mercoledì 26 novembre 2008
Notte
Oggi voglio condividere con voi un qualcosa che ho scritto diversi anni fa, in occasione del mio secondo ricovero...
NOTTE
Mi piacciono le cliniche di notte.
Mi piace la rarefatta atmosfera di sospensione, l’attesa incondizionata che le avvolge – l’idea che comunque non debba accadere nulla, senza che ciò debba necessariamente significare qualcosa.
Gli edifici sparsi si perdono in un’indefinita oscurità tesa a proteggere – non a minacciare – mentre i vialetti grigi di luna e immersi nella rugiada dell’erba congiungono i reparti che custodiscono quel modesto campionario di umanità ora assopita.
In clinica o si è pazienti o si è parenti – e il minimo comune denominatore è rappresentato dal discutibile privilegio di potersi considerare esclusi dal mondo – nell’altrove tanto caro a Rimbaud – lasciando agli altri, quelli che sono fuori, il gioco frenetico dei doveri e delle necessità del tempo.
Perché il tempo in questo luogo non esiste – o almeno finge di non esserci. Lo conservano le psichiatre, le dietiste, le inservienti, coloro che comunque sono aggrappate saldamente a ritmi e movimenti che rispecchiano una velocità così estranea a queste ovattate pareti – ma per la malata c’è solo l’ineffabile tempo della biologica guarigione… un tempo interiore, sempre diverso, solitamente intervallato – e ogni giorno scandito – dalle visite e dai discorsi sempre uguali.
Così il popolo della clinica – un popolo di camici bianchi e abiti casalinghi – si muove alternatamene sotto la liquida attenzione di flebo onnipresenti, fino a lasciare i lunghi corridoi ornati di porte al ronzio asettico delle lampade che attendono l’alba.
Qui dentro non si è mai pienamente se stesse – essendo un luogo crepuscolare, al limite dell’alterità e dell’estraniamento si è sempre secondari alla propria qualifica – variabile tra quella dell’assistente e quella dell’assistito – che qui più che altrove perdono lo spessore della differenza.
E’ in questa insolita, insicura veste, che ci siamo ritrovate io e lei in una strana estate della nostra vita – vittime ignare di malattie simili che ci hanno colpito.
Lei è bella, naturalmente.
Bella nei suoi occhi troppo verdi per essere speranza e nel suo volto così pallido che risalta tra le lenzuola immacolate del suo letto. Così dolcemente inquieta mentre si fissa sconsolata allo specchio o si avventura per le stanze con incedere divertito e incerto muovendo passi che sembrano stagliarsi direttamente dalla sua anima. Non la conosco. Non so chi sia.
So solo che il lento pomeriggio passerà di nuovo e arriverà la notte del silenzio. La notte degli incontri dove la nostra comune jeunesse – il nostro voler essere vive anche dove tutto è fermo per esigenza – ci porterà da qualche parte, da sole, a parlare di noi… del nostro essere lì e del nostro essere prima o poi fuori di lì.
Saremo tutto ciò che le nostre parole saranno per noi – esclusivamente – per noi. Il sole svanisce lontano dietro l’ultima ombra della sera sprofondando la clinica nel respiro sommesso che preannuncia la nostra veglia.
Un pretesto – l’aria fresca – e siamo fuori dal mondo, fuori dalla clinica, fuori da noi stesse… Un volo.
Un volo in un giardino interno, un angolo comodo e un cielo estivo, amichevole e complice.
Il cielo è visto scuro e silenzioso sopra quell’albero grande lì, quasi a serbare la presenza dei nostri corpi, ora così vicini in questa nuova e inattesa realtà.
Le parole, dapprima incerte, si liberano presto dalla stretta della nostra reciproca timidezza per conoscerci delicatamente e in profondità attraverso il nostro bisbigliare nella notte.
E sono parole belle, leggere come vento e fresche in quest’aria ferma – quasi note di un pentagramma che ci lega misteriosamente nel nostro incontrarci fortuito.
Immemori di un perché nel nostro essere lì e di un lì che ha i suoi tristi perché, ci dondoliamo casualmente sul filo dei nuovi pensieri – l’una verso l’altra – seguendo d’istinto l’intreccio confuso delle nostre storie e delle nostre età che ci unisce adesso in rari momenti di comprensione. Parlando di noi stesse a noi stesse. Senza bisogno di altro che il nostro essere lì, noi due – solamente noi due – così vicine e allo stesso tempo lontane dalla felicità.
