Come gli alchimisti trasformavano il ferro in oro… voi potete trasformare l’oscurità in luce. Siete tutte benvenute.
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venerdì 28 novembre 2014

Sentirsi/essere "pronte"

Un post che ho recentemente letto nel blog di una ragazza Americana (che si firma Sarah Ravin) che soffre di DCA mi ha dato molto da pensare.
Questa ragazza infatti scrive:

[…] Come molte malattie psichiatriche, i disordini alimentari sono spesso caratterizzati da periodi di esacerbazione e periodi di remissione – una generale riacutizzazione e riduzione dei sintomi in maniera ciclica col passare del tempo. La sintomatologia può essere anche completamente regredita in un certo periodo della vita, ma la predisposizione ad adottare comportamenti alimentari erronei rimane per tutta la vita. Lo stress di qualsiasi tipo rappresenta un significativo detonatore per le ricadute del DCA. 
Tutte abbiamo dei momenti di particolare stress nella nostra vita. In parte lo stress è inevitabile, talvolta viene dall’esterno, talvolta siamo noi stesse che ci auto-stressiamo. Ovviamente non possiamo predire o controllare alcuni grossi stress della vita, come per esempio lo stress che può comparire a seguito della morte di una persona cara, o in caso di catastrofi naturali, etc. Ma possiamo comunque controllare parte dello stress della nostra vita: possiamo decidere come e quando fare dei cambiamenti nella nostra vita. […]
(mia traduzione) 

Io sono d’accordo con ciò che questa ragazza ha scritto. Ed è un qualcosa che gli altri non sono mai stati capaci di spiegarmi veramente quando ero nel pieno dell’anoressia.
Al termine del mio primo (e decisamente disastroso) ricovero in una clinica specializzata nel trattamento di DCA, quando ero ancora estremamente sottopeso e basilarmente con una mentalità ancora totalmente immersa nella malattia, venni incoraggiata a ritornare immediatamente a frequentare la scuola poiché, a detta degli altri, “mi avrebbe fatto bene ri-immergermi tra i miei coetanei e dedicarmi ai miei impegni scolastici per non rischiare di perdere l’anno”. Dopo circa tre settimane il preside mandò una lettera a casa chiedendo per me accertamenti medici visto che ero svenuta 3 volte a scuola nel giro di 20 giorni. (Abbastanza ironico, no?!)

Insomma, dopo aver comunque perso un anno di scuola, dopo aver fatto un secondo ricovero nello stesso centro, ed aver finalmente recuperato qualche chilo (pur restando comunque molto sottopeso), ritornai di nuovo a scuola, e poiché l’anno scolastico era già iniziato da un pezzo, m’impegnai con le unghie e con i denti per non perdere un secondo anno di scuola. Anziché cercare di consolidare i primi esitanti passi che avevo mosso sulla strada del ricovero, mi sottoposi ad un forte stress a causa della scuola. Stavolta fui più resistente, mesi anziché settimane, ma poi l’anoressia ebbe di nuovo la meglio su di me, ricominciai molto gradualmente a restringere l’alimentazione, e la malattia mi catturò di nuovo.

Ad ogni modo, dall’esterno la maggior parte della gente mi giudicava “pronta”. Il mio peso era un po’ risalito, e riuscivo sempre a conseguire dei discreti voti a scuola. Mi comportavo in maniera normale di fronte agli occhi di tutti, avevo ricominciato a fare karate, ero di nuovo in pista. Per lo più, io stessa pensavo di essere pronta. La pazienza non è la mia dote migliore – non lo è mai stata, temo non lo sarà mai.

Il problema ovviamente stava nel modo in cui io valutavo il mio “essere pronta”. Confrontando come stavo in quel periodo rispetto a come stavo quando ero nel pieno dell’anoressia ed avevo toccato il mio peso più basso in assoluto, sicuramente avevo fatto dei passi avanti. Ma se si misura l’ “essere pronta” rispetto a quanto fossi in quel momento in grado di affrontare la vita quando le cose si scostavano anche solo di poco dall’orinaria routine, la valutazione sarebbe stata ben diversa. Avere recupero e poi stabilità ponderale ed emotiva è importante, certo, su questo non si discute. Ma non si può dire che una persona con un DCA sia “pronta” ad affrontare le sfide della vita valutando soltanto questi due parametri.

La cosa più difficile per me, dato che sono una persona basilarmente orgogliosa, è stata l’imparare a chiedere aiuto nei momenti di difficoltà, nonché il capire che la mia anoressia era in sè un problema, e non la strategia di coping giusta da utilizzare di fronte ad ogni qualsiasi altro problema della mia vita. Ho dovuto prendermi calci su calci nel mio arrogante culetto prima di rendermi finalmente conto che avrei potuto solo fingere di stare meglio per un lasso di tempo più o meno lungo, prima che qualcuno non avesse sgamato le mie balle. Dovevo rischiare di apparire inizialmente un po’ stupida per evitare di sembrare una completa idiota parecchi anni più tardi.

