprendere un percorso di ricovero, perché i medici non sanno come far fronte ad una paziente che non ha nessun interesse a staccarsi dall’anoressia. Per cui, piuttosto che cercare di elaborare nuove strategie terapeutiche per rendere più compliante una paziente che è ancora molto dentro il DCA, è decisamente più facile, economico e conveniente dire alla paziente che “noi ti potremo aiutare solo e soltanto quando tu sarai pronta a percorrere la strada del ricovero”.
Il problema principale di questa concezione medica – e della sua applicazione alle pazienti che hanno un DCA – è che una delle caratteristiche che più frequentemente s’incontrano nelle persone che hanno un DCA (anoressia in particolare) è che non c’è nessuna voglia d’iniziare un percorso di ricovero. Le motivazioni che rendono le persone affette da DCA estremamente restie ad iniziare un percorso di ricovero sono molteplici, e variano a persona a persona: solo per fare qualche esempio, le difficoltà a staccarsi dall’anoressia possono essere legate al fatto che essa rappresenta un’ottima strategia di coping, che fornisce un’illusoria sensazione di controllo, che la persona non si sente “abbastanza malata” da meritare di ricevere aiuto terapeutico, e così via. Ovviamente sarebbe cosa buona e giusta che ogni persona malata di DCA fosse in grado di prendere una decisione riflessiva e razionale in merito alla necessità di curarsi, ma spesso e volentieri le cose non stanno così.
Così tutti i medici si rintanano nei loro uffici, ed aspettano che la ragazza sia “pronta” a percorrere la strada del ricovero. Il problema è che più a lungo una persona viene lasciata in balìa del DCA, più sarà difficile che essa possa scegliere autonomamente di percorrere la strada del ricovero. Più una persona perde peso, minore è la produzione neurotrasmettitoriale, minore è la lucidità, più è difficile rendersi conto dello stato patologico in cui si verte, e scegliere un percorso di ricovero.
Tra l’altro, tutti i comportamenti tipici del DCA diventano molto rapidamente delle abitudini. Si restringe quando ci si trova davanti un piatto col Cibo X, perché è semplicemente quello che ci abituiamo a fare di fronte al Cibo X. Facciamo sempre lo stesso tipo di attività fisica per lo stesso lasso di tempo e nello stesso momento della giornata, perché è nel nostro programma mentale, che diventa un’abitudine. Mangiamo solo determinate quantità di determinati cibi in un certo ordine e ad una certa ora. Il cervello è un organo estremamente abitudinario e reiterativo. Poco a poco, aderisce sempre di più a quelle che sono delle “regole” che inconsciamente stabiliamo quando abbiamo un DCA.
Ecco che l’anoressia diventa la nostra nuova normalità.
Ben presto, tutto si appiattisce. Ci si dimentica com’era quando avevamo più energia. Si tralasciano hobby, interessi, studio, lavoro, perché l'anoressia occupa gran parte della nostra mente e della nostra giornata. Si allontanano gli amici perché non vogliamo che sappiano del nostro DCA. Ci si dimentica di come si faceva a mangiare senza farci problemi prima che l'anoressia esordisse. Ci si dimentica… tutto. Inizialmente, si ricorda ancora com’era la nostra vita in quando l’anoressia non la faceva da padrona. Ma poco a poco, anche questi ricordi s’indeboliscono, e comincia a parerci che in tutta la nostra vita non ci sia mai stato altro che l’anoressia. Si dimentica.
La frase “scegliere scientemente, razionalmente e lucidamente di percorrere la strada del ricovero” mi irrita per varie ragioni, soprattutto perché fa pensare che la strada del ricovero sia una tantum, una scelta che si fa una volta per tutte e poi non ci si pensa più. Come se io oggi scegliessi d’indossare un paio di jeans e una camicia bianca. Faccio questa scelta, indosso questi indumenti, ed è finta qui. Combattere contro l’anoressia non è così semplice. Non è in alcun modo una singola scelta.
Fare colazione. Io mi ricordo quando la mattina mi alzavo da letto e m’intrippavo in pensieri Shakespeariani del tipo “restringere a colazione o non restringere a colazione? Questo è il problema”. E anche quando decidi che, diamine, niente seghe mentali, quella cavolo di colazione la devi proprio fare senza restringere, allora devi decidere se prendere il latte coi biscotti e, nel caso, quali biscotti. Quanti biscotti. E, tra l’altro, quale tipo di latte. Intero? Parzialmente scremato? Scremato? E poi, nient’altro oltre a latte e biscotti? Succo di frutta o no. Qualcos’altro al posto del succo di frutta. Caffè o no (a me il caffè non piace, quindi un problema in meno… almeno questo!). E questo è solo il primo pasto della giornata. E cosa succede quei giorni in cui non si ha proprio per niente voglia di fare colazione? Che si fa, allora? Come si fa ad obbligarsi a mangiare comunque?