Il nostro passato impreciso si è infine allontanato insieme alle nostre parole e paure lasciandoci in uno strano, indecifrabile silenzio.
E non saprò mai perché non ho sfiorato le sue esili, limpide mani per poi accarezzare quei capelli lisci e fluidi come onde nella notte. Il profumo della sua pelle è rimasto in me come un desiderio stranamente impresso.
Così è arrivata l’alba – troppo presto – lei se n’è andata, e troppo presto è arrivata un’altra notte in questo posto che è di nuovo una clinica.
E io sono ancora qui, sola, a fissare il vuoto, cercando di ricordare le note che la fata di un sogno di mezza estate ha suonato dentro di me.
(Agosto 2003)
NOTTE
Mi piacciono le cliniche di notte.
Mi piace la rarefatta atmosfera di sospensione, l’attesa incondizionata che le avvolge – l’idea che comunque non debba accadere nulla, senza che ciò debba necessariamente significare qualcosa.
Gli edifici sparsi si perdono in un’indefinita oscurità tesa a proteggere – non a minacciare – mentre i vialetti grigi di luna e immersi nella rugiada dell’erba congiungono i reparti che custodiscono quel modesto campionario di umanità ora assopita.
In clinica o si è pazienti o si è parenti – e il minimo comune denominatore è rappresentato dal discutibile privilegio di potersi considerare esclusi dal mondo – nell’altrove tanto caro a Rimbaud – lasciando agli altri, quelli che sono fuori, il gioco frenetico dei doveri e delle necessità del tempo.
Perché il tempo in questo luogo non esiste – o almeno finge di non esserci. Lo conservano le psichiatre, le dietiste, le inservienti, coloro che comunque sono aggrappate saldamente a ritmi e movimenti che rispecchiano una velocità così estranea a queste ovattate pareti – ma per la malata c’è solo l’ineffabile tempo della biologica guarigione… un tempo interiore, sempre diverso, solitamente intervallato – e ogni giorno scandito – dalle visite e dai discorsi sempre uguali.
Così il popolo della clinica – un popolo di camici bianchi e abiti casalinghi – si muove alternatamene sotto la liquida attenzione di flebo onnipresenti, fino a lasciare i lunghi corridoi ornati di porte al ronzio asettico delle lampade che attendono l’alba.
Qui dentro non si è mai pienamente se stesse – essendo un luogo crepuscolare, al limite dell’alterità e dell’estraniamento si è sempre secondari alla propria qualifica – variabile tra quella dell’assistente e quella dell’assistito – che qui più che altrove perdono lo spessore della differenza.
E’ in questa insolita, insicura veste, che ci siamo ritrovate io e lei in una strana estate della nostra vita – vittime ignare di malattie simili che ci hanno colpito.
Lei è bella, naturalmente.
Bella nei suoi occhi troppo verdi per essere speranza e nel suo volto così pallido che risalta tra le lenzuola immacolate del suo letto. Così dolcemente inquieta mentre si fissa sconsolata allo specchio o si avventura per le stanze con incedere divertito e incerto muovendo passi che sembrano stagliarsi direttamente dalla sua anima. Non la conosco. Non so chi sia.
So solo che il lento pomeriggio passerà di nuovo e arriverà la notte del silenzio. La notte degli incontri dove la nostra comune jeunesse – il nostro voler essere vive anche dove tutto è fermo per esigenza – ci porterà da qualche parte, da sole, a parlare di noi… del nostro essere lì e del nostro essere prima o poi fuori di lì.
Saremo tutto ciò che le nostre parole saranno per noi – esclusivamente – per noi. Il sole svanisce lontano dietro l’ultima ombra della sera sprofondando la clinica nel respiro sommesso che preannuncia la nostra veglia.
Un pretesto – l’aria fresca – e siamo fuori dal mondo, fuori dalla clinica, fuori da noi stesse… Un volo.
Un volo in un giardino interno, un angolo comodo e un cielo estivo, amichevole e complice.
Il cielo è visto scuro e silenzioso sopra quell’albero grande lì, quasi a serbare la presenza dei nostri corpi, ora così vicini in questa nuova e inattesa realtà.
Le parole, dapprima incerte, si liberano presto dalla stretta della nostra reciproca timidezza per conoscerci delicatamente e in profondità attraverso il nostro bisbigliare nella notte.
E sono parole belle, leggere come vento e fresche in quest’aria ferma – quasi note di un pentagramma che ci lega misteriosamente nel nostro incontrarci fortuito.