L’altra cosa che mi c’è voluto un sacco di tempo per capire, è stata quanto tempo ci voglia per costruire nuovi pathway neurali e nuove risposte, quanto tempo ci voglia per cominciare ad allontanarsi effettivamente dall’anoressia. L’avevo seriamente sottovalutato. La gente credeva che nel momento in cui riuscivo a mangiare normalmente, allora ero guarita! In realtà, mi ci sono voluti anni ed anni ed anni di severissima auto-imposizione nel consumare quotidianamente l’ “equilibrio alimentare” per acquisire un pochina di flessibilità rispetto alla mia alimentazione. In realtà, sono tuttora molto poco flessibile sia da un punto di vista comportamentale che cognitivo.

Quel che voglio dire è che, fintanto che non succede niente, fintanto che la mia vita è routinaria, me la cavo abbastanza bene. Se non sono particolarmente stressata per un qualche motivo, posso tranquillamente sembrare “normale”, per lo meno ad un’osservazione superficiale. Stress, cambiamenti, e tutte quelle cose incerte di cui la vita è piena, ed ecco che tendo a riscivolare verso la mia strategia di coping preferenziale. Poiché lo stress non era costantemente presente nella mia vita, anche nei periodi in cui ero più legata all’anoressia pensavo che sarei riuscita a gestire tutto. Ma non ci sono poi mai riuscita veramente. Tutte le volte che le cose si facevano più difficili, l’anoressia tornava a fare da padrona nella mia testa, e disconnettere le due cose – stress e anoressia – prima che la seconda avesse di nuovo la meglio su di me, è una cosa che mi ha richiesto anni su anni, ed altri 3 ricoveri. Tuttora devo fare molta attenzione. Sono certamente più brava rispetto a prima, più brava rispetto a quanto non lo sia mai stata finora, ma l’anoressia è ancora lì che mi tenta, e probabilmente ci resterà sempre, in agguato, in attesa che io compia un passo falso.

La morale della storia è: percorrere la strada del ricovero è un incredibile stress. Ma non abbiamo niente da dimostrare a nessuno, e non dobbiamo metterci fretta, bensì prenderci tutto il tempo di cui crediamo di aver bisogno se non ci sentiamo “pronte”. E non preoccuparci di tutto il resto: staccarsi dall’anoressia ora è la priorità. Una volta fatto questo, una volta rotto lo strettissimo legame che ci ancora all’anoressia, l’affrontare tutti gli altri problemi ci sembrerà molto più semplice.

venerdì 9 agosto 2013

Una lettera per chi sta combattendo

Mie care guerriere della luce che state combattendo contro l’anoressia/la bulimia/il binge/un DCAnas,

forse in questo momento state male. Vi sembra che il vostro DCA sia più forte di voi. Non sapete da che parte sbattere la testa. Lo leggo spesso nei vostri blog, sento spesso questa sensazione d’impotenza nei confronti del disturbo alimentare. Ma penso che, se nonostante tutto siete qui a leggermi, vuol dire che state cercando di tenere duro. Che la vostra scintilla non si è spenta. Sono preoccupata per voi? Sì. Ma credo che ce la possiate fare? SI. Sempre. Perché? Perché so che siete forti abbastanza. E so che lo siete perché continuate a combattere, perché non vi arrendete. So che quello che si sceglie è il sintomo, ma nessuno sceglie il disturbo alimentare in sé, con tutte le devastanti conseguenze che esso ha nella vita quotidiana… però tutte possiamo scegliere la strada del ricovero. Siate coraggiose, siate forti, fatelo per voi stesse: fate questa scelta. Il mondo ha bisogno di voi – delle vere voi stesse, quelle bellissime e meravigliose, non quelle malate e compromesse.

Sono assolutamente certa che ciascuna di voi sia ben più forte del suo DCA. So che siete delle guerriere. Ve lo siete dimenticato?

 Non posso lasciarvelo dimenticare. Non ve lo lascerò dimenticare. Non dovete permettere a qualche ricaduta di affossare tutti i progressi che nel frattempo avete fatto. Voi meritate il meglio, e combattere contro l’anoressia è l’unico “meglio” possibile. Credetemi. So quant’è difficile – so che a volte si vorrebbe mandare tutti e tutto a fanculo, e ricominciare a restringere l’alimentazione perché così tutto sembra più facile. Ma voi non siete delle perdenti. E l’anoressia può anche sussurrarvi che restringere l’alimentazione è l’unico mezzo che avete a disposizione per controllare tutto della vostra vita, ma è nient’altro che una delle tante bugie che essa racconta. È tutta fuffa.

