Come gli alchimisti trasformavano il ferro in oro… voi potete trasformare l’oscurità in luce. Siete tutte benvenute.
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venerdì 25 aprile 2014

Come poter dare una mano a chi ha un DCA

Come avrete già intuito dal titolo, il post di oggi è in effetti dedicato più che altro a genitori/fratelli/sorelle/parenti/amici/etc… che hanno quotidianamente a che fare con una persona affetta da anoressia/bulimia.

Vorrei dunque proporvi alcuni semplici consigli che potrebbero servirvi se dovete relazionarvi ad una ragazza che ha un DCA ma, premessa: mettetevi il cuore in pace, perché non ci sono bacchette magiche. I miei consigli sono tesi semplicemente a darvi qualche suggerimento, ma non sono certo risolutivi… magari potessero esserlo! Quello che state per leggere potrà al più servirvi per smussare alcuni angoli, per migliorare un po’ il vostro rapporto con la persona che ha un DCA e con cui vi relazionate, ma non sono la chiave di volta per i rapporti splendidi e men che meno hanno valenza assoluta ed universale.

Io parto dal presupposto che, per chi non ha mai vissuto un DCA, sia veramente difficile interagire con una figlia/sorella/amica che è affetta da questa malattia. Pur partendo sempre armati delle migliori intenzioni, spesso e volentieri si finiscono per fare autentici disastri, e per peggiorare ulteriormente il rapporto. Non per cattiveria, ci mancherebbe, ma proprio perché io penso che la maggior parte della gente davvero non sappia come interagire con chi ha un DCA. Errori relazionali credo possano essere frustranti per ambo le parti: per chi ha un DCA, perché si sente incompresa in toto e magari anche ferita, e per familiari/amici di chi ha un DCA, che si sentono impotenti di fronte alla malattia e non sanno come poter essere d’aiuto.

Certo, è verissimo che siamo solo noi a poter aiutare noi stesse, e dunque siamo solo noi a poter decidere cosa fare della nostra vita, e se e come combattere il DCA: nessuno può salvare chi non vuol essere salvato. Però è altrettanto vero che, nel momento in cui una persona inizia a precorrere la strada del ricovero, l’avere accanto persone supportive che non parlano e non si comportano a sproposito, può essere significativamente d’aiuto.

Perciò, cari genitori/fratelli/sorelle/parenti/amici/etc… di chi ha un DCA, eccovi qualche suggerimento in merito a come, secondo me, potreste essere d’aiuto a vostra figlia/sorella/amica.

- Informatevi in maniera adeguata. La stragrande maggioranza delle informazioni che si trovano sulle riviste/in TV/su Internet a proposito dei DCA, vengono fornite da persone che non hanno mai avuto un DCA in vita loro. Bene, sfido chiunque non abbia mai avuto una certa malattia ad essere in grado di parlarne con cognizione di causa. Ergo, non fatevi abbindolare dai millemila luoghi comuni assolutamente falsi sull’anoressia/bulimia che potete trovare chissà dove su Internet, e che vengono scritti da cani e porci. Per sapere cosa significa davvero avere un DCA, cercate testimonianze dirette. Chiedete a chi c’è passato in prima persona. Risalite alla fonte autentica. Solo così potrete avere un’informazione corretta e veritiera su cosa significa vivere con un DCA, su cosa si pensa, su cosa si prova, ed eviterete di affidarvi a cliché che non hanno niente di vero ma che, se ci credete e li applicate, sono vere e proprie pugnalate alla schiena di chi ha un DCA.

- Ascoltate ciò che vi viene detto. Per una persona che ha un DCA è molto difficile parlare della sua malattia. Ma se prende l’iniziativa, e vuole condividere con voi qualcosa della sua anoressia/bulima/binge, prendetevi tutto il tempo necessario per ascoltare. Sottolineo: ASCOLTARE. 99 volte su 100, se una persona che ha un DCA vi parla della sua malattia, non lo fa perché si aspetta che voi tiriate fuori la pillola magica che la farà guarire seduta stante. Non lo fa perché si aspetta da voi mirabolanti soluzioni. Lo fa semplicemente perché ha bisogno di sfogarsi a fronte di un qualcosa che la fa stare male. Non siate critici, non giudicate, non commentate: semplicemente, ascoltate. Ascoltate con attenzione. Non abbiate la presunzione di credere di essere in grado di capire che cosa l’altra persona sta provando ed attraversando. E non date per scontato che ciò che la persona dice sia frutto della malattia: il fatto che si ABBIA una malattia, non significa affatto che si E’ quella malattia.

- Chiedete come poter essere d’aiuto. Ogni persona è una storia a sé, e dunque ogni persona con un DCA può avere necessità e bisogni diversi rispetto alle altre. L’unico modo per sapere in che modo potete essere d’aiuto a vostra figlia/sorella/amica è semplicemente chiederglielo. Così le darete un doppio messaggio: innanzitutto, che voi ci siete, e che dunque se ha bisogno può contare su di voi; in secondo luogo che non volete decidere al suo posto, ma che siete pronti ad ascoltare le sue richieste e ad agire di conseguenza.

