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domenica 20 marzo 2011
Chiedere aiuto
Riconoscere di avere un DCA non è un qualcosa d’immediato. Al contrario, molto spesso, sebbene consapevoli che il nostro comportamento alimentare è erroneo, neghiamo persino a noi stesse di poter avere un DCA, di poter essere, in un certo qual modo, “malate”.
In alcuni casi non ci sembra che ci sia niente di sbagliato nel nostro rapporto col cibo o nel nostro pattern di pensieri, ma quel che più spesso accade è che, anche se consapevoli di quello che stiamo facendo, pur di portare avanti le sensazioni positive che l’anoressia ci trasmette, ci illudiamo auto-convincendoci che quello che facciamo non avrà poi chissà quali conseguenze sul nostro corpo, che comunque possiamo smettere quando vogliamo e ricominciare ad alimentarci “normalmente”, ignorando quelli che sono i veri bisogni del nostro corpo.
Le persone che ci circondano, ovviamente, molto spesso sono le prime a rendersi conto che c’è qualcosa che non va e cercando di farcelo notare. Molto spesso nella maniera sbagliata, essendo esterni al problema, ma in buona fede, con l’unico intento di darci una mano. Noi stesse, a volte, sentiamo che forse c’è qualcosa che non va e che magari dovremo parlarne con qualcuno.
Il problema, come saprà bene la maggior parte di noi che si sono trovate in questa situazione, è che in fin dei conti pensiamo di “non essere malate abbastanza”. E così temiamo che, parlandone con qualcuno, non saremmo prese sul serio. Pensiamo che se tutti non si precipitano ad aiutarci, significa che ancora non siamo magre abbastanza. Significa che ancora non siamo diventate invisibili abbastanza da poter essere viste.
NO.
Cosa significa esattamente “essere malate abbastanza”? Come si può definire una “malata abbastanza”? Lo si definisce tramite il peso? Tramite il BMI (IMC)? Tramite la taglia dei jeans?
Non ha nessuna importanza se siamo dentro il tunnel dell’anoressia da 3 giorni, da 3 mesi, da 3 anni o da 30 anni. Il punto è che stiamo MALE. Che ci siamo cadute e che tutto quello che in un primo momento ci sembrava di poter controllare è quello che, successivamente, ci si rivolta contro e ci controlla.
Se abbiamo un DCA, noi meritiamo di ricevere aiuto. E dobbiamo chiederlo. Non dobbiamo vergognarci. Non dobbiamo temere di essere considerate “deboli” per questo. Chiedere aiuto quando si è in difficoltà non è segno di debolezza, anzi, è segno di grande forza, responsabilità, maturità e intelligenza.
Perciò, se vi sentite completamente sole, se la vostra vita è un coacervo di scuse, bugie e segreti, se vi sentite stanche di cercare di nascondere il vostro DCA, se piangete chiuse in camera quando nessuno può sentirvi, se desiderate – nell’angolo più remoto della vostra testa e del vostro cuore – che qualcuno si renda conto che c’è qualcosa che non va, che qualcuno si renda conto che state male… non pensate al vostro peso. Non pensate al tempo da cui ci siete dentro. Pensate soltanto che avete bisogno e che meritate di ricevere aiuto. E dovete darvi perciò il diritto di chiederlo. Ci sono tantissime mani tese verso di voi, anche se magari in questo momento non ve ne rendete conto, pronte ad afferrarvi se solo gliene date la possibilità. Pronte a sostenervi durante il duro e difficile percorso sulla strada del ricovero.
Una diagnosi di DCA non è un qualcosa che si “guadagna” quando siamo magre abbastanza o quando si è vomitato un numero sufficientemente elevato di volte. Non è un qualcosa che si “guadagna” quando teniamo un comportamento alimentare errato da un TOT di anni. Semplicemente perchè non è un qualcosa che si “guadagna”.
Il principale problema dell’anoressia è che questa, col tempo, finisce per diventare la nostra identità. Nel momento in cui ci siamo in mezzo, infatti, l’anoressia prova a convincerci e ci promette che solo quando saremo visibilmente sciupate, quando saremo “malate abbastanza”, soltanto a quel punto valiamo qualcosa e necessitiamo di un riconoscimento.
Lasciate che ve lo dica, ragazze: non c’è promessa più deviata, vana e vuota.
Non cadete in questa trappola. Prima chiederete aiuto, più facile sarà iniziare a combattere. Nessuno merita di vivere con l’anoressia. Neanche voi. Voi meritate, viceversa, di sentirvi di nuovo vive. Dovete ricominciare a vivere. Anche se, lo so, la paura più grande sta proprio nel prendersi il rischio di darsi il permesso di vivere davvero. Ma è l’unica cosa che potete fare per voi stesse. L’unica che vale veramente la pena.