So quali traguardi potete raggiungere – anche se ci vorrà un sacco di tempo e un sacco di fatica. So che potete fare tanto grazie alla vostra volontà, grazie all’aiuto professionale di psicologi, psichiatri e dietisti, e grazie al supporto delle persone che vi vogliono bene. Perché intorno a voi ci sono veramente persone che vi vogliono bene… ma non per la vostra fisicità, il vostro peso, quanto (non) mangiate, o quanta attività fisica fate; ma persone che vi vogliono bene per la vostra determinazione, il vostro coraggio, la vostra bellezza interiore, la vostra intelligenza, la vostra simpatia, la vostra realtività e la vostra ironia.

E la sapete una cosa? Se continuate a combattere, poco a poco le cose andranno meglio. C’è una parte di voi che magari continua a pensare che starà meglio solo se continuerà con la restrizione alimentare e con tutti i pensieri tipici del DCA… ma è sbagliato. Semplicemente. E non voglio che pensiate che possa essere così, perché se lo pensate allora è l’anoressia che vi fa ragionare in questo modo, non siete voi.

So che a volte tutto sembra essere troppo. So che a volte percorrere la strada del ricovero sembra una cosa troppo dura, troppo difficile, troppo faticosa, troppo invasiva, troppo opprimente. E so che vorreste gridare: “Non è quello che voglio! Io voglio continuare a restringere l’alimentazione! Voglio avere il controllo!” – ma è l’anoressia che vi fa parlare così. E ogni volta che credete che l’anoressia vi stia dicendo la verità, ogni volta che cedete alla malattia, state perdendo una parte di voi stesse.

E io non voglio che vi danniate per una malattia. Non voglio che vi perdiate per l’anoressia.

Per questo continuerò a ripetervi di tenere duro e di mandare a fanculo l’anoressia, di farle mangiare merda. E continuerò a credere in voi anche quando avrete delle ricadute – perché credo che abbiate tutta la forza e la volontà per rialzarvi. E sappiate che, se avete voglia di sfogarvi, di piangere, di gridare, di arrabbiarvi, di sclerare, le mie spalle sono grandi abbastanza per tutte voi. Qualsiasi cosa, purchè non vi facciate fregare dalle bugie che racconta l’anoressia. D’accordo?

So che è dura. So che è dannatamente dura. So che a volte è un inferno. Ma il giorno giusto per combattere è “oggi”. E voi ce la potete fare.

No, ce la potete fare.

No, CE LA POTETE FARE. 

Okay?

Vi voglio bene. Continuiamo a combattere.

Tutto il mio amore,

Veggie 

P.S.= Ho ricevuto tramite e-mail un’interessantissima domanda da parte di LookingForM, che chiede: “Può una persona che ha attraversato un DCA , e ne porterà i segni, approcciarsi alla professione di psicoterapeuta con successo?”. Poiché penso che la risposta a questa domanda sia soggettiva, la giro a voi: che ne pensate?
Se vi va, mi farebbe molto piacere se mi rispondeste tramite mail all’indirizzo: veggie.any@gmail.com
Nel post di Venerdì prossimo riunirò e pubblicherò tutte le vostre risposte!
Grazie in anticipo a chi risponderà!!

venerdì 24 febbraio 2012

Prevenzione delle ricadute: Identificare le situazioni di rischio

Eh sì. Identificare le situazioni di rischio. Quando si è nel pieno dell’anoressia, praticamente qualsiasi cosa rimanda all’anoressia stessa. Anche durante i primi passi sulla strada del ricovero la situazione persiste. Un piccolo sbaglio può farci venire voglia di punirci, di prendercela con noi stesse. Una minima critica che qualcuno ci rivolge può ributtarci nella spirale. Ogni situazione ansiogena fa scattare la molla della restrizione alimentare.

Anche se alcune cose riusciamo a tenerle sotto controllo, ci sono un mucchio di situazioni che possono amplificare i tipici pensieri del DCA e rendere più vulnerabili alle ricadute. Una parte importante nell’identificare le situazioni di rischio consiste nell’anticipare la situazioni in cui potremmo aver bisogno di un supporto extra. L’altra parte consta di costruire quello che mi piace chiamare “un piano di mitigazione” (in realtà è un termine che ho rubato all’ospedale, veniva usato quando facevo tirocinio al Pronto Soccorso, però secondo me si adatta bene anche alla prevenzione delle ricadute nell’anoressia), in maniera tale da poter sopravvivere all’evento avverso con il minimo danno possibile.

