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venerdì 25 aprile 2014
Come poter dare una mano a chi ha un DCA
Come avrete già intuito dal titolo, il post di oggi è in effetti dedicato più che altro a genitori/fratelli/sorelle/parenti/amici/etc… che hanno quotidianamente a che fare con una persona affetta da anoressia/bulimia.
Vorrei dunque proporvi alcuni semplici consigli che potrebbero servirvi se dovete relazionarvi ad una ragazza che ha un DCA ma, premessa: mettetevi il cuore in pace, perché non ci sono bacchette magiche. I miei consigli sono tesi semplicemente a darvi qualche suggerimento, ma non sono certo risolutivi… magari potessero esserlo! Quello che state per leggere potrà al più servirvi per smussare alcuni angoli, per migliorare un po’ il vostro rapporto con la persona che ha un DCA e con cui vi relazionate, ma non sono la chiave di volta per i rapporti splendidi e men che meno hanno valenza assoluta ed universale.
Io parto dal presupposto che, per chi non ha mai vissuto un DCA, sia veramente difficile interagire con una figlia/sorella/amica che è affetta da questa malattia. Pur partendo sempre armati delle migliori intenzioni, spesso e volentieri si finiscono per fare autentici disastri, e per peggiorare ulteriormente il rapporto. Non per cattiveria, ci mancherebbe, ma proprio perché io penso che la maggior parte della gente davvero non sappia come interagire con chi ha un DCA. Errori relazionali credo possano essere frustranti per ambo le parti: per chi ha un DCA, perché si sente incompresa in toto e magari anche ferita, e per familiari/amici di chi ha un DCA, che si sentono impotenti di fronte alla malattia e non sanno come poter essere d’aiuto.
Certo, è verissimo che siamo solo noi a poter aiutare noi stesse, e dunque siamo solo noi a poter decidere cosa fare della nostra vita, e se e come combattere il DCA: nessuno può salvare chi non vuol essere salvato. Però è altrettanto vero che, nel momento in cui una persona inizia a precorrere la strada del ricovero, l’avere accanto persone supportive che non parlano e non si comportano a sproposito, può essere significativamente d’aiuto.
Perciò, cari genitori/fratelli/sorelle/parenti/amici/etc… di chi ha un DCA, eccovi qualche suggerimento in merito a come, secondo me, potreste essere d’aiuto a vostra figlia/sorella/amica.
- Informatevi in maniera adeguata. La stragrande maggioranza delle informazioni che si trovano sulle riviste/in TV/su Internet a proposito dei DCA, vengono fornite da persone che non hanno mai avuto un DCA in vita loro. Bene, sfido chiunque non abbia mai avuto una certa malattia ad essere in grado di parlarne con cognizione di causa. Ergo, non fatevi abbindolare dai millemila luoghi comuni assolutamente falsi sull’anoressia/bulimia che potete trovare chissà dove su Internet, e che vengono scritti da cani e porci. Per sapere cosa significa davvero avere un DCA, cercate testimonianze dirette. Chiedete a chi c’è passato in prima persona. Risalite alla fonte autentica. Solo così potrete avere un’informazione corretta e veritiera su cosa significa vivere con un DCA, su cosa si pensa, su cosa si prova, ed eviterete di affidarvi a cliché che non hanno niente di vero ma che, se ci credete e li applicate, sono vere e proprie pugnalate alla schiena di chi ha un DCA.
- Ascoltate ciò che vi viene detto. Per una persona che ha un DCA è molto difficile parlare della sua malattia. Ma se prende l’iniziativa, e vuole condividere con voi qualcosa della sua anoressia/bulima/binge, prendetevi tutto il tempo necessario per ascoltare. Sottolineo: ASCOLTARE. 99 volte su 100, se una persona che ha un DCA vi parla della sua malattia, non lo fa perché si aspetta che voi tiriate fuori la pillola magica che la farà guarire seduta stante. Non lo fa perché si aspetta da voi mirabolanti soluzioni. Lo fa semplicemente perché ha bisogno di sfogarsi a fronte di un qualcosa che la fa stare male. Non siate critici, non giudicate, non commentate: semplicemente, ascoltate. Ascoltate con attenzione. Non abbiate la presunzione di credere di essere in grado di capire che cosa l’altra persona sta provando ed attraversando. E non date per scontato che ciò che la persona dice sia frutto della malattia: il fatto che si ABBIA una malattia, non significa affatto che si E’ quella malattia.
- Chiedete come poter essere d’aiuto. Ogni persona è una storia a sé, e dunque ogni persona con un DCA può avere necessità e bisogni diversi rispetto alle altre. L’unico modo per sapere in che modo potete essere d’aiuto a vostra figlia/sorella/amica è semplicemente chiederglielo. Così le darete un doppio messaggio: innanzitutto, che voi ci siete, e che dunque se ha bisogno può contare su di voi; in secondo luogo che non volete decidere al suo posto, ma che siete pronti ad ascoltare le sue richieste e ad agire di conseguenza.
- Tenete d’occhio i sintomi. Anche durante il migliore dei percorsi di ricovero possono realizzarsi delle ricadute. Spesso sono scienti, ma quando la persona è ancora molto dentro la malattia perché magari ha iniziato da poco il suo percorso di ricovero, oppure perché sta attraversando una situazione di vita particolarmente stressante, può accadere che la strategia di coping rappresentata dal DCA venga ri-messa in atto di default, senza una precisa intenzionalità. Pertanto, se notate un peggioramento psicofisico di vostra figlia/sorella/amica, fateglielo (con tatto!!) notare subito: può servire per riprendere le redini della situazione, poiché prima si interviene, prima si arresta la ricaduta, più facile sarà rimettersi in piedi.
- Consigliate ma non obbligate (eccetto casi estremi). Un DCA non guarisce da sé. Perché nessuna persona con un DCA è in grado di opporsi in toto ad una malattia che scaturisce dalla propria mente. Quindi, suggerite alternative di psicoterapia e riabilitazione nutrizionale, ma non siate pressanti né coercitivi: come si dice dalle mie parti “per forza non si fa neanche l’aceto”. Non credo che le prese di posizione (esempio: il ricovero coatto) possano essere producenti, perché se una persona non è pronta a lavorare su se stessa, sarà tempo perso. Però, certo, non datevi per vinti: continuate a suggerire alternative di terapia, perché arriva il momento in cui la persona è meno schiava del DCA e più recettiva, e che quindi può iniziare ad accettare l’aiuto che gli state proponendo.
(Questo ovviamente non vale per i casi estremi: è ovvio che se vostra figlia/sorella/amica è in un sottopeso estremo che la mette in pericolo di vita, allora è del tutto opportuno e lecito portarla in ospedale anche contro la sua volontà. Questo non risolverà in alcun modo il DCA – per quello ci vorrà un opportuno percorso – ma almeno nell’immediato le salverà la vita.)
- Niente forzature alimentari su iniziativa personale. Non avete le competenze professionali per stabilire quanto e cosa è giusto che vostra figlia/sorella/amica mangi. Tanto più che, se focalizzate l’attenzione sull’alimentazione, a maggior ragione il cibo diverrà territorio di scontro per tutto quello che non va nei vostri rapporti. Non servono a niente domande, commenti, incitamenti, ricatti, minacce a mangiare: se questo potesse servire a qualcosa, i DCA non sarebbero malattie. Anzi, spesso cose di questo genere sortiscono proprio l’effetto contrario di quello sperato. Una persona che ha un DCA non è stupida, lo sa da sola che non mangia in maniera appropriata, solo che lo fa perché ha una malattia: anziché perdere tempo in costrizioni inutili e controproducenti, consigliate piuttosto un consulto da una dietista.
- Siate espliciti per quanto riguarda l’alimentazione. Se vostra figlia/sorella/amica è seguita da una dietista e mangia secondo un “equilibrio alimentare” prescritto, aiutatela a seguirlo. Siate ligi nella preparazione degli alimenti e nelle quantità, non aggiungete niente anche se siete preoccupati per il sottopeso e vorreste vedere progressi fisici tangibili più rapidamente, non stimolatela a mangiare qualcosa di più o di diverso. Già che all’inizio è difficile seguire l’ “equilibrio alimentare”, non aggiungete stress a stress. Vostra figlia/sorella/amica è seguita da una dietista: quello che mangia è corretto perché previsto da una specialista. Non abbiate fretta e lasciate che il tempo faccia il suo corso.
- Evitate i commenti. I commenti sull’aspetto fisico o sul comportamento nei confronti del cibo per chi ha un DCA non hanno la stessa valenza che possono avere per una qualsiasi altra persona che non ha questa malattia. Un “Sei dimagrita così tanto che sei diventata brutta” può rappresentare un rinforzo positivo per chi ha l’anoressia, oppure “Ma sta benissimo così, non hai mica bisogno di dimagrire!” può spingere la persona con bulimia a compensare di più per tentare di perdere ancora più peso. Inoltre, cosa più importante: il focus di un disturbo alimentare NON è la fisicità. Se fate commenti sul fisico darete l’idea di essere persone superficiali che non capiscono la vera natura della malattia e che sono concentrate solo sull’esteriorità, per cui chi ha un DCA a maggior ragione cercherà di stare male “fuori”, nel tentativo di farvi capire che in realtà sta male “dentro”.
- Non girate la testa dall’altra parte. Non date niente per scontato. Non fate finta di non sapere che vostra figlia/sorella/amica ha un DCA, se questo è palese. Perché un DCA, in alcuni casi, può essere una richiesta d’aiuto non verbale, per cui se fate finta di niente la persona si “impegnerà” ancora di più a sembrare malata. Non abbiate paura di affrontare il problema: anche perché girandovi dall’altra parte state solo procrastinando, un DCA prima o poi emerge comunque, per cui è meglio affrontarlo subito per limitare i danni. E, soprattutto, non cadete nell’errore di voltare la testa dall’altra parte quando il percorso di ricovero è già avviato e la persona ha recuperato peso, non fate l’errore di considerare “guarita” una persona che ha avuto problemi di anoressia solo perché magari è tornata normopeso. Il peso non ha diretta correlazione con la salute mentale. E l’anoressia è una malattia mentale: se la mentalità resta quella della patologia, si può essere malate di anoressia anche se si è nel normopeso più tranquillo del mondo.
- Chiedete quotidianamente “Ehi, come stai oggi?”. Non pretendete una risposta od una risposta sincera, naturalmente. Però così dimostrate che siete aperti all’ascolto, e che ci siete qualora la persona malata volesse parlarvi. E che ci siete sempre, non solo oggi perché la persona è sottopeso, e quando ritorna normopeso arrivederci e grazie.
- Niente sensi di colpa. Non sono utili a voi, e men che meno a chi ha un DCA. Questo non significa che non possiate essere dispiaciuti, ovviamente, ma scivolare nella spirale dei sensi di colpa è solo deleterio. Il passato non si può cambiare né cancellare: perciò, anziché perdere tempo prezioso a rimuginarci sopra, utilizzatelo per valutare cosa potete fare da ora in poi per dare una mano alla persona che ha un DCA.
- Niente pressing psicologico sui risultati attesi. Sulla base di quella che è stata la mia esperienza, mi sono accorta che, ogni volta che facevo un ricovero, o andavo da una dietista, o iniziavo una nuova psicoterapia, gravavano su di me enormi aspettative: l’anoressia veniva considerata alla stregua di una malattia fisica, quindi c’era l’aspettativa che, una volta tornata a casa dopo quei 3 mesi di ricovero, o una volta fatte TOT sedute di psicoterapia, in me ci fosse un cambiamento sostanziale. Non è così. Un ricovero, una psicoterapia, una riabilitazione nutrizionale sono solo tentativi. Possono andar bene come fallire. E anche se vanno bene, possono volerci anni per muovere un piccolo passo in avanti. Quindi, non fate troppa pressione psicologica e non cercate il “tutto e subito” nel voler vedere dei risultati in termini di miglioramento. Anzi, più una persona si sente pressata in tale direzione, più sale l’ansia e quindi più è difficile andare effettivamente in quella direzione. Un percorso di ricovero richiede i suoi tempi, e sono tempi ben lunghi: siatene consapevoli e rilassatevi.
- Accettate i vostri limiti. Il vostro supporto può essere davvero importantissimo per chi sta combattendo contro un DCA. Ma dare supporto è tutto ciò che potete fare. Non avete la capacità di guarire nessuno, semplicemente perché questo nessuno può umanamente farlo. Non potete essere voi a cambiare quello che passa per la testa di una persona che ha un DCA. Non siete in grado di salvare nessuno. Potete sostenere, questo è tanto. E se lo fate con tutti i crismi, allora questo è tutto.
- Prendetevi cura di voi stessi. Stare accanto ad una persona che ha un DCA è faticoso sotto ogni punto di vista, fisicamente e psicologicamente. Perciò, non annullatevi né ammalatevi a vostra volta per stare vicino a chi ha un DCA: sia perché così non potreste essere più di alcun supporto, sia perché niente è più importante di voi stessi. Se ci rimanete troppo sotto avrete un completo burnout: e questo non sarà di alcuna utilità né per voi, né per vostra figlia/sorella/amica. Prendetevi perciò i tempi necessari per avere cura di voi stessi: solo così potrete continuare ad essere di supporto per gli altri.
(Ragazze, se avete qualche altro consiglio da aggiungere a quanto ho scritto, siete vivamente pregate di lasciarlo nei commenti!... Più suggerimenti per familiari/amici ci sono, più questo post può essere utile!...)
Vorrei dunque proporvi alcuni semplici consigli che potrebbero servirvi se dovete relazionarvi ad una ragazza che ha un DCA ma, premessa: mettetevi il cuore in pace, perché non ci sono bacchette magiche. I miei consigli sono tesi semplicemente a darvi qualche suggerimento, ma non sono certo risolutivi… magari potessero esserlo! Quello che state per leggere potrà al più servirvi per smussare alcuni angoli, per migliorare un po’ il vostro rapporto con la persona che ha un DCA e con cui vi relazionate, ma non sono la chiave di volta per i rapporti splendidi e men che meno hanno valenza assoluta ed universale.
Io parto dal presupposto che, per chi non ha mai vissuto un DCA, sia veramente difficile interagire con una figlia/sorella/amica che è affetta da questa malattia. Pur partendo sempre armati delle migliori intenzioni, spesso e volentieri si finiscono per fare autentici disastri, e per peggiorare ulteriormente il rapporto. Non per cattiveria, ci mancherebbe, ma proprio perché io penso che la maggior parte della gente davvero non sappia come interagire con chi ha un DCA. Errori relazionali credo possano essere frustranti per ambo le parti: per chi ha un DCA, perché si sente incompresa in toto e magari anche ferita, e per familiari/amici di chi ha un DCA, che si sentono impotenti di fronte alla malattia e non sanno come poter essere d’aiuto.
Certo, è verissimo che siamo solo noi a poter aiutare noi stesse, e dunque siamo solo noi a poter decidere cosa fare della nostra vita, e se e come combattere il DCA: nessuno può salvare chi non vuol essere salvato. Però è altrettanto vero che, nel momento in cui una persona inizia a precorrere la strada del ricovero, l’avere accanto persone supportive che non parlano e non si comportano a sproposito, può essere significativamente d’aiuto.
Perciò, cari genitori/fratelli/sorelle/parenti/amici/etc… di chi ha un DCA, eccovi qualche suggerimento in merito a come, secondo me, potreste essere d’aiuto a vostra figlia/sorella/amica.
- Informatevi in maniera adeguata. La stragrande maggioranza delle informazioni che si trovano sulle riviste/in TV/su Internet a proposito dei DCA, vengono fornite da persone che non hanno mai avuto un DCA in vita loro. Bene, sfido chiunque non abbia mai avuto una certa malattia ad essere in grado di parlarne con cognizione di causa. Ergo, non fatevi abbindolare dai millemila luoghi comuni assolutamente falsi sull’anoressia/bulimia che potete trovare chissà dove su Internet, e che vengono scritti da cani e porci. Per sapere cosa significa davvero avere un DCA, cercate testimonianze dirette. Chiedete a chi c’è passato in prima persona. Risalite alla fonte autentica. Solo così potrete avere un’informazione corretta e veritiera su cosa significa vivere con un DCA, su cosa si pensa, su cosa si prova, ed eviterete di affidarvi a cliché che non hanno niente di vero ma che, se ci credete e li applicate, sono vere e proprie pugnalate alla schiena di chi ha un DCA.
- Ascoltate ciò che vi viene detto. Per una persona che ha un DCA è molto difficile parlare della sua malattia. Ma se prende l’iniziativa, e vuole condividere con voi qualcosa della sua anoressia/bulima/binge, prendetevi tutto il tempo necessario per ascoltare. Sottolineo: ASCOLTARE. 99 volte su 100, se una persona che ha un DCA vi parla della sua malattia, non lo fa perché si aspetta che voi tiriate fuori la pillola magica che la farà guarire seduta stante. Non lo fa perché si aspetta da voi mirabolanti soluzioni. Lo fa semplicemente perché ha bisogno di sfogarsi a fronte di un qualcosa che la fa stare male. Non siate critici, non giudicate, non commentate: semplicemente, ascoltate. Ascoltate con attenzione. Non abbiate la presunzione di credere di essere in grado di capire che cosa l’altra persona sta provando ed attraversando. E non date per scontato che ciò che la persona dice sia frutto della malattia: il fatto che si ABBIA una malattia, non significa affatto che si E’ quella malattia.
- Chiedete come poter essere d’aiuto. Ogni persona è una storia a sé, e dunque ogni persona con un DCA può avere necessità e bisogni diversi rispetto alle altre. L’unico modo per sapere in che modo potete essere d’aiuto a vostra figlia/sorella/amica è semplicemente chiederglielo. Così le darete un doppio messaggio: innanzitutto, che voi ci siete, e che dunque se ha bisogno può contare su di voi; in secondo luogo che non volete decidere al suo posto, ma che siete pronti ad ascoltare le sue richieste e ad agire di conseguenza.
- Tenete d’occhio i sintomi. Anche durante il migliore dei percorsi di ricovero possono realizzarsi delle ricadute. Spesso sono scienti, ma quando la persona è ancora molto dentro la malattia perché magari ha iniziato da poco il suo percorso di ricovero, oppure perché sta attraversando una situazione di vita particolarmente stressante, può accadere che la strategia di coping rappresentata dal DCA venga ri-messa in atto di default, senza una precisa intenzionalità. Pertanto, se notate un peggioramento psicofisico di vostra figlia/sorella/amica, fateglielo (con tatto!!) notare subito: può servire per riprendere le redini della situazione, poiché prima si interviene, prima si arresta la ricaduta, più facile sarà rimettersi in piedi.
- Consigliate ma non obbligate (eccetto casi estremi). Un DCA non guarisce da sé. Perché nessuna persona con un DCA è in grado di opporsi in toto ad una malattia che scaturisce dalla propria mente. Quindi, suggerite alternative di psicoterapia e riabilitazione nutrizionale, ma non siate pressanti né coercitivi: come si dice dalle mie parti “per forza non si fa neanche l’aceto”. Non credo che le prese di posizione (esempio: il ricovero coatto) possano essere producenti, perché se una persona non è pronta a lavorare su se stessa, sarà tempo perso. Però, certo, non datevi per vinti: continuate a suggerire alternative di terapia, perché arriva il momento in cui la persona è meno schiava del DCA e più recettiva, e che quindi può iniziare ad accettare l’aiuto che gli state proponendo.
(Questo ovviamente non vale per i casi estremi: è ovvio che se vostra figlia/sorella/amica è in un sottopeso estremo che la mette in pericolo di vita, allora è del tutto opportuno e lecito portarla in ospedale anche contro la sua volontà. Questo non risolverà in alcun modo il DCA – per quello ci vorrà un opportuno percorso – ma almeno nell’immediato le salverà la vita.)
- Niente forzature alimentari su iniziativa personale. Non avete le competenze professionali per stabilire quanto e cosa è giusto che vostra figlia/sorella/amica mangi. Tanto più che, se focalizzate l’attenzione sull’alimentazione, a maggior ragione il cibo diverrà territorio di scontro per tutto quello che non va nei vostri rapporti. Non servono a niente domande, commenti, incitamenti, ricatti, minacce a mangiare: se questo potesse servire a qualcosa, i DCA non sarebbero malattie. Anzi, spesso cose di questo genere sortiscono proprio l’effetto contrario di quello sperato. Una persona che ha un DCA non è stupida, lo sa da sola che non mangia in maniera appropriata, solo che lo fa perché ha una malattia: anziché perdere tempo in costrizioni inutili e controproducenti, consigliate piuttosto un consulto da una dietista.
- Siate espliciti per quanto riguarda l’alimentazione. Se vostra figlia/sorella/amica è seguita da una dietista e mangia secondo un “equilibrio alimentare” prescritto, aiutatela a seguirlo. Siate ligi nella preparazione degli alimenti e nelle quantità, non aggiungete niente anche se siete preoccupati per il sottopeso e vorreste vedere progressi fisici tangibili più rapidamente, non stimolatela a mangiare qualcosa di più o di diverso. Già che all’inizio è difficile seguire l’ “equilibrio alimentare”, non aggiungete stress a stress. Vostra figlia/sorella/amica è seguita da una dietista: quello che mangia è corretto perché previsto da una specialista. Non abbiate fretta e lasciate che il tempo faccia il suo corso.
- Evitate i commenti. I commenti sull’aspetto fisico o sul comportamento nei confronti del cibo per chi ha un DCA non hanno la stessa valenza che possono avere per una qualsiasi altra persona che non ha questa malattia. Un “Sei dimagrita così tanto che sei diventata brutta” può rappresentare un rinforzo positivo per chi ha l’anoressia, oppure “Ma sta benissimo così, non hai mica bisogno di dimagrire!” può spingere la persona con bulimia a compensare di più per tentare di perdere ancora più peso. Inoltre, cosa più importante: il focus di un disturbo alimentare NON è la fisicità. Se fate commenti sul fisico darete l’idea di essere persone superficiali che non capiscono la vera natura della malattia e che sono concentrate solo sull’esteriorità, per cui chi ha un DCA a maggior ragione cercherà di stare male “fuori”, nel tentativo di farvi capire che in realtà sta male “dentro”.
- Non girate la testa dall’altra parte. Non date niente per scontato. Non fate finta di non sapere che vostra figlia/sorella/amica ha un DCA, se questo è palese. Perché un DCA, in alcuni casi, può essere una richiesta d’aiuto non verbale, per cui se fate finta di niente la persona si “impegnerà” ancora di più a sembrare malata. Non abbiate paura di affrontare il problema: anche perché girandovi dall’altra parte state solo procrastinando, un DCA prima o poi emerge comunque, per cui è meglio affrontarlo subito per limitare i danni. E, soprattutto, non cadete nell’errore di voltare la testa dall’altra parte quando il percorso di ricovero è già avviato e la persona ha recuperato peso, non fate l’errore di considerare “guarita” una persona che ha avuto problemi di anoressia solo perché magari è tornata normopeso. Il peso non ha diretta correlazione con la salute mentale. E l’anoressia è una malattia mentale: se la mentalità resta quella della patologia, si può essere malate di anoressia anche se si è nel normopeso più tranquillo del mondo.
- Chiedete quotidianamente “Ehi, come stai oggi?”. Non pretendete una risposta od una risposta sincera, naturalmente. Però così dimostrate che siete aperti all’ascolto, e che ci siete qualora la persona malata volesse parlarvi. E che ci siete sempre, non solo oggi perché la persona è sottopeso, e quando ritorna normopeso arrivederci e grazie.
- Niente sensi di colpa. Non sono utili a voi, e men che meno a chi ha un DCA. Questo non significa che non possiate essere dispiaciuti, ovviamente, ma scivolare nella spirale dei sensi di colpa è solo deleterio. Il passato non si può cambiare né cancellare: perciò, anziché perdere tempo prezioso a rimuginarci sopra, utilizzatelo per valutare cosa potete fare da ora in poi per dare una mano alla persona che ha un DCA.
- Niente pressing psicologico sui risultati attesi. Sulla base di quella che è stata la mia esperienza, mi sono accorta che, ogni volta che facevo un ricovero, o andavo da una dietista, o iniziavo una nuova psicoterapia, gravavano su di me enormi aspettative: l’anoressia veniva considerata alla stregua di una malattia fisica, quindi c’era l’aspettativa che, una volta tornata a casa dopo quei 3 mesi di ricovero, o una volta fatte TOT sedute di psicoterapia, in me ci fosse un cambiamento sostanziale. Non è così. Un ricovero, una psicoterapia, una riabilitazione nutrizionale sono solo tentativi. Possono andar bene come fallire. E anche se vanno bene, possono volerci anni per muovere un piccolo passo in avanti. Quindi, non fate troppa pressione psicologica e non cercate il “tutto e subito” nel voler vedere dei risultati in termini di miglioramento. Anzi, più una persona si sente pressata in tale direzione, più sale l’ansia e quindi più è difficile andare effettivamente in quella direzione. Un percorso di ricovero richiede i suoi tempi, e sono tempi ben lunghi: siatene consapevoli e rilassatevi.
- Accettate i vostri limiti. Il vostro supporto può essere davvero importantissimo per chi sta combattendo contro un DCA. Ma dare supporto è tutto ciò che potete fare. Non avete la capacità di guarire nessuno, semplicemente perché questo nessuno può umanamente farlo. Non potete essere voi a cambiare quello che passa per la testa di una persona che ha un DCA. Non siete in grado di salvare nessuno. Potete sostenere, questo è tanto. E se lo fate con tutti i crismi, allora questo è tutto.
- Prendetevi cura di voi stessi. Stare accanto ad una persona che ha un DCA è faticoso sotto ogni punto di vista, fisicamente e psicologicamente. Perciò, non annullatevi né ammalatevi a vostra volta per stare vicino a chi ha un DCA: sia perché così non potreste essere più di alcun supporto, sia perché niente è più importante di voi stessi. Se ci rimanete troppo sotto avrete un completo burnout: e questo non sarà di alcuna utilità né per voi, né per vostra figlia/sorella/amica. Prendetevi perciò i tempi necessari per avere cura di voi stessi: solo così potrete continuare ad essere di supporto per gli altri.
(Ragazze, se avete qualche altro consiglio da aggiungere a quanto ho scritto, siete vivamente pregate di lasciarlo nei commenti!... Più suggerimenti per familiari/amici ci sono, più questo post può essere utile!...)
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sabato 7 febbraio 2009
Le tre "H"
Il problema: Come rapportarsi con persone che parlano costantemente di cibo/peso/dieta/forme corporee, considerando che questi anche per noi rappresentano dei grossi problemi.
Questo può suscitare:
- Ansia
- Tristezza
- Spirito di emulazione
- Richiamo ai disturbi alimentari
- Rabbia
- Senso di ricaduta
- Impotenza
- Dolore
- Panico
- Etc…
- Tutte le cose sopraelencate
Tanto più che, molto spesso, la persona in questione è una persona a cui tenete ma che non sa del vostro disturbo alimentare, del quale non volete comunque parlare. E allora può diventare veramente complesso relazionarsi a questa persona.
Possibile soluzione: Personalmente, tendo a suggerire la strategia delle 3 “H”.
Le 3 “H”:
- Humor
- Honesty
- Heart to heart
Adesso vi spiego.
Supponiamo che la persona in questione vi dica: “Oddio, non ci posso credere, ho preso 3 chili!”.
Voi potreste ridere e ribattere: “Oh, bè, probabilmente hai solo bisogno di un gabinetto!”, e risollevare la situazione con un po’ di humor, dopodiché dire alla persona di stare tranquilla perché non è decisamente niente d’irreparabile, in maniera tale da non metterla di cattivo umore ma, contemporaneamente, di non mettervici voi.
Oppure, supponiamo che la persona in questione vi dica: “Accidenti, quanto sono grassa!”.
Voi potreste rispondere dicendole: “Ma figurati! Sei meravigliosa per quello che sei. Ed è questa la ragione per cui ti voglio bene”. Questa è honesty, onestà. E le persone talvolta temono la sincerità perché li mette a fronte di cose che non vogliono veramente sentire perché gli fanno paura, specie se sono belle, perché temono di poterle perdere. E poi, e qui parlo anche per esperienza personale, le persone che si fanno problemi col loro peso, molto spesso non sono affatto abituate a sentirsi dire cose del genere in piena serietà e sincerità. Ma se avete a cuore quella persona, dovete combattere i suoi pensieri negativi con qualcosa di REALE.
Un altro esempio. Supponiamo che la persona in questione vi dica: “Ho bisogno di fare una dieta drastica!!”.
La vostra risposta potrebbe essere: “No, non ne hai bisogno. Una dieta non ti farà sentire meglio, se non ti piaci. Perché il dimagrimento non è la risposta ai problemi. È solo un altro problema”. Nient’altro che pura honesty. La gente non è abituata a sentirsi sbattere in faccia con tanta onestà la realtà da qualcun altro. Ma talvolta è la cosa migliore da fare. Talvolta la persona con cui state parlando – anche se lo negherebbe – ha bisogno di sentirsi dire una cosa del genere. Un commento di questo tipo può portare la conversazione in un’altra direzione – in una buona direzione, in una giusta direzione, in una direzione utile.
E, per quanto riguarda l’ultima H.
Supponiamo che la persona in questione vi dica: “Sto provando a dimagrire. Oggi ho mangiato solo un’insalata, una mela, ed ho bevuto un lattina di Coca Cola light…” continuando poi a fornirvi un dettagliato resoconto delle sue abitudini alimentari dell’ultimo periodo. Dato che la cosa finisce per diventare inevitabilmente ansiogena, fatevi un favore parlandole heart to heart, cuore a cuore, e dicendole: “Non voglio dire che quello di cui mi stai parlando non sia importante, e ti sto ascoltando. E non voglio che tu pensi che io sia una persona con cui non si può parlare liberamente. Ma in questo momento per me è particolarmente difficile parlare di cibo, peso e diete. Ciò non significa che non voglio starti a sentire e che tu non sei importante per me, ma semplicemente che io ho un problema al riguardo sul quale devo ancora lavorare. Spero tu possa capirmi”.
Dicendo questo, non vi state giustificando. State dicendo la verità. Vi state preoccupando innanzitutto per voi stesse, ed è giusto che lo facciate. Ciò non significa che non siete delle buone amiche.
Certo, il mio è solo un esempio, poi potrete essere più o meno aperte a seconda della persona con cui state parlando e del rapporto che vi lega a lei. È chiaro che parlarne sarà più facile se la persona è al corrente del vostro disturbo alimentare, ma anche se non lo fosse, ci sono milioni di modi per comunicare in maniera più o meno soft quello che ho scritto qui sopra. E se poi la persona in questione dovesse iniziare a farvi domande alle quali non vi sentite di rispondere, basta che le diciate semplicemente: “Spero che non la consideri un’offesa o un segni di sfiducia, ma non me la sento di parlarne adesso. Però, se ce la farò, spero di poterne parlare con te in futuro”.
Tutte queste cose, lo so, sono difficili, ma quando le avrete fatte vedrete che vi sentirete meglio… e molto più equipaggiate di fronte a situazioni potenzialmente destabilizzanti.
Dopotutto, nella peggiore delle ipotesi, usare le 3 H è comunque meglio che rimanere in silenzio e con un falso sorriso incollato in faccia ad ascoltare cose che vi fanno stare male e vi spingono ad adottare di nuovo comportamenti disfunzionali… non è vero?!
Resterete sorprese di quanto la vostra voce, le vostre parole, possano fare una differenza. Resterete sorprese anche di quanto sia facile dire le cose una volta iniziato a farlo. Queste discussioni su peso/corpo/forme corporee/diete, capitano molto più spesso di quanto si desidererebbe, perciò sapere come destreggiarcisi è inevitabilmente un must.
Per stare meglio.
Tutte.
Questo può suscitare:
- Ansia
- Tristezza
- Spirito di emulazione
- Richiamo ai disturbi alimentari
- Rabbia
- Senso di ricaduta
- Impotenza
- Dolore
- Panico
- Etc…
- Tutte le cose sopraelencate
Tanto più che, molto spesso, la persona in questione è una persona a cui tenete ma che non sa del vostro disturbo alimentare, del quale non volete comunque parlare. E allora può diventare veramente complesso relazionarsi a questa persona.
Possibile soluzione: Personalmente, tendo a suggerire la strategia delle 3 “H”.
Le 3 “H”:
- Humor
- Honesty
- Heart to heart
Adesso vi spiego.
Supponiamo che la persona in questione vi dica: “Oddio, non ci posso credere, ho preso 3 chili!”.
Voi potreste ridere e ribattere: “Oh, bè, probabilmente hai solo bisogno di un gabinetto!”, e risollevare la situazione con un po’ di humor, dopodiché dire alla persona di stare tranquilla perché non è decisamente niente d’irreparabile, in maniera tale da non metterla di cattivo umore ma, contemporaneamente, di non mettervici voi.
Oppure, supponiamo che la persona in questione vi dica: “Accidenti, quanto sono grassa!”.
Voi potreste rispondere dicendole: “Ma figurati! Sei meravigliosa per quello che sei. Ed è questa la ragione per cui ti voglio bene”. Questa è honesty, onestà. E le persone talvolta temono la sincerità perché li mette a fronte di cose che non vogliono veramente sentire perché gli fanno paura, specie se sono belle, perché temono di poterle perdere. E poi, e qui parlo anche per esperienza personale, le persone che si fanno problemi col loro peso, molto spesso non sono affatto abituate a sentirsi dire cose del genere in piena serietà e sincerità. Ma se avete a cuore quella persona, dovete combattere i suoi pensieri negativi con qualcosa di REALE.
Un altro esempio. Supponiamo che la persona in questione vi dica: “Ho bisogno di fare una dieta drastica!!”.
La vostra risposta potrebbe essere: “No, non ne hai bisogno. Una dieta non ti farà sentire meglio, se non ti piaci. Perché il dimagrimento non è la risposta ai problemi. È solo un altro problema”. Nient’altro che pura honesty. La gente non è abituata a sentirsi sbattere in faccia con tanta onestà la realtà da qualcun altro. Ma talvolta è la cosa migliore da fare. Talvolta la persona con cui state parlando – anche se lo negherebbe – ha bisogno di sentirsi dire una cosa del genere. Un commento di questo tipo può portare la conversazione in un’altra direzione – in una buona direzione, in una giusta direzione, in una direzione utile.
E, per quanto riguarda l’ultima H.
Supponiamo che la persona in questione vi dica: “Sto provando a dimagrire. Oggi ho mangiato solo un’insalata, una mela, ed ho bevuto un lattina di Coca Cola light…” continuando poi a fornirvi un dettagliato resoconto delle sue abitudini alimentari dell’ultimo periodo. Dato che la cosa finisce per diventare inevitabilmente ansiogena, fatevi un favore parlandole heart to heart, cuore a cuore, e dicendole: “Non voglio dire che quello di cui mi stai parlando non sia importante, e ti sto ascoltando. E non voglio che tu pensi che io sia una persona con cui non si può parlare liberamente. Ma in questo momento per me è particolarmente difficile parlare di cibo, peso e diete. Ciò non significa che non voglio starti a sentire e che tu non sei importante per me, ma semplicemente che io ho un problema al riguardo sul quale devo ancora lavorare. Spero tu possa capirmi”.
Dicendo questo, non vi state giustificando. State dicendo la verità. Vi state preoccupando innanzitutto per voi stesse, ed è giusto che lo facciate. Ciò non significa che non siete delle buone amiche.
Certo, il mio è solo un esempio, poi potrete essere più o meno aperte a seconda della persona con cui state parlando e del rapporto che vi lega a lei. È chiaro che parlarne sarà più facile se la persona è al corrente del vostro disturbo alimentare, ma anche se non lo fosse, ci sono milioni di modi per comunicare in maniera più o meno soft quello che ho scritto qui sopra. E se poi la persona in questione dovesse iniziare a farvi domande alle quali non vi sentite di rispondere, basta che le diciate semplicemente: “Spero che non la consideri un’offesa o un segni di sfiducia, ma non me la sento di parlarne adesso. Però, se ce la farò, spero di poterne parlare con te in futuro”.
Tutte queste cose, lo so, sono difficili, ma quando le avrete fatte vedrete che vi sentirete meglio… e molto più equipaggiate di fronte a situazioni potenzialmente destabilizzanti.
Dopotutto, nella peggiore delle ipotesi, usare le 3 H è comunque meglio che rimanere in silenzio e con un falso sorriso incollato in faccia ad ascoltare cose che vi fanno stare male e vi spingono ad adottare di nuovo comportamenti disfunzionali… non è vero?!
Resterete sorprese di quanto la vostra voce, le vostre parole, possano fare una differenza. Resterete sorprese anche di quanto sia facile dire le cose una volta iniziato a farlo. Queste discussioni su peso/corpo/forme corporee/diete, capitano molto più spesso di quanto si desidererebbe, perciò sapere come destreggiarcisi è inevitabilmente un must.
Per stare meglio.
Tutte.
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giovedì 18 dicembre 2008
Arrivano le vacanze
A tutte:
Le cosiddette “vacanze di Natale” possono essere un periodo molto difficile. Un periodo fin troppo pieno di famiglia, cibo, comportamenti che finiscono per esasperarsi. Se scrivo queste parole, è semplicemente perché voglio dirvi che vi capisco e che vi sono vicina. Le vacanze di Natale possono essere estremamente ansiogene e possono farvi svegliare con un nodo in gola ogni mattina. Ma sapete una cosa?
Non è giusto. Le vacanze di Natale non sono state inventate per stare male. Sono state inventate per rilassarsi, per prendersi un po’ di tempo per pensare a noi stesse, per divertirsi… non per sperare che finiscano il più in fretta possibile. Perciò, cosa fare per non affrontare queste vacanze con l’inevitabile magone e per provare a trovarne gli aspetti migliori?
Fondamentalmente, dovreste cercare di darvi un bello scrollone e tentare di pensare positivo nonostante tutta la negatività che vi pesa dentro e di cui vi sentite impregnate. Dovreste cercare di pensare a stare bene voi stesse, e non a quello che gli altri vorrebbero voi faceste o come vorrebbero vi comportaste. So che è estremamente difficile, perché molto spesso questi “altri” sono genitori, parenti, amici, persone che contano molto per voi e che fareste di tutto per appagare… ma dalle quali vi sentite anche manipolate e sommerse. Bè, provare questi sentimenti va benissimo, è assolutamente naturale. Tutti i sentimenti lo sono – dato che si tratta di ciò che voi provate e che sorge spontaneamente. Però dovreste cercare di fare quello che è meglio per voi stesse, anche se ciò talvolta significa andare contro le aspettative altrui… e cercare di sopportare l’ansia che ne consegue, nella consapevolezza che voi meritate a pieno quello che tentate di ottenere per voi stesse.
So che può sembrare strano che io vi dica di pensare a voi stesse durante le vacanze di Natale, periodo in cui, tradizionalmente, viene sempre detto di pensare agli altri, ai bisognosi, ai meno fortunati… Ma solo se prima pensate a voi stesse ed avete cura di voi, e vi sentite in pace con voi stesse, potrete volgere lo sguardo verso l’esterno ed occuparvi degli altri. Un po’ come quando si dice che per piacere bisogna prima piacersi. Dovete cominciare con voi stesse per potervi aprire agli altri. Sembra facile e difficile allo stesso tempo, vero?!
Perciò cercate di stare tranquille, di focalizzarvi su ciò che desiderate per voi stesse, senza stare ad ascoltare i commenti degli altri. Qualche anno fa, chiunque facesse anche un piccolo e marginale commento su me e il cibo, mi rovinava completamente la giornata perché non riuscivo a smettere di pensarci e mi ci facevo sopra i peggiori film, arrivando così a caricare quelle parole di significati che molto probabilmente i miei interlocutori non avevano mai avuto neanche la minima idea di dargli. Quel che voglio dire, semplicemente, è che durante le feste, stando riuniti al tavolo con i parenti, può capitare che qualcuno faccia qualche commento su di voi e sul cibo: bene, non lasciate che ciò vi condizioni. Pensate a quello che è veramente importante per voi, che sapete cosa state facendo anche se gli altri possono non capirlo, e lasciate così che le parole altrui vi scorrano addosso.
Al solito, più facile a dirsi che a farsi. Ma tutto quello che dovete fare è tentare. Solo tentare. Quando vi succede qualcosa d’irritante, quando vedete o sentite qualcosa che vi fa tribolare, che vi fa venir voglia di restringere o di abbuffarvi, o di fare ogni qualsiasi altra cosa auto-distruttiva, ogni qualsiasi altro comportamento che vi ritrascina nel gorgo dei disturbi alimentari, NON CEDETE. Non lasciate che questi impulsi sopprimano la parte migliore di voi. Non cedete alla rabbia, alla tristezza, al dolore, alla frustrazione, all’ansia. Al contrario, usate tutte le emozioni che state provando, e trasducetele in determinazione per darvi la forza di continuare a comportarvi nel miglior modo possibile. Fate quello che è meglio per voi in senso oggettivo. Concedetevelo. Non pensate a quello che gli altri dicono o a come vi guardano. Pensate a voi stesse. Non pensate al cibo e a quanto dovreste/non dovreste mangiarne. Non fatevi fregare da quei pensieri ossessivi che finiscono per sembrare naturali, tanto spesso rimbalzano in testa. Pensate alla bambina che c’è in voi. E datele quello che desidera. Vi è permesso di essere indulgenti con voi stesse. Vi è permesso di cercare di sentirvi bene. Vi è permesso di essere felici. E non succede niente, sapete?!
Davvero.
Scrivetevi una lettera. Una lettera breve, una lettera lunga, anche solo una frase, poche parole, ciò che volete. Ma scrivetevi qualcosa di positivo, che vi rammenti che voi siete più forti di tutte le avversità che state attraversando e che perciò potete superarle. Magari potete anche scrivere semplicemente: “Puoi farcela! Sei molto più forte di quel che credi!”. Qualsiasi cosa, ma scrivetevela. Scrivetela unicamente per voi stesse. Scrivetela su un pezzo di carta e poi infilatelo nella tasca dei vostri jeans, o della vostra tuta, o nel vostro borsello, o in qualsiasi posto possiate averlo sempre con voi. E quando sentite che le cose vanno particolarmente male, quando sentite che proprio non ce la fate più, tiratelo fuori e leggetelo. Rassicuratevi. Non cedete. Non lasciatevi influenzare da tutto quello che anoressia e bulimia mettono in testa. Dopo vi ringrazierete. Magari il giorno dopo. Magari il mese dopo. O magari anni dopo. Ma vi ringrazierete.
Volete davvero che le vostre vacanze di natale siano un inferno? Uno stress continuo? Giorni pieni di rabbia, panico, nervosismo, ossessioni, angoscia, ansia, tristezza? Ma certo che non lo volete. E non lo meritate. Anzi, voi meritate tutte le cose più belle che le vacanze possono portare. Lo so che non si possono cancellare tutti i sentimenti negativi, le ossessioni ed i comportamenti sbagliati nel tempo di una vacanza di Natale. Ma potete iniziare a farlo.
Cominciate adesso. Iniziate con queste vacanze.
Faccio un enorme in bocca al lupo a tutte… Voi potete farcela tranquillamente, sapete?!
Le cosiddette “vacanze di Natale” possono essere un periodo molto difficile. Un periodo fin troppo pieno di famiglia, cibo, comportamenti che finiscono per esasperarsi. Se scrivo queste parole, è semplicemente perché voglio dirvi che vi capisco e che vi sono vicina. Le vacanze di Natale possono essere estremamente ansiogene e possono farvi svegliare con un nodo in gola ogni mattina. Ma sapete una cosa?
Non è giusto. Le vacanze di Natale non sono state inventate per stare male. Sono state inventate per rilassarsi, per prendersi un po’ di tempo per pensare a noi stesse, per divertirsi… non per sperare che finiscano il più in fretta possibile. Perciò, cosa fare per non affrontare queste vacanze con l’inevitabile magone e per provare a trovarne gli aspetti migliori?
Fondamentalmente, dovreste cercare di darvi un bello scrollone e tentare di pensare positivo nonostante tutta la negatività che vi pesa dentro e di cui vi sentite impregnate. Dovreste cercare di pensare a stare bene voi stesse, e non a quello che gli altri vorrebbero voi faceste o come vorrebbero vi comportaste. So che è estremamente difficile, perché molto spesso questi “altri” sono genitori, parenti, amici, persone che contano molto per voi e che fareste di tutto per appagare… ma dalle quali vi sentite anche manipolate e sommerse. Bè, provare questi sentimenti va benissimo, è assolutamente naturale. Tutti i sentimenti lo sono – dato che si tratta di ciò che voi provate e che sorge spontaneamente. Però dovreste cercare di fare quello che è meglio per voi stesse, anche se ciò talvolta significa andare contro le aspettative altrui… e cercare di sopportare l’ansia che ne consegue, nella consapevolezza che voi meritate a pieno quello che tentate di ottenere per voi stesse.
So che può sembrare strano che io vi dica di pensare a voi stesse durante le vacanze di Natale, periodo in cui, tradizionalmente, viene sempre detto di pensare agli altri, ai bisognosi, ai meno fortunati… Ma solo se prima pensate a voi stesse ed avete cura di voi, e vi sentite in pace con voi stesse, potrete volgere lo sguardo verso l’esterno ed occuparvi degli altri. Un po’ come quando si dice che per piacere bisogna prima piacersi. Dovete cominciare con voi stesse per potervi aprire agli altri. Sembra facile e difficile allo stesso tempo, vero?!
Perciò cercate di stare tranquille, di focalizzarvi su ciò che desiderate per voi stesse, senza stare ad ascoltare i commenti degli altri. Qualche anno fa, chiunque facesse anche un piccolo e marginale commento su me e il cibo, mi rovinava completamente la giornata perché non riuscivo a smettere di pensarci e mi ci facevo sopra i peggiori film, arrivando così a caricare quelle parole di significati che molto probabilmente i miei interlocutori non avevano mai avuto neanche la minima idea di dargli. Quel che voglio dire, semplicemente, è che durante le feste, stando riuniti al tavolo con i parenti, può capitare che qualcuno faccia qualche commento su di voi e sul cibo: bene, non lasciate che ciò vi condizioni. Pensate a quello che è veramente importante per voi, che sapete cosa state facendo anche se gli altri possono non capirlo, e lasciate così che le parole altrui vi scorrano addosso.
Al solito, più facile a dirsi che a farsi. Ma tutto quello che dovete fare è tentare. Solo tentare. Quando vi succede qualcosa d’irritante, quando vedete o sentite qualcosa che vi fa tribolare, che vi fa venir voglia di restringere o di abbuffarvi, o di fare ogni qualsiasi altra cosa auto-distruttiva, ogni qualsiasi altro comportamento che vi ritrascina nel gorgo dei disturbi alimentari, NON CEDETE. Non lasciate che questi impulsi sopprimano la parte migliore di voi. Non cedete alla rabbia, alla tristezza, al dolore, alla frustrazione, all’ansia. Al contrario, usate tutte le emozioni che state provando, e trasducetele in determinazione per darvi la forza di continuare a comportarvi nel miglior modo possibile. Fate quello che è meglio per voi in senso oggettivo. Concedetevelo. Non pensate a quello che gli altri dicono o a come vi guardano. Pensate a voi stesse. Non pensate al cibo e a quanto dovreste/non dovreste mangiarne. Non fatevi fregare da quei pensieri ossessivi che finiscono per sembrare naturali, tanto spesso rimbalzano in testa. Pensate alla bambina che c’è in voi. E datele quello che desidera. Vi è permesso di essere indulgenti con voi stesse. Vi è permesso di cercare di sentirvi bene. Vi è permesso di essere felici. E non succede niente, sapete?!
Davvero.
Scrivetevi una lettera. Una lettera breve, una lettera lunga, anche solo una frase, poche parole, ciò che volete. Ma scrivetevi qualcosa di positivo, che vi rammenti che voi siete più forti di tutte le avversità che state attraversando e che perciò potete superarle. Magari potete anche scrivere semplicemente: “Puoi farcela! Sei molto più forte di quel che credi!”. Qualsiasi cosa, ma scrivetevela. Scrivetela unicamente per voi stesse. Scrivetela su un pezzo di carta e poi infilatelo nella tasca dei vostri jeans, o della vostra tuta, o nel vostro borsello, o in qualsiasi posto possiate averlo sempre con voi. E quando sentite che le cose vanno particolarmente male, quando sentite che proprio non ce la fate più, tiratelo fuori e leggetelo. Rassicuratevi. Non cedete. Non lasciatevi influenzare da tutto quello che anoressia e bulimia mettono in testa. Dopo vi ringrazierete. Magari il giorno dopo. Magari il mese dopo. O magari anni dopo. Ma vi ringrazierete.
Volete davvero che le vostre vacanze di natale siano un inferno? Uno stress continuo? Giorni pieni di rabbia, panico, nervosismo, ossessioni, angoscia, ansia, tristezza? Ma certo che non lo volete. E non lo meritate. Anzi, voi meritate tutte le cose più belle che le vacanze possono portare. Lo so che non si possono cancellare tutti i sentimenti negativi, le ossessioni ed i comportamenti sbagliati nel tempo di una vacanza di Natale. Ma potete iniziare a farlo.
Cominciate adesso. Iniziate con queste vacanze.
Faccio un enorme in bocca al lupo a tutte… Voi potete farcela tranquillamente, sapete?!
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