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venerdì 25 aprile 2014
Come poter dare una mano a chi ha un DCA
Come avrete già intuito dal titolo, il post di oggi è in effetti dedicato più che altro a genitori/fratelli/sorelle/parenti/amici/etc… che hanno quotidianamente a che fare con una persona affetta da anoressia/bulimia.
Vorrei dunque proporvi alcuni semplici consigli che potrebbero servirvi se dovete relazionarvi ad una ragazza che ha un DCA ma, premessa: mettetevi il cuore in pace, perché non ci sono bacchette magiche. I miei consigli sono tesi semplicemente a darvi qualche suggerimento, ma non sono certo risolutivi… magari potessero esserlo! Quello che state per leggere potrà al più servirvi per smussare alcuni angoli, per migliorare un po’ il vostro rapporto con la persona che ha un DCA e con cui vi relazionate, ma non sono la chiave di volta per i rapporti splendidi e men che meno hanno valenza assoluta ed universale.
Io parto dal presupposto che, per chi non ha mai vissuto un DCA, sia veramente difficile interagire con una figlia/sorella/amica che è affetta da questa malattia. Pur partendo sempre armati delle migliori intenzioni, spesso e volentieri si finiscono per fare autentici disastri, e per peggiorare ulteriormente il rapporto. Non per cattiveria, ci mancherebbe, ma proprio perché io penso che la maggior parte della gente davvero non sappia come interagire con chi ha un DCA. Errori relazionali credo possano essere frustranti per ambo le parti: per chi ha un DCA, perché si sente incompresa in toto e magari anche ferita, e per familiari/amici di chi ha un DCA, che si sentono impotenti di fronte alla malattia e non sanno come poter essere d’aiuto.
Certo, è verissimo che siamo solo noi a poter aiutare noi stesse, e dunque siamo solo noi a poter decidere cosa fare della nostra vita, e se e come combattere il DCA: nessuno può salvare chi non vuol essere salvato. Però è altrettanto vero che, nel momento in cui una persona inizia a precorrere la strada del ricovero, l’avere accanto persone supportive che non parlano e non si comportano a sproposito, può essere significativamente d’aiuto.
Perciò, cari genitori/fratelli/sorelle/parenti/amici/etc… di chi ha un DCA, eccovi qualche suggerimento in merito a come, secondo me, potreste essere d’aiuto a vostra figlia/sorella/amica.
- Informatevi in maniera adeguata. La stragrande maggioranza delle informazioni che si trovano sulle riviste/in TV/su Internet a proposito dei DCA, vengono fornite da persone che non hanno mai avuto un DCA in vita loro. Bene, sfido chiunque non abbia mai avuto una certa malattia ad essere in grado di parlarne con cognizione di causa. Ergo, non fatevi abbindolare dai millemila luoghi comuni assolutamente falsi sull’anoressia/bulimia che potete trovare chissà dove su Internet, e che vengono scritti da cani e porci. Per sapere cosa significa davvero avere un DCA, cercate testimonianze dirette. Chiedete a chi c’è passato in prima persona. Risalite alla fonte autentica. Solo così potrete avere un’informazione corretta e veritiera su cosa significa vivere con un DCA, su cosa si pensa, su cosa si prova, ed eviterete di affidarvi a cliché che non hanno niente di vero ma che, se ci credete e li applicate, sono vere e proprie pugnalate alla schiena di chi ha un DCA.
- Ascoltate ciò che vi viene detto. Per una persona che ha un DCA è molto difficile parlare della sua malattia. Ma se prende l’iniziativa, e vuole condividere con voi qualcosa della sua anoressia/bulima/binge, prendetevi tutto il tempo necessario per ascoltare. Sottolineo: ASCOLTARE. 99 volte su 100, se una persona che ha un DCA vi parla della sua malattia, non lo fa perché si aspetta che voi tiriate fuori la pillola magica che la farà guarire seduta stante. Non lo fa perché si aspetta da voi mirabolanti soluzioni. Lo fa semplicemente perché ha bisogno di sfogarsi a fronte di un qualcosa che la fa stare male. Non siate critici, non giudicate, non commentate: semplicemente, ascoltate. Ascoltate con attenzione. Non abbiate la presunzione di credere di essere in grado di capire che cosa l’altra persona sta provando ed attraversando. E non date per scontato che ciò che la persona dice sia frutto della malattia: il fatto che si ABBIA una malattia, non significa affatto che si E’ quella malattia.
- Chiedete come poter essere d’aiuto. Ogni persona è una storia a sé, e dunque ogni persona con un DCA può avere necessità e bisogni diversi rispetto alle altre. L’unico modo per sapere in che modo potete essere d’aiuto a vostra figlia/sorella/amica è semplicemente chiederglielo. Così le darete un doppio messaggio: innanzitutto, che voi ci siete, e che dunque se ha bisogno può contare su di voi; in secondo luogo che non volete decidere al suo posto, ma che siete pronti ad ascoltare le sue richieste e ad agire di conseguenza.
- Tenete d’occhio i sintomi. Anche durante il migliore dei percorsi di ricovero possono realizzarsi delle ricadute. Spesso sono scienti, ma quando la persona è ancora molto dentro la malattia perché magari ha iniziato da poco il suo percorso di ricovero, oppure perché sta attraversando una situazione di vita particolarmente stressante, può accadere che la strategia di coping rappresentata dal DCA venga ri-messa in atto di default, senza una precisa intenzionalità. Pertanto, se notate un peggioramento psicofisico di vostra figlia/sorella/amica, fateglielo (con tatto!!) notare subito: può servire per riprendere le redini della situazione, poiché prima si interviene, prima si arresta la ricaduta, più facile sarà rimettersi in piedi.
- Consigliate ma non obbligate (eccetto casi estremi). Un DCA non guarisce da sé. Perché nessuna persona con un DCA è in grado di opporsi in toto ad una malattia che scaturisce dalla propria mente. Quindi, suggerite alternative di psicoterapia e riabilitazione nutrizionale, ma non siate pressanti né coercitivi: come si dice dalle mie parti “per forza non si fa neanche l’aceto”. Non credo che le prese di posizione (esempio: il ricovero coatto) possano essere producenti, perché se una persona non è pronta a lavorare su se stessa, sarà tempo perso. Però, certo, non datevi per vinti: continuate a suggerire alternative di terapia, perché arriva il momento in cui la persona è meno schiava del DCA e più recettiva, e che quindi può iniziare ad accettare l’aiuto che gli state proponendo.
(Questo ovviamente non vale per i casi estremi: è ovvio che se vostra figlia/sorella/amica è in un sottopeso estremo che la mette in pericolo di vita, allora è del tutto opportuno e lecito portarla in ospedale anche contro la sua volontà. Questo non risolverà in alcun modo il DCA – per quello ci vorrà un opportuno percorso – ma almeno nell’immediato le salverà la vita.)
- Niente forzature alimentari su iniziativa personale. Non avete le competenze professionali per stabilire quanto e cosa è giusto che vostra figlia/sorella/amica mangi. Tanto più che, se focalizzate l’attenzione sull’alimentazione, a maggior ragione il cibo diverrà territorio di scontro per tutto quello che non va nei vostri rapporti. Non servono a niente domande, commenti, incitamenti, ricatti, minacce a mangiare: se questo potesse servire a qualcosa, i DCA non sarebbero malattie. Anzi, spesso cose di questo genere sortiscono proprio l’effetto contrario di quello sperato. Una persona che ha un DCA non è stupida, lo sa da sola che non mangia in maniera appropriata, solo che lo fa perché ha una malattia: anziché perdere tempo in costrizioni inutili e controproducenti, consigliate piuttosto un consulto da una dietista.
- Siate espliciti per quanto riguarda l’alimentazione. Se vostra figlia/sorella/amica è seguita da una dietista e mangia secondo un “equilibrio alimentare” prescritto, aiutatela a seguirlo. Siate ligi nella preparazione degli alimenti e nelle quantità, non aggiungete niente anche se siete preoccupati per il sottopeso e vorreste vedere progressi fisici tangibili più rapidamente, non stimolatela a mangiare qualcosa di più o di diverso. Già che all’inizio è difficile seguire l’ “equilibrio alimentare”, non aggiungete stress a stress. Vostra figlia/sorella/amica è seguita da una dietista: quello che mangia è corretto perché previsto da una specialista. Non abbiate fretta e lasciate che il tempo faccia il suo corso.
- Evitate i commenti. I commenti sull’aspetto fisico o sul comportamento nei confronti del cibo per chi ha un DCA non hanno la stessa valenza che possono avere per una qualsiasi altra persona che non ha questa malattia. Un “Sei dimagrita così tanto che sei diventata brutta” può rappresentare un rinforzo positivo per chi ha l’anoressia, oppure “Ma sta benissimo così, non hai mica bisogno di dimagrire!” può spingere la persona con bulimia a compensare di più per tentare di perdere ancora più peso. Inoltre, cosa più importante: il focus di un disturbo alimentare NON è la fisicità. Se fate commenti sul fisico darete l’idea di essere persone superficiali che non capiscono la vera natura della malattia e che sono concentrate solo sull’esteriorità, per cui chi ha un DCA a maggior ragione cercherà di stare male “fuori”, nel tentativo di farvi capire che in realtà sta male “dentro”.
- Non girate la testa dall’altra parte. Non date niente per scontato. Non fate finta di non sapere che vostra figlia/sorella/amica ha un DCA, se questo è palese. Perché un DCA, in alcuni casi, può essere una richiesta d’aiuto non verbale, per cui se fate finta di niente la persona si “impegnerà” ancora di più a sembrare malata. Non abbiate paura di affrontare il problema: anche perché girandovi dall’altra parte state solo procrastinando, un DCA prima o poi emerge comunque, per cui è meglio affrontarlo subito per limitare i danni. E, soprattutto, non cadete nell’errore di voltare la testa dall’altra parte quando il percorso di ricovero è già avviato e la persona ha recuperato peso, non fate l’errore di considerare “guarita” una persona che ha avuto problemi di anoressia solo perché magari è tornata normopeso. Il peso non ha diretta correlazione con la salute mentale. E l’anoressia è una malattia mentale: se la mentalità resta quella della patologia, si può essere malate di anoressia anche se si è nel normopeso più tranquillo del mondo.
- Chiedete quotidianamente “Ehi, come stai oggi?”. Non pretendete una risposta od una risposta sincera, naturalmente. Però così dimostrate che siete aperti all’ascolto, e che ci siete qualora la persona malata volesse parlarvi. E che ci siete sempre, non solo oggi perché la persona è sottopeso, e quando ritorna normopeso arrivederci e grazie.
- Niente sensi di colpa. Non sono utili a voi, e men che meno a chi ha un DCA. Questo non significa che non possiate essere dispiaciuti, ovviamente, ma scivolare nella spirale dei sensi di colpa è solo deleterio. Il passato non si può cambiare né cancellare: perciò, anziché perdere tempo prezioso a rimuginarci sopra, utilizzatelo per valutare cosa potete fare da ora in poi per dare una mano alla persona che ha un DCA.
- Niente pressing psicologico sui risultati attesi. Sulla base di quella che è stata la mia esperienza, mi sono accorta che, ogni volta che facevo un ricovero, o andavo da una dietista, o iniziavo una nuova psicoterapia, gravavano su di me enormi aspettative: l’anoressia veniva considerata alla stregua di una malattia fisica, quindi c’era l’aspettativa che, una volta tornata a casa dopo quei 3 mesi di ricovero, o una volta fatte TOT sedute di psicoterapia, in me ci fosse un cambiamento sostanziale. Non è così. Un ricovero, una psicoterapia, una riabilitazione nutrizionale sono solo tentativi. Possono andar bene come fallire. E anche se vanno bene, possono volerci anni per muovere un piccolo passo in avanti. Quindi, non fate troppa pressione psicologica e non cercate il “tutto e subito” nel voler vedere dei risultati in termini di miglioramento. Anzi, più una persona si sente pressata in tale direzione, più sale l’ansia e quindi più è difficile andare effettivamente in quella direzione. Un percorso di ricovero richiede i suoi tempi, e sono tempi ben lunghi: siatene consapevoli e rilassatevi.
- Accettate i vostri limiti. Il vostro supporto può essere davvero importantissimo per chi sta combattendo contro un DCA. Ma dare supporto è tutto ciò che potete fare. Non avete la capacità di guarire nessuno, semplicemente perché questo nessuno può umanamente farlo. Non potete essere voi a cambiare quello che passa per la testa di una persona che ha un DCA. Non siete in grado di salvare nessuno. Potete sostenere, questo è tanto. E se lo fate con tutti i crismi, allora questo è tutto.