Le situazioni di rischio possono essere molteplici, e sono comunque estremamente variabili da persona a persona. Tanto per fare qualche esempio estremamente limitato, situazioni di rischio possono essere date da:

- Malattie fisiche che comportano una riduzione dell’appetito
- Cambiamenti in un qualche ambito della vita
- Vedere che un’amica ha avuto una ricaduta o ha perso peso
- Un aumento di peso (specie se rapido)
- Un nuovo lavoro/Una nuova esperienza scolastica
- Una sconfitta in un qualsiasi ambito della vita
- Una critica ricevuta da qualcuno
- Il dover comprare vestiti nuovi
- Il dover mangiare senza poter seguire l’ “equilibrio alimentare” prescritto dal dietista
- Fare qualcosa che spezza la routine quotidiana (per esempio, una cena di lavoro al ristorante)
- Aumento dell’ansia e dello stress
- Difficoltà nelle relazioni interpersonali
- Delusioni e ferite
- Etc…

Alcune di queste situazioni di rischio possono essere evitate, ma non tutte e non sempre. Analogamente, alcune di queste situazioni di rischio possono essere anticipate, anche se non tutte e non sempre. Detto questo, se non possiamo evitare le situazioni di rischio e non possiamo anticiparle, che altro possiamo fare? Come facevo quando tirocinavo al Pronto Soccorso, bisogna elaborare un piano (un piano di mitigazione!) che ci aiuti a relazionarci con queste situazioni difficili senza farci ricadere a pieno nell’anoressia.

È possible creare un “piano di mitigazione” generale per tutte le situazioni di rischio, e addizionarvi qualcosa per farlo aderire alla particolare situazione in cui ci si viene a trovare.

In generale, un “piano di mitigazione” può comprendere i seguenti aspetti:

- Utilizzare tutti i sistemi di supporto che si hanno a disposizione: psicoterapeuti/dietisti/familiari/amici
- Aumentare la frequenza degli appuntamenti con gli psicoterapeuti/dietisti
- Parlare di ciò che ci porta a ricadere, cercando di trovare insieme agli altri una soluzione
- Cercare di fare il meglio che si può per affrontare quella difficile situazione
- Rispettare rigorosamente le dosi dell’ “equilibrio alimentare” per ogni cibo, imponendosi di non sgarrare neanche di un grammo
- Essere oneste con noi stesse sulla reale natura del problema
- Avere la consapevolezza che le ricadute sono parte integrante del percorso di ricovero, e non fanno di noi delle fallite
- Ascoltare la voce della razionalità e non la spinta verso i comportamenti anoressici data dall’emotività
- Prendere le distanze dalle persone che consideriamo ansiogene
- Ricercare l’auto-aiuto e il supporto che si può avere tramite Internet
- Avere la consapevolezza che il proprio “equilibrio alimentare” e la propria attività fisica è quella GIUSTA PER NOI STESSE, a prescindere da ciò che fanno gli altri
- Evitare di fare cose che potrebbero aumentare l’ansia e il disagio
- Etc...

Alcuni di questi punti sono applicabili in svariate situazioni, mentre altri hanno una maggiore specificità. L’idea è quella di costruire un “piano di mitigazione” che sia flessibile e che possa essere applicato a molteplici situazioni che ci vedono a rischio ricaduta, una sorta di “linee guida” da utilizzare quando ci rendiamo conto che l’anoressia rischia di nuovo di avere la meglio su di noi.

Sapere e volere è potere, si dice dalle mie parti, e nel caso della prevenzione delle ricadute credo sia assolutamente vero. La frase “uomo avvisato, mezzo salvato” calza a pennello. Se, per esempio, si riesce ad anticipare una situazione di rischio (per esempio, un invito a cena da parte di amici), si può cominciare ad applicare il “piano di mitigazione” prima che l’evento abbia luogo. Sebbene questo non possa magari evitare del tutto ogni slittamento all’indietro, può comunque essere importante per contenere i danni.

venerdì 17 febbraio 2012

Prevenzione delle ricadute: Punti di forza & difficoltà

Inizio oggi un nuovo ciclo di post, sempre in risposta a una domanda che, con sfumature differenti, mi è stata rivolta da molte di voi: come prevenire/evitare le ricadute nel DCA quando si sta percorrendo la strada del ricovero? Dato che questo è un argomento di cruciale importanza per tutte noi, comincerò dalle fondamenta.

Uno dei punti principali nella prevenzione delle ricadute consiste nell’individuare quali sono le difficoltà che spingono a ricadere nel DCA che potremmo dover affrontare, in modo da anticiparle, creando preventivamente un piano che ci permetta di affrontarle senza sbatterle immediatamente sul versante dell’anoressia restringendo l’alimentazione, ma cercando d’individuare altre strategie di coping. Un altro aspetto fondamentale nella prevenzione delle ricadute consiste nel valutare quali siano i nostri punti di forza. Cosa possiamo fare quando ci troviamo immerse nelle difficoltà e tutto ci spinge verso una ricaduta nei comportamenti tipici dell’anoressia?

Per prima cosa, possiamo stendere una lista in merito a quelli che sono i nostri punti di forza e le nostre difficoltà: una rete di sicurezza per il nostro piano di prevenzione per le ricadute.

Tanto per fare qualche esempio.