Io credo che scegliere la strada del ricovero non è come una lampadina che si accende di punto in bianco. Credo che per scegliere la strada del ricovero sia necessario un supporto medico anche quando non siamo ancora propriamente complianti, e anche quando lo siamo occorre comunque rinnovare questa scelta giorno dopo giorno. Perché è solo così che l’anoressia che è diventata col tempo la nostra normalità, può lasciare il posto al percorrere la strada del ricovero, che col tempo deve diventare la nostra nuova normalità. Più si sceglie la strada del ricovero, più sceglierla risulta essere meno faticoso. Ma per arrivare a questo, occorre imporsi di fare cose che ci danno discomfort, fare comunque cose che non vorremmo fare, cose che allontanano il (fasullo) senso di controllo che ci faceva provare l’anoressia, per lasciarci nell’incertezza di affrontare le sfide della vita senza più ricorrere ad una strategia di coping malata quale è il DCA. Significa che, anche nei momenti in cui non siamo propriamente ancora in grado di percorrere la strada del ricovero perché ancora troppo dentro all’anoressia, c’è bisogno di un supporto nutrizionale e psicoterapeutico che ci fornisca strategie di coping alternative, onde evitare il dilagare dell’ansia che ci riporterebbe immediatamente ad avere una ricaduta. Scegliere di percorrere la strada del ricovero è una scelta che, secondo me, dovremmo rinnovare giorno dopo giorno per tutta la nostra vita. Ma quando il percorrere la strada del ricovero diventa un’abitudine esattamente come lo era diventata l’anoressia, allora non sarà comunque facile e divertente, ma non sarà neanche più così dura come lo è nei primi tempi.
Ovviamente, ho qualche problemuccio con questo modo di vedere la cosa. Non dico che sia una visione sbagliata, ma è quantomeno una visione molto semplicistica e riduttiva. Prima cosa, dà per scontato che una persona che è nel pieno dell’anoressia sia lucidamente e decisamente capace di scegliere di combattervi contro. Seconda cosa, fa sembrare il ricovero come una scelta sciente, un’unica e ben precisa scelta che una persona compie, e quando lo fa allora magicamente guarisce dall’anoressia.
Il problema è che la strada del ricovero non si sceglie lucidamente e scientemente una volta per tutte. Occorre scegliere di percorrere la strada del ricovero giorno dopo giorno, ogni mattina quando ci svegliamo e ci apprestiamo ad affrontare un’altra giornata, e bisogna rimarcare a noi stesse questa scelta ogni 5 – 6 volte al giorno. Occorre fare questa scelta anche quando proprio non vorremmo. Non è dunque una singola scelta che si fa una volta per tutte, e non è affatto semplice.
Se ci pensate, la stragrande maggioranza dei protocolli terapeutici per i DCA sono fatti per persone che cercano e vogliono (o, tutt’al più, accettano) seguire un protocollo terapeutico. E, insomma, è relativamente facile fare una psicoterapia e una riabilitazione nutrizionale ad una persona che è consenziente, vuole percorrere la strada del ricovero, e ce la mette tutta per essere aderente alle indicazioni mediche. Ma quando si parla di persone nel pieno dell’anoressia, laddove non è infrequente una spiccata difficoltà a comprendere quanto i propri pensieri e i propri comportamenti siano deviati, è veramente difficile riuscire ad intraprendere un percorso di ricovero, perché i medici non sanno come far fronte ad una paziente che non ha nessun interesse a staccarsi dall’anoressia. Per cui, piuttosto che cercare di elaborare nuove strategie terapeutiche per rendere più compliante una paziente che è ancora molto dentro il DCA, è decisamente più facile, economico e conveniente dire alla paziente che “noi ti potremo aiutare solo e soltanto quando tu sarai pronta a percorrere la strada del ricovero”.