- Prendetevi cura di voi stessi. Stare accanto ad una persona che ha un DCA è faticoso sotto ogni punto di vista, fisicamente e psicologicamente. Perciò, non annullatevi né ammalatevi a vostra volta per stare vicino a chi ha un DCA: sia perché così non potreste essere più di alcun supporto, sia perché niente è più importante di voi stessi. Se ci rimanete troppo sotto avrete un completo burnout: e questo non sarà di alcuna utilità né per voi, né per vostra figlia/sorella/amica. Prendetevi perciò i tempi necessari per avere cura di voi stessi: solo così potrete continuare ad essere di supporto per gli altri.
(Ragazze, se avete qualche altro consiglio da aggiungere a quanto ho scritto, siete vivamente pregate di lasciarlo nei commenti!... Più suggerimenti per familiari/amici ci sono, più questo post può essere utile!...)
Vorrei dunque proporvi alcuni semplici consigli che potrebbero servirvi se dovete relazionarvi ad una ragazza che ha un DCA ma, premessa: mettetevi il cuore in pace, perché non ci sono bacchette magiche. I miei consigli sono tesi semplicemente a darvi qualche suggerimento, ma non sono certo risolutivi… magari potessero esserlo! Quello che state per leggere potrà al più servirvi per smussare alcuni angoli, per migliorare un po’ il vostro rapporto con la persona che ha un DCA e con cui vi relazionate, ma non sono la chiave di volta per i rapporti splendidi e men che meno hanno valenza assoluta ed universale.
Io parto dal presupposto che, per chi non ha mai vissuto un DCA, sia veramente difficile interagire con una figlia/sorella/amica che è affetta da questa malattia. Pur partendo sempre armati delle migliori intenzioni, spesso e volentieri si finiscono per fare autentici disastri, e per peggiorare ulteriormente il rapporto. Non per cattiveria, ci mancherebbe, ma proprio perché io penso che la maggior parte della gente davvero non sappia come interagire con chi ha un DCA. Errori relazionali credo possano essere frustranti per ambo le parti: per chi ha un DCA, perché si sente incompresa in toto e magari anche ferita, e per familiari/amici di chi ha un DCA, che si sentono impotenti di fronte alla malattia e non sanno come poter essere d’aiuto.
Certo, è verissimo che siamo solo noi a poter aiutare noi stesse, e dunque siamo solo noi a poter decidere cosa fare della nostra vita, e se e come combattere il DCA: nessuno può salvare chi non vuol essere salvato. Però è altrettanto vero che, nel momento in cui una persona inizia a precorrere la strada del ricovero, l’avere accanto persone supportive che non parlano e non si comportano a sproposito, può essere significativamente d’aiuto.
Perciò, cari genitori/fratelli/sorelle/parenti/amici/etc… di chi ha un DCA, eccovi qualche suggerimento in merito a come, secondo me, potreste essere d’aiuto a vostra figlia/sorella/amica.
- Informatevi in maniera adeguata. La stragrande maggioranza delle informazioni che si trovano sulle riviste/in TV/su Internet a proposito dei DCA, vengono fornite da persone che non hanno mai avuto un DCA in vita loro. Bene, sfido chiunque non abbia mai avuto una certa malattia ad essere in grado di parlarne con cognizione di causa. Ergo, non fatevi abbindolare dai millemila luoghi comuni assolutamente falsi sull’anoressia/bulimia che potete trovare chissà dove su Internet, e che vengono scritti da cani e porci. Per sapere cosa significa davvero avere un DCA, cercate testimonianze dirette. Chiedete a chi c’è passato in prima persona. Risalite alla fonte autentica. Solo così potrete avere un’informazione corretta e veritiera su cosa significa vivere con un DCA, su cosa si pensa, su cosa si prova, ed eviterete di affidarvi a cliché che non hanno niente di vero ma che, se ci credete e li applicate, sono vere e proprie pugnalate alla schiena di chi ha un DCA.
- Ascoltate ciò che vi viene detto. Per una persona che ha un DCA è molto difficile parlare della sua malattia. Ma se prende l’iniziativa, e vuole condividere con voi qualcosa della sua anoressia/bulima/binge, prendetevi tutto il tempo necessario per ascoltare. Sottolineo: ASCOLTARE. 99 volte su 100, se una persona che ha un DCA vi parla della sua malattia, non lo fa perché si aspetta che voi tiriate fuori la pillola magica che la farà guarire seduta stante. Non lo fa perché si aspetta da voi mirabolanti soluzioni. Lo fa semplicemente perché ha bisogno di sfogarsi a fronte di un qualcosa che la fa stare male. Non siate critici, non giudicate, non commentate: semplicemente, ascoltate. Ascoltate con attenzione. Non abbiate la presunzione di credere di essere in grado di capire che cosa l’altra persona sta provando ed attraversando. E non date per scontato che ciò che la persona dice sia frutto della malattia: il fatto che si ABBIA una malattia, non significa affatto che si E’ quella malattia.
- Chiedete come poter essere d’aiuto. Ogni persona è una storia a sé, e dunque ogni persona con un DCA può avere necessità e bisogni diversi rispetto alle altre. L’unico modo per sapere in che modo potete essere d’aiuto a vostra figlia/sorella/amica è semplicemente chiederglielo. Così le darete un doppio messaggio: innanzitutto, che voi ci siete, e che dunque se ha bisogno può contare su di voi; in secondo luogo che non volete decidere al suo posto, ma che siete pronti ad ascoltare le sue richieste e ad agire di conseguenza.
- Tenete d’occhio i sintomi. Anche durante il migliore dei percorsi di ricovero possono realizzarsi delle ricadute. Spesso sono scienti, ma quando la persona è ancora molto dentro la malattia perché magari ha iniziato da poco il suo percorso di ricovero, oppure perché sta attraversando una situazione di vita particolarmente stressante, può accadere che la strategia di coping rappresentata dal DCA venga ri-messa in atto di default, senza una precisa intenzionalità. Pertanto, se notate un peggioramento psicofisico di vostra figlia/sorella/amica, fateglielo (con tatto!!) notare subito: può servire per riprendere le redini della situazione, poiché prima si interviene, prima si arresta la ricaduta, più facile sarà rimettersi in piedi.
- Consigliate ma non obbligate (eccetto casi estremi). Un DCA non guarisce da sé. Perché nessuna persona con un DCA è in grado di opporsi in toto ad una malattia che scaturisce dalla propria mente. Quindi, suggerite alternative di psicoterapia e riabilitazione nutrizionale, ma non siate pressanti né coercitivi: come si dice dalle mie parti “per forza non si fa neanche l’aceto”. Non credo che le prese di posizione (esempio: il ricovero coatto) possano essere producenti, perché se una persona non è pronta a lavorare su se stessa, sarà tempo perso. Però, certo, non datevi per vinti: continuate a suggerire alternative di terapia, perché arriva il momento in cui la persona è meno schiava del DCA e più recettiva, e che quindi può iniziare ad accettare l’aiuto che gli state proponendo.
(Questo ovviamente non vale per i casi estremi: è ovvio che se vostra figlia/sorella/amica è in un sottopeso estremo che la mette in pericolo di vita, allora è del tutto opportuno e lecito portarla in ospedale anche contro la sua volontà. Questo non risolverà in alcun modo il DCA – per quello ci vorrà un opportuno percorso – ma almeno nell’immediato le salverà la vita.)
- Niente forzature alimentari su iniziativa personale. Non avete le competenze professionali per stabilire quanto e cosa è giusto che vostra figlia/sorella/amica mangi. Tanto più che, se focalizzate l’attenzione sull’alimentazione, a maggior ragione il cibo diverrà territorio di scontro per tutto quello che non va nei vostri rapporti. Non servono a niente domande, commenti, incitamenti, ricatti, minacce a mangiare: se questo potesse servire a qualcosa, i DCA non sarebbero malattie. Anzi, spesso cose di questo genere sortiscono proprio l’effetto contrario di quello sperato. Una persona che ha un DCA non è stupida, lo sa da sola che non mangia in maniera appropriata, solo che lo fa perché ha una malattia: anziché perdere tempo in costrizioni inutili e controproducenti, consigliate piuttosto un consulto da una dietista.
- Siate espliciti per quanto riguarda l’alimentazione. Se vostra figlia/sorella/amica è seguita da una dietista e mangia secondo un “equilibrio alimentare” prescritto, aiutatela a seguirlo. Siate ligi nella preparazione degli alimenti e nelle quantità, non aggiungete niente anche se siete preoccupati per il sottopeso e vorreste vedere progressi fisici tangibili più rapidamente, non stimolatela a mangiare qualcosa di più o di diverso. Già che all’inizio è difficile seguire l’ “equilibrio alimentare”, non aggiungete stress a stress. Vostra figlia/sorella/amica è seguita da una dietista: quello che mangia è corretto perché previsto da una specialista. Non abbiate fretta e lasciate che il tempo faccia il suo corso.
- Evitate i commenti. I commenti sull’aspetto fisico o sul comportamento nei confronti del cibo per chi ha un DCA non hanno la stessa valenza che possono avere per una qualsiasi altra persona che non ha questa malattia. Un “Sei dimagrita così tanto che sei diventata brutta” può rappresentare un rinforzo positivo per chi ha l’anoressia, oppure “Ma sta benissimo così, non hai mica bisogno di dimagrire!” può spingere la persona con bulimia a compensare di più per tentare di perdere ancora più peso. Inoltre, cosa più importante: il focus di un disturbo alimentare NON è la fisicità. Se fate commenti sul fisico darete l’idea di essere persone superficiali che non capiscono la vera natura della malattia e che sono concentrate solo sull’esteriorità, per cui chi ha un DCA a maggior ragione cercherà di stare male “fuori”, nel tentativo di farvi capire che in realtà sta male “dentro”.
- Non girate la testa dall’altra parte. Non date niente per scontato. Non fate finta di non sapere che vostra figlia/sorella/amica ha un DCA, se questo è palese. Perché un DCA, in alcuni casi, può essere una richiesta d’aiuto non verbale, per cui se fate finta di niente la persona si “impegnerà” ancora di più a sembrare malata. Non abbiate paura di affrontare il problema: anche perché girandovi dall’altra parte state solo procrastinando, un DCA prima o poi emerge comunque, per cui è meglio affrontarlo subito per limitare i danni. E, soprattutto, non cadete nell’errore di voltare la testa dall’altra parte quando il percorso di ricovero è già avviato e la persona ha recuperato peso, non fate l’errore di considerare “guarita” una persona che ha avuto problemi di anoressia solo perché magari è tornata normopeso. Il peso non ha diretta correlazione con la salute mentale. E l’anoressia è una malattia mentale: se la mentalità resta quella della patologia, si può essere malate di anoressia anche se si è nel normopeso più tranquillo del mondo.
- Chiedete quotidianamente “Ehi, come stai oggi?”. Non pretendete una risposta od una risposta sincera, naturalmente. Però così dimostrate che siete aperti all’ascolto, e che ci siete qualora la persona malata volesse parlarvi. E che ci siete sempre, non solo oggi perché la persona è sottopeso, e quando ritorna normopeso arrivederci e grazie.
- Niente sensi di colpa. Non sono utili a voi, e men che meno a chi ha un DCA. Questo non significa che non possiate essere dispiaciuti, ovviamente, ma scivolare nella spirale dei sensi di colpa è solo deleterio. Il passato non si può cambiare né cancellare: perciò, anziché perdere tempo prezioso a rimuginarci sopra, utilizzatelo per valutare cosa potete fare da ora in poi per dare una mano alla persona che ha un DCA.
- Niente pressing psicologico sui risultati attesi. Sulla base di quella che è stata la mia esperienza, mi sono accorta che, ogni volta che facevo un ricovero, o andavo da una dietista, o iniziavo una nuova psicoterapia, gravavano su di me enormi aspettative: l’anoressia veniva considerata alla stregua di una malattia fisica, quindi c’era l’aspettativa che, una volta tornata a casa dopo quei 3 mesi di ricovero, o una volta fatte TOT sedute di psicoterapia, in me ci fosse un cambiamento sostanziale. Non è così. Un ricovero, una psicoterapia, una riabilitazione nutrizionale sono solo tentativi. Possono andar bene come fallire. E anche se vanno bene, possono volerci anni per muovere un piccolo passo in avanti. Quindi, non fate troppa pressione psicologica e non cercate il “tutto e subito” nel voler vedere dei risultati in termini di miglioramento. Anzi, più una persona si sente pressata in tale direzione, più sale l’ansia e quindi più è difficile andare effettivamente in quella direzione. Un percorso di ricovero richiede i suoi tempi, e sono tempi ben lunghi: siatene consapevoli e rilassatevi.