Punti di forza:
- Avere vicino familiari e amici supportivi
- Avere la possibilità di consultare psicologi/psichiatri/dietisti
- Lavorare su noi stesse per identificare ed analizzare ciò che spinge a ricadere
- Motivazione a stare meglio
- Capacità di ritagliarsi altre possibilità oltre l’anoressia
- Capacità di direzionare il pensiero distogliendolo dall’ossessività del DCA
- Forza di volontà e determinazione
- Etc…

Difficoltà:
- Solitudine
- Ansia
- Perfezionismo
- Dismorfofobia (solo in chi, ovviamente, presenta questo sintomo)
- Competitività
- Paura del cambiamento
- Disagio con la propria fisicità
- Tendenza ad assecondare le ossessioni del DCA
- Etc…

Dopo aver redatto una lista di questo tipo, bisogna prendere in considerazione ognuna delle difficoltà, e scrivere un’altra lista in cui ad ogni difficoltà si associa una strategia di coping che sia diversa dall’adottare i comportamenti tipici dell’anoressia. Tanto per fare un esempio prendendo un aspetto che credo interessi chiunque abbia un DCA, come relazionarci con il disagio che proviamo rispetto al nostro corpo senza restringere l’alimentazione.

Piano contro il disagio per la fisicità
- Focalizzarci su quello che il nostro corpo può fare, piuttosto che su quello che il nostro corpo è
- Fare sport insieme a un’amica piuttosto che da sole
- Ripetere più e più volte: “Il mio corpo sta bene ed è in salute se io mantengo questo peso, e non quando pesavo XX chili in meno
- Parlarne con familiari/amici/terapeuti per cercare di stemperare le sensazioni che proviamo
- Non fare checking e stare il meno possibile davanti allo specchio
- Non pesarsi
- Accettare il fatto che il nostro corpo non è come vorremmo che fosse, ma che può andar bene comunque
- Ricordare: restringere l’alimentazione è una soluzione-placebo, poiché di fatto non serve a nulla, non risolve veramente quello che ci sta sotto. L’anoressia è una soluzione a breve termine che diventa un problema a lungo termine

Ovviamente questa lista non ha la pretesa di essere esaustiva, né di risolvere completamente il problema della difficile accettazione della nostra fisicità, né evitare che si abbiano ricadute, tuttavia penso possa essere un buon punto di partenza… e potete elaborarla per qualsiasi punto della vostra lista di difficoltà.

domenica 27 dicembre 2009

Il plateau infinito

Generalmente, percorrere la strada del ricovero è come andare sulle montagne russe: un tragitto pieno di salite e discese, curve e giri della morte. Lo sappiamo. Lo capiamo. Lo sentiamo. Lo viviamo. C’è, tuttavia, una meno nota parte di ogni percorso di ricovero che io chiamo “il plateau”.

Il plateau è quello che mette veramente alla prova la nostra resistenza. Inevitabilmente, durante un percorso di ricovero, arriva un momento in cui tutto sembra avere un andamento costante – non va peggio ma non va neanche meglio – e questo continua per un bel po’ di tempo. Ciò ci fa sentire come se fossimo… in un punto di stallo.
E questo fa montare un incredibile nervoso.
Fa domandare se ci sia un posto dove possiamo avere una vista migliore, o se abbiamo già raggiunto la vetta.

Be, lasciate che ve lo dica, adesso: non l’abbiamo raggiunta. Arrivare al plateau è una buona cosa sotto un sacco di punti di vista, poiché raggiunto quel punto svanisce la costante preoccupazione di poter avere una ricaduta da un momento all’altro. Svanisce l’idea di poter tornare al punto di partenza come se tutti i progressi fatti sparissero come neve al sole. Non si è più unicamente focalizzate sul tenerci sulla giusta strada giorno dopo giorno. Abbiamo raggiunto un primo traguardo. Abbiamo fatto progressi. Stiamo andando bene.

Tuttavia…

Ogni giorno adesso sembra uguale a tutti gli altri. Stiamo OKAY, ma non stiamo BENE. Non ci sentiamo veramente libere. E la cosa peggiore in tutto questo è che più niente sembra poter cambiare. Per quanto possiamo affannarci, per quanto possiamo pensare a qualcosa da fare per smuovere la situazione, continuiamo a sentirci le stesse giorno dopo giorno. E s’inizia a chiederci: che senso ha? E’ QUESTO ciò per cui sto lavorando? E’ QUESTA la meta finale della strada del ricovero?

NO.

Nelle migliori storie, “tutti vissero felici e contenti”… perciò, se non siete felici e contente, questa non è ancora la fine.