Immemori di un perché nel nostro essere lì e di un lì che ha i suoi tristi perché, ci dondoliamo casualmente sul filo dei nuovi pensieri – l’una verso l’altra – seguendo d’istinto l’intreccio confuso delle nostre storie e delle nostre età che ci unisce adesso in rari momenti di comprensione. Parlando di noi stesse a noi stesse. Senza bisogno di altro che il nostro essere lì, noi due – solamente noi due – così vicine e allo stesso tempo lontane dalla felicità.
Il nostro passato impreciso si è infine allontanato insieme alle nostre parole e paure lasciandoci in uno strano, indecifrabile silenzio.
E non saprò mai perché non ho sfiorato le sue esili, limpide mani per poi accarezzare quei capelli lisci e fluidi come onde nella notte. Il profumo della sua pelle è rimasto in me come un desiderio stranamente impresso.
Così è arrivata l’alba – troppo presto – lei se n’è andata, e troppo presto è arrivata un’altra notte in questo posto che è di nuovo una clinica.
E io sono ancora qui, sola, a fissare il vuoto, cercando di ricordare le note che la fata di un sogno di mezza estate ha suonato dentro di me.
(Agosto 2003)
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
22 commenti:
che bella veggie..mi sono venuti i brividi sai??era come se potessi vedere le immagini che corrispondevano a ogni tua frase con una nitidezza spiazzante! credo sia merito della nostra profondità d'animo e sensibilità che si ingigantiscono in certe fasi così delicate della vita..e ovviamente merito della tua straordinaria capacità di uare le parole e il cuore insieme, come pochi sanno fare!
martina
Ciao, questo pezzo è bellissimo... le parole che usi per descrivere la ragazza me l'hanno fatta immaginare come se l'avessi vista veramente, e le tue emozioni sono rese in modo dolce e delicato, mai urlato. E' questa la tua forza, quella di trasmettere sensazioni forti con un tatto incredibile.
buona notte cara...
anche io sto crollando dal sonno
io ho il terrore di cliniche ed ospedali... preferirei non passarci mai... ignorando qualsiasi malessere
Io ti mando solo una dolcissima Buonanotte e un grande abbraccio. Scusa se commento poco, ma sappi che ti leggo sempre sempre...
E' bellissima.
bè...io non sn mai stata ricoverata per nulla...ma ho assistito mia nonna...e in quella occasione dove il tempo sembrava muoversi lentamente...quasi fermo...iniziavo a fissare, osservare quello che mi stava intorno nell'attesa di un qlk...ma non avveniva nulla...
ora è meglio che vado...un salutone...ciao
Mi sono commossa.
Mi capita raramente.
Ti abbraccio forte,
.Clara.
Uno scritto davvero intenso, emozionante. Per attitudine, mi verrebbe più da commentare le scelte stilistiche che il contenuto... E magari non si tratta nemmeno di scelte, ma semplicemente era il tuo animo a guidare la penna mentre scrivevi. Ho intravisto scampoli di quei corridoi, la penombra, gli odori. E intravedendo anche te lì, mi piace pensare che scrivere ti abbia in qualche modo aiutato a sentirti meno sola.
Ho sentito ogni tua parola come una musica triste. Mi sono commossa anche io
Clelia
E' davvero un bel pezzo: ha una sua musica, una sua luce...bello!
Wow veggie, davvero bello il componimento... complimenti tesoro! E' tutto molto triste, ma sapendo che poi la speranza ha preso il sopravvento nella tua vita mi fa stare più tranquilla! Un abbraccio!
brividi!è triste, ma bellissimo!
quando parli del tempo mi è venuta in mente la frase di una poesia che ho letto un po' di tempo fa nel reparto di psichitria,
"batte lento il cuore in psichitria"
parlava del tempo...che sembrava essersi fermato!
brrr... ho ancora i brividi al solo pensiero!
è bellissimo...ma anche molto triste (del resto è quello che hanno pensato tutti)..
un abbraccio
Bello questo scritto..sei brava, potresti fare la scrittrice.
Un abbraccio.
Pachucha.
Ce belle parole...ho ancora i brividi e la lacrimuccia sul viso...Ma ciò che mi tranquilizza e il tuo voler lottare in una nuova vita migliore...ti voglio bene.
bellissima ....leggere le cose che scrivi è sempre emozionante . anche a me piace la notte ... guardare fuori dalla finestra e vedere ...