In alcuni casi non ci sembra che ci sia niente di sbagliato nel nostro rapporto col cibo o nel nostro pattern di pensieri, ma quel che più spesso accade è che, anche se consapevoli di quello che stiamo facendo, pur di portare avanti le sensazioni positive che l’anoressia ci trasmette, ci illudiamo auto-convincendoci che quello che facciamo non avrà poi chissà quali conseguenze sul nostro corpo, che comunque possiamo smettere quando vogliamo e ricominciare ad alimentarci “normalmente”, ignorando quelli che sono i veri bisogni del nostro corpo.
Le persone che ci circondano, ovviamente, molto spesso sono le prime a rendersi conto che c’è qualcosa che non va e cercando di farcelo notare. Molto spesso nella maniera sbagliata, essendo esterni al problema, ma in buona fede, con l’unico intento di darci una mano. Noi stesse, a volte, sentiamo che forse c’è qualcosa che non va e che magari dovremo parlarne con qualcuno.
Il problema, come saprà bene la maggior parte di noi che si sono trovate in questa situazione, è che in fin dei conti pensiamo di “non essere malate abbastanza”. E così temiamo che, parlandone con qualcuno, non saremmo prese sul serio. Pensiamo che se tutti non si precipitano ad aiutarci, significa che ancora non siamo magre abbastanza. Significa che ancora non siamo diventate invisibili abbastanza da poter essere viste.
NO.
Cosa significa esattamente “essere malate abbastanza”? Come si può definire una “malata abbastanza”? Lo si definisce tramite il peso? Tramite il BMI (IMC)? Tramite la taglia dei jeans?
Non ha nessuna importanza se siamo dentro il tunnel dell’anoressia da 3 giorni, da 3 mesi, da 3 anni o da 30 anni. Il punto è che stiamo MALE. Che ci siamo cadute e che tutto quello che in un primo momento ci sembrava di poter controllare è quello che, successivamente, ci si rivolta contro e ci controlla.
Se abbiamo un DCA, noi meritiamo di ricevere aiuto. E dobbiamo chiederlo. Non dobbiamo vergognarci. Non dobbiamo temere di essere considerate “deboli” per questo. Chiedere aiuto quando si è in difficoltà non è segno di debolezza, anzi, è segno di grande forza, responsabilità, maturità e intelligenza.
Perciò, se vi sentite completamente sole, se la vostra vita è un coacervo di scuse, bugie e segreti, se vi sentite stanche di cercare di nascondere il vostro DCA, se piangete chiuse in camera quando nessuno può sentirvi, se desiderate – nell’angolo più remoto della vostra testa e del vostro cuore – che qualcuno si renda conto che c’è qualcosa che non va, che qualcuno si renda conto che state male… non pensate al vostro peso. Non pensate al tempo da cui ci siete dentro. Pensate soltanto che avete bisogno e che meritate di ricevere aiuto. E dovete darvi perciò il diritto di chiederlo. Ci sono tantissime mani tese verso di voi, anche se magari in questo momento non ve ne rendete conto, pronte ad afferrarvi se solo gliene date la possibilità. Pronte a sostenervi durante il duro e difficile percorso sulla strada del ricovero.
Una diagnosi di DCA non è un qualcosa che si “guadagna” quando siamo magre abbastanza o quando si è vomitato un numero sufficientemente elevato di volte. Non è un qualcosa che si “guadagna” quando teniamo un comportamento alimentare errato da un TOT di anni. Semplicemente perchè non è un qualcosa che si “guadagna”.
Il principale problema dell’anoressia è che questa, col tempo, finisce per diventare la nostra identità. Nel momento in cui ci siamo in mezzo, infatti, l’anoressia prova a convincerci e ci promette che solo quando saremo visibilmente sciupate, quando saremo “malate abbastanza”, soltanto a quel punto valiamo qualcosa e necessitiamo di un riconoscimento.
Lasciate che ve lo dica, ragazze: non c’è promessa più deviata, vana e vuota.
Non cadete in questa trappola. Prima chiederete aiuto, più facile sarà iniziare a combattere. Nessuno merita di vivere con l’anoressia. Neanche voi. Voi meritate, viceversa, di sentirvi di nuovo vive. Dovete ricominciare a vivere. Anche se, lo so, la paura più grande sta proprio nel prendersi il rischio di darsi il permesso di vivere davvero. Ma è l’unica cosa che potete fare per voi stesse. L’unica che vale veramente la pena.