La strada del ricovero non ha una meta. Non potrete mai dire di essere arrivate. È un percorso che dura tutta la vita. È così lunga che non potete vedente il termine a occhio nudo. Ma quando vi troverete a comparare, per esempio, il giorno 88 con il giorno 1749, vedrete che c’è una netta differenza. Capire cosa intendo dire? Le differenze non possono essere notate su base giornaliera, paragonando ieri e oggi, ma a lunga gittata vi accorgerete che le differenze ci sono. Ci sono eccome.

Il plateau non è eccezionale. Ma è stabile. E per fortuna. Credetemi. Non sarà la massima realizzazione, ma lasciate che ve lo dica: è un ottimo risultato rispetto all’essere immerse fino al collo nell’anoressia in ogni momento del giorno e della notte. E alla fine di quello che sembra essere un plateau infinito… quando l’avrete percorso tutto… troverete una discesa. E tutto quello che dovrete fare sarà saltare dentro la libertà che questa potrà darvi. Niente montagne da scalare. Niente buche da saltare. Solo una discesa. E sicuramente avrete modo di guardarvi intorno e di notare le meraviglie che la vita vi mette accanto ma che l’anoressia v’impediva di vedere.

Abbiate pazienza con voi stesse, e continuate a combattere. Il plateau è solo una parte della strada del ricovero. Non è già tutto finito… il meglio è quello che deve ancora venire!!

mercoledì 7 ottobre 2009

Scegliere il ricovero

L’anoressia non è altro che una bugia che ci raccontiamo, perché è più facile che non dirci la verità. In fin dei conti, convivere con il sintomo, per quanto questo possa essere disagevole, è più facile che trovare il coraggio di darsi la possibilità d’iniziare a percorrere la strada del ricovero. Distruggere è sempre più facile che costruire.

Ma, ragazze, volete davvero vivere il resto della vostra vita in balia dell’anoressia? In fin dei conti, avete ancora la possibilità di fare una scelta: potete scegliere la strada della luce, l’unica scelta che vi garantirà un futuro.
Certo, sarà dura e sarà difficile, è una strada in salita ed è ardua da percorrere. Ci saranno inevitabilmente delle ricadute, ma non dovete sentirvi delle fallite per questo: siamo umane, ci è concesso di sbagliare, e non c’è niente di male in questo; anzi, una ricaduta può aiutare a mettere a fuoco dov’è che c’è stato l’errore, al fine di non ripeterlo una seconda volta. L’importare è trovare la forza di rialzarsi e di andare avanti nonostante tutto.

Il vero obiettivo nella vita non è quello di apparire differenti – cambiando il nostro corpo, ma quello di apparire differenti – cambiando la nostra consapevolezza e maturando come persone. Noi non siamo il nostro corpo, e men che meno la nostra immagine corporea!!

Voi non siete un mero involucro, ragazze… voi siete VOI STESSE. E non c’è niente di meglio al mondo, perché siete meravigliose, brillanti come stelle, fantasiose, intelligenti, simpatiche, speciali. E questo si avvicina molto più alla perfezione di qualsiasi altra cosa.

Lo so, uscire dal loop dell’anoressia è estremamente difficile, rompere il circolo vizioso dei pensieri è arduo, ma sappiate che non state combattendo da sole: anch’io sto percorrendo la strada del ricovero, e giorno dopo giorno lotto per impedire all’anoressia di avere di nuovo la meglio su di me. Certo, sono consapevole che non se ne andrà mai del tutto dalla mia testa, ma a poco a poco sto imparando strategie di coping che mi permettano di affrontare i miei problemi senza dovermi rifugiare dell’abbraccio dolce e al contempo soffocante dell’anoressia.

Pensateci, ragazze: l’anoressia via ha veramente dato tutto quello che vi aveva promesso? Vi ha veramente fatto ottenere ciò che desideravate? Non credo. Abbiamo solo questo corpo, abbiamo solo questa vita: cerchiamo di prenderci cura di noi stesse, senza bisogno di morire per vivere, perché l’anoressia non ci farà mai essere quello che desideravamo, non esaudirà mai le sue promesse.

La strada del ricovero è dolceamara, ma nel momento in cui si decide di percorrerla si affibbia un bel calcione all’anoressia. Quell’anoressia che sembrava essere tutta la nostra vita, l’unica cosa che ci definiva, a poco a poco viene ad essere sostituita da quello che la vita E’ veramente. Certo, ci sono momenti difficili, e sono tanti, momenti in cui ci si sente perse e si ha paura ad andare avanti, perché il non sapere quello che ci aspetta incute timore. Ma va bene, dico davvero, ragazze, va bene così. Perché a volte aver paura è proprio un modo per cominciare.

giovedì 23 aprile 2009

Tenere duro

Più continuerete a tenere duro, più il percorso del ricoverò diventerà una strada meno in salita. Cose che oggi vi riescono difficili, le troverete un domani spontanee e naturali. Man mano che procederete per la vostra strada, scoprirete parti di voi che non avevate ancora visto. Imparerete su voi stesse da voi stesse. E arriverete come desiderate, anche se questo avrò richiesto un sacco di tempo e di sforzi.