- Tenete d’occhio i sintomi. Anche durante il migliore dei percorsi di ricovero possono realizzarsi delle ricadute. Spesso sono scienti, ma quando la persona è ancora molto dentro la malattia perché magari ha iniziato da poco il suo percorso di ricovero, oppure perché sta attraversando una situazione di vita particolarmente stressante, può accadere che la strategia di coping rappresentata dal DCA venga ri-messa in atto di default, senza una precisa intenzionalità. Pertanto, se notate un peggioramento psicofisico di vostra figlia/sorella/amica, fateglielo (con tatto!!) notare subito: può servire per riprendere le redini della situazione, poiché prima si interviene, prima si arresta la ricaduta, più facile sarà rimettersi in piedi.

- Consigliate ma non obbligate (eccetto casi estremi). Un DCA non guarisce da sé. Perché nessuna persona con un DCA è in grado di opporsi in toto ad una malattia che scaturisce dalla propria mente. Quindi, suggerite alternative di psicoterapia e riabilitazione nutrizionale, ma non siate pressanti né coercitivi: come si dice dalle mie parti “per forza non si fa neanche l’aceto”. Non credo che le prese di posizione (esempio: il ricovero coatto) possano essere producenti, perché se una persona non è pronta a lavorare su se stessa, sarà tempo perso. Però, certo, non datevi per vinti: continuate a suggerire alternative di terapia, perché arriva il momento in cui la persona è meno schiava del DCA e più recettiva, e che quindi può iniziare ad accettare l’aiuto che gli state proponendo.
(Questo ovviamente non vale per i casi estremi: è ovvio che se vostra figlia/sorella/amica è in un sottopeso estremo che la mette in pericolo di vita, allora è del tutto opportuno e lecito portarla in ospedale anche contro la sua volontà. Questo non risolverà in alcun modo il DCA – per quello ci vorrà un opportuno percorso – ma almeno nell’immediato le salverà la vita.)

- Niente forzature alimentari su iniziativa personale. Non avete le competenze professionali per stabilire quanto e cosa è giusto che vostra figlia/sorella/amica mangi. Tanto più che, se focalizzate l’attenzione sull’alimentazione, a maggior ragione il cibo diverrà territorio di scontro per tutto quello che non va nei vostri rapporti. Non servono a niente domande, commenti, incitamenti, ricatti, minacce a mangiare: se questo potesse servire a qualcosa, i DCA non sarebbero malattie. Anzi, spesso cose di questo genere sortiscono proprio l’effetto contrario di quello sperato. Una persona che ha un DCA non è stupida, lo sa da sola che non mangia in maniera appropriata, solo che lo fa perché ha una malattia: anziché perdere tempo in costrizioni inutili e controproducenti, consigliate piuttosto un consulto da una dietista.

- Siate espliciti per quanto riguarda l’alimentazione. Se vostra figlia/sorella/amica è seguita da una dietista e mangia secondo un “equilibrio alimentare” prescritto, aiutatela a seguirlo. Siate ligi nella preparazione degli alimenti e nelle quantità, non aggiungete niente anche se siete preoccupati per il sottopeso e vorreste vedere progressi fisici tangibili più rapidamente, non stimolatela a mangiare qualcosa di più o di diverso. Già che all’inizio è difficile seguire l’ “equilibrio alimentare”, non aggiungete stress a stress. Vostra figlia/sorella/amica è seguita da una dietista: quello che mangia è corretto perché previsto da una specialista. Non abbiate fretta e lasciate che il tempo faccia il suo corso.

- Evitate i commenti. I commenti sull’aspetto fisico o sul comportamento nei confronti del cibo per chi ha un DCA non hanno la stessa valenza che possono avere per una qualsiasi altra persona che non ha questa malattia. Un “Sei dimagrita così tanto che sei diventata brutta” può rappresentare un rinforzo positivo per chi ha l’anoressia, oppure “Ma sta benissimo così, non hai mica bisogno di dimagrire!” può spingere la persona con bulimia a compensare di più per tentare di perdere ancora più peso. Inoltre, cosa più importante: il focus di un disturbo alimentare NON è la fisicità. Se fate commenti sul fisico darete l’idea di essere persone superficiali che non capiscono la vera natura della malattia e che sono concentrate solo sull’esteriorità, per cui chi ha un DCA a maggior ragione cercherà di stare male “fuori”, nel tentativo di farvi capire che in realtà sta male “dentro”.

- Non girate la testa dall’altra parte. Non date niente per scontato. Non fate finta di non sapere che vostra figlia/sorella/amica ha un DCA, se questo è palese. Perché un DCA, in alcuni casi, può essere una richiesta d’aiuto non verbale, per cui se fate finta di niente la persona si “impegnerà” ancora di più a sembrare malata. Non abbiate paura di affrontare il problema: anche perché girandovi dall’altra parte state solo procrastinando, un DCA prima o poi emerge comunque, per cui è meglio affrontarlo subito per limitare i danni. E, soprattutto, non cadete nell’errore di voltare la testa dall’altra parte quando il percorso di ricovero è già avviato e la persona ha recuperato peso, non fate l’errore di considerare “guarita” una persona che ha avuto problemi di anoressia solo perché magari è tornata normopeso. Il peso non ha diretta correlazione con la salute mentale. E l’anoressia è una malattia mentale: se la mentalità resta quella della patologia, si può essere malate di anoressia anche se si è nel normopeso più tranquillo del mondo.