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venerdì 4 settembre 2009
Psicoterapia
Nel momento in cui si è nel pieno di un DCA, è estremamente difficile riuscire a formulare la richiesta di una psicoterapia. Questo perché non ci si sente ancora pronte a domandarci dov’è che vogliamo veramente andare, ma soprattutto fino a che punto siamo disposte a fare introspezione per cercare di sviscerare le vere cause che hanno portato all’anoressia raggiungendo così consapevolezza e desiderio.
Iniziare una psicoterapia è difficile anche perché si teme che il terapeuta possa non essere altro che l’ennesima persona che vede unicamente l’aspetto fisico, i tratti materiali, tangibili della sofferenza anoressica. Inoltre, si ha paura che il terapeuta possa portarci via tutto il mondo, tutta la realtà che con il DCA abbiamo faticosamente costruito, riportandoci alla condizione primigenia che ha determinato l’innesco dell’anoressia stessa.
In fin dei conti, l’anoressia non è che il tentativo di diventare invisibili per essere viste, perciò, se qualcuno ci portasse via questa possibilità allontanando il sintomo e ripristinando la “normalità”, che cosa ci resterebbe? È per questo che la psicoterapia è un passo così difficile da affrontare.
Nel momento in cui siamo nel pieno di un DCA, è solo la rabbia che ci tiene in vita, una vita colma di rancore e di paura. Abbiamo paura della nostra rabbia, ed abbiamo paura della nostra paura. Ci sentiamo in dovere di cercare sempre di nascondere a tutti e in qualsiasi modo i sentimenti contraddittori che in certi momenti invadono la nostra mente, spingendoci a cercare aiuto e a rifiutarlo al tempo stesso. Molto spesso cerchiamo di nasconderli persino a noi stesse.
Man mano che ci si abitua a convivere con l’anoressia, si perde il ricordo di come sia possibile vivere senza. Sopravviviamo da così tanto tempo con questo sintomo da aver dimenticato com’era quando non c’era. E così non si riesce a vedere veramente il nostro corpo fino in fondo, non riusciamo a credere fino in fondo che possa essere davvero danneggiato: questo corpo che non amiamo guardare, che spesso tocchiamo come se fosse unicamente uno strumento di cui dobbiamo accertare la funzione. Perché ci sembra di dover dimostrare – agli altri, ma soprattutto a noi stesse – quanto siamo capaci di non cedere al desiderio di cedere. Di farsi aiutare. Di parlarne con qualcuno.
Si pensa che il nostro corpo serva solo a sostenere la nostra mente, ma non le appartenga. E così, con l’anoressia, ci siamo costruite un corpo esile, un corpo quasi invisibile, per poter essere viste. Il nostro comportamento è contraddittorio, confonde e ci confonde. Una parte di noi stesse si aspetta che qualcuno riesca a scoprire l’inganno che noi stesse abbiamo costruito, e così ce ne liberi; che qualcuno ci accompagni nel percorso che ci porterà a spezzare le dinamiche che controllano ogni aspetto della nostra vita senza toglierci il sintomo sul quale ci appoggiamo; che comprenda quello che non possiamo esprimere e, accedendo al nostro segreto, ci garantisca il sostegno di cui sentiamo di aver bisogno, ma che ci rifiutiamo di chiedere.
Penso che sia per questo che è importante riuscire a legittimarsi la possibilità di chiedere aiuto ad uno psicoterapeuta. Non accontentandoci al primo tentativo, o scoraggiandoci se i feedback che riceviamo sono differenti da quelli che vorremo: ogni persona ha bisogno di un’altra persona particolare per potersi aprire, non vanno bene tutti per tutti, ed è perciò importante fare tentativi, e continuare a cercare finché non si trova il terapeuta adatto, che sarà la persona che riuscirà a fermarci con determinazione e con dolcezza. E allora sarà un sollievo essere smascherate e forzate ad interrompere la nostra recita distruttiva, il nostro suicidio cronico.
La finzione dell’anoressia è probabilmente così perfetta da ingannare anche le persone più attente, il personale medico più preparato.
Ma in realtà siamo noi stesse a tenderci le insidie più grandi.
Se sentite di aver bisogno d’aiuto, non abbiate timore di chiederlo. Non temete di non trovarlo, perché anche se non ve ne rendete conto, ci sarebbero sempre tante mani tese verso di voi, nel momento in cui trovaste il coraggio di afferrarle. Ma soprattutto, non temete di trovarlo. Perché poter contare su un supporto psicoterapeutico è importantissimo, ma non dimenticate che siete solo voi a poter salvare voi stesse.