- Accettate i vostri limiti. Il vostro supporto può essere davvero importantissimo per chi sta combattendo contro un DCA. Ma dare supporto è tutto ciò che potete fare. Non avete la capacità di guarire nessuno, semplicemente perché questo nessuno può umanamente farlo. Non potete essere voi a cambiare quello che passa per la testa di una persona che ha un DCA. Non siete in grado di salvare nessuno. Potete sostenere, questo è tanto. E se lo fate con tutti i crismi, allora questo è tutto.
- Prendetevi cura di voi stessi. Stare accanto ad una persona che ha un DCA è faticoso sotto ogni punto di vista, fisicamente e psicologicamente. Perciò, non annullatevi né ammalatevi a vostra volta per stare vicino a chi ha un DCA: sia perché così non potreste essere più di alcun supporto, sia perché niente è più importante di voi stessi. Se ci rimanete troppo sotto avrete un completo burnout: e questo non sarà di alcuna utilità né per voi, né per vostra figlia/sorella/amica. Prendetevi perciò i tempi necessari per avere cura di voi stessi: solo così potrete continuare ad essere di supporto per gli altri.
(Ragazze, se avete qualche altro consiglio da aggiungere a quanto ho scritto, siete vivamente pregate di lasciarlo nei commenti!... Più suggerimenti per familiari/amici ci sono, più questo post può essere utile!...)
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martedì 8 marzo 2011
Carissime ragazze, non siete sole
Questa è una lettera che vorrei condividere con voi. È una lettera di ringraziamento che ho scritto per tutte voi.
Carissime ragazze,
Anche se vi sentite perse, anche se la strada del ricovero vi sembra di una faticosità insostenibile, anche se siete in difficoltà nel combattere contro l’anoressia, anche se siete reduce dall’ennesima ricaduta, anche se vi definite “pro-ana”/”pro-mia”, anche se siete genitori preoccupati, o fratelli, sorelle o amici, amiche, GRAZIE MILLE di leggere questo blog. Grazie mille per i commenti che mi lasciate. Grazie mille per la vostra consapevolezza che avere un DCA non è un qualcosa di cui doversi vergognare, ma un qualcosa che richiede aiuto e supporto, una cosa contro cui bisogna combattere, come molte altre avversità della vita. Grazie mille per il vostro provare a combattere, giorno dopo giorno.
Non siete sole.
Io sono dall’altra parte dello schermo, e mando energia e pensieri positive a chiunque ne abbia bisogno. E fuori di qui, ci sono tantissime altre ragazze, ragazzi, adolescenti, donne e uomini che stanno combattendo la vostra stessa battaglia. L’anoressia fa sentire sole. Vi isola. Allontana tutto il resto del mondo, tutti gli altri. Vi fa sentire come se non ci fosse nient’altro che voi e la malattia. Ma, semplicemente, questo non è vero. Per ogni paia di occhi che leggono queste parole, ce ne sono molti altri che stanno cercando di vincere la stessa battaglia.
Andate Avanti a testa alta, anche se vi sentite l’acqua alla gola.
E affrontate un giorno alla volta – è l’unico modo per poter percorrere la strada del ricovero.
L’anoressia può essere, ad oggi, la vostra realtà – ma vuoi potete cambiare la vostra realtà.
VOI POTETE CAMBIARE LA VOSTRA REALTA’.
C’è gente che non lo sa. C’è gente che se ne rende conto troppo tardi. C’è gente che non afferra il concetto. C'è gente che non ci crede.
Ma è vero, ed è tutto qui. Voi potete cambiare la vostra realtà. Le cose non devono andare così per sempre, non dev’essere anoressia per sempre.
E potete cominciare il cambiamento oggi.
Con amore, comprensione ed incoraggiamento,
Veggie
Carissime ragazze,
Anche se vi sentite perse, anche se la strada del ricovero vi sembra di una faticosità insostenibile, anche se siete in difficoltà nel combattere contro l’anoressia, anche se siete reduce dall’ennesima ricaduta, anche se vi definite “pro-ana”/”pro-mia”, anche se siete genitori preoccupati, o fratelli, sorelle o amici, amiche, GRAZIE MILLE di leggere questo blog. Grazie mille per i commenti che mi lasciate. Grazie mille per la vostra consapevolezza che avere un DCA non è un qualcosa di cui doversi vergognare, ma un qualcosa che richiede aiuto e supporto, una cosa contro cui bisogna combattere, come molte altre avversità della vita. Grazie mille per il vostro provare a combattere, giorno dopo giorno.
Non siete sole.
Io sono dall’altra parte dello schermo, e mando energia e pensieri positive a chiunque ne abbia bisogno. E fuori di qui, ci sono tantissime altre ragazze, ragazzi, adolescenti, donne e uomini che stanno combattendo la vostra stessa battaglia. L’anoressia fa sentire sole. Vi isola. Allontana tutto il resto del mondo, tutti gli altri. Vi fa sentire come se non ci fosse nient’altro che voi e la malattia. Ma, semplicemente, questo non è vero. Per ogni paia di occhi che leggono queste parole, ce ne sono molti altri che stanno cercando di vincere la stessa battaglia.
Andate Avanti a testa alta, anche se vi sentite l’acqua alla gola.
E affrontate un giorno alla volta – è l’unico modo per poter percorrere la strada del ricovero.
L’anoressia può essere, ad oggi, la vostra realtà – ma vuoi potete cambiare la vostra realtà.
VOI POTETE CAMBIARE LA VOSTRA REALTA’.
C’è gente che non lo sa. C’è gente che se ne rende conto troppo tardi. C’è gente che non afferra il concetto. C'è gente che non ci crede.
Ma è vero, ed è tutto qui. Voi potete cambiare la vostra realtà. Le cose non devono andare così per sempre, non dev’essere anoressia per sempre.
E potete cominciare il cambiamento oggi.
Con amore, comprensione ed incoraggiamento,
Veggie
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lunedì 16 agosto 2010
This is to the girl
This is to the girl who lost her friends,
Became a loner or made amends.
This is to the girl who learned to cope
With strange devices, minus hope.
This is to the girl who cried all night
And wished someone could hold her tight.
This is to the girl.
This is to the girl who finds her way,
Year by year and day by day.
This is to the girl who’s growing up
And wondering, “Am I enough?”
This is to the girl who falls apart
Because there’s pain inside her heart.
This is to the girl.
This is to the girl who gives away
All her power without a say.
This is to the girl who starves, or cuts,
Or binges hard and then throws up.
This is to the girl who drowns her pain
In alcohol or self-disdain.
This is to the girl.
This is to the girl who cries afresh
Each time she sees her own real flesh.
This is to the girl who loses sleep
Because anxiety is steep.
This is to the girl who longs for eyes
That see her as the perfect size.
This is to the girl.
This is to the girl who wakes up sad
And lives her whole life feeling bad.
This is to the girl who needs a hand
But thinks no one will understand.
This is to the girl who wants escape
From food, or numbers, fear, or rape.
This is to the girl.
This is to the girl in all of us,
Struggling still to be enough.
This is to the girl—this is to you,
From another girl who was there too.
This is to the girl.
This is to the girl who’s in my heart,
Who’s in my head at each day’s start.
This is to the girl—this is to you,
From another girl who was there too.
This is to the girl.
(Luglio 2010)
[Questa è per la ragazza che ha perso i suoi amici,/diventando solitaria e dimenticando i momenti felici./Questa è per la ragazza che ha imparato a lottare/contro pensieri distorti, senza disperare./Questa è per la ragazza che piangeva la notte/e desiderava che qualcuno vedesse quant’era rotta./Questa è per la ragazza./Questa è per la ragazza che ha trovato la sua strada,/anno dopo anno e giornata dopo giornata./Questa è per la ragazza che sta crescendo ed è stanca/e si domanda: “Sarò mai abbastanza?”/Questa è per la ragazza che è caduta in basso/perché aveva paura, non sentiva terreno sotto il suo passo./Questa è per la ragazza./Questa è per la ragazza che si è fatta rubare/tutta la sua forza senza fiatare./Questa è per la ragazza che restringe, o si fa male/o si abbuffa per poi vomitare./Questa è per la ragazza che diluisce il suo dolore/nell’alcool o in una vita senza amore./Questa è per la ragazza./Questa è per la ragazza che piange ribelle/perchè non si sente nella sua pelle./Questa è per la ragazza che ha perso il sonno/divorata dall’ansia perché non si trova in questo mondo./Questa è per la ragazza che si nasconde alla vista dentro una maglia/e che cerca solo di raggiungere una perfetta taglia./Questa è per la ragazza. Questa è per la ragazza che si sveglia triste/sta male e pensa che non vale la pena se esiste./Questa è per la ragazza che ha bisogno di qualcuno che le mostri la pista/ma pensa ancora che nessuno la capisca./Questa è per la ragazza che vuole fuggire/dal cibo, dai numeri, dalla paura, da ciò che la può ferire./Questa è per la ragazza./Questa è per la ragazza che c’è in ognuna di noi/che sta ancora combattendo per essere abbastanza./Questa è per la ragazza – questa è per te/da una ragazza che l’ha vissuto e che sa com’è./Questa è per la ragazza./Questa è per la ragazza che c’è nel mio cuore/e nella mia testa ogni giorno che sorge il sole./Questa è per la ragazza – questa è per te/da una ragazza che l’ha vissuto e che sa com’è./Questa è per la ragazza.]
Questa poesia che ho scritto recentemente è per tutte voi.
Vi penso…
P.S.= Lo stesso P.S. del post precedente...
Became a loner or made amends.
This is to the girl who learned to cope
With strange devices, minus hope.
This is to the girl who cried all night
And wished someone could hold her tight.
This is to the girl.
This is to the girl who finds her way,
Year by year and day by day.
This is to the girl who’s growing up
And wondering, “Am I enough?”
This is to the girl who falls apart
Because there’s pain inside her heart.
This is to the girl.
This is to the girl who gives away
All her power without a say.
This is to the girl who starves, or cuts,
Or binges hard and then throws up.
This is to the girl who drowns her pain
In alcohol or self-disdain.
This is to the girl.
This is to the girl who cries afresh
Each time she sees her own real flesh.
This is to the girl who loses sleep
Because anxiety is steep.
This is to the girl who longs for eyes
That see her as the perfect size.
This is to the girl.
This is to the girl who wakes up sad
And lives her whole life feeling bad.
This is to the girl who needs a hand
But thinks no one will understand.
This is to the girl who wants escape
From food, or numbers, fear, or rape.
This is to the girl.
This is to the girl in all of us,
Struggling still to be enough.
This is to the girl—this is to you,
From another girl who was there too.
This is to the girl.
This is to the girl who’s in my heart,
Who’s in my head at each day’s start.
This is to the girl—this is to you,
From another girl who was there too.
This is to the girl.
(Luglio 2010)
[Questa è per la ragazza che ha perso i suoi amici,/diventando solitaria e dimenticando i momenti felici./Questa è per la ragazza che ha imparato a lottare/contro pensieri distorti, senza disperare./Questa è per la ragazza che piangeva la notte/e desiderava che qualcuno vedesse quant’era rotta./Questa è per la ragazza./Questa è per la ragazza che ha trovato la sua strada,/anno dopo anno e giornata dopo giornata./Questa è per la ragazza che sta crescendo ed è stanca/e si domanda: “Sarò mai abbastanza?”/Questa è per la ragazza che è caduta in basso/perché aveva paura, non sentiva terreno sotto il suo passo./Questa è per la ragazza./Questa è per la ragazza che si è fatta rubare/tutta la sua forza senza fiatare./Questa è per la ragazza che restringe, o si fa male/o si abbuffa per poi vomitare./Questa è per la ragazza che diluisce il suo dolore/nell’alcool o in una vita senza amore./Questa è per la ragazza./Questa è per la ragazza che piange ribelle/perchè non si sente nella sua pelle./Questa è per la ragazza che ha perso il sonno/divorata dall’ansia perché non si trova in questo mondo./Questa è per la ragazza che si nasconde alla vista dentro una maglia/e che cerca solo di raggiungere una perfetta taglia./Questa è per la ragazza. Questa è per la ragazza che si sveglia triste/sta male e pensa che non vale la pena se esiste./Questa è per la ragazza che ha bisogno di qualcuno che le mostri la pista/ma pensa ancora che nessuno la capisca./Questa è per la ragazza che vuole fuggire/dal cibo, dai numeri, dalla paura, da ciò che la può ferire./Questa è per la ragazza./Questa è per la ragazza che c’è in ognuna di noi/che sta ancora combattendo per essere abbastanza./Questa è per la ragazza – questa è per te/da una ragazza che l’ha vissuto e che sa com’è./Questa è per la ragazza./Questa è per la ragazza che c’è nel mio cuore/e nella mia testa ogni giorno che sorge il sole./Questa è per la ragazza – questa è per te/da una ragazza che l’ha vissuto e che sa com’è./Questa è per la ragazza.]