"la rarefatta atmosfera di sospensione, l’attesa incondizionata che le avvolge – l’idea che comunque non debba accadere nulla, senza che ciò debba necessariamente significare qualcosa"...
in alcune cose che scrivi mi ritrovo perfettamente ...
ti voglio bene ...
è un pezzo bellissimo e assolutamente veritiero: credo che mi godrò molto più la clinica adesso che ho letto queste parole. =)
Spero di entrare presto...sono stanca, non ce la faccio più. :'(
Baciximi ^^
Santo cielo Veggie, hai provato sulla tua stessa pelle momenti veramente brutti e tristi, ma hai avuto anche (e continui ad avere) la forza di voler uscire dal buio.
Ogni volta che leggo un tuo post realizzo che tutto può essere possibile e quindi tutto può essere rimediabile... basta volerlo!
E' la prima volta che passo da te (attraverso il blog di Federica!) e devo dire che questo post..è...davvero ricco di emozioni! Davvero denso...
ah..eh quasi dimenticavo: Per arrivare all’alba non c’è altra via che la notte.. bellissima questa frase che hai messo accanto a destra..
Mi piace la notte, non gli ospedali.
Mi danno sempre l'idea di essere il set ideale per un film su serial killer.
Specialmente di notte...
Allora... Vorrei ringraziare davvero tutte quante per le bellissime parole che mi avete scritto... Anche il semplice ma intenso "E' bellissima" di Evaviolata, o le carinissime parole di Nienteebasta, di Clelia, di Veronica, di Pachucha e di Clara... Mi sono commossa... Il pezzo di questo post l'ho scritto in un periodo molto delicato della mia vita, quindi è un qualcosa su cui ci "sento" molto... Sì, penso anch'io che, come dice Martina, in certi momenti la sensibilità si acuizza... e sono proprio quei momenti (vero Vele?!) in cui si riescono a mettere gli parole che sono come immagini. Certo, come dice Pupottina una clinica può essere un qualcosa che "spaventa", e a maggior ragione un ospedale (sebbene io non sia mai stata ricoverata in ospedale), eppure ci sono certe sfide che dobbiamo necessariamente affrontare nel nostro percorso di ricovero... E certe sfide che dobbiamo affrontare nella vita di tutti i giorni... E' vero, come scrivono Follementepazza e Enigma, ci sono momenti in cui sembra che il tempo si fermi (e non solo in psichiatria)... sono quei momenti in cui dobbiamo cercare di riappropiarci della vita, senza fare caso a tutto ciò che all'esterno continua a scorrere... E per farlo bisogna buttare fuori tutto il dolore e la rabbia che si tiene dentro, sì, caro Matthew, e farlo con tutti i mezzi di cui si può disporre... per me sono stati principalmente la scrittura e il disegno... ma ognuna trova la propria strada... E allora, si comincia a risalire. Sicuramente, Imperfect, tante cose sono cambiate da quando ho scritto questo pezzo... non dico di essere speranzosa, ma per lo meno sento di poter dire di non essere più pessimista al 100%... credo che sia già un primo passo... Un primo passo per - sì, Frufrupina - continuare poi a lottare... Perchè questa vita è una continua battaglia, e se si vuole qualcosa bisogna darci da fare e prendercela. E forse, hai ragione Mel, le mie parole sono un po' le parole di tutte le ragazze che hanno vissuto un'esperienza simile... Niente serial-killer cinematografici (eh, Alfa?!), ma forse un serial-killer interno, più subdolo, ma altrettanto efficace... in quei luoghi laddove la realtà diventa finzione e la TV realtà... Si prova a dare un senso a quello che ci circonda... Perciò ascoltate Jessica/infinito che dice una cosa assolutamente vera: tutto può essere possibile, basta volerlo!! E vale per tutte, uttte, tutte voi, ragazze!!
P.S.= Ehi, Pansy, grazie per le tue parole... Sono contenta che quella "frase positiva" ti sia piaciuta tanto... visto che è "farina del mio sacco"...!!
P.P.S.= Tigerfire... Sappi che ti ammiro tantissimo per il tuo coraggio. Sono certa che con la tua determinazione non avrai nulla da temere e che la clinica portà darti veramente una mano ad indirizzarti al meglio sulla strada del ricovero... Coraggio, ragazza... Io sono qui che faccio sempre il tifo per te! Fagliela vedere chi è più forte, all'anoressia!!!
Posta un commento