Il problema principale di questa concezione medica – e della sua applicazione alle pazienti che hanno un DCA – è che una delle caratteristiche che più frequentemente s’incontrano nelle persone che hanno un DCA (anoressia in particolare) è che non c’è nessuna voglia d’iniziare un percorso di ricovero. Le motivazioni che rendono le persone affette da DCA estremamente restie ad iniziare un percorso di ricovero sono molteplici, e variano a persona a persona: solo per fare qualche esempio, le difficoltà a staccarsi dall’anoressia possono essere legate al fatto che essa rappresenta un’ottima strategia di coping, che fornisce un’illusoria sensazione di controllo, che la persona non si sente “abbastanza malata” da meritare di ricevere aiuto terapeutico, e così via. Ovviamente sarebbe cosa buona e giusta che ogni persona malata di DCA fosse in grado di prendere una decisione riflessiva e razionale in merito alla necessità di curarsi, ma spesso e volentieri le cose non stanno così.
Così tutti i medici si rintanano nei loro uffici, ed aspettano che la ragazza sia “pronta” a percorrere la strada del ricovero. Il problema è che più a lungo una persona viene lasciata in balìa del DCA, più sarà difficile che essa possa scegliere autonomamente di percorrere la strada del ricovero. Più una persona perde peso, minore è la produzione neurotrasmettitoriale, minore è la lucidità, più è difficile rendersi conto dello stato patologico in cui si verte, e scegliere un percorso di ricovero.
Tra l’altro, tutti i comportamenti tipici del DCA diventano molto rapidamente delle abitudini. Si restringe quando ci si trova davanti un piatto col Cibo X, perché è semplicemente quello che ci abituiamo a fare di fronte al Cibo X. Facciamo sempre lo stesso tipo di attività fisica per lo stesso lasso di tempo e nello stesso momento della giornata, perché è nel nostro programma mentale, che diventa un’abitudine. Mangiamo solo determinate quantità di determinati cibi in un certo ordine e ad una certa ora. Il cervello è un organo estremamente abitudinario e reiterativo. Poco a poco, aderisce sempre di più a quelle che sono delle “regole” che inconsciamente stabiliamo quando abbiamo un DCA.
Ecco che l’anoressia diventa la nostra nuova normalità.
Ben presto, tutto si appiattisce. Ci si dimentica com’era quando avevamo più energia. Si tralasciano hobby, interessi, studio, lavoro, perché l'anoressia occupa gran parte della nostra mente e della nostra giornata. Si allontanano gli amici perché non vogliamo che sappiano del nostro DCA. Ci si dimentica di come si faceva a mangiare senza farci problemi prima che l'anoressia esordisse. Ci si dimentica… tutto. Inizialmente, si ricorda ancora com’era la nostra vita in quando l’anoressia non la faceva da padrona. Ma poco a poco, anche questi ricordi s’indeboliscono, e comincia a parerci che in tutta la nostra vita non ci sia mai stato altro che l’anoressia. Si dimentica.
La frase “scegliere scientemente, razionalmente e lucidamente di percorrere la strada del ricovero” mi irrita per varie ragioni, soprattutto perché fa pensare che la strada del ricovero sia una tantum, una scelta che si fa una volta per tutte e poi non ci si pensa più. Come se io oggi scegliessi d’indossare un paio di jeans e una camicia bianca. Faccio questa scelta, indosso questi indumenti, ed è finta qui. Combattere contro l’anoressia non è così semplice. Non è in alcun modo una singola scelta.
Fare colazione. Io mi ricordo quando la mattina mi alzavo da letto e m’intrippavo in pensieri Shakespeariani del tipo “restringere a colazione o non restringere a colazione? Questo è il problema”. E anche quando decidi che, diamine, niente seghe mentali, quella cavolo di colazione la devi proprio fare senza restringere, allora devi decidere se prendere il latte coi biscotti e, nel caso, quali biscotti. Quanti biscotti. E, tra l’altro, quale tipo di latte. Intero? Parzialmente scremato? Scremato? E poi, nient’altro oltre a latte e biscotti? Succo di frutta o no. Qualcos’altro al posto del succo di frutta. Caffè o no (a me il caffè non piace, quindi un problema in meno… almeno questo!). E questo è solo il primo pasto della giornata. E cosa succede quei giorni in cui non si ha proprio per niente voglia di fare colazione? Che si fa, allora? Come si fa ad obbligarsi a mangiare comunque?