Questa poesia che ho scritto recentemente è per tutte voi.
Vi penso…
P.S.= Lo stesso P.S. del post precedente...
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lunedì 20 aprile 2009
Scoprire "pensieri da ricovero"
Una delle cose più importanti, quando s’intraprende la strada del ricovero, è essere sincere con se stesse. Parlarsi in onestà significa anche mettersi di fronte a verità spiacevoli. Ma è necessario, se si vuole che veramente ciò che si sta facendo abbia un senso e possa portare da qualche parte.
E una delle cose su cui bisogna imparare sin da subito a dirsi la verità, riguarda i sentimenti provati nei confronti del proprio corpo e del proprio peso.
In tal senso, il ricovero può apparire un po’ come una battaglia tra due parti di noi stesse. Quella che vuole guarire, e quella che rimane nonostante tutto aggrappata al DCA. Una sorta di infinita partita a ping-pong.
Una cosa del tipo:
Vedete che il vostro peso aumenta. Vedete che i numeri sulla bilancia salgono. Fremete. Vi si spezza il respiro. Venite assalite dall’ansia. Provate a dirvi che va tutto bene perché state raggiungendo un peso che vi permetterà di essere in salute. Ma non vi sentite bene. Sebbene con la razionalità lo sappiate, con i sentimenti non riuscite ad arrivarci. Così, pensate di restringere. O di mettervi a fare esercizio fisico in maniera compulsiva. O di vomitare. Ma sapete che non potete farlo perché volete proseguire sulla strada del ricovero. E cercate di mantenere tutti i questi pensieri fuori dalla vostra mente perché vi fanno impazzire.
Ora, il punto è: se cedete alla restrizione, se provate di nuovo a vomitare, riprenderete quella spirale discendente che vi riporterà dritte dritte nelle braccia di ciò da cui state cercando di fuggire. Ricordatevelo. È molto, molto semplice dire “Ma no, restringo solo per una volta, poi ritorno a mangiare seguendo il mio equilibrio alimentare!”… solo che non succede mai così. Perché la restrizione fa sentire bene. E così “Solo per una volta” diventerà “solo per 2 volte” e poi “solo per 3 volte” e così via. E continuerete a restringere convinte di potervi fermare da un momento all’altro, senza rendervi conto che invece siete già riprecipitate nella logica perversa dell’anoressia che vi domina di nuovo. Lo sapete. È semplice dire che si restringerà solo un po’, solo per una volta, ma farlo è molto pericoloso. Un passo in avanti quando si è sull’orlo dell’abisso.
Ve lo dico per esperienza.
Una volta, dopo uno dei miei ricoveri, quando avevo raggiunto un peso “normale”, iniziai ad essere presa dall’ansia anche se ero comunque determinata a proseguire il mio persorso di ricovero, così mi dissi che avrei ristretto solo un pochino, solo per sentirmi un po’ meglio, solo per sentirmi un po’ più me stessa. E poi basta. Perciò lo feci. Brutta mossa, sì. Prima ancora che me ne rendessi conto, ero già tornata a XX Kg. E davvero volevo stare bene, volevo lasciarmi alle spalle l’anoressia. Ma c’ero di nuovo dentro. Dentro fino al collo. Tutto da rifare.
Non voglio che questo succeda a qualcuna di voi. So che ci sono mementi difficili, in cui sembra che restringere sia l’unica soluzione ma, davvero, restringere non è la soluzione. È il problema. Perciò, cercate di essere forti e di non cedere alla tentazione di restringere anche quando vedrete la lancetta della bilancia spostarsi verso destra. In fin dei conti, se ben ci pensate, la bilancia è un oggetto. Un oggetto esattamente come un tostapane o un frullatore. Lascereste che il vostro umore venga influenzato da un tostapane o da un frullatore? Lascereste che un tostapane vi dica quanto valete? Lascereste che un frullatore vi faccia piangere o gioire? Non credo proprio… E lo stesso vale per una bilancia. La bilancia ha potere solo perché siete voi a darglielo. Ricordatevelo, quando vi sentirete giù perché la lancetta si muove verso destra. Quel numero non misura quanto valete.
Tra l’altro, vi accorgerete che più siete capaci di resistere alla tentazione di restringere e agli altri comportamenti disfunzionali, meno sarà importante per voi quello che dice la bilancia.
Andrà più o meno così:
Vedete il numero sulla bilancia. Non vi piace per niente. Ma non cedete al forte desiderio di restringere.
Passano i giorni.
Vedete il numero sulla bilancia. Non vi piace un granché. Ma non avete più quel forte desiderio di restringere.
Passano i giorni.
Vedete il numero sulla bilancia. Non è che vi piaccia molto. Ma dopo un po’ non ci pensate più, e ve lo dimenticate per il resto della giornata.
Passano i giorni.
Vedete il numero sulla bilancia. Vi sentite piuttosto indifferenti. Non vi piace né vi dispiace. Perché sapete che è la cosa giusta per stare bene. E perché cominciate a sentirvi bene.
Passano i giorni.
Vedete il numero sulla bilancia. Vi sentite indifferenti. Sapete che avete fatto un altro passo avanti nella strada della vostra vera vita. E vi sentite un po’ più forti.
Passano i giorni.
Vedete il numero sulla bilancia. Vi sentite decisamente indifferenti. Cominciate a sentirvi bene. Perché un numero non influenza più il vostro umore.
Passano i giorni.
Vedete il numero sulla bilancia. Vi piace. E sapete perché? Perché significa che siete libere dal potere della bilancia e dei numeri. Che siete voi a decidere come vi sentite.
Può richiedere mesi, anni, decenni, ma potete farcela. Ricordate che ogni volta che salite sulla bilancia e provate a fare in modo che il numero che segna non vi influenzi, state facendo un passo avanti. Un grande passo verso la meta. Che potete davvero raggiungere.
E una delle cose su cui bisogna imparare sin da subito a dirsi la verità, riguarda i sentimenti provati nei confronti del proprio corpo e del proprio peso.
In tal senso, il ricovero può apparire un po’ come una battaglia tra due parti di noi stesse. Quella che vuole guarire, e quella che rimane nonostante tutto aggrappata al DCA. Una sorta di infinita partita a ping-pong.
Una cosa del tipo:
Vedete che il vostro peso aumenta. Vedete che i numeri sulla bilancia salgono. Fremete. Vi si spezza il respiro. Venite assalite dall’ansia. Provate a dirvi che va tutto bene perché state raggiungendo un peso che vi permetterà di essere in salute. Ma non vi sentite bene. Sebbene con la razionalità lo sappiate, con i sentimenti non riuscite ad arrivarci. Così, pensate di restringere. O di mettervi a fare esercizio fisico in maniera compulsiva. O di vomitare. Ma sapete che non potete farlo perché volete proseguire sulla strada del ricovero. E cercate di mantenere tutti i questi pensieri fuori dalla vostra mente perché vi fanno impazzire.
Ora, il punto è: se cedete alla restrizione, se provate di nuovo a vomitare, riprenderete quella spirale discendente che vi riporterà dritte dritte nelle braccia di ciò da cui state cercando di fuggire. Ricordatevelo. È molto, molto semplice dire “Ma no, restringo solo per una volta, poi ritorno a mangiare seguendo il mio equilibrio alimentare!”… solo che non succede mai così. Perché la restrizione fa sentire bene. E così “Solo per una volta” diventerà “solo per 2 volte” e poi “solo per 3 volte” e così via. E continuerete a restringere convinte di potervi fermare da un momento all’altro, senza rendervi conto che invece siete già riprecipitate nella logica perversa dell’anoressia che vi domina di nuovo. Lo sapete. È semplice dire che si restringerà solo un po’, solo per una volta, ma farlo è molto pericoloso. Un passo in avanti quando si è sull’orlo dell’abisso.
Ve lo dico per esperienza.
Una volta, dopo uno dei miei ricoveri, quando avevo raggiunto un peso “normale”, iniziai ad essere presa dall’ansia anche se ero comunque determinata a proseguire il mio persorso di ricovero, così mi dissi che avrei ristretto solo un pochino, solo per sentirmi un po’ meglio, solo per sentirmi un po’ più me stessa. E poi basta. Perciò lo feci. Brutta mossa, sì. Prima ancora che me ne rendessi conto, ero già tornata a XX Kg. E davvero volevo stare bene, volevo lasciarmi alle spalle l’anoressia. Ma c’ero di nuovo dentro. Dentro fino al collo. Tutto da rifare.
Non voglio che questo succeda a qualcuna di voi. So che ci sono mementi difficili, in cui sembra che restringere sia l’unica soluzione ma, davvero, restringere non è la soluzione. È il problema. Perciò, cercate di essere forti e di non cedere alla tentazione di restringere anche quando vedrete la lancetta della bilancia spostarsi verso destra. In fin dei conti, se ben ci pensate, la bilancia è un oggetto. Un oggetto esattamente come un tostapane o un frullatore. Lascereste che il vostro umore venga influenzato da un tostapane o da un frullatore? Lascereste che un tostapane vi dica quanto valete? Lascereste che un frullatore vi faccia piangere o gioire? Non credo proprio… E lo stesso vale per una bilancia. La bilancia ha potere solo perché siete voi a darglielo. Ricordatevelo, quando vi sentirete giù perché la lancetta si muove verso destra. Quel numero non misura quanto valete.
Tra l’altro, vi accorgerete che più siete capaci di resistere alla tentazione di restringere e agli altri comportamenti disfunzionali, meno sarà importante per voi quello che dice la bilancia.
Andrà più o meno così:
Vedete il numero sulla bilancia. Non vi piace per niente. Ma non cedete al forte desiderio di restringere.
Passano i giorni.
Vedete il numero sulla bilancia. Non vi piace un granché. Ma non avete più quel forte desiderio di restringere.
Passano i giorni.
Vedete il numero sulla bilancia. Non è che vi piaccia molto. Ma dopo un po’ non ci pensate più, e ve lo dimenticate per il resto della giornata.
Passano i giorni.
Vedete il numero sulla bilancia. Vi sentite piuttosto indifferenti. Non vi piace né vi dispiace. Perché sapete che è la cosa giusta per stare bene. E perché cominciate a sentirvi bene.
Passano i giorni.
Vedete il numero sulla bilancia. Vi sentite indifferenti. Sapete che avete fatto un altro passo avanti nella strada della vostra vera vita. E vi sentite un po’ più forti.
Passano i giorni.
Vedete il numero sulla bilancia. Vi sentite decisamente indifferenti. Cominciate a sentirvi bene. Perché un numero non influenza più il vostro umore.
Passano i giorni.
Vedete il numero sulla bilancia. Vi piace. E sapete perché? Perché significa che siete libere dal potere della bilancia e dei numeri. Che siete voi a decidere come vi sentite.
Può richiedere mesi, anni, decenni, ma potete farcela. Ricordate che ogni volta che salite sulla bilancia e provate a fare in modo che il numero che segna non vi influenzi, state facendo un passo avanti. Un grande passo verso la meta. Che potete davvero raggiungere.
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mercoledì 24 dicembre 2008
Buon Natale!!
Ecco, è praticamente arrivato uno di quei giorni che la maggior parte di noi odia a morte: il Natale.
Un giorno in cui tipicamente ci si focalizza sul cibo, sulla famiglia, sui regali. Già con questo è detto abbastanza.
Ecco quello che scrissi diversi anni fa il giorno della vigilia:
"È il peggior giorno di questo dannato mese. La vigilia di Natale. E sono ancora qui.
Lo so che per la gente il Natale è un giorno pieno di gioia, amore, felicità e compagnia bella… ma io lo odio. È un giorno terribile e maledettamente ansiogeno. Tutti intorno alla tavola, con quel dannato panettone che non ho alcuna intenzione di mangiare. E loro che mi guarderanno come se fossi semplicemente… sbagliata. Non voglio celebrare questo Natale. Non ho un cazzo da celebrare. Non voglio ricevere regali, non li merito. Non voglio mangiare il panettone solo per renderli felici… perché questo non rende felice me. Non voglio mettere su la mia maschera con quello stupido sorriso appiccicato sopra come faccio ogni dannato giorno. Come sto facendo oggi. Vorrei solo chiudermi a chiave in camera ed alzare la musica a tutto volume cosicché nessuno possa sentirmi quando mi metterò a gridare. E mi fa rabbia sapere che non farò niente del genere. Che riindosserò la mia maschera, l’unica che può aiutarmi a trascinarmi per un’altra giornata, e fingerò di essere felice, così loro non si preoccuperanno. Chi se ne frega di come mi sento davvero. Ma mi urta, ‘sta maledetta festa. Mi urta un casino."