E sicuramente di sforzi adesso ne state facendo un sacco. E probabilmente state pure pensando: “Quando potrò fare un po’ meno fatica?” o “Quando sarò libera da tutto questo?”. Bè, ricordatevi sempre che la strada del ricovero è una strada che dura per tutta la vita, ma che il meglio deve ancora venire. Che voi potete farcela. Perché avete tutte le carte in regola. E che le cose in futuro saranno davvero più semplici.

Le ricadute accadranno inevitabilmente. Ma tenete duro. Non lasciate che interrompano del tutto il vostro percorso.

Non lasciatevi condizionare dai pareri e dagli sguardi altrui. Non lasciate che qualcuno vi dica come dovete essere e cosa dovete provare. Appartenete solo a voi stesse. Non pensate neanche per un attimo che i vostri insuccessi passati pregiudichino i vostri successi futuri. Avete un mondo davanti, e tutte le armi per affrontarlo, se solo vi decidete a tirarle fuori. Se solo lo volete veramente. Perciò, tenete duro e scegliete il ricovero. Ripeto, qualsiasi significato abbia per voi questa parola, che si tratti di ricoverarvi in una clinica, di farvi seguire settimanalmente da uno psicoterapeuta, di consultare un dietista/nutrizionista o di lottare da sole. Se avete la determinazione di scegliere il ricovero in piena convinzione, siete già a metà strada. Se invece sentite che la vostra motivazione al ricovero vacilla, fate di tutto per rinforzarla. Se sentite che ci sono un sacco di cose che non vanno bene nella vostra vita, provate a cambiarne una. Cambiare una cosa può servire a cambiarne molte altre, in una sorta di reazione a catena senza fine.

Certo, scegliere il ricovero non significa andare su una strada in dicesa dove tutto andrà a meraviglia. Ma significa che voi cercherete di fare di tutto affinché le cose vadano più a meraviglia possibile. Non preoccupatevi di quanti contro l’anoressia può farvi venire in mente per impedirvi d’iniziare un processo di ricovero: i pro saranno sempre più numerosi e, soprattutto, più importanti. Starete meglio, vi sentirete meglio, imparerete a vivere di nuovo. Se avete un perché per vivere, sopporterete qualsiasi come.

Tenete duro. Vi voglio bene.

lunedì 20 aprile 2009

Scoprire "pensieri da ricovero"

Una delle cose più importanti, quando s’intraprende la strada del ricovero, è essere sincere con se stesse. Parlarsi in onestà significa anche mettersi di fronte a verità spiacevoli. Ma è necessario, se si vuole che veramente ciò che si sta facendo abbia un senso e possa portare da qualche parte.

E una delle cose su cui bisogna imparare sin da subito a dirsi la verità, riguarda i sentimenti provati nei confronti del proprio corpo e del proprio peso.

In tal senso, il ricovero può apparire un po’ come una battaglia tra due parti di noi stesse. Quella che vuole guarire, e quella che rimane nonostante tutto aggrappata al DCA. Una sorta di infinita partita a ping-pong.

Una cosa del tipo:

Vedete che il vostro peso aumenta. Vedete che i numeri sulla bilancia salgono. Fremete. Vi si spezza il respiro. Venite assalite dall’ansia. Provate a dirvi che va tutto bene perché state raggiungendo un peso che vi permetterà di essere in salute. Ma non vi sentite bene. Sebbene con la razionalità lo sappiate, con i sentimenti non riuscite ad arrivarci. Così, pensate di restringere. O di mettervi a fare esercizio fisico in maniera compulsiva. O di vomitare. Ma sapete che non potete farlo perché volete proseguire sulla strada del ricovero. E cercate di mantenere tutti i questi pensieri fuori dalla vostra mente perché vi fanno impazzire.

Ora, il punto è: se cedete alla restrizione, se provate di nuovo a vomitare, riprenderete quella spirale discendente che vi riporterà dritte dritte nelle braccia di ciò da cui state cercando di fuggire. Ricordatevelo. È molto, molto semplice dire “Ma no, restringo solo per una volta, poi ritorno a mangiare seguendo il mio equilibrio alimentare!”… solo che non succede mai così. Perché la restrizione fa sentire bene. E così “Solo per una volta” diventerà “solo per 2 volte” e poi “solo per 3 volte” e così via. E continuerete a restringere convinte di potervi fermare da un momento all’altro, senza rendervi conto che invece siete già riprecipitate nella logica perversa dell’anoressia che vi domina di nuovo. Lo sapete. È semplice dire che si restringerà solo un po’, solo per una volta, ma farlo è molto pericoloso. Un passo in avanti quando si è sull’orlo dell’abisso.