Io credo che scegliere la strada del ricovero non è come una lampadina che si accende di punto in bianco. Credo che per scegliere la strada del ricovero sia necessario un supporto medico anche quando non siamo ancora propriamente complianti, e anche quando lo siamo occorre comunque rinnovare questa scelta giorno dopo giorno. Perché è solo così che l’anoressia che è diventata col tempo la nostra normalità, può lasciare il posto al percorrere la strada del ricovero, che col tempo deve diventare la nostra nuova normalità. Più si sceglie la strada del ricovero, più sceglierla risulta essere meno faticoso. Ma per arrivare a questo, occorre imporsi di fare cose che ci danno discomfort, fare comunque cose che non vorremmo fare, cose che allontanano il (fasullo) senso di controllo che ci faceva provare l’anoressia, per lasciarci nell’incertezza di affrontare le sfide della vita senza più ricorrere ad una strategia di coping malata quale è il DCA. Significa che, anche nei momenti in cui non siamo propriamente ancora in grado di percorrere la strada del ricovero perché ancora troppo dentro all’anoressia, c’è bisogno di un supporto nutrizionale e psicoterapeutico che ci fornisca strategie di coping alternative, onde evitare il dilagare dell’ansia che ci riporterebbe immediatamente ad avere una ricaduta. Scegliere di percorrere la strada del ricovero è una scelta che, secondo me, dovremmo rinnovare giorno dopo giorno per tutta la nostra vita. Ma quando il percorrere la strada del ricovero diventa un’abitudine esattamente come lo era diventata l’anoressia, allora non sarà comunque facile e divertente, ma non sarà neanche più così dura come lo è nei primi tempi.
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16 commenti:
io sono stata ricoverata quando ero in fase bulimica,per mia scelta,solo mia,perchè a livello di peso ero a posto e anche l'apparato digerente era salvo,secondo i medici avrei potuto seguire una terapia anche fuori,ormai l'anoressia era passata e non sarebbe tornata più,vomitato sporadicamente(1 o forse 2 volte a settimana,per 7 mesi)...ma scelsi la strada del ricovero in un centro,per 6 mesi.
l'esperienza più terribile della mia vita,lo giuro.
vedendo le cicatrici delle altre ragazze ho cominciato a tagliarmi e a vomitare per sentirmi viva di nuovo,e dalla bulimia ne sono uscita DA SOLA soltanto un anno dopo.
comunque,se fossi stata anoressica non mi sarei mai e poi mai ricoverata.
i pensieri della restrizione sono terribili.
ORRIBILI.
LACERANTI.
ti abbraccio,
fra.
mi aiutate? http://fermateilmondovoglioscendere.blogspot.it/2013/06/per-cominciare.html
Hai proprio ragione Veggie. Anche se non sono mai stata ricoverata. Per uscire fuori da questi problemi non basta smettere una volta. Io posso fare l'esempio dell'auto-lesionismo, più forte che mai per me in questo ultimo anno. Se riesco a resistere una o due volte, non vuol dire che non ricapiterà mai più. E il riuscire a resistere dipende da me e dalla mia forza di volontà. Non è facile per niente non farlo, quando vorresti tagliarti. Quindi, hai ragione ovviamente.
Un abbraccio, guerriera Veggie.
Quanto ha ragione Veggie...io sono stata ricoverata non per scelta mia ma per necessità mediche... però sono riuscita a reagire abbastanza bene a questo fatto.
Quando si esce dall'ospedale poi si hanno di nuovo le carte bianche per ricascare nell'anoressia... in quel momento bisogna avere la forza di continuare il lavoro fatto in ricovero . Scelta non facile, e con molte cadute davvero.
Ogni mattina , come dice Veggie, mi ritrovo a farmi tutte queste domande di tipo shakesperiano, e così con gli spuntini, il pranzo ecc...
Spero che prima o poi finisca tutto questo ...
Io capisco bene il fatto che una deve sentirsi pronta prima d’iniziare un ricovero in clinica o comunque una psicoterapia, perché se manca la volontà di base è ovvio che non si arriva da nessuna parte, però è anche vero che la volontà non è una cosa che nasce dal nulla, dall’oggi al domani, e che, quindi, ci vogliono accanto dei medici in gamba che, pungolandoci e stimolandoci, siano in grado di far nascere in noi quella volontà.
E’ ovvio che se i medici se ne lavano le mani fin dall’inizio e aspettano che sia solo la persona che ha un dca a muoversi di sua iniziativa, ci sarà da aspettare molto tempo!!!!!!!!! Anche perché comunque (per lo meno per quello che ho vissuto io) quando una ha un dca c’è anche un certo senso di vergogna connesso alla cosa, quindi non è che parlarne e trovare la forza e la volontà di reagire sia proprio la cosa più facile del mondo, se non c’è nessuno che ci aiuta in questo passo.