Questo solo per farvi capire che so benissimo cosa si prova e come ci si sente in situazioni del genere. Tuttora ammetto di non essermi completamente staccata da questa visione.
Ma proviamo a vedere quali sono gli aspetti positivi della giornata, senza concentrarci su quelli negativi. Innanzitutto pensate che il Natale è un giorno in cui tipicamente ci si scambiano doni: potrebbe essere dunque l’occasione per fare un regalo a voi stesse. Qualsiasi cosa desideriate, lasciando almeno per oggi da parte quel martellante pensiero che vi dice che ne siete indegne, che non meritate regali… perché in realtà nessuno li merita più di voi. Anche solo per la forza che dimostrate cercando di affrontare questa giornata con positività.
Se temete di mangiare troppo o troppo poco in questa giornata, se vi dà fastidio l’idea che possiate essere osservate o monitorate, provate a fare un piccolo piano alimentare equilibrato prima ancora che il pasto sia iniziato, e tentate poi di attenervici. E se non ci riuscite, non siate severe con voi stesse, non odiatevi e non punitevi: in una vita, un giorno, cosa volete che sia? Lasciate che passi, metteteci una pietra sopra cercando di non angosciarvi, e da domani riprenderete a mangiare regolarmente. Non cambia niente.
Perciò adesso respirate profondamente, chiudete gli occhi, e ripetete a voi stesse che siete forti abbastanza per affrontare anche questa giornata, e che in fin dei conti non è altro che un giorno. E, quando sederete a tavola, ignorate gli sguardi altrui e mangiate per nutrirvi. Semplicemente. Non abbuffatevi. Non restringete. Non temete che la situazione possa sfuggirvi di mano. Provate a stare tranquille. E ricordate: non siete sole.
Ci sono un sacco di ragazze, una marea di donne, un mucchio di persone che oggi stanno provando esattamente ciò che state provando voi. Tante persone che stanno provando ansia, paura, che hanno voglia di piangere, di nascondersi, di rifugiarsi sotto le coperte. Ma pure tante persone che stanno lottando per affrontare questa difficile giornata nel migliore ei modi: e voi potete essere tra queste. Basta solo che lo vogliate.
So che il Natale può essere veramente ansiogeno. Ma se provate a guardare il bicchiere mezzo pieno anziché quello mezzo vuoto, vi accorgerete che è possibile anche trovare del bello in questo giorno e riuscire a fare anche solo un piccolo sorriso. Certo, lo so che è più facile a dirsi che a farsi. Perciò incoraggiatevi ad avere cura di voi stesse. Cercate di essere felici per voi stesse, e non per la gente che vi circonda. Semplicemente, cercate di estrapolare da questa giornata il meglio che può darvi.
Individuate quelle piccole cose che possono rendere il Natale una giornata degna d’essere vissuta. In fin dei conti, il Natale è una festa che vuol richiamare gioia, non tristezza. Provate anche a fare questo: scrivete qualche frase positiva su dei Post-It e poi infilateli nelle tasche dei pantaloni. Scrivete qualcosa che possa darvi un rinforzo positivo. E poi tirateli fuori e leggeteli quando sentite che si fa particolarmente dura, che proprio non ce la fate più, che state per avere comportamenti alimentari errati o semplicemente state per scoppiare a piangere. Leggete quelle frasi se vi capiterà d’inciampare. E non dimenticate che questo è un giorno particolarmente impegnativo, e che quindi dovrete avere una grande pazienza ed essere particolarmente gentili con voi stesse. Perché voi meritate davvero il Natale più felice che possa esserci.
Domani vi penserò per tutto il giorno, cercherò di mandarvi vibrazioni positive, e spero che questo Natale riuscirà a strapparvi almeno un sorriso.
Buon Natale a tutte!!
Un giorno in cui tipicamente ci si focalizza sul cibo, sulla famiglia, sui regali. Già con questo è detto abbastanza.
Ecco quello che scrissi diversi anni fa il giorno della vigilia:
"È il peggior giorno di questo dannato mese. La vigilia di Natale. E sono ancora qui.
Lo so che per la gente il Natale è un giorno pieno di gioia, amore, felicità e compagnia bella… ma io lo odio. È un giorno terribile e maledettamente ansiogeno. Tutti intorno alla tavola, con quel dannato panettone che non ho alcuna intenzione di mangiare. E loro che mi guarderanno come se fossi semplicemente… sbagliata. Non voglio celebrare questo Natale. Non ho un cazzo da celebrare. Non voglio ricevere regali, non li merito. Non voglio mangiare il panettone solo per renderli felici… perché questo non rende felice me. Non voglio mettere su la mia maschera con quello stupido sorriso appiccicato sopra come faccio ogni dannato giorno. Come sto facendo oggi. Vorrei solo chiudermi a chiave in camera ed alzare la musica a tutto volume cosicché nessuno possa sentirmi quando mi metterò a gridare. E mi fa rabbia sapere che non farò niente del genere. Che riindosserò la mia maschera, l’unica che può aiutarmi a trascinarmi per un’altra giornata, e fingerò di essere felice, così loro non si preoccuperanno. Chi se ne frega di come mi sento davvero. Ma mi urta, ‘sta maledetta festa. Mi urta un casino."
Questo solo per farvi capire che so benissimo cosa si prova e come ci si sente in situazioni del genere. Tuttora ammetto di non essermi completamente staccata da questa visione.
Ma proviamo a vedere quali sono gli aspetti positivi della giornata, senza concentrarci su quelli negativi. Innanzitutto pensate che il Natale è un giorno in cui tipicamente ci si scambiano doni: potrebbe essere dunque l’occasione per fare un regalo a voi stesse. Qualsiasi cosa desideriate, lasciando almeno per oggi da parte quel martellante pensiero che vi dice che ne siete indegne, che non meritate regali… perché in realtà nessuno li merita più di voi. Anche solo per la forza che dimostrate cercando di affrontare questa giornata con positività.
Se temete di mangiare troppo o troppo poco in questa giornata, se vi dà fastidio l’idea che possiate essere osservate o monitorate, provate a fare un piccolo piano alimentare equilibrato prima ancora che il pasto sia iniziato, e tentate poi di attenervici. E se non ci riuscite, non siate severe con voi stesse, non odiatevi e non punitevi: in una vita, un giorno, cosa volete che sia? Lasciate che passi, metteteci una pietra sopra cercando di non angosciarvi, e da domani riprenderete a mangiare regolarmente. Non cambia niente.
Perciò adesso respirate profondamente, chiudete gli occhi, e ripetete a voi stesse che siete forti abbastanza per affrontare anche questa giornata, e che in fin dei conti non è altro che un giorno. E, quando sederete a tavola, ignorate gli sguardi altrui e mangiate per nutrirvi. Semplicemente. Non abbuffatevi. Non restringete. Non temete che la situazione possa sfuggirvi di mano. Provate a stare tranquille. E ricordate: non siete sole.
Ci sono un sacco di ragazze, una marea di donne, un mucchio di persone che oggi stanno provando esattamente ciò che state provando voi. Tante persone che stanno provando ansia, paura, che hanno voglia di piangere, di nascondersi, di rifugiarsi sotto le coperte. Ma pure tante persone che stanno lottando per affrontare questa difficile giornata nel migliore ei modi: e voi potete essere tra queste. Basta solo che lo vogliate.
So che il Natale può essere veramente ansiogeno. Ma se provate a guardare il bicchiere mezzo pieno anziché quello mezzo vuoto, vi accorgerete che è possibile anche trovare del bello in questo giorno e riuscire a fare anche solo un piccolo sorriso. Certo, lo so che è più facile a dirsi che a farsi. Perciò incoraggiatevi ad avere cura di voi stesse. Cercate di essere felici per voi stesse, e non per la gente che vi circonda. Semplicemente, cercate di estrapolare da questa giornata il meglio che può darvi.
Individuate quelle piccole cose che possono rendere il Natale una giornata degna d’essere vissuta. In fin dei conti, il Natale è una festa che vuol richiamare gioia, non tristezza. Provate anche a fare questo: scrivete qualche frase positiva su dei Post-It e poi infilateli nelle tasche dei pantaloni. Scrivete qualcosa che possa darvi un rinforzo positivo. E poi tirateli fuori e leggeteli quando sentite che si fa particolarmente dura, che proprio non ce la fate più, che state per avere comportamenti alimentari errati o semplicemente state per scoppiare a piangere. Leggete quelle frasi se vi capiterà d’inciampare. E non dimenticate che questo è un giorno particolarmente impegnativo, e che quindi dovrete avere una grande pazienza ed essere particolarmente gentili con voi stesse. Perché voi meritate davvero il Natale più felice che possa esserci.
Domani vi penserò per tutto il giorno, cercherò di mandarvi vibrazioni positive, e spero che questo Natale riuscirà a strapparvi almeno un sorriso.
Buon Natale a tutte!!
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sabato 22 novembre 2008
Tempo per riflettere
Penso che sia importante trovare il tempo per riflettere. Riflettere su dove siamo arrivate, su quello che vogliamo dalla vita in futuro, su come fare per ottenerlo. Perciò non importa quanto potete essere impegnate, quanto caotica può essere la vostra vita, quanta pressione vi sentite addosso… è sempre importante prendersi del tempo per riflettere. Non dev’essere necessariamente un’ora. Non dev’essere necessariamente mezz’ora. Dev’essere semplicemente “del tempo”. Per pensare. Per riflettere su VOI STESSE. Per ricordare. Per capire.
Talvolta fa paura e mette ansia ricordare quello che si preferirebbe dimenticare. A volte fa rabbia. A volte sembra surreale, come se certe cose appartenessero ad una persona diversa da quella che siete oggi. Non importa ciò che la riflessione provoca, visto che non è altro che una proiezione dei vostri sentimenti: lasciateli fluire. Non negateli, per quanto possano essere intensi, e quindi ansiogeni. Se li provate, c’è sicuramente una ragione per cui si sono presentati, ed è quella che dovete cercare di scoprire per analizzarvi, per comprenderne le cause e poterci lavorare sopra in maniera tale da progredire, da crescere, da imparare. Così, a riflessione conclusa, potrete sentirvi un po’ meglio, un po’ più leggere, come se aveste fatto un altro passo avanti.
E più lo farete, più vi risulterà facile. Nascondere il passato, raccontarsi bugie di comodo, sorridere pur avendo voglia di piangere, rimuovere le cose sgradite, non cancellerà i problemi. Tutt’al più, li rimanderà. Ma rimarranno sempre lì. E prima o poi torneranno a presentare il loro conto. Si può pure sbarrare una porta contro il passato, ma i ricordi hanno mani. E bussano. E bussano. E bussano. E quel suono finisce per far impazzire.
Ehi, ovvio, con questo non voglio dire che una deve sguazzare nel passato! Voglio solo dire che non dovete coprirlo come se le cose che sono accadute non fossero mai successe. È un po’ come se vi fosse morto un figlio: soffrireste, certo, ma non vorreste che quel bambino non fosse mai esistito solo per sentirvi meglio. Anzi, dovrete ricordarlo, rielaborare la brutta esperienza, e ricominciare a vivere di nuovo il più serenamente possibile. Anche perchè, pure nell’ipotesi che riusciste a convincervi che quel bambino non è mai esistito, sarebbe solo una soluzione temporanea, poiché inevitabilmente qualcosa, ad un certo punto, vi ricorderebbe quello che è successo veramente.
Perciò, c'è da lavorare sull’ansia che certe memorie possono provocare. È un po’ come lavorare un duro pezzo d’argilla. Dovete impastare, plasmare, ed avere tanta pazienza. Ma potrete ricavarne un capolavoro.
È un lungo sentiero disseminato di sassi aguzzi e di buche, ma conduce all’autostrada.
Anche se non è affatto facile, spesso provo a riflettere sul mio passato. E mi sono accorta di una cosa: se non l’avessi fatto, non sarei mai potuta arrivare dove sto adesso. Se tuttora non lo facessi, non potrei mai andare avanti. Prendersi il tempo adeguato per riflettere è necessario come continuare a stringere i denti anche quando è difficile…
Talvolta fa paura e mette ansia ricordare quello che si preferirebbe dimenticare. A volte fa rabbia. A volte sembra surreale, come se certe cose appartenessero ad una persona diversa da quella che siete oggi. Non importa ciò che la riflessione provoca, visto che non è altro che una proiezione dei vostri sentimenti: lasciateli fluire. Non negateli, per quanto possano essere intensi, e quindi ansiogeni. Se li provate, c’è sicuramente una ragione per cui si sono presentati, ed è quella che dovete cercare di scoprire per analizzarvi, per comprenderne le cause e poterci lavorare sopra in maniera tale da progredire, da crescere, da imparare. Così, a riflessione conclusa, potrete sentirvi un po’ meglio, un po’ più leggere, come se aveste fatto un altro passo avanti.