Iniziare una psicoterapia è difficile anche perché si teme che il terapeuta possa non essere altro che l’ennesima persona che vede unicamente l’aspetto fisico, i tratti materiali, tangibili della sofferenza anoressica. Inoltre, si ha paura che il terapeuta possa portarci via tutto il mondo, tutta la realtà che con il DCA abbiamo faticosamente costruito, riportandoci alla condizione primigenia che ha determinato l’innesco dell’anoressia stessa.
In fin dei conti, l’anoressia non è che il tentativo di diventare invisibili per essere viste, perciò, se qualcuno ci portasse via questa possibilità allontanando il sintomo e ripristinando la “normalità”, che cosa ci resterebbe? È per questo che la psicoterapia è un passo così difficile da affrontare.
Nel momento in cui siamo nel pieno di un DCA, è solo la rabbia che ci tiene in vita, una vita colma di rancore e di paura. Abbiamo paura della nostra rabbia, ed abbiamo paura della nostra paura. Ci sentiamo in dovere di cercare sempre di nascondere a tutti e in qualsiasi modo i sentimenti contraddittori che in certi momenti invadono la nostra mente, spingendoci a cercare aiuto e a rifiutarlo al tempo stesso. Molto spesso cerchiamo di nasconderli persino a noi stesse.
Man mano che ci si abitua a convivere con l’anoressia, si perde il ricordo di come sia possibile vivere senza. Sopravviviamo da così tanto tempo con questo sintomo da aver dimenticato com’era quando non c’era. E così non si riesce a vedere veramente il nostro corpo fino in fondo, non riusciamo a credere fino in fondo che possa essere davvero danneggiato: questo corpo che non amiamo guardare, che spesso tocchiamo come se fosse unicamente uno strumento di cui dobbiamo accertare la funzione. Perché ci sembra di dover dimostrare – agli altri, ma soprattutto a noi stesse – quanto siamo capaci di non cedere al desiderio di cedere. Di farsi aiutare. Di parlarne con qualcuno.
Si pensa che il nostro corpo serva solo a sostenere la nostra mente, ma non le appartenga. E così, con l’anoressia, ci siamo costruite un corpo esile, un corpo quasi invisibile, per poter essere viste. Il nostro comportamento è contraddittorio, confonde e ci confonde. Una parte di noi stesse si aspetta che qualcuno riesca a scoprire l’inganno che noi stesse abbiamo costruito, e così ce ne liberi; che qualcuno ci accompagni nel percorso che ci porterà a spezzare le dinamiche che controllano ogni aspetto della nostra vita senza toglierci il sintomo sul quale ci appoggiamo; che comprenda quello che non possiamo esprimere e, accedendo al nostro segreto, ci garantisca il sostegno di cui sentiamo di aver bisogno, ma che ci rifiutiamo di chiedere.
Penso che sia per questo che è importante riuscire a legittimarsi la possibilità di chiedere aiuto ad uno psicoterapeuta. Non accontentandoci al primo tentativo, o scoraggiandoci se i feedback che riceviamo sono differenti da quelli che vorremo: ogni persona ha bisogno di un’altra persona particolare per potersi aprire, non vanno bene tutti per tutti, ed è perciò importante fare tentativi, e continuare a cercare finché non si trova il terapeuta adatto, che sarà la persona che riuscirà a fermarci con determinazione e con dolcezza. E allora sarà un sollievo essere smascherate e forzate ad interrompere la nostra recita distruttiva, il nostro suicidio cronico.
La finzione dell’anoressia è probabilmente così perfetta da ingannare anche le persone più attente, il personale medico più preparato.
Ma in realtà siamo noi stesse a tenderci le insidie più grandi.
Se sentite di aver bisogno d’aiuto, non abbiate timore di chiederlo. Non temete di non trovarlo, perché anche se non ve ne rendete conto, ci sarebbero sempre tante mani tese verso di voi, nel momento in cui trovaste il coraggio di afferrarle. Ma soprattutto, non temete di trovarlo. Perché poter contare su un supporto psicoterapeutico è importantissimo, ma non dimenticate che siete solo voi a poter salvare voi stesse.
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mercoledì 22 luglio 2009
Thinspo Reverse - Page 4 of 4
Last but not least, ecco le ultime foto di questa “Thinspo Reverse”!
E ne approfitto per ringraziare tutte le meravigliose ragazze che hanno aderito a quest’iniziativa: GRAZIE!!! ^__^
Ricordatevi sempre che percorrere la strada del ricovero non è impossibile: niente è impossibile, se si è convinte di poterlo fare. Perciò scegliamo la strada del ricovero ogni giorno, e facciamolo perché lo vogliamo, che mi sembra la miglior ragione possibile per fare una cosa.
Stiