Come gli alchimisti trasformavano il ferro in oro… voi potete trasformare l’oscurità in luce. Siete tutte benvenute.
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venerdì 22 giugno 2012

Proprio di fronte a me

Dato che all’inizio di Settembre 2011 mi sono trasferita in un nuovo appartamento, ho una nuova cameretta le cui pareti sono state a lungo completamente bianche. Così ho deciso di decorarla appendendoci dei poster. La mia brillante idea era quella mettere sulle pareti i poster delle t.A.T.u. (le mie cantanti preferite) che nel corso degli anni ho acquistato, fermandoli agli angoli con dello scotch colorato.

 Così sono andata in una cartoleria ad acquistare lo scotch colorato e il nastro biadesivo, in modo che i poster potessero aderire per bene e non si sciupassero. Fatto tutto ciò, si è presentato un problemuccio: non riuscivo a trovare i poster.

Sapevo di averli messi all’interno di una qualche cartellina, perchè tengo sempre nelle cartelline tutto il mio materiale cartaceo, dalle dispense per l’università ai miei disegni, e sapevo di non aver gettato quei poster… oh, insomma, speravo di non averli gettati via nel trasloco. Non ne avevo idea. Una cosa che mi faceva uscire scema. Ho cercato dappertutto, anche in posti dove mai sarebbe stato possibile mettere dei poster, e non ho trovato nulla.
Quei poster non volevano essere proprio trovati.

Ma ieri, mentre stavo rimettendo a posto appunti, slides e dispense di Ortopedia (esame che ho da poco dato), mi è scivolato lo sguardo su una cartellina rossa. Piazzata proprio su una mensola della mia camera. Sopra la scrivania. Proprio di fronte a me. Precisamente all’altezza dei miei occhi.

Ho aperto la cartellina
sfogliato alcune pagine
ed ecco che ho tirato fuori
i miei poster delle t.A.T.u.



Ero talmente convinta che quei poster fossero rintanati in qualche pertugio inesplorabile – in fin dei conti, li avevo cercati così a lungo – che non potevano trovarsi in un posto così ovvio. Avrebbero dovuto essere in una scatola, in un qualche contenitore, potevo averli usati quando avevo finito la carta igienica… e invece, erano piazzati in una cartellina ben evidente su una mensola.

Ecco vale lo stesso anche quando si percorre la strada del ricovero dall’anoressia. Si cercano e si ricercano informazioni, insights, si scandagliano backgrounds, e non riusciamo a trovarli. Si cercano strategie per rendere la strada del ricovero un po’ meno pesante e faticosa da percorrere. E, paradossalmente, molto spesso è proprio nel momento in cui smettiamo di rimuginare su tutto questo che troviamo la soluzione che per tanto tempo avevamo inutilmente cercato. Che capiamo quali sono le cose veramente importanti: le più semplici. Mangiare tutti i pasti principali e gli spuntini – e mangiare tutto. Essere sincere con gli psicoterapeuti e con i dietisti. Sfogarci non più su noi stesse, ma riversando all’esterno il nostro malessere. Rialzarci dopo ogni ricaduta e ricominciare a combattere. Spesso si tende a pensare che tutte queste “rivelazioni” siano nascoste sotto cumuli di vissuto, ma spesso quel che stiamo cercando è proprio dritto di fronte a noi.

 Per vederlo, occorre solo decidere di aprire gli occhi.

venerdì 2 settembre 2011

Turning



Can’t read my, cant’ read my, no you can’t read my poker face… She’s got to love nobody.

La fine e l’inizio, il bacio di due coni.
Io e te. Perché tu sei me, ma io non sono te. Ora l’ho capito. Che tu non puoi esistere senza di me. Ma io ho tutta la capacità di andare avanti senza di te.
I can do better – without you.

Aggiungo “paranoica” alla lista dei miei difetti mentre per la quarta volta riapro la valigia per controllare se ci ho messo tutto. Sì che ci ho messo tutto, sono stata attenta, e poi ho già ampiamente ricontrollato, quindi cos’è quest’ansia che sale e mi spinge a ripassare in rassegna il contenuto del bagaglio ancora una volta? Ci ho messo tutto, avevo fatto un elenco ed ho spuntato tutte le voci, dunque non può mancare niente all’appello. Eppure poggio la valigia a terra e la apro ancora una volta per essere sicura, ma proprio sicura-sicura di aver preso ogni cosa. Passo in rassegna ogni piega, ogni tasca, ogni scomparto e, sì, c’è proprio tutto. Tutto quello che se ne verrà via con me, penso, è adesso contenuto in quella valigia e nel trolley blu che ho già portato in fondo alle scale. Non ho lasciato niente. Faccio per chiudere la valigia, poi però la riapro di nuovo mentre mi scappa un sorriso involontario perché ho improvvisamente capito la vera ragione di quel quarto controllo. Non per vedere se veramente mancasse qualcosa – già lo sapevo che c’era tutto, in fondo – ma per capire. Per capire che ci sono cose che non posso portare con me, perché otto anni di ricordi non si possono in alcun modo stipare in una valigia, e per capire che ci sono cose che non voglio portare con me.
Get out my mouth, get out my head, get out my mind: you’re nothing but trouble.

Per quanto si possa piangere o gridare a squarciagola, nessuno può fare niente per noi. Non esistono i miracoli. Il vento soffia continuamente, perciò la forza per restare in piedi dobbiamo trovarla da sole.

La prima cosa che mi è venuta in mente, e non sono riuscita a trattenere una risata di fronte all’ennesimo paradosso, è che, in fin dei conti, si trattava di due A. Buffo come due cose tanto opposte possano avere anche punti in comune, no?! Una A prima, e poi ancora una A dopo. Due A a scandire. Così diverse, così uguali. Sembra quasi un segno, non so. La prima A l’ho vista bene, per tanti anni, segnapassi costante della mia vita, così imponente e totalizzante che la seconda A è passata a lungo inosservata. Eppure ha saputo farsi strada a poco a poco, così, senza che io me ne rendessi conto. Perché avevo sempre pensato che la prima A fosse la più forte, quindi non mi ero mai neanche posta il dubbio che potesse esistere qualcosa in grado di contrastarla. Tuttavia, le cose sono lentamente cambiate, dal momento in cui è arrivata la seconda A. E allora, qual è veramente la A più forte? Prima ero sicura di conoscere la risposta. Adesso non ho nemmeno più voglia di pormi la domanda.

E’ umano amare facilmente, vero? Ma lo è altrettanto odiare.

Io sono forte, così pensavo. Così pensavo quando la prima A era l’unica costituente della mia vita. Io sono forte. Non sono una di quelle ragazze deboli che hanno bisogno di essere protette. Io non ho bisogno dell’aiuto di nessuno. Io sono forte. Me la sono cavata sempre da sola. E continuerò a farlo. Proprio così. Non ho bisogno di niente e nessuno.
Avevo la mia A, quindi non avevo bisogno di nient’altro. Bastavo a me stessa.

Ormai valigia e trolley stanno fuori dalla porta: devo solo chiudere a doppia mandata e lasciare le chiavi dietro il vaso di fiori, come da accordi. Poi prenderò l’auto e partirò. Ho fatto un conteggio approssimato, ci sto dentro coi tempi, avevamo detto a mezzogiorno, adesso sono le undici, in un’ora dovrei farcela benissimo, traffico permettendo. E chi se ne frega se il limite di velocità in autostrada è 130 Km/h… quando mai sono stata dentro al limite? Nient’altro da fare, dunque: solo chiudere la porta, caricare i bagagli in macchina, ed andare. Eppure esito ancora. Esito ancora e lancio un’ultima occhiata al corridoio spoglio, alle sue pareti bianche. Ho preso quello che mi serviva, ho messo a posto tutto il resto. Non sembra neanche più l’appartamento in cui ho abitato negli ultimi otto anni, adesso è tutto asettico, non si scorgono tracce di me. Mi mancherà nonostante tutto, mi mancherà anche se non era veramente mio, perché col tempo avevo comunque finito per abituarmici, perché in otto anni succedono tante cose, e perché la mia vita è cambiata tanto negli ultimi otto anni. E negli ultimi otto anni io ero lì, abitavo in quell’appartamento, e ogni mese, ogni settimana, ogni giorno lo trovo scandito in quelle pareti ormai spoglie ed in quell’ordine che non mi appartiene. Forse è normale esitare, è normale provare nostalgia nei confronti del posto in cui si è vissuto per un po’. Ma ora è tempo di essere nuova immagine. Chiudo la porta, giro la chiave. Do le spalle al passato. Mi incammino verso il futuro. Se voglio diventare più forte, è arrivato il momento di svegliarmi.

I was close to a fall line, heaven knows, you found me in time. Was it real? Now I feel like I'm never coming down.

Ti ricordi com’era all’inizio, quando ci siamo conosciuti, al 3° anno di università? Tu che cercavi di attaccare discorso, e io che piazzavo lo zaino sulla sedia di destra e il fonendo su quella di sinistra, affinché non ti sedessi accanto a me. Chissà cos’hai pensato di me, in quel periodo. Di certo devi aver pensato che non avevo alcuna intenzione di fare amicizia con te. Del resto, un giorno te lo dissi anche esplicitamente di andare a rompere da qualche altra parte. Eppure, che strano, non ti sei dato per vinto. Forse è per questo che, col tempo, sei riuscito a cambiarmi. Senza volerlo, poco a poco sono entrata in una nuova misura. Senza volerlo, poco a poco mi sono voltata verso di te. Non è vero che non volessi fare amicizia con te… la verità è che era solo alla prima A che non piacevi. La verità è fino a quel momento la prima A era stata la mia unica amica, e perciò avevo paura di fare amicizia con te. Non riuscivo a sostenere il tuo sguardo non perché non volessi avere a che fare con te, ma perché avevo come l’impressione che tu potessi leggermi dentro. E questo non potevo permetterlo. Non ancora.

“Sai cos’è in realtà la debolezza? E’ dire subito non ci riesco. In realtà non è vero che non ci riesci, la verità è che non ci provi neanche. Non si può dire che non si riesce a fare una cosa se non si prova a farla. Se vuoi diventare più forte, invece di scappare, accetta ogni sfida e combatti fino all’ultimo”.

Le persone non amano facilmente. E altrettanto difficilmente odiano.
Voglio credere in te… per favore, posso crederti almeno un po’?

Sono arrivata per prima, ma fortunatamente l’attesa non è troppo lunga: in capo a 10 minuti lo vedo che sbuca dall’angolo della strada e tenta di salutarmi con un cenno della testa, visto che ha entrambe le mani impegnate da due ingombranti valige. Mi raggiunge, mentre io mi frugo in tasca alla ricerca delle chiavi del portone, e sono così eccitata che quasi me le faccio scivolare di mano. Il nome della via, il numero civico, il portone: la mia nuova casa. La mia nuova avventura. La mia nuova sfida. Che stavolta non devo affrontare da sola, però, perché il mio migliore amico è qui accanto a me. Perché questo nuovo appartamento, questa casa in cui abiteremo da ora in poi, l’abbiamo affittata insieme. E mi viene in mente quel film, e mi tornano in mente quelle parole, quelle stesse parole che vorrei dire mentre fisso il portone di fronte a me: se tu abitassi qui, ora saresti a casa. Cerco di tenere ferma la mano mentre giro la chiave nella toppa: non voglio che lui possa leggere la mia emozione, non mi piace mettere a nudo quello che ho dentro. “Io sono forte e sto bene da sola” ho pensato per molto tempo. Però… in realtà… ho sempre voluto un po’ più di coraggio. Il coraggio di aspettare l’alba senza fuggire. Il coraggio di affrontare la vita. Il coraggio di credere e contare su qualcuno. L’ho sempre voluto. Ma avevo paura che mi dicessero che non avevano bisogno di me, perciò dovevo pensare “Io sono forte”. Tuttavia in realtà volevo che la Veggie che vive dentro di me si accorgesse della propria debolezza, e che smettesse di fingere di essere forte e coraggiosa.
Perciò, per favore… non mi lasciare sola adesso. Adesso che abito qui con te. E, perciò, adesso che sono a casa.

Tell me how you’ve never felt.

La nostra nuova abitazione. Abbiamo lasciato i bagagli alla rinfusa nel corridoio, e siamo entrati in soggiorno con il timore quasi reverenziale di rompere il silenzio che ci avvolge nella penombra della stanza. Non mi sembra ancora vero che tutto questo stia succedendo sul serio. Non mi sembra ancora vero che questo appartamento al primo piano sarà il posto in cui io ed Alex abiteremo nei prossimi anni. È tutto così bello che non ho parole per descriverlo. È tutto così – come dovrebbe essere. Io ho sempre considerato gli altri come dei nemici, per questo non sono mai riuscita a mostrare a nessuno i miei punti deboli. Per questo ho scelto la mia prima A, l’Anoressia. Perché, in fin dei conti, ho sempre provato una paura fortissima ed inarginabile, ed in qualche modo dovevo porle un contenitore, trovare un modo per controllarla. Ho scelto l’anoressia, e a poco a poco mi sono dannata, sotto i piedi un oceano senza fondo. In tanti allora – medici, psichiatri, psicologi, dietisti – hanno cercato di prendersi cura di me, affinché non cadessi in quell’oceano, e io mi sono spesso augurata di precipitarvi dentro, di affondare e di svanire nel nulla. Ho sempre detestato la mia incapacità di fidarmi degli altri… e di me stessa. E mi detesto perché spesso, per eccesso di paura, ferisco chi mi circonda. Del resto, mi dicevo, anche gli altri la pensano così, no?! Anche loro mi detestano, giusto?! Ma io sono forte, non ho bisogno di loro e non ho alcuna intenzione di arrendermi, in fin dei conti ho l’anoressia. Però poi è arrivata la seconda A, l’Amicizia. E tu, Alex, tu mi hai detto che non vuoi che io me ne vada. Hai detto “no”? Non vuoi vedermi scomparire? Io e te, adesso, in mezzo al soggiorno del nostro nuovo alloggio. Non vuoi vedermi scomparire? Dunque posso davvero restare qui? Ho davvero il diritto di continuare a vivere, in questa casa con te? Perché è qui che voglio restare.

Accettare i miei limiti è il primo passo che devo fare se voglio diventare più forte. Perché sono arrivata all’estremo, e mi sono rialzata. Non c’è spazio per l’autocommiserazione, ma solo per l’azione. Perché quando tutto è perduto, è allora che si progredisce.

Quasi come se ci fossimo letti nel pensiero, allunghiamo entrambi la mano e le nostre dita s’incontrano e s’intrecciano. Sei tu quello che stringe più forte, e mi viene da sorridere perché avevo pensato di essere io quella più nervosa e tu quello più saldo – tu sarai la forza mia – ma forse le cose non stanno proprio così. Siamo emozionati tutti e due, ecco cosa. E tu ti volti verso di me e mi sorridi mentre mi stringi forte la mano. Quando mi sorridi… quel tuo sorriso vorrei preservarlo per sempre. Starting from here. Cerchiamo di costruire qualcosa insieme. Perché la nostra amicizia, nel bene e nel male, è più forte di qualsiasi ostacolo che la vita potrà mai pararci di fronte.

Anche oggi, come sempre, arriverà la notte. Ma con Alex al mio fianco, ormai non ho più paura. Grazie alla nostra amicizia, ormai non ho più paura. Non ho più paura. Voglio vivere molte cose. La luce è dentro di me.

Le valige piazzate ognuno nella propria cameretta, adesso stiamo seduti sul divano del soggiorno. Una volta tanto, non c’è bisogno di parlare. I nostri occhi dicono già tutto. Questo è l’inizio. Questa è una nuova strada che si apre. La fine e l’inizio, il bacio di due coni. E si (ri)comincia da qui. Con una sola A, la seconda. Insieme.
“Alex, ehi, Alex!”
“Dimmi”
“Indovina chi vorrei essere in questo momento, più di ogni altra persona al mondo?”
“Chi vorresti essere?”
“Me stessa”



(click sulle immagini per ingrandire)

giovedì 23 giugno 2011

Freni al ricovero: Endorfine

Quel che sto per scrivere non sorprenderà affatto chi ha un DCA, ma forse potrà stupire chi non ha mai vissuto l’anoressia sulla propria pelle: quando si percorre la strada del ricovero si sente la mancanza dell’elevato livello di endorfine che consegue alla restrizione alimentare. Si sente la mancanza del senso di forza, controllo e soddisfazione che solo l’anoressia è in grado di conferire in quel modo particolare. Si sente la mancanza di quel senso di onnipotenza. Se ne sente la mancanza.