E più lo farete, più vi risulterà facile. Nascondere il passato, raccontarsi bugie di comodo, sorridere pur avendo voglia di piangere, rimuovere le cose sgradite, non cancellerà i problemi. Tutt’al più, li rimanderà. Ma rimarranno sempre lì. E prima o poi torneranno a presentare il loro conto. Si può pure sbarrare una porta contro il passato, ma i ricordi hanno mani. E bussano. E bussano. E bussano. E quel suono finisce per far impazzire.
Ehi, ovvio, con questo non voglio dire che una deve sguazzare nel passato! Voglio solo dire che non dovete coprirlo come se le cose che sono accadute non fossero mai successe. È un po’ come se vi fosse morto un figlio: soffrireste, certo, ma non vorreste che quel bambino non fosse mai esistito solo per sentirvi meglio. Anzi, dovrete ricordarlo, rielaborare la brutta esperienza, e ricominciare a vivere di nuovo il più serenamente possibile. Anche perchè, pure nell’ipotesi che riusciste a convincervi che quel bambino non è mai esistito, sarebbe solo una soluzione temporanea, poiché inevitabilmente qualcosa, ad un certo punto, vi ricorderebbe quello che è successo veramente.
Perciò, c'è da lavorare sull’ansia che certe memorie possono provocare. È un po’ come lavorare un duro pezzo d’argilla. Dovete impastare, plasmare, ed avere tanta pazienza. Ma potrete ricavarne un capolavoro.
È un lungo sentiero disseminato di sassi aguzzi e di buche, ma conduce all’autostrada.
Anche se non è affatto facile, spesso provo a riflettere sul mio passato. E mi sono accorta di una cosa: se non l’avessi fatto, non sarei mai potuta arrivare dove sto adesso. Se tuttora non lo facessi, non potrei mai andare avanti. Prendersi il tempo adeguato per riflettere è necessario come continuare a stringere i denti anche quando è difficile…
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domenica 9 novembre 2008
Titti e Silvestro
Riguardando vecchie fotografie, oggi mi sono capitate tra le mani anche quelle scattate durante il mio terzo ricovero. Così ho notato che sulla faccia interna della porta della mia camera della clinica in cui stavo, c’era appeso un poster. Un poster di Titti e Silvestro, il canarino giallo e il gatto che progetta sempre di mangiarlo senza riuscirci mai, avete presente?! Sul momento non gli dedicai molta attenzione, ma riguardando quelle fotografie adesso, mi fa un po’ strano quel poster allegro e variopinto che raffigura gatto ed uccellino in quella stanza spenta. Non era un poster che avevo appeso io. L’avevo trovato quando ero arrivata, e l’avevo lasciato lì. Era un periodo in cui ero abbastanza indifferente a ciò che mi circondava. Eppure, oggi, mi sono sorpresa a ritornare più volte con lo sguardo sulla foto di quel poster. Quel poster raffigura Titti che, dentro la sua gabbietta dorata, si dondola sulla sua piccola altalena e ride di Silvestro che, accucciato sul pavimento e con aria arrabbiata, non riesce evidentemente a raggiungere la voliera. I colori sono sgargianti, è l’unica cosa che dà un tocco di vita alla stanza, e sebbene stoni, all’improvviso mi rendo conto del perché oggi quella fotografia abbia attirato tanto la mia attenzione.
Io, in quel momento, ero come Titti. Forse è proprio per questo che, durante quel ricovero, non ho tolto quel poster dalla porta: perché, a suo modo, parlava di me. E, ragazze, pensateci un momento: non è forse vero che, in fin dei conti, quel poster parla di tutte noi? Noi siamo come Titti che, inseguita da Silvestro, si rinchiude velocemente nella sua gabbietta dorata per cercare il rifugio e la protezione che non saprebbe trovare altrove. Da lassù ride e guarda con sufficienza ciò che dal basso la minaccia. Da lassù è sicura di avere un controllo totale, a trecentosessanta gradi del mondo sottostante. Però, nonostante Titti se la rida, sta dentro una gabbia. Una gabbia dorata, ma pur sempre una gabbia. E non può uscirne, ovviamente, perché questo potrebbe esserle fatale, dato Silvestro in agguato. Infatti, se uscisse dovrebbe proprio fare i conti con ciò da cui si era messa al riparo. Ecco, forse è così anche per noi. Forse è così anche per l’anoressia: rifugiarsi in questa malattia può consentire di sfuggire ai pericoli, alle minacce, ai dolori che rendono intollerabile la vita, in nome di un ideale di distacco e di autonomia assoluta. Forse noi ci siamo rinchiuse nelle nostre gabbie dorate illudendoci di essere al sicuro dalle difficoltà che non riuscivamo ad affrontare, ma siamo costrette a guardare dalle sbarre – come quelle che c’erano alla finestra della clinica – il mondo circostante, la vita che continua a scorrere, un mondo e una vita da cui ci siamo escluse per non soccombere. E forse non è un caso neanche se il nemico di Titti è Silvestro. Se il nemico di Titti è qualcuno che vuole mangiarla.
Ma, ragazze, quella gabbietta non è la vita. È solo un simulacro di vita. Lì dentro possiamo sopravvivere, ma non vivere davvero. Quello di cui non ci rendiamo conto è che, come Titti, noi abbiamo delle ali. E che, perciò, aprire la porta di quella gabbietta non significa necessariamente precipitare nelle fauci spalancate di Silvestro: significa anche spiegare le ali e volare via da quello che oggi ci fa paura. Ciò non significa che dobbiamo immediatamente aprire la porta e slanciarci nel vuoto: bisogna prima avere la ragionevole sicurezza che le ali ci sorreggano. Perciò, ragazze, prendiamoci pure tutto il tempo necessario per guarire le nostre ferite e calmare le nostre paure. Non è un processo immediato ed uguale per tutte. Ma poi apriamo quella porta e voliamo.
Volare è possibile. Lo è per tutte voi. Se soltanto lo volete, le vostre ali possono diventare forti abbastanza per farlo.
Volevo solo che lo sapeste…
Io, in quel momento, ero come Titti. Forse è proprio per questo che, durante quel ricovero, non ho tolto quel poster dalla porta: perché, a suo modo, parlava di me. E, ragazze, pensateci un momento: non è forse vero che, in fin dei conti, quel poster parla di tutte noi? Noi siamo come Titti che, inseguita da Silvestro, si rinchiude velocemente nella sua gabbietta dorata per cercare il rifugio e la protezione che non saprebbe trovare altrove. Da lassù ride e guarda con sufficienza ciò che dal basso la minaccia. Da lassù è sicura di avere un controllo totale, a trecentosessanta gradi del mondo sottostante. Però, nonostante Titti se la rida, sta dentro una gabbia. Una gabbia dorata, ma pur sempre una gabbia. E non può uscirne, ovviamente, perché questo potrebbe esserle fatale, dato Silvestro in agguato. Infatti, se uscisse dovrebbe proprio fare i conti con ciò da cui si era messa al riparo. Ecco, forse è così anche per noi. Forse è così anche per l’anoressia: rifugiarsi in questa malattia può consentire di sfuggire ai pericoli, alle minacce, ai dolori che rendono intollerabile la vita, in nome di un ideale di distacco e di autonomia assoluta. Forse noi ci siamo rinchiuse nelle nostre gabbie dorate illudendoci di essere al sicuro dalle difficoltà che non riuscivamo ad affrontare, ma siamo costrette a guardare dalle sbarre – come quelle che c’erano alla finestra della clinica – il mondo circostante, la vita che continua a scorrere, un mondo e una vita da cui ci siamo escluse per non soccombere. E forse non è un caso neanche se il nemico di Titti è Silvestro. Se il nemico di Titti è qualcuno che vuole mangiarla.
Ma, ragazze, quella gabbietta non è la vita. È solo un simulacro di vita. Lì dentro possiamo sopravvivere, ma non vivere davvero. Quello di cui non ci rendiamo conto è che, come Titti, noi abbiamo delle ali. E che, perciò, aprire la porta di quella gabbietta non significa necessariamente precipitare nelle fauci spalancate di Silvestro: significa anche spiegare le ali e volare via da quello che oggi ci fa paura. Ciò non significa che dobbiamo immediatamente aprire la porta e slanciarci nel vuoto: bisogna prima avere la ragionevole sicurezza che le ali ci sorreggano. Perciò, ragazze, prendiamoci pure tutto il tempo necessario per guarire le nostre ferite e calmare le nostre paure. Non è un processo immediato ed uguale per tutte. Ma poi apriamo quella porta e voliamo.
Volare è possibile. Lo è per tutte voi. Se soltanto lo volete, le vostre ali possono diventare forti abbastanza per farlo.
Volevo solo che lo sapeste…
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mercoledì 29 ottobre 2008
Qualcosa da fare
Di solito, quando mi sento particolarmente giù, cerco di non piangermi addosso e di fare qualcosa che possa restituirmi il buon umore o per lo meno la forza per stringere i denti ed andare avanti.
Quali sono le cose che vi fanno sentire felici o che comunque vi fanno stare meglio quando siete particolarmente demoralizzate? Provate a farne una lista. Adesso elenco le mie, giusto per darvi un’idea e per aiutarvi a muovere un passo nella giusta direzione…
1 – Disegnare
2 – Leggere (generalmente un manga, o comunque qualcosa di allegro)
3 – Ascoltare la musica delle t.A.T.u. e cantare FORTE insieme a loro
4 – Fare esercizi di karate
5 – Andare a fare un giro in auto (magari in una strada di periferia non trafficata dove si possa premere a fondo l’acceleratore…)
6 – Scrivere su questo blog
Etc…
Provateci. Fate una lista delle 10 cose che vi fanno stare meglio. Poi, quando vi sentite particolarmente depresse e incapaci di reagire, scegliete una di queste cose e FATELA. Pensate a questo come ad un modo di prendervi cura di voi stesse. E fate in modo di poter avere questa lista sempre sotto gli occhi.
Per esempio: attaccate una pin-board sulla parete della vostra camera, e su tanti Post-It di colore differente scrivete le vostre 10 cose che poi appenderete in maniera artistica sulla pin-board stessa. Quando vi sentite giù, chiudete gli occhi, allungate una mano, e staccate un Post-It. E poi fate quello che vi consiglia.
Oppure prendete un recipiente carino, scrivete le 10 cose su foglietti di carta, ripiegateli ed infilateli nel recipiente stesso. E quando le cose vanno male, pescatene uno e mettetevi all’opera.
Ognuna è diversa dalle altre, abbiamo diversi problemi e differenti modi per affrontarli… ma ci sono tante piccole cose semplici che si possono fare che lavorano per noi aiutandoci a stare meglio e a prenderci cura di noi stesse.
Ho notato che cantare insieme alle t.A.T.u., concentrandomi sulla musica e sulle parole, mi fa dimenticare i miei crucci e mi aiuta a rilassarmi e a sorridere. Accorgendomi di questo, ho trovato una cosa da fare quando mi sento particolarmente giù. Provate a pensarci. Sarete sorprese scoprendo quante piccole cose che potete fare ogni giorno possano fare una grande differenza. E questo semplicemente perché mentre le fate state pensando a voi stesse, vi state prendendo cura di voi stesse. Non vi state combattendo. Non state facendo niente di distruttivo. Non state ricadendo nelle solite dinamiche perverse dei disturbi alimentari. Non vi state autocommiserando né piangendo addosso. State semplicemente facendo la cosa giusta per voi stesse.
Quali sono le cose che vi fanno sentire felici o che comunque vi fanno stare meglio quando siete particolarmente demoralizzate? Provate a farne una lista. Adesso elenco le mie, giusto per darvi un’idea e per aiutarvi a muovere un passo nella giusta direzione…
1 – Disegnare
2 – Leggere (generalmente un manga, o comunque qualcosa di allegro)
3 – Ascoltare la musica delle t.A.T.u. e cantare FORTE insieme a loro
4 – Fare esercizi di karate
5 – Andare a fare un giro in auto (magari in una strada di periferia non trafficata dove si possa premere a fondo l’acceleratore…)
6 – Scrivere su questo blog
Etc…
Provateci. Fate una lista delle 10 cose che vi fanno stare meglio. Poi, quando vi sentite particolarmente depresse e incapaci di reagire, scegliete una di queste cose e FATELA. Pensate a questo come ad un modo di prendervi cura di voi stesse. E fate in modo di poter avere questa lista sempre sotto gli occhi.