E poi un atteggiamento così “distaccato” da parte dei medici mi sembra anche “pericoloso”, nel senso che se c’è una ragazza anoressica e i dottori aspettano che sia lei a decidere di ricoverarsi, magari nel frattempo lei perde troppo peso e succede l’irreparabile. Oppure se c’è una ragazza bulimica, magari nel frattempo si provoca delle lesioni esofagee gravi, e anche qui succede l’irreparabile. Quindi secondo me su questo i dottori dovrebbero avere un atteggiamente più “responsabile”.
Inoltre, sono d’accordo sul fatto che la strada del ricovero vada scelta giorno dopo giorno, non è una decisione unitaria. Ogni volta che facciamo qualcosa per noi stesse e decidiamo di non assecondare quello che ci direbbe di fare il dca, abbiamo fatto un passo avanti, e abbiamo riscelto la strada del ricovero. E io spero solo di riuscire a rinnovare questa decisione giorno dopo giorno, sempre!!!!!!!!!
Vorrei dire anche una cosa a FrancescaAsia: mi dispiace che tu abbia avuto una brutta esperienza in clinica. Io non sono mai stata ricoverata in una clinica, quindi non mi sono posta il problema, però non so se stai seguendo adesso qualche terapia. Io sono seguita sia da una psicologa che da una nutrizionista, e mi sono davvero tantissimo d’aiuto, quindi se anche purtroppo l’esperienza in clinica ti è andata male, io ti consiglio di farti seguire da una nutrizionista e da una psicologa, perché ti assicuro che è veramente tanto tanto tanto tanto tanto d’aiuto!!!!!!!!!!!!!!!!
Penso che tu abbia pienamente ragione ed è triste come dei medici si tirano fuori da tutto ciò in maniera così semplice
Non basta decidere di intraprendere il ricovero una volta ma bisogna sostenere questa idea sempre..si è con se stesse 24ore su 24 e bisogna capire che se oggi riesco a fare colazione senza problemi non vuol dire che sarà ogni giorno così..ci vuole un grande lavoro che ha sicuramente una durata non breve ma che varia da persona a persona!
Un abbraccio
Leggendo le testimonianze delle ragazze mi rendo conto che le esigenze di chi soffre di questi disturbi sono molto diverse, non riassumibili in un solo atteggiamento da consigliare. Certamente chi soffre deve sentirsi pronto a essere aiutato, ma nel frattempo penso occorra fare tutto il possibile per aiutarlo lo stesso... però è difficile, molto difficile.
Quanto hai ragione...Anche a me è stato proposto il ricovero...quando "sarò pronta"...e non è che non vorrei provare a uscire da tutto questo schifo.Il mio problema è che io non mi vedo come mi vedono loro, io non mi vedo così magra...mi vedo normale...per cui come dicevi tu non mi sento degna per un ricovero!Mi sembra di rubare il posto a chi sta peggio di me. Probabilmente dopo anni di anoressia se mi imponessero un ricovero sotto sotto ne sarei felice, forse avrei per la prima volta una possibilità di uscirne!
Quanto hai ragione.
Ogni mattina mi sveglio e vado in panico perché la notte prima non ho deciso la mia colazione, poi mi ricordo che ho deciso di guarire, che andrò in cucina, aprirò il frigo e la dispensa e mangerò quello che mi andrà di mangiare. Così per ogni pasto, anche quando la tentazione di decidere da prima cosa mangiare dopo è lacerante. Poi la notte, la decisione di non pensare ai pasti della mattina dopo, di provare ad addormentarmi senza il DCA. E' difficile, ma, in un modo o nell'altro, i giorni passano.
non credo siano solo i pasti,ma anche la decisione di smettere temporaneamente palestra (in caso si è molto sottopeso)o di accettare il peso che cresce senza andare in paranoia...è una decisione che bisogna rinnovare ogni giorno...mi trovo pienamente d'accordo con quest articolo...
P.s:scusate lo sfogo lagnoso dell'altra volta,ero abbastanza giù perchè,come ho scritto, ero appena uscita dall'ospedale ridotta ai minimi termini...
questo post è bellissimo.
-- la questione del "voler guarire" mi è sempre sembrata e stata descritta come una magia, un momento epifanico in cui la persona malata improvvisamente decide che è "pronta per la guarigione". come se da un momento all'altro tutti i complessi scomparissero, e il disturbo alimentare non avesse più nessun fascino.
e invece dalle storie che sento il disturbo alimentare rimane sempre in agguato. io, personalmente, di momenti epifanici ne ho avuti a centinaia. che poi sono stati sostituiti da momenti un po' meno epifanici, del tipo "fuck this shit i'm gonna binge". vedevo uno psichiatra una o due volte, e poi concludevo che non era ancora giunto il mio momento e che avrei continuato un altro po' sulla strada della bulimia.
credo che quello che hai detto sia una questione importante, e che i medici dovrebbero averla ben chiara e metterla in chiaro alle pazienti. la terapia ti dovrebbe aiutare mentre sei nel disturbo alimentare, a renderle le crisi meno terribili, a far avanzare un pochino alla volta la voce che dice che puoi stare meglio. senza momenti epifanici, solo un processo che si svolge nel tempo e che ti porta a vedere che ce la puoi fare, e allora puoi prendere la decisione conscia e semi-definitiva di guarire. un processo, in un certo senso, che lavora con il tuo odio per il disturbo alimentare ma che accetta che, all'inizio e a lungo, dovrà convivere con l'amore per il disturbo alimentare.
ora, io non so bene come funziona. ma credo che si vada avanti a passettini minuscoli, e si arrivi a grandiosi traguardi in maniera quasi impercettibile.
Mi è piaciuto molto questo post.
Sono pienamente d'accordo con te,pienamente.Ho sempre ritenuto assurdo,anche solo a prima vista,un approccio del genere.Cioè tu medico,stai dicendo a una persona visibilmente malata,che deve scegliere il ricovero?scusa ma non pensi che se fosse così semplice molto probabilmente non starebbe seduta lì?non so,mi sembra che a volte sottovalutino gli effetti della malnutrizione e come hai detto tu è un problema prettamente dell'anoressia perchè il bulimico,il binge eater ecc 9 volte su 10 hanno per lo meno il desiderio di guarire.
Io certe volte rimango quasi stupita per certi non-sense. La cosa piÙ bella e vera È che bisogna scegliere ogni giorno di combattere e guarire,combattere contro se stessi.Io non credo che i medici diano a quella frase il senso che ti innervosisce...secondo me chiedono solo la volontÀ di guarire...richiesta molto grande.Io francamente non so davvero come si possa cercare di aiutare qualcuno che non vuole essere aiutato e anche secondo la mia esperienza ho iniziato a impegnarmi davvero solo quando l'ho deciso io,quando ho detto "ora basta".Eppure un modo ci deve essere e spero che ci sia...altrimenti tutti gli altri che fine faranno?
Parentesi enorme: le domande sulla colazione mi fa venire in mente la pigliata per il culo che Barto mi ha fatto(in amicizia) in merito al mio NON VOLER ssolutamente andare al cinema come coppia (con Pier ad esempio). Il problema era questo: -se vado al cinema in 2 ad orario di cena uno si aspetta che prendi qualcosa da mangiare e nn puoi sfuggire perchè sei in due e nn in branco. Se rifiuti sembri la figa di legno a dieta, la fissata, se accetti sembri il bombolone.Bene...Popcorn. Okkei in anzi tutto ....ci sono 4 misure di contenitori. E quindi non quella intermedia. Cazzo. E poi ...popcorn...ma come si mangiano? uno alla volta dal cestino? o si prendono un po' in mano e poi uno alla volta? o due o tre ? Con che frequenza ? Io sui popcorn mi sono sparata i peggio viaggi per anni (infatti al cinema credo non ci sono andata per un bel po' di tempo).
Cmq a parte sto flash...
Bè io credo che un percorso di ricovero non si inizi nè con il buon umore e nè al'improvviso. Quelli che partono straconvinti spesso è per "barare" . X es: adesso cerco di intrapprendere una terapia per regolarizzarmi e "togliere" le abbuffate per poter calare poi di peso . Almeno questo è ciò che spesso leggo.
oppure c'è chi "guarisce" o vuole venirne fuori x amore, o x lampi improvvisi. Io credo che queste cose illuminanti non servano mai troppo...perchè esauriscono la potenza in pochi attimi. Un ricovero teoricamente dovrebbe essere un percorso ...bè lungo una vita. In fine dei conti dovrebbe essere una marcia costante.
Non si troverà mai una persona con un dca bella allegra di iniziare a decostruirsi e andare contro ogni istinto...a meno che appunto non "covi " qualcosa sotto. Io poi parlo per me...ma già mi è costato un rene e settimane di fermentazione a meditare per chiamare solo un dietologo del cazzo. E onestamente non mi va per niente.
Io credo sia la cosa migliore si possa fare andarsi contro. E forse sperare di dire prima o dopo"cavolo è stata la scelta giusta , pensa se non l'avessi fatto".
ti stringo forte forte
@ FrancescaAsia – Hai usato due parole che descrivono perfettamente ogni qualsiasi DCA: orribile e lacerante. A parte questo… mi dispiace che tu abbia vissuto un’esperienza negativa in clinica, perché per me invece i ricoveri che ho fatto in clinica (il primo coatto perché ero minorenne, gli altri 4 volontari) sono stati estremamente utili nel mio percorso di ricovero. Spero soltanto che tu continui a tener duro e a combattere… perché è questo ciò che conta, in fondo.
@ Ellie – Cara Ellie, qui non ci sono professioniste, ma solo semplici ragazze che stanno combattendo contro l’anoressia, perciò… Rivolgiti ad una dietista/nutrizionista: una figura professionalmente competente e preparata è l’unica che può darti veramente una mano, sia da un punto di vista alimentare, sia da un punto di vista psicologico. Rivolgendoti ad una professionista del settore potrai riuscire ad avere un peso adeguato, raggiungendolo in maniera sana ed equilibrata, e magari potrà darti una mano anche a ritrovare un equilibrio con te stessa.
Un abbraccio forte…
@ Eve K. – Hai ragione, non basta smettere di restringere una volta, e questo è per sempre… bisogna rinunciare a restringere giorno dopo giorno, pasto dopo pasto… e non è certo facile… ma è la cosa migliore che possiamo fare per noi stesse. Quella che, alla lunga, si rivelerà più remunerativa…
@ Pulce – Io non lo so se finirà… però so per certo che, se continuiamo a combattere e a tenere duro, a poco a poco si attenuerà sempre di più. I pensieri sul cibo, in realtà, saranno i primi ad affievolirsi… perché sono quelli con cui è più facile trattare… perché il vero problema, in realtà, non è il cibo… quello è solo un pretesto. Sarà l’avere a che fare con i nostri veri problemi, lavoro ben più duro e faticoso… ma io credo che, piano piano, ce la faremo senz’altro…
@ Wolfie – Sì, sono assolutamente d’accordo con quello che hai scritto… Il supporto dei medici è fondamentale anche nelle fasi più early del DCA… anzi, in un certo senso, forse lo è soprattutto in quella fase…
@ ela87 – Fortunatamente non tutti i medici se ne tirano fuori, io ho avuto la fortuna d’incocciare anche gente parecchio in gamba professionalmente parlando… Però è pur vero, inutile negarlo, purtroppo, che ci sono anche dei medici che tendono a scappare dalle situazioni (e dalle pazienti) più difficili… In ogni caso, è inevitabile che scegliere la strada del ricovero sia una cosa che si deve fare ogni giorno… ed è il rinnovare continuamente questa scelta che ci permette di poter stare, pian piano, sempre un po’ meglio…
@ Vele/Ivy – Sì, è senz’altro difficile, su questo nulla da eccepire… Io credo che è vero che la volontà di combattere sia basilare, ma che possa essere importante anche l’aiuto medico per far emergere in persone che sono ancora demotivate questa voglia di combattere…
@ Anonima (10 Giugno 2013, ore: 16.23) – Guarda, il tuo commento mi ha fatto ripensare ad un post che ho scritto un paio d’anni fa… Mi riferisco a questo: http://anoressiabulimiaafterdark.blogspot.it/2011/03/chiedere-aiuto.html
Non so se l’hai già letto… altresì ti consiglio di darci un’occhiata, perché penso che sia la migliore risposta alle parole del tuo commento. E in quanto al discorso del ricovero… perché non provi ad “importelo” tu stessa, prima ancora che lo facciano gli altri?... Così saresti tu per prima a darti la possibilità di uscirne… Un abbraccio forte…
@ Elle; - Sì che è difficile, cara Elle… ma è la cosa che, alla lunga, potrà fare meglio a noi stesse questo nostro continuare a combattere senza arrenderci… Giorno dopo giorno, per quanto possa essere né facile, né divertente… Fai benissimo perciò a cercare di non decidere prima quello che mangerai, ma affrontare i pasti con serenità senza farci troppo la testa… credo che sia un passo molto importante nel percorso di ricovero…
@ O.A.S. – Per prima cosa, non ti devi scusare di niente… questo blog è qui anche per questo!... Perciò, se non puoi farlo nella tua vita di tutti i giorni, per lo meno in questo spazio virtuale sentiti libera di dire tutto quello che ti passa per la testa senza farti problemi, okay?!... Si sa che percorrere la strada del ricovero non è tutto rose e fiori, per cui è normalissimo avere dei momenti down… l’importante è riprendersi e ricominciare a combattere con più grinta ed energia di prima…
A parte questo… Sì, hai ragione, la cosa vale anche per l’attività fisica… Infatti un po’ di tempo fa avevo scritto un post in cui facevo riferimento, tra le altre cose, proprio anche all’importanza di cessare l’attività fisica in certe condizioni… E, infine, sì, è davvero uno scelta che bisogna rinnovare giorno dopo giorno…
@ trappolapertopi2 – Mah, se la cosiddetta guarigione da un DCA viene come un’epifania, allora quando ti succede fammi un fischio e raccontami un po’, che così magari m’illumino d’immenso anch’io… Scherzi a parte, anch’io penso che il DCA rimanga sempre in agguato. Ci saranno momenti della nostra vita migliori, dove le cose in linea generale vanno meglio, e quindi sarà più facile tenere a bada certi pensieri, e momenti più difficili in generale, in cui il DCA sarà sempre la prima strategia di coping cui ricorreremo… una sorta di reazione istintuale, un riflesso condizionato, dopo tanti anni passati in “compagnia” dell’anoressia/bulimia… Per cui, penso anch’io che alla fine si tratti d’imparare a “convivere” col DCA, senza che questo però sia più altamente attivo e quindi nocivo per la nostra salute fisica e mentale… ma che ci permetta comunque di avere una buona qualità della vita, senza particolari limitazioni. Io credo che il ricovero non sia un evento, ma un processo. Per questo parlo sempre di “strada del ricovero”… sottendendo che una strada è un qualcosa che si percorre, e sulla quale non possiamo mai dirci arrivate…
@ Marcella – Grazie, mi fa davvero piacere che questo post ti sia piaciuto! ^__^ Hai ragione, una persona nel pieno della malattia non è proprio mentalmente in grado di scegliere lucidamente la strada del ricovero… anche solo per il semplice fatto che, proprio perché si trova nel pieno della malattia, appunto, non è lucida. Sebbene ci siano molti studi scientifici che sottolineano quanto la malnutrizione riduca la capacità di una persona di ragionare lucidamente, non si sa perché la cosa spesso non viene presa adeguatamente sul serio… Io credo che la forza di volontà sia senz’altro un elemento di fondamentale importanza per riuscire a combattere contro un DCA… ma penso anche che i medici dovrebbero impostare un lavoro a monte, cioè un lavoro che possa far nascere nella ragazza malata di DCA questa volontà. Perché oggettivamente è difficile che nel pieno dell’anoressia, una ragazza si svegli una bella mattina e dica: “Ah, okay, adesso mi sono proprio rotta, basta, da oggi do un bel calcio in culo a quest’anoressia!”… non succede così. Per cui, più che aspettare passivamente che la ragazza maturi questa convinzione (dato il non indifferente tasso di mortalità dei DCA, può darsi anche che la ragazza vada incontro all’irreparabile prima che maturi questa convinzione…) , secondo me i medici dovrebbero “accogliere” queste pazienti, e cercare d’impostare un abbozzo di terapia che getti i semi per far nascere nella paziente stessa la motivazione al cambiamento…
@ justvicky – Okay, dopo aver letto il tuo commento non andrò al cinema per i prossimi 2 anni… anzi, se tutti i cinema della mia zona cominceranno a bruciare, sappi che io l’accendino in mano non ce l’avevo per accendermi una sigaretta… ^^” No, scherzi a parte…
Sono d’accordo con quello che hai scritto. L’iniziare una terapia è RELATIVAMENTE più facile per chi ha un DCA quale bulimia o binge, a causa del quale ha preso parecchio peso, perché l’obiettivo di base della terapia non è tanto quello di combattere contro il DCA in sé, quando quello di perdere il peso in eccesso. Il fatto è che, a prescindere dal peso, poi tutte le ossessioni di base restano comunque… Sono d’accordo anche sull’importanza di andarsi contro… ognuna con i suoi tempi e con le sue modalità, si capisce, ma l’obiettivo fondamentale dev’essere comunque quello di opporci alle idee che ormai sappiamo riconoscere, dopo tutti questi anni, come idee che ci ha messo in testa il DCA. Neanch’io credo a chi dice di guarire all’improvviso per amore o per una qualsiasi altra epifania… anzi, chi dice così mi fa pensare ai fuochi d’artificio: lo splendido bagliore di un attimo, e poi il buio. E quando si cade dopo una cosa del genere, rialzarsi è una bega.
Ti abbraccio forte forte anch’io…
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