Ve lo dico per esperienza.
Una volta, dopo uno dei miei ricoveri, quando avevo raggiunto un peso “normale”, iniziai ad essere presa dall’ansia anche se ero comunque determinata a proseguire il mio persorso di ricovero, così mi dissi che avrei ristretto solo un pochino, solo per sentirmi un po’ meglio, solo per sentirmi un po’ più me stessa. E poi basta. Perciò lo feci. Brutta mossa, sì. Prima ancora che me ne rendessi conto, ero già tornata a XX Kg. E davvero volevo stare bene, volevo lasciarmi alle spalle l’anoressia. Ma c’ero di nuovo dentro. Dentro fino al collo. Tutto da rifare.

Non voglio che questo succeda a qualcuna di voi. So che ci sono mementi difficili, in cui sembra che restringere sia l’unica soluzione ma, davvero, restringere non è la soluzione. È il problema. Perciò, cercate di essere forti e di non cedere alla tentazione di restringere anche quando vedrete la lancetta della bilancia spostarsi verso destra. In fin dei conti, se ben ci pensate, la bilancia è un oggetto. Un oggetto esattamente come un tostapane o un frullatore. Lascereste che il vostro umore venga influenzato da un tostapane o da un frullatore? Lascereste che un tostapane vi dica quanto valete? Lascereste che un frullatore vi faccia piangere o gioire? Non credo proprio… E lo stesso vale per una bilancia. La bilancia ha potere solo perché siete voi a darglielo. Ricordatevelo, quando vi sentirete giù perché la lancetta si muove verso destra. Quel numero non misura quanto valete.

Tra l’altro, vi accorgerete che più siete capaci di resistere alla tentazione di restringere e agli altri comportamenti disfunzionali, meno sarà importante per voi quello che dice la bilancia.

Andrà più o meno così:

Vedete il numero sulla bilancia. Non vi piace per niente. Ma non cedete al forte desiderio di restringere.

Passano i giorni.

Vedete il numero sulla bilancia. Non vi piace un granché. Ma non avete più quel forte desiderio di restringere.

Passano i giorni.

Vedete il numero sulla bilancia. Non è che vi piaccia molto. Ma dopo un po’ non ci pensate più, e ve lo dimenticate per il resto della giornata.

Passano i giorni.

Vedete il numero sulla bilancia. Vi sentite piuttosto indifferenti. Non vi piace né vi dispiace. Perché sapete che è la cosa giusta per stare bene. E perché cominciate a sentirvi bene.

Passano i giorni.

Vedete il numero sulla bilancia. Vi sentite indifferenti. Sapete che avete fatto un altro passo avanti nella strada della vostra vera vita. E vi sentite un po’ più forti.

Passano i giorni.

Vedete il numero sulla bilancia. Vi sentite decisamente indifferenti. Cominciate a sentirvi bene. Perché un numero non influenza più il vostro umore.

Passano i giorni.

Vedete il numero sulla bilancia. Vi piace. E sapete perché? Perché significa che siete libere dal potere della bilancia e dei numeri. Che siete voi a decidere come vi sentite.

Può richiedere mesi, anni, decenni, ma potete farcela. Ricordate che ogni volta che salite sulla bilancia e provate a fare in modo che il numero che segna non vi influenzi, state facendo un passo avanti. Un grande passo verso la meta. Che potete davvero raggiungere.

lunedì 9 marzo 2009

Anoressia: C'è un tombino aperto sulla mia strada

Il ricovero dall’anoressia, con i suoi progressi e le sue ricadute, può essere secondo me considerato un qualcosa come un percorso su una strada in cui c’è un tombino aperto.

Capitolo 1
Sto camminando per strada e c’è un tombino aperto.
Non lo vedo, e ci cado dentro.
È freddo, scuro, cancella ogni speranza, e ci vuole un sacco e una sporta di tempo per trovare il modo per uscirne. Non dipende da me!

Capitolo 2
Sto camminando per la solita strada.
C’è un tombino aperto. Un tombino aperto bello grande. Lo vedo, ma ci cado dentro comunque.
È freddo, scuro, cancella ogni speranza, e ci vuole un sacco di tempo per trovare il modo per uscirne. Ancora una volta, non dipende da me!

Capitolo 3
Sto camminando per la stessa strada. C’è un tombino aperto.
Lo vedo, e decido ancora una volta di caderci dentro.
(…Sta diventando un’abitudine…)
Ma stavolta tengo gli occhi aperti, mi lascio guidare dalla luce che vedo provenire dall’altro, e riesco ad uscirne in maniera più rapida e più agevole. Dipende da me.

Capitolo 4
Sto camminando per la medesima strada, c’è un tombino aperto.
Lo vedo, e ci cammino intorno superandolo senza caderci.

Capitolo 5
Sto camminando per un’altra strada.

Spero che l’analogia sia valida per tutte voi… dal primo – ma soprattutto – all’ULTIMO capitolo…
 
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