Per esempio: attaccate una pin-board sulla parete della vostra camera, e su tanti Post-It di colore differente scrivete le vostre 10 cose che poi appenderete in maniera artistica sulla pin-board stessa. Quando vi sentite giù, chiudete gli occhi, allungate una mano, e staccate un Post-It. E poi fate quello che vi consiglia.
Oppure prendete un recipiente carino, scrivete le 10 cose su foglietti di carta, ripiegateli ed infilateli nel recipiente stesso. E quando le cose vanno male, pescatene uno e mettetevi all’opera.
Ognuna è diversa dalle altre, abbiamo diversi problemi e differenti modi per affrontarli… ma ci sono tante piccole cose semplici che si possono fare che lavorano per noi aiutandoci a stare meglio e a prenderci cura di noi stesse.
Ho notato che cantare insieme alle t.A.T.u., concentrandomi sulla musica e sulle parole, mi fa dimenticare i miei crucci e mi aiuta a rilassarmi e a sorridere. Accorgendomi di questo, ho trovato una cosa da fare quando mi sento particolarmente giù. Provate a pensarci. Sarete sorprese scoprendo quante piccole cose che potete fare ogni giorno possano fare una grande differenza. E questo semplicemente perché mentre le fate state pensando a voi stesse, vi state prendendo cura di voi stesse. Non vi state combattendo. Non state facendo niente di distruttivo. Non state ricadendo nelle solite dinamiche perverse dei disturbi alimentari. Non vi state autocommiserando né piangendo addosso. State semplicemente facendo la cosa giusta per voi stesse.
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venerdì 17 ottobre 2008
One moment I need
Ecco qui un’altra cosa che ho scritto qualche anno fa…
The butterflies can’t fly with broken wings
My sinful greed for other things
Has led me to this double life
Emptiness filled rooms
Unstable+Unsimple Lives
Can't escape myself
Take me away to the unfamiliar
A moment
Where the sun is wet
The rain is dry
One moment less to live
One moment more to die
I need the stars
I need the night sky
I need the moon
I need life tonight
(Marzo 2006)
E in Italiano... ma, se potete, fatene a meno...
[Con le ali rotte le farfalle non possono volare./Il mio avido desiderio per ciò che non potevo avere/mi ha portato a questa doppia essenza/stanze riempite di vuoto/Instabile+Difficile esistenza./Non posso fuggire da me stessa/portarmi via verso quel che non conosco/Un momento/Dove il sole è bagnato/La pioggia è asciutta./Un momento in meno da vivere./Un momento in più da morire./Ho bisogno delle stelle/Ho bisogno del cielo di notte/Ho bisogno della luna./Ho bisogno di vita stanotte.]
The butterflies can’t fly with broken wings
My sinful greed for other things
Has led me to this double life
Emptiness filled rooms
Unstable+Unsimple Lives
Can't escape myself
Take me away to the unfamiliar
A moment
Where the sun is wet
The rain is dry
One moment less to live
One moment more to die
I need the stars
I need the night sky
I need the moon
I need life tonight
(Marzo 2006)
E in Italiano... ma, se potete, fatene a meno...
[Con le ali rotte le farfalle non possono volare./Il mio avido desiderio per ciò che non potevo avere/mi ha portato a questa doppia essenza/stanze riempite di vuoto/Instabile+Difficile esistenza./Non posso fuggire da me stessa/portarmi via verso quel che non conosco/Un momento/Dove il sole è bagnato/La pioggia è asciutta./Un momento in meno da vivere./Un momento in più da morire./Ho bisogno delle stelle/Ho bisogno del cielo di notte/Ho bisogno della luna./Ho bisogno di vita stanotte.]
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domenica 5 ottobre 2008
Una lettera dall'altra parte
Premessa: di norma, mi reputo una persona tutto sommato tollerante.
Mi piace ascoltare i pareri di tutti, anche di chi la pensa diversamente da me, perché credo che ci sia comunque sempre da imparare dagli altri. Sono quindi aperta ad ogni discussione e giudizio, critiche comprese… purché costruttive. Se c’è una cosa che mi fa proprio incazzare, infatti, sono le critiche fini a se stesse, fatte dalle persone giusto per il gusto di fare polemica, senza provare neanche per un attimo a mettersi nei panni altrui.
Che è poi esattamente quello che mi è successo da quando ho cominciato a caricare alcuni dei miei video su YouTube. Ovvio che nel momento in cui ho messo dei video di pubblico dominio mi aspettavo di ricevere sia commenti positivi che negativi, questo non mi crea problemi. Mi creano problemi i commenti di quelle persone che pur non sapendo niente dell’anoressia, pur non avendo mai avuto a che fare con persone anoressiche, pur avendo soltanto delle idee stereotipate al riguardo, si permettono di dare dell’egoista, della stupida, della matta, della superficiale, dell’infantile, della tizia con manie di protagonismo, senza alcuna plausibile giustificazione delle loro parole.
Io non mi offendo, dato che comunque si tratta di persone che non mi conoscono e quindi non sanno niente di me, però trovo i loro commenti ugualmente molto sconcertanti. Ma quanto rancore dentro la gente cova? Quanta rabbia inespressa? Quanto astio da riversare sugli altri perché fa paura anche solo l’idea di ammettere le proprie responsabilità e quindi riversarlo su se stessi? I miei video raccontano la mia storia, la mia vita d’anoressia, quindi non c’è il classico “e tutti vissero felici e contenti”… ma se queste persone lo vogliono, perché non vanno a cercarsi i video delle favole? Purtroppo mi sono resa conto che molte persone sono estremamente superficiali, e non riescono affatto a venire a capo dei loro problemi, quindi ricercano i video di coloro che hanno altri problemi più profondi dei propri solo per sentirsi meglio, per potersi ergere sul piedistallo di chi giudica, e potersi sentire così superiori. Cercano i video in cui le persone narrano la propria difficile storia solo per sentirsi meglio, per vedere che rispetto alla loro situazione può esserci di peggio. Vogliono rassicurazioni, cercano nei video altrui il lieto fine, pensando così che se per altri c’è stato l’happy ending, allora ci sarà anche per loro. Perciò vogliono video in cui l’anoressica di turno ritrova la gioia di vivere e la speranza, perché la vita è bella, l’amore vince ogni cosa, ed altre amenità affini. Cercano insomma un po’ di miele per potersi addormentare tranquilli. E rifuggono da ogni possibile nota dissonante, che possa turbare il loro precario equilibrio. Certo, è facile essere prodighi di complimenti ed incoraggiamenti con chi ha avuto la forza di superare gli ostacoli della vita. Ed è altrettanto facile calpestare chi in un certo momento è a terra e giudicare dall'alto del proprio piedistallo. Allora, io voglio chiedere a tutte queste personcine che si permettono di offendere gratuitamente: ditemi un po’, una che non vive sotto un ponte e non ha un cancro terminale deve essere necessariamente felice? Anche i disturbi alimentari sono malattie, e possono uccidere. Anzi, possono fare di peggio: possono distruggere un’esistenza. Lasciarci vive, ma senza mai vivere veramente.
Forse, ragazze, sarà capitato anche a voi di ricevere giudizi sprezzanti a causa dei vostri DCA… bè, e allora lasciate che ve lo dica: non ascoltate quelli che vi dicono che non avete il diritto di essere infelici, ma piuttosto cercate di stringere i denti e di continuare a combattere; se n sentite il bisogno cercate pure un sostegno, il sostegno delle persone che vi amano, ma anche il sostegno di uno specialista. Non smettete mai di lottare, anche se il dolore,la tristezza e l’apatia vi attanagliano il cuore e la mente. Non c’è niente di peggio dell’apatia. Perché la nausea, il rifiuto del mondo e la rassegnazione possono annullarvi. E, credetemi, il nulla è peggiori ogni dolore. Perché al dolore ci si può ribellare, ma al nulla no.
Purtroppo, la “società” non riconosce il male dell'anima, riconosce solo il logoramento fisico e considera lavativi quelli che, per i loro problemi personali, in un certo momento non riescono ad andare avanti. Credo che in fondo l'anoressia non sia altro che un modo per portare all'esterno il male che abbiamo dentro,per esteriorizzare tutta quella sofferenza che gli altri non riescono a vedere, per rendere rilevabili, "palpabili", "quantificabili", le ferite che ci logorano l'anima.
Quanto dolore deve provare una ragazza prima di poterla definire umana? Quanta sofferenza è necessaria per poter vivere senza sofferenza? E quanta indifferenza potranno ancora ostentare coloro che vivono vite “perfette”, criticano e giudicano sparando a zero sulle presone che hanno problemi, e si lagnano dei loro quotidiani problemi da niente, il treno in ritardo, il caffè troppo zuccherato, i colleghi di lavoro scemi, prima di poter vedere la realtà? Quante volte ancora potranno volgere il capo e far finta di non vedere? E quante volte una di noi, ragazze, dovrà guardare in alto prima di poter vedere il cielo? E quante orecchie gli altri devono avere prima di poter sentire chi sta chiedendo aiuto in silenzio? E quanti occhi ci vogliono per poter penetrare la vita senza fermarsi alle apparenze? Quanti decimi per poter vedere cicatrici nascoste sotto abiti slargati o a maniche lunghe? Quanta sensibilità per capire il dolore, e quanta forza per aiutare chi soffre? E’ meglio tapparsi le orecchie, chiudere gli occhi, girare la testa e fare finta che tutto sia meraviglioso in ogni momento, senza nessuna pecca? E’ meglio continuare a far finta di niente? E’ meglio continuare a nascondere le cicatrici? E’ meglio continuare a fingere di ignorare la verità? E’ meglio continuare a fingere d’ignorare quelle cicatrici?
Allora, simpatiche personcine che commentate i miei video su YouTube con sprezzanti giudizi che cadono dall’altro, lasciate che vi chieda qualcosa. Vi siete mai sentite veramente depressi, vuoti dentro? Vi siete mai sentiti completamente soli, anche in mezzo alla gente? Lontani mille miglia da qualsiasi luogo come se non proveniste da nessuna parte e non aveste nessun posto dove tornare? Vi siete mai sentiti totalmente incompresi? Avete mai voluto correre via, veloce, lontano? Vi siete mai chiusi a chiave dentro la vostra camera, con la radio accesa ad un volume così alto che nessuno potesse sentirvi gridare? No, voi non sapete com’è quando niente va come dovrebbe. No, voi non sapete com’è essere come noi. Essere feriti. Sentirsi completamente persi. Essere lasciati fuori nel buio. Essere colpiti quando si è giù di morale. Sentirsi come essere comandati a bacchetta. Essere sull’orlo del crollo quando non c’è nessuno che possa salvarvi. No, voi non sapete com’è. Ma dovreste provare a comprendere quello che mai potrete comprendere. Dovreste provare a vivere un solo giorno della nostra vita. Avete mai desiderato essere qualcun altro? Vi siete mai sentiti stanchi di essere tralasciati? Avete mai disperato di riuscire a trovare qualcosa in più prima che la vostra vita sia finita? Vi siete mai sentiti nei guai fino al collo? Vi siete mai sentiti prigionieri di un mondo che odiate? Siete mai stanchi di tutti quelli che vi stanno intorno, con grandi sorrisi contraffatti e stupide bugie mentre nel profondo state sanguinando? No, voi non sapete com’è quando niente va come dovrebbe. No, voi non sapete com’è essere come noi. Essere feriti. Sentirsi completamente persi. Essere lasciati fuori nel buio. Essere colpiti quando si è giù di morale. Sentirsi come essere comandati a bacchetta. Essere sull’orlo del crollo quando non c’è nessuno che possa salvarvi. No, voi non sapete com’è. Ma dovreste provare a comprendere quello che mai potrete comprendere. Dovreste provare a vivere un solo giorno della nostra vita. Nessuno vi ha mai mentito guardandovi dritti in faccia. Nessuno vi ha chiesto un dito e si è preso un braccio. Nessuno vi ha spinto dentro l’abisso lasciandovi soli nell’ardua impresa di risalire. Nessuno vi ha pugnalato alle spalle. Nessuno vi ha etichettato e messo nello scaffale più basso del supermercato. Nessuno vi ha inflitto una grande sofferenza facendovi provare la difficile impresa di staccarsi da una dipendenza. Avete sempre avuto tutto quello che volevate senza mai lavorare, era tutto lì. Avete avuto amici, amore, gioia, senza un grammo di vera sofferenza. Avete avuto le vostre vite brillanti, divertenti, quasi perfette. No, voi non sapete com’è quando niente va come dovrebbe. No, voi non sapete com’è essere come noi. Essere feriti. Sentirsi completamente persi. Essere lasciati fuori nel buio. Essere colpiti quando si è giù di morale. Sentirsi come essere comandati a bacchetta. Essere sull’orlo del crollo quando non c’è nessuno che possa salvarvi. No, voi non sapete com’è. Ma dovreste provare a comprendere quello che mai potrete comprendere. Dovreste provare a vivere un solo giorno della nostra vita. No, voi non sapete com’è quando niente va come dovrebbe. No, voi non sapete com’è essere come noi. Essere feriti. Sentirsi completamente persi. Essere lasciati fuori nel buio. Essere colpiti quando si è giù di morale. Sentirsi come essere comandati a bacchetta. Essere sull’orlo del crollo quando non c’è nessuno che possa salvarvi. No, voi non sapete com’è. Ma dovreste provare a comprendere quello che mai potrete comprendere. Dovreste provare a vivere un solo giorno della nostra vita. Dovreste provare a vivere anche un solo giorno della nostra vita. Dovreste provare a vivere un solo giorno della nostra vita. Dovreste provare a vivere un solo giorno della nostra vita. Dovreste provare a vivere un solo giorno della nostra vita.