- Chiedete quotidianamente “Ehi, come stai oggi?”. Non pretendete una risposta od una risposta sincera, naturalmente. Però così dimostrate che siete aperti all’ascolto, e che ci siete qualora la persona malata volesse parlarvi. E che ci siete sempre, non solo oggi perché la persona è sottopeso, e quando ritorna normopeso arrivederci e grazie.

- Niente sensi di colpa. Non sono utili a voi, e men che meno a chi ha un DCA. Questo non significa che non possiate essere dispiaciuti, ovviamente, ma scivolare nella spirale dei sensi di colpa è solo deleterio. Il passato non si può cambiare né cancellare: perciò, anziché perdere tempo prezioso a rimuginarci sopra, utilizzatelo per valutare cosa potete fare da ora in poi per dare una mano alla persona che ha un DCA.

- Niente pressing psicologico sui risultati attesi. Sulla base di quella che è stata la mia esperienza, mi sono accorta che, ogni volta che facevo un ricovero, o andavo da una dietista, o iniziavo una nuova psicoterapia, gravavano su di me enormi aspettative: l’anoressia veniva considerata alla stregua di una malattia fisica, quindi c’era l’aspettativa che, una volta tornata a casa dopo quei 3 mesi di ricovero, o una volta fatte TOT sedute di psicoterapia, in me ci fosse un cambiamento sostanziale. Non è così. Un ricovero, una psicoterapia, una riabilitazione nutrizionale sono solo tentativi. Possono andar bene come fallire. E anche se vanno bene, possono volerci anni per muovere un piccolo passo in avanti. Quindi, non fate troppa pressione psicologica e non cercate il “tutto e subito” nel voler vedere dei risultati in termini di miglioramento. Anzi, più una persona si sente pressata in tale direzione, più sale l’ansia e quindi più è difficile andare effettivamente in quella direzione. Un percorso di ricovero richiede i suoi tempi, e sono tempi ben lunghi: siatene consapevoli e rilassatevi.

- Accettate i vostri limiti. Il vostro supporto può essere davvero importantissimo per chi sta combattendo contro un DCA. Ma dare supporto è tutto ciò che potete fare. Non avete la capacità di guarire nessuno, semplicemente perché questo nessuno può umanamente farlo. Non potete essere voi a cambiare quello che passa per la testa di una persona che ha un DCA. Non siete in grado di salvare nessuno. Potete sostenere, questo è tanto. E se lo fate con tutti i crismi, allora questo è tutto.

- Prendetevi cura di voi stessi. Stare accanto ad una persona che ha un DCA è faticoso sotto ogni punto di vista, fisicamente e psicologicamente. Perciò, non annullatevi né ammalatevi a vostra volta per stare vicino a chi ha un DCA: sia perché così non potreste essere più di alcun supporto, sia perché niente è più importante di voi stessi. Se ci rimanete troppo sotto avrete un completo burnout: e questo non sarà di alcuna utilità né per voi, né per vostra figlia/sorella/amica. Prendetevi perciò i tempi necessari per avere cura di voi stessi: solo così potrete continuare ad essere di supporto per gli altri.

(Ragazze, se avete qualche altro consiglio da aggiungere a quanto ho scritto, siete vivamente pregate di lasciarlo nei commenti!... Più suggerimenti per familiari/amici ci sono, più questo post può essere utile!...)

venerdì 7 marzo 2014

Maldestri suggerimenti di prevenzione per i genitori

Dato che stiamo andando verso la Giornata Nazionale del Fiocchetto Lilla, che è centrata su informazione e prevenzione dei DCA (fate click QUI per avere maggiori informazioni), vorrei parlare proprio di questo: informazione e prevenzione. Quando si parla di informazione e prevenzione dei DCA, c’è da dire che parte di essa è rivolta verso che è già affetta da un DCA, e consiste per lo più nello spiegare quali saranno le terribili conseguenze del DCA sia dal punto di vista fisico che psicologico, al fine di mettere in guardia le persone che intendono proseguire su questa strada (penso che sia una buona cosa, ma non credo funzioni veramente se una persona è nel pieno di un DCA, perché in fin dei conti non siamo stupide e sappiamo quanto il DCA sia dannoso, se lo portiamo avanti è perché rappresenta quella che in quel momento percepiamo come la più ottimale strategia di coping a fronte di altre problematiche); parte di essa è rivolta invece verso i genitori.

Questa è una cosa senz’altro positiva, se viene però condotta nella maniera adeguata. Di certo, a suo tempo, i miei genitori non sapevano che il mio costante bisogno di controllo su tutto era una spia lampeggiante. Né sapevano che la mia restrizione alimentare era solo un sintomo che nascondeva tutt’altri problemi. E non sapevano neanche quali potessero essere i segnali da cogliere per capire che in me c’era qualcosa che non andava, nè le conseguenze di un DCA diagnosticato tardivamente. Ecco, informazioni in merito a queste tematiche sono veramente utili, e sarebbe meraviglioso se venissero fornite più massivamente.

Purtroppo, spesso e volentieri, la prevenzione e l’informazione non viene affatto condotta nella maniera adeguata. Ho provato a digitare su Google “Eating Disorders Prevention" + "Parents” e guardate un po’ quali sono i primi link che mi sono saltati fuori:

Eating Disorders Often Begin At Home (The Almagest)

Food for Thought (Hamlet Hub)

How Parental Behavior May Impact A Child’s Body Image (Forbes)

Li avete letti? Okay, superficialmente questi articoli non sembrano malaccio. In effetti, sembrano tremendamente positivi. Ecco come aiutare i genitori ad aiutare le loro figlie! Come potrebbero mai questi articoli mandare un messaggio sbagliato?
Ecco come:

1) Tutti questi articoli sottilmente (ma neanche tanto…) incolpano i genitori per lo sviluppo di un DCA nelle loro figlie. Nell’articolo di “Forbes”, infatti, l’autore scrive:  

“I genitori vengono presi come esempio. Sfortunatamente, i genitori possono talora dimenticare come le loro azioni, pensieri e parole impattano nella vita dei propri figli. Quando si parla di immagine corporea e comportamenti alimentari, la cosa diventa particolarmente rilevante. […] Pertanto i genitori devono fare molta attenzione a come mangiano, a come si relazionano al proprio corpo, e all’impatto che questo potrebbe potenzialmente avere sui loro figli.”
(mia traduzione) 

Sì, okay. È naturale che i comportamenti genitoriali possano influenzare i figli – in fin dei conti, si impara a camminare e a parlare per imitazione. Ma c’è un gap enorme tra questo e il dire che la mera imitazione può creare un disturbo alimentare. La verità è che nessun comportamento genitoriale può far ammalare la figlia di anoressia. Non funziona assolutamente così. Anche se il messaggio riportato nell’articolo sembra positivo, instilla subliminalmente senso di colpa nel genitore che legge: “se una ragazza ha un DCA, i suoi genitori erano fissati su peso e cibo e avevano una relazione sbagliata con la propria immagine corporea”. Falso. Certo in rarissimi casi può esistere questa correlazione, ma è una cosa più unica che rara, e dunque ciò non vuol dire che è il comportamento dei genitori a causare un DCA nelle loro figlie, o che, se tu hai un DCA, allora i tuoi genitori ti hanno condizionato pesantemente.

2) Questi articoli danno ai genitori un falso senso di sicurezza. Le persone pensano che se ai loro figli viene insegnato come alimentarsi correttamente, o gli viene spiegato quanto deleterio sia un DCA, o gli viene detto di amarsi ed accettarsi per quella che è la loro fisicità, essi non si ammaleranno mai di anoressia. Perché, in teoria, sanno tutto quello che c’è da sapere per evitare la malattia.

Ma non si può pensare di immunizzare un/a bambino/a all’anoressia fornendogli spiegazioni razionali e corrette, perché un DCA non è una malattia “razionale”. Si può fare tutto l’immaginabile e l’inimmaginabile, e si può farlo bene, e ugualmente quel bambino/a potrà in futuro ammalarsi di anoressia/bulimia.

3) Questi articoli danno per scontato che la causa principale dei DCA sia rappresentata da problemi con la propria immagine corporea. Non è che questo sia falso. Questo è ENORMEMENTE ED INCOMMENSURABILMENTE FALSO! Alcune persone malate di DCA possono sviluppare un’alterazione della percezione della propria immagine corporea (il termine tecnico è “dismorfismo corporeo”) nel corso della malattia, ma sono solo una piccola percentuale rispetto a tutte le malate di DCA, e comunque questa è una conseguenza della malattia, non una causa! Penso che noi tutte sappiamo benissimo che il nostro DCA è stato determinato da tutt’altri tipi di problemi sottostanti, variabili da persona a persona, e che abbiamo utilizzato il DCA più che altro come strategia di coping, ma erano ben altri i veri problemi, NON certo il voler essere magre per fare le modelle! Ergo, in tutti questi articoli c’è un grosso errore di fondo.

4) Questi articoli operano un’errata fusione tra “dieta” e “disturbo alimentare”. Un’altra cosa che mi fa veramente incavolare, di nuovo in riferimento all’articolo pubblicato su “Forbes” (sì, è il peggiore dei 3, secondo me):  

“Basandosi su studi recenti (ah sì? E quali sarebbero? Perché, causalmente, non ne viene citato neanche uno? – mia nota a margine) i DCA stanno diventando sempre più frequenti, e esordiscono anche in tenerissima età. L’associazione Nazionale dei DCA dice che circa l’80% delle bambine di 10 anni, infatti, hanno paura di prendere peso. (statistica pescata da chissà dove… sono maligna se dico “inventata”?! – altra mia nota a margine) Sebbene vari fattori contribuiscano alla comparsa e allo sviluppo di un DCA, il modo in cui una madre si relazione alla propria immagine corporea ha una significativa influenza su come i suoi figli vedranno se stessi. Uno studio ha rilevato che l’eccessiva concentrazione di una madre sul proprio peso corporeo è la terza causa più importante che determina problemi d’immagine corporea nelle adolescenti che credono che le loro madri le vogliano magre, e sono 2 - 3 volte più propense a preoccuparsi a loro volta del proprio peso. Queste anomale percezioni dell’immagine corporea non sono un’esclusiva delle ragazze: uno studio della “Harvard School of Public Health” del 2013 ha rilevato che circa il 18% dei ragazzi adolescenti inclusi nel loro studio erano “estremamente preoccupati” per la loro fisicità. In effetti, discutere delle diete o esprimere il desiderio di perdere peso davanti a propri figli quando sono bambini od adolescenti può influenzare negativamente la loro immagine corporea.”
(mia traduzione)

A-ha.
E questo, secondo le loro menti illuminate, cosa avrebbe a che fare con i disturbi alimentari?