Ovviamente, l’anoressia non è solo sensazioni positive: alla lunga finisce per dare più problemi di quanti sembra toglierne. Ma il nostro cervello – studi scientifici alla mano – è bravo a rimuovere le cose negative conservando invece quelle positive. E quindi, quello che rimane è in definitiva la mancanza delle endorfine, la mancanza della sensazione di forza, controllo e benessere che l’anoressia sembrava conferire. Ci manca un sacco. Ma proprio tanto. Non sentiamo la mancanza del fatto che magari a volte non avevamo abbastanza fiato, o abbiamo collassato. Questo non ha importanza, perché non è che la conseguenza della restrizione alimentare. Questo certo non ci manca. Ma quei momenti in cui ci sembrava di essere migliori degli altri, qui momenti in cui riuscivamo a restringere nonostante le pressioni circostanti, quei momenti in cui ci sentivamo forti, soddisfatte, quei momenti in cui ci sembrava di poter controllare tutto, quei momenti in cui sentivamo di avere tutta la vita nelle nostre mani… ecco, quelli ci mancano da morire.

Sebbene le endorfine non siano uno dei maggiori freni al percorso di ricovero, sicuramente possono giocarci la loro parte. Quando si recupera il peso fisiologico, ci si sente sicuramente meglio – da un punto di vista oggettivo – sia fisicamente che mentalmente. Ma il problema di fondo rimane: non si riesce a trovare più niente che ci faccia stare bene quanto ci ha fatte stare bene l’anoressia. Niente che faccia liberare così tante endorfine. All’Università ho studiato che l’unica cosa che faccia rilasciare tante endorfine quante la restrizione alimentare nell’anoressia, è l’utilizzo di droghe. Del resto, penso che gli stupefacenti e l’anoressia abbiano tantissimo in comune. Anche l’anoressia, a suo modo, è una droga: dà dipendenza, assuefazione fisica e mentale, fa sentire “migliori”, conferisce una sensazione di forza, controllo, soddisfazione, onnipotenza. Certo, percorrendo la strada del ricovero ci si rende conto che ci sono tante altre cose belle nella vita: lo sport, gli hobby, le amiche, il lavoro, ma questi non fanno da rimpiazzo alle sensazioni che l’anoressia ci faceva provare. Non stimolano il rilascio di altrettante endorfine.

Da una parte, penso che dovremmo semplicemente smetterla di cercare di trovare un rimpiazzo all’anoressia. Purtroppo il problema è il bisogno di avere quell’elevato livello di endorfine pur non utilizzando mezzi autodistruttivi. Molto, molto arduo. E forse, a ben pensarci, l’anoressia ci faceva sentire così bene proprio perché tutto il resto sembrava andare terribilmente male.

Recentemente, mi sono ritrovata a pensare a cose che ho fatto quand’ero piccola. Per esempio, quando passavo Estati su Estati a giocare a calcio su un campetto che è stato ad oggi spianato per costruire una casa. Oppure quando mi arrampicavo su un ciliegio che è stato poi abbattuto. Oppure quando facevo le “esplorazioni” in un palazzo disabitato che è stato successivamente trasformato in un albergo. Oppure quando ho fatto le mie prime gare di karate, mettendomi la cintura gialla anche se ero ancora cintura bianca. Inizialmente, ripensando a cose di questo tipo, mi è venuta un po’ di nostalgia. Poi però mi sono detta: “Bè, sono state cose davvero divertenti, però adesso sono cresciuta e sono altre le cose che voglio fare” e i pensieri sono a poco a poco sfumati.

Chissà, forse un giorno succederà qualcosa del genere anche per l’anoressia… Saremo in grado di guardare al periodo della restrizione alimentare e dirci: “Sì, è stato grandioso, mi ha fatto sentire speciale, ed è stato bello finché è durato, ma questo è il mio passato, e davanti a me ho un futuro che voglio provare a costruire in maniera differente”.


P.S.= Chiedo un consiglio a chi ci è passata... Alla fine di Agosto mi scadrà il contratto dell'appartamento in affitto in cui abito adesso, e dovrò traslocare... Se vi è capitata una cosa del genere, come avete fatto a trovare un nuovo appartamento? Vi siete rivolte alle agenzie immobiliari? Avete cercato tramite Internet? Avete cercato un "passaparola" tra conoscenti?... Qual è secondo voi il modo migliore in cui procedere per trovare casa in affitto senza perdere troppo tempo?...
 
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