La vita comunque continua a scorrere, giorno dopo giorno, con la stessa meccanica ripetitiva. La gente che vive una vita “perfetta” continua a lagnarsi dei propri quotidiani problemi da niente, il treno in ritardo, il caffè troppo zuccherato, i colleghi di lavoro scemi, e continua a dare giudizi negativi ed offensivi sui video che parlano con schiettezza dell’anoressia. Nessuno sente niente, nessuno vede niente oltre se stesso. Ma la sofferenza e il dolore, quelli veri, esistono. Il gioco del “facciamo finta che” può protrarsi all’infinito. Ma le cicatrici ci sono. Dovreste vederle.
Mi piace ascoltare i pareri di tutti, anche di chi la pensa diversamente da me, perché credo che ci sia comunque sempre da imparare dagli altri. Sono quindi aperta ad ogni discussione e giudizio, critiche comprese… purché costruttive. Se c’è una cosa che mi fa proprio incazzare, infatti, sono le critiche fini a se stesse, fatte dalle persone giusto per il gusto di fare polemica, senza provare neanche per un attimo a mettersi nei panni altrui.
Che è poi esattamente quello che mi è successo da quando ho cominciato a caricare alcuni dei miei video su YouTube. Ovvio che nel momento in cui ho messo dei video di pubblico dominio mi aspettavo di ricevere sia commenti positivi che negativi, questo non mi crea problemi. Mi creano problemi i commenti di quelle persone che pur non sapendo niente dell’anoressia, pur non avendo mai avuto a che fare con persone anoressiche, pur avendo soltanto delle idee stereotipate al riguardo, si permettono di dare dell’egoista, della stupida, della matta, della superficiale, dell’infantile, della tizia con manie di protagonismo, senza alcuna plausibile giustificazione delle loro parole.
Io non mi offendo, dato che comunque si tratta di persone che non mi conoscono e quindi non sanno niente di me, però trovo i loro commenti ugualmente molto sconcertanti. Ma quanto rancore dentro la gente cova? Quanta rabbia inespressa? Quanto astio da riversare sugli altri perché fa paura anche solo l’idea di ammettere le proprie responsabilità e quindi riversarlo su se stessi? I miei video raccontano la mia storia, la mia vita d’anoressia, quindi non c’è il classico “e tutti vissero felici e contenti”… ma se queste persone lo vogliono, perché non vanno a cercarsi i video delle favole? Purtroppo mi sono resa conto che molte persone sono estremamente superficiali, e non riescono affatto a venire a capo dei loro problemi, quindi ricercano i video di coloro che hanno altri problemi più profondi dei propri solo per sentirsi meglio, per potersi ergere sul piedistallo di chi giudica, e potersi sentire così superiori. Cercano i video in cui le persone narrano la propria difficile storia solo per sentirsi meglio, per vedere che rispetto alla loro situazione può esserci di peggio. Vogliono rassicurazioni, cercano nei video altrui il lieto fine, pensando così che se per altri c’è stato l’happy ending, allora ci sarà anche per loro. Perciò vogliono video in cui l’anoressica di turno ritrova la gioia di vivere e la speranza, perché la vita è bella, l’amore vince ogni cosa, ed altre amenità affini. Cercano insomma un po’ di miele per potersi addormentare tranquilli. E rifuggono da ogni possibile nota dissonante, che possa turbare il loro precario equilibrio. Certo, è facile essere prodighi di complimenti ed incoraggiamenti con chi ha avuto la forza di superare gli ostacoli della vita. Ed è altrettanto facile calpestare chi in un certo momento è a terra e giudicare dall'alto del proprio piedistallo. Allora, io voglio chiedere a tutte queste personcine che si permettono di offendere gratuitamente: ditemi un po’, una che non vive sotto un ponte e non ha un cancro terminale deve essere necessariamente felice? Anche i disturbi alimentari sono malattie, e possono uccidere. Anzi, possono fare di peggio: possono distruggere un’esistenza. Lasciarci vive, ma senza mai vivere veramente.
Forse, ragazze, sarà capitato anche a voi di ricevere giudizi sprezzanti a causa dei vostri DCA… bè, e allora lasciate che ve lo dica: non ascoltate quelli che vi dicono che non avete il diritto di essere infelici, ma piuttosto cercate di stringere i denti e di continuare a combattere; se n sentite il bisogno cercate pure un sostegno, il sostegno delle persone che vi amano, ma anche il sostegno di uno specialista. Non smettete mai di lottare, anche se il dolore,la tristezza e l’apatia vi attanagliano il cuore e la mente. Non c’è niente di peggio dell’apatia. Perché la nausea, il rifiuto del mondo e la rassegnazione possono annullarvi. E, credetemi, il nulla è peggiori ogni dolore. Perché al dolore ci si può ribellare, ma al nulla no.
Purtroppo, la “società” non riconosce il male dell'anima, riconosce solo il logoramento fisico e considera lavativi quelli che, per i loro problemi personali, in un certo momento non riescono ad andare avanti. Credo che in fondo l'anoressia non sia altro che un modo per portare all'esterno il male che abbiamo dentro,per esteriorizzare tutta quella sofferenza che gli altri non riescono a vedere, per rendere rilevabili, "palpabili", "quantificabili", le ferite che ci logorano l'anima.
Quanto dolore deve provare una ragazza prima di poterla definire umana? Quanta sofferenza è necessaria per poter vivere senza sofferenza? E quanta indifferenza potranno ancora ostentare coloro che vivono vite “perfette”, criticano e giudicano sparando a zero sulle presone che hanno problemi, e si lagnano dei loro quotidiani problemi da niente, il treno in ritardo, il caffè troppo zuccherato, i colleghi di lavoro scemi, prima di poter vedere la realtà? Quante volte ancora potranno volgere il capo e far finta di non vedere? E quante volte una di noi, ragazze, dovrà guardare in alto prima di poter vedere il cielo? E quante orecchie gli altri devono avere prima di poter sentire chi sta chiedendo aiuto in silenzio? E quanti occhi ci vogliono per poter penetrare la vita senza fermarsi alle apparenze? Quanti decimi per poter vedere cicatrici nascoste sotto abiti slargati o a maniche lunghe? Quanta sensibilità per capire il dolore, e quanta forza per aiutare chi soffre? E’ meglio tapparsi le orecchie, chiudere gli occhi, girare la testa e fare finta che tutto sia meraviglioso in ogni momento, senza nessuna pecca? E’ meglio continuare a far finta di niente? E’ meglio continuare a nascondere le cicatrici? E’ meglio continuare a fingere di ignorare la verità? E’ meglio continuare a fingere d’ignorare quelle cicatrici?
Allora, simpatiche personcine che commentate i miei video su YouTube con sprezzanti giudizi che cadono dall’altro, lasciate che vi chieda qualcosa. Vi siete mai sentite veramente depressi, vuoti dentro? Vi siete mai sentiti completamente soli, anche in mezzo alla gente? Lontani mille miglia da qualsiasi luogo come se non proveniste da nessuna parte e non aveste nessun posto dove tornare? Vi siete mai sentiti totalmente incompresi? Avete mai voluto correre via, veloce, lontano? Vi siete mai chiusi a chiave dentro la vostra camera, con la radio accesa ad un volume così alto che nessuno potesse sentirvi gridare? No, voi non sapete com’è quando niente va come dovrebbe. No, voi non sapete com’è essere come noi. Essere feriti. Sentirsi completamente persi. Essere lasciati fuori nel buio. Essere colpiti quando si è giù di morale. Sentirsi come essere comandati a bacchetta. Essere sull’orlo del crollo quando non c’è nessuno che possa salvarvi. No, voi non sapete com’è. Ma dovreste provare a comprendere quello che mai potrete comprendere. Dovreste provare a vivere un solo giorno della nostra vita. Avete mai desiderato essere qualcun altro? Vi siete mai sentiti stanchi di essere tralasciati? Avete mai disperato di riuscire a trovare qualcosa in più prima che la vostra vita sia finita? Vi siete mai sentiti nei guai fino al collo? Vi siete mai sentiti prigionieri di un mondo che odiate? Siete mai stanchi di tutti quelli che vi stanno intorno, con grandi sorrisi contraffatti e stupide bugie mentre nel profondo state sanguinando? No, voi non sapete com’è quando niente va come dovrebbe. No, voi non sapete com’è essere come noi. Essere feriti. Sentirsi completamente persi. Essere lasciati fuori nel buio. Essere colpiti quando si è giù di morale. Sentirsi come essere comandati a bacchetta. Essere sull’orlo del crollo quando non c’è nessuno che possa salvarvi. No, voi non sapete com’è. Ma dovreste provare a comprendere quello che mai potrete comprendere. Dovreste provare a vivere un solo giorno della nostra vita. Nessuno vi ha mai mentito guardandovi dritti in faccia. Nessuno vi ha chiesto un dito e si è preso un braccio. Nessuno vi ha spinto dentro l’abisso lasciandovi soli nell’ardua impresa di risalire. Nessuno vi ha pugnalato alle spalle. Nessuno vi ha etichettato e messo nello scaffale più basso del supermercato. Nessuno vi ha inflitto una grande sofferenza facendovi provare la difficile impresa di staccarsi da una dipendenza. Avete sempre avuto tutto quello che volevate senza mai lavorare, era tutto lì. Avete avuto amici, amore, gioia, senza un grammo di vera sofferenza. Avete avuto le vostre vite brillanti, divertenti, quasi perfette. No, voi non sapete com’è quando niente va come dovrebbe. No, voi non sapete com’è essere come noi. Essere feriti. Sentirsi completamente persi. Essere lasciati fuori nel buio. Essere colpiti quando si è giù di morale. Sentirsi come essere comandati a bacchetta. Essere sull’orlo del crollo quando non c’è nessuno che possa salvarvi. No, voi non sapete com’è. Ma dovreste provare a comprendere quello che mai potrete comprendere. Dovreste provare a vivere un solo giorno della nostra vita. No, voi non sapete com’è quando niente va come dovrebbe. No, voi non sapete com’è essere come noi. Essere feriti. Sentirsi completamente persi. Essere lasciati fuori nel buio. Essere colpiti quando si è giù di morale. Sentirsi come essere comandati a bacchetta. Essere sull’orlo del crollo quando non c’è nessuno che possa salvarvi. No, voi non sapete com’è. Ma dovreste provare a comprendere quello che mai potrete comprendere. Dovreste provare a vivere un solo giorno della nostra vita. Dovreste provare a vivere anche un solo giorno della nostra vita. Dovreste provare a vivere un solo giorno della nostra vita. Dovreste provare a vivere un solo giorno della nostra vita. Dovreste provare a vivere un solo giorno della nostra vita.
La vita comunque continua a scorrere, giorno dopo giorno, con la stessa meccanica ripetitiva. La gente che vive una vita “perfetta” continua a lagnarsi dei propri quotidiani problemi da niente, il treno in ritardo, il caffè troppo zuccherato, i colleghi di lavoro scemi, e continua a dare giudizi negativi ed offensivi sui video che parlano con schiettezza dell’anoressia. Nessuno sente niente, nessuno vede niente oltre se stesso. Ma la sofferenza e il dolore, quelli veri, esistono. Il gioco del “facciamo finta che” può protrarsi all’infinito. Ma le cicatrici ci sono. Dovreste vederle.
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