5) Questi articoli hanno una concezione dei DCA che andava di moda un secolo fa. Ecco a voi qualche perla estratta dall’articolo di “Forbes”:

Le prime speculazioni, basate su vecchissimi modelli psicoanalitici, hanno a che fare con il concetto di cibo come nutrimento materno:  

“Per comprendere la natura psicosociale dei DCA occorre considerare che questa è relazionata a concetti comportamentali come il ruolo dell’attaccamento – radicato al “latte materno”, spiega Krasner. “Questa comprensione primordiale del ruolo che il cibo gioca permette di avere una visione relazionale dei disturbi alimentari nella famiglia”.  

"Come spiega Krasner, le prime ipotesi in merito alla patogenesi dei DCA sono relative alle difficoltà tra madre e figlia nella condivisione del “latte materno”: dare amore, ricevere amore, condividere il cibo, condividere ricorrenze legate al cibo.”
(mia traduzione)

Ehm… COMECOSA? L’autore dell’articolo in questione e il cosiddetto “esperto psicoterapeuta” Krasner hanno mai provato a leggere qualcosa relativo ai DCA che sia stato pubblicato negli ultimi 10 anni? O si sono limitati alla lettura di fonti dell’ottocento? Questa roba è retrograda, ampiamente superata dagli studi e dalle acquisizioni più recenti, è semplicemente sbagliata e obsoleta!

Io credo che i genitori non siano la causa della comparsa di DCA nei propri figli, e non credo neanche che ne possano prevenire l’insorgenza. Sebbene sia vero che un buon comportamento genitoriale è d’aiuto per i figli, lo è semplicemente perché i genitori cercano di educare correttamente i propri figli, non perché questo possa in alcun modo avere a che fare con lo sviluppo o meno di un DCA.
Il fatto che una ragazza possa avere un DCA non è in correlazione diretta con i genitori che ha avuto, e non dice niente relativamente a questi genitori.

La frase “I genitori vengono presi come esempio” non dovrebbe mai, mai, mai e poi mai essere utilizzata quando si parla di DCA. Bisogna smetterla di colpevolizzare i genitori.

Immaginate se leggeste un articolo in merito alla prevenzione dei tumori che fornisce un elenco di suggerimenti in merito alle norme igieniche di base per i genitori, come se questo implicasse che la comparsa di un tumore fosse un segno di scarsa igiene del bambino. Immaginate che questi segnali precoci di tumore sarebbero trattati così superficialmente se bisognasse prendere seriamente in considerazione l’idea di consultare un medico?

I disturbi alimentari non sono un problema con “l’immagine corporea”. Sono solo la spia esteriore di numerosi e svariati altri problemi sottostanti. Non possono essere prevenuti o trattati con le semplici cure genitoriali. Se si sospetta un DCA in una ragazza, non bisogna puntare il dito sui genitori, ma bisogna soltanto AGIRE IMMEDIATAMENTE cercando aiuto sia da un punto di vista nutrizionale, ma soprattutto da un punto di vista psicoterapeutico.

venerdì 8 febbraio 2013

Modi infallibili per farmi incazzare

Come ormai saprete, andare a spulciare articoli e studi pubblicati in merito alla tematica dei DCA è un qualcosa che trovo molto interessante. Essi rappresentano l’apogeo e il perigeo di quello che ho modo di leggere in merito all’argomento “disturbi alimentari”. Alcune recenti ricerche scientifiche che sono state fatte relativamente alle valutazioni patogenetiche e terapeutiche dei DCA rappresentano sicuramente un apogeo di tutto ciò che leggo. Il perigeo? Cose come questo articolo, intitolato "Modi infallibili per far ammalare le vostre figlie di DCA".

I “suggerimenti” dati ai genitori per far ammalare di anoressia la propria figlia, redatti dall’autrice del blog in questione, Michelle Lewis, sono cose come:

• Siate sempre critici e disapprovate ogni iniziativa personale delle vostre figlie
• Abusate di loro
• Richiedete sempre la perfezione, e mostratevi delusi se le vostre figlie sono da meno
• Non lottate contro il vostro proprio DCA
• Siate distaccati e anaffettivi, evitando il dialogo, e non ascoltando mai le vostre figlie se vogliono parlarvi di qualcosa o di qualche problema 
• Usate il cibo come ricompensa o punizione
• Etc…

Al contrario, ecco cosa dice la letteratura scientifica in merito ai “modi infallibili” per far ammalare vostra figlia di anoressia/bulimia:











Esatto: NIENTE. Cercate pure quanti più studi scientifici volete: tutti quanti vi diranno che non esiste una sola causa precisa e definita che è responsabile della comparsa di un DCA. Certo, certe dritte comportamentali possono aiutare a ridurre il rischio che una ragazza si ammali di anoressia… ma non lo elimineranno. Questo è vero anche per altre malattie come per esempio i tumori. Se fumate un pacchetto di sigarette al giorno per anni ed anni, certamente il vostro rischio di sviluppare un microcitoma polmonare aumenterà considerevolmente (così come l’eccessiva esposizione ai raggi solari e alle lampade abbronzanti correla positivamente con l’incremento della possibilità di sviluppo di alcuni tumori cutanei), ma comunque fumare 20 sigarette al giorno non è un “modo infallibile” per beccarsi un cancro al polmone. Un sacco di gente fuma anche per 50 anni della sua vita, e non si prende comunque un tumore… altresì, i microcitomi polmonari possono colpire anche soggetti non-fumatori.

In sua difesa, in risposta ad un commento che viene lasciato a questo suo post, Michelle Lewis dice che, in effetti, intendeva elencare atteggiamenti genitoriali che promuovono insoddisfazione relativa alla propria fisicità e alimentazione disordinata, non disordini alimentari. Ora, un’affermazione del genere è ciò che non manca mai di farmi incazzare, questa fusione tra insoddisfazione per la propria immagine corporea e DCA. La stragrande maggioranza delle persone che conosco sono insoddisfatte di qualcosa relativamente al proprio aspetto fisico (e, del resto, vi sfido a trovare qualcuno che sia pienamente soddisfatto in tutto e per tutto del proprio corpo!!), ma finchè quest’insoddisfazione non interferisce con la propria qualità della vita, non c’è ragione di considerarla patologica. Sarebbe fantastico se chiunque, guardandosi allo specchio, fosse soddisfatto in toto di ciò che vi vede riflesso, ma specchiarsi e vedere che non ci si piace non fa sì automaticamente che quella persona abbia un DCA.

Altra cosa che mi irrita a proposito di questo post scritto da Michelle Lewis è il fatto che l’autrice dà per assunto che i genitori giochino un ruolo predominante e fondamentale nel successivo sviluppo o meno di un DCA da parte della propria figlia. Cioè, se leggete il suo post che vi ho linkato, quello che si evince è che: se una ragazza ha un disturbo alimentare, allora, ipso facto, ha avuto dei “cattivi” genitori, o comunque dei genitori disfunzionali. Ora, io non voglio screditare la terapia familiare, perché credo che ci siano certe situazioni in cui lavorare su tutta la famiglia possa essere benefico per chi ha un DCA, ma attraverso la terapia familiare ci sono passata personalmente e, per quel che può valere il parere del singolo, nel mio caso di specie è stata una perdita di tempo, salute e soldi.

La verità: Fare i genitori è il mestiere più difficile del mondo.
La verità: Alcune ragazze che sviluppano un DCA hanno alle spalle famiglie disfunzionali.
La verità: Alcune ragazze che sviluppano un DCA hanno alle spalle famiglie veramente in gamba.
La verità: Il fatto che una ragazza sia affetta da un DCA non dice niente relativamente alla qualità della famiglia da cui essa proviene.

E’ un nonsense, è un totale nonsense dare per assunto che i genitori siano la singola o tantomeno la maggiore causa di DCA nei propri figli. Peraltro, la dottoressa Julie O’Toole, in una delle sue pubblicazioni, parla proprio del trattamento di bambine denutrite provenienti da famiglie disfunzionali (sì, genitori che trattavano le figlie proprio come dice Michelle Lewis). Nel momento in cui queste bambine venivano ospedalizzate, riprendevano a mangiare normalmente (bè, è quello che normalmente ci si aspetterebbe da bambine denutrite…). Queste bambine non avevano l’anoressia… nonostante fossero stata trattate come pezze da piedi dai loro genitori.

Post come quello di Michelle Lewis non mi piacciono affatto, insomma… e non mi piace pensare al fatto che alcuni genitori, leggendolo, possano pensare di essere loro la causa maggiore od unica del DCA delle proprie figlie. Tutt’al più, una delle millemila concause, ma non certo l’unica causa, e men che meno la causa dominante (nella stragrande maggioranza dei casi, per lo meno, non voglio fare di tutta l’erba un fascio!).

venerdì 7 settembre 2012

Cose da fare e da non fare

Sempre più spesso, di recente, ricevo e-mail da parte di genitori le cui figlie hanno un DCA, che mi chiedono consigli su come gestire la situazione. Questo post, perciò, è pensato per tutti i genitori (ma anche i parenti, gli amici, e così via) che hanno quotidianamente a che fare con una figlia che ha un DCA. Qualche dritta su cosa potrebbe essere più opportuno fare/non fare.

Cose da fare: 

1. Dite a vostra figlia che le volete bene per quella che è. Ditele che siete preoccupati per lei, che ci tenete a lei, e che siete disposti a fare qualsiasi cosa per darle una mano, se solo ve lo chiede. Perché è la verità.

2. Validate i sentimenti e le percezioni di vostra figlia, anche se non siete d’accordo con lei. Per quanto si possa trattare di pensieri indotti dalla malattia, questi pensieri sono la realtà attuale di vostra figlia, e la fanno soffrire. Incoraggiatela (e dico “incoraggiatela”, non “pressatela”!!) a parlarne con lo psicoterapeuta che la sta seguendo (o, se non è ancora seguita, incoraggiatela ad andare a parlare con uno psicoterapeuta), stimolandola ad essere sincera con lui riguardo ai suoi pensieri e sentimenti.

3. Fatevi un esame di coscienza relativamente alle vostre attitudini e alle vostre credenze in merito al cibo, all’alimentazione, all’immagine corporea, all’apparenza esteriore, e valutate quali messaggi potreste trasmettere, anche non volendo, a vostra figlia.

4. Incoraggiate vostra figlia nella sua scelta di cambiare la situazione – non soltanto per quel che riguarda strettamente l’aspetto alimentare, ma anche e soprattutto per quanto riguarda le scelte della vita. Spesso una persona che ha un DCA tende a fare delle scelte solo per far piacere agli altri o comunque solo per rispondere alle aspettative altrui. Incoraggiatela invece a indagare su quelle che sono le sue capacità e i suoi punti di forza, e a prendere decisioni unicamente per se stessa.

5. Siate consapevoli del fatto che un DCA è una malattia grave che mette a repentaglio la vita di vostra figlia. Non è un capriccio, né un modo per richiamare l’attenzione su di sè, né una fase passeggera, né un atto di opposizione a voi. È una malattia seria che deve essere trattata in maniera opportuna.

Cose da NON fare:

1. Non vi mettete a discutere il peso di vostra figlia, quanto mangia, o come mangia. Non vi focalizzate sugli aspetti superficiali, sull’apparenza, su quello che dovrebbero mangiare o su come dovrebbero essere fisicamente. Provate a parlare di tutt’altro rispetto al cibo, al peso, alle calorie, all’attività fisica. Provare a parlare di come vostra figlia SI SENTE. Inoltre, non parlate della fisicità di altre persone (inclusi voi stessi) – questo potrebbe essere preso sul personale, anche se l’intenzione non era questa.

2. Non fate commenti (nè complimenti) su eventuale perdita/recupero del peso. “Stai proprio bene, adesso!” o “Finalmente sembri in salute!” potrebbero suonarvi come un qualcosa di positivo, ma chi ha un DCA potrebbe interpretare queste frasi vuoi come “Accidenti, allora si vede che sono ingrassata”, vuoi come (cosa ancora peggiore) “Allora non pensavi che stessi bene prima… Cavolo, è proprio vero che è l’apparenza l’unica cosa che conta!”.

3. Non chiedete a vostra figlia ogni giorno cosa ha mangiato, e quali sono stati i suoi sintomi da un punto di vista alimentare. Piuttosto, chiedetele: “Com’è andata la giornata?”, al fine di avere una risposta che v’informa su ciò che hanno fatto e come si sono sentite, senza metterle a disagio, cosa che accadrebbe invece centrando il discorso sull’alimentazione.

4. Non fatela sentire in colpa e non accusatela di tutto ciò che va storto nel vostro rapporto sottointendendo che la causa di ciò è il suo erroneo comportamento alimentare che continua a portare avanti. Siate consapevoli che le bugie che vostra figlia vi ha detto, che il modo in cui si è comportata, che le resistenze ad abbandonare l’anoressia sono conseguenza di una malattia che è molto più totalizzante di quel che potreste immaginare.

5. Non fate pressione psicologica sui risultati attesi. Mi spiego. Tendenzialmente, ogni volta che una persona affetta da un DCA fa un ricovero, o va da una dietista, o inizia una nuova psicoterapia, gravano su di lei forti aspettative: il DCA viene spesso ed erroneamente considerato alla stregua di una malattia fisica, quindi c’è l’aspettativa che, una volta che vostra figlia è tornata a casa dopo quei 3 mesi di ricovero, o una volta fatte TOT sedute di psicoterapia, in lei ci possa essere un cambiamento sostanziale. Non è così. Un ricovero, una psicoterapia… sono solo tentativi. Possono andar bene come fallire. E anche se vanno bene, possono volerci anni per muovere un piccolo passo in avanti. Quindi, non fate troppa pressione psicologica su vostra figlia e non vogliate “tutto e subito” nel vedere dei risultati di miglioramento. Anzi, più una persona si sente pressata in tale direzione, più sale l’ansia e quindi più è difficile andare effettivamente in quella direzione. Un percorso di ricovero richiede i suoi tempi, e sono tempi ben lunghi, perciò, genitori (ma anche parenti ed amici)… relax!

6. Ci sono tante cose che un genitore può fare nei confronti di una figlia che ha un DCA. Posso solo immaginare quanto sia frustrante per un genitore sentirsi impotente di fronte all’anoressia/bulimia della propria figlia. Ma è controproducente che voi cerchiate di forzarla a mangiare in maniera “normale”. Fare questo non sarà d’aiuto e non funzionerà. Il vostro compito è quello di essere un supporto emotivo per vostra figlia, non la “polizia del cibo”. Poi ci sono i professionisti (dietisti, nutrizionisti) che potranno occuparsi dell’aspetto più strettamente alimentare, e i professionisti (psichiatri, psicologi, psicoterapeuti) che si occuperanno dell’aspetto mentale.

Voi dovete semplicemente starle vicino, ascoltarla e supportarla nei momenti di difficoltà… e, magari, se ne avete l’occasione, cercate su Internet per vedere se nella vostra città/zona vengono organizzati gruppi di supporto e di aiuto per genitori di ragazze che hanno un DCA.

Comunque – e qui mi rivolgo a voi, ragazze… se vi viene in mente qualche altra cosa che pensate i genitori dovrebbero fare/non fare, aggiungetela nei commenti, così rendiamo l’elenco più completo, okay??!

sabato 6 agosto 2011

Un articolo di passaggio

Un recente articolo scritto da un'adolescente alle prese con i DCA: "What I wish parents knew about eating disorders". ( <- click sopra per aprire il collegamento)

Sebbene sia scritto in Inglese, ho voluto condividerlo qui perchè penso che molte di noi possano rispecchiarcisi.

Dateci un'occhiata ragazze, genitori, amici, tutti quanti!

sabato 17 luglio 2010

Una parola per i genitori preoccupati

Una volta sono stata la figlia anoressica che ha fatto inconsapevolmente preoccupare da morire i suoi genitori. Adesso che ho fatto passi avanti sulla strada del ricovero e posso guardare alla situazione con più chiarezza, è più facile per me comprendere ciò di cui si avrebbe bisogno e ciò che si vorrebbe – dal punto di vista di chi soffre.

Okay, siamo schiette: entrambe le parti soffrono.

Credo che, come genitori, la cosa migliore che possiate fare per vostra figlia è volerle bene e darle tutto il vostro supporto… cosa che ovviamente state già facendo se state leggendo questo post. Provate a comprenderla. Probabilmente lei adesso pensa che nessuno possa riuscire a capire quello che sta provando e che sta passando, ma tutto quel che dovete fare è farle capire che voi non avete la pretesa di capirla, ma che VOLETE comprenderla. Ascoltarla. Che ci tenete così tanto a lei da voler provare ad aiutarla in ogni possibile modo. E che sarete sempre al suo fianco se e ogni qualvolta lei dovesse avere bisogno di voi.

Non siate insistenti. Non siate severi. Talvolta ci vuole veramente una rivelazione affinché qualcuno riesca a realizzare che si sta facendo solo del male, perciò provate semplicemente ad essere la roccia cui vostra figlia possa aggrapparsi nel momento in cui si sentirà scivolare il terreno da sotto i piedi. Ci sono milioni di modi per cercare di farle capire che ha imboccato una strada senza uscita, senza bisogno di ricorrere a punizioni, a obblighi, senza condannarla, farla sentire in colpa, o farla stare ancora peggio di quanto già non stia.

I miei genitori hanno fatto cose sbagliate nei miei confronti, pur credendo di fare bene. Ma in effetti è difficile per i genitori – e per chiunque! – riuscire a capire come relazionarsi a una figlia con un DCA, specialmente se la figlia non è più una bambina ma già una giovane donna.

Chiedetele se lei vuole che voi facciate qualcosa in particolare. Chiedetele se vuole più autonomia, supporto, risorse per percorrere la strada del ricovero, informazioni su centri specializzati per DCA o su psicoterapeuti locali, una spalla su cui piangere, e così via… Molto probabilmente lei vi risponderà che non vuole niente di tutto questo. Ma se fossi io (e lo sono stata), mi avrebbe fatto un piacere infinito, dentro di me, anche se magari non lo avrei mai ammesso, se i miei genitori mi avessero chiesto qualcosa del genere.

Se vostra figlia è già in cura presso un centro per DCA o presso una psicoterapeuta: Sicuramente questo rappresenta un’enorme forma di supporto e uno dei modi più efficaci per combattere l’anoressia, ma ciò non significa che vostra figlia non abbia bisogno di nessun’altra forma di supporto. Quindi, continuate comunque a strale vicino e a suggerirle ulteriori strategie per combattere il DCA; per esempio potreste suggerirle di unirsi ad un gruppo di auto-aiuto guidato come quelli che vengono realizzati in numerose cliniche specializzate.

Purtroppo molto spesso i gruppi di auto-aiuto guidato non sono pubblicizzati e sono difficili da scoprire. Cercate d’informarvi presso le ASL/USL, fate una ricerca on-line, chiedete al vostro medico di famiglia o a un qualche medico specialista in DCA con cui siete in contatto per avere informazioni al riguardo. Nessuna pressione al riguardo… ma vale sempre la pena di fare un tentativo, quindi provate a tenere quest’idea in un angolino della vostra mente.

Posso comprendere come vi sentite. Ripensando a quello che è stato il mio vissuto con i miei genitori, adesso mi rendo conto quanto loro ci siano stati male e quanto si siano sentiti incapaci di fare alcunché, impotenti e completamente disarmati quando io ero nel pieno dell’anoressia.

Siate sempre pronti ad ascoltare vostra figlia, ma se lei non vuole parlane, non fatele pressione. Tutto quel che potete fare è cercare di fare del vostro meglio per aiutarla, tutto il resto dipende solo da lei. Nessuno può combattere al suo posto – e se qualcuno lo fa, non risolve comunque. E’ lei che deve fare una scelta per se stessa e combattere per raggiungere i suoi obiettivi mantenendosi sulla strada del ricovero.
Ma voi potete supportarla nel suo tentativo di combattere contro l’anoressia.

Mostratele quanto la vita possa essere bella senza l’anoressia, anziché cercare di farla vedere quanto sia brutta la sua vita con un DCA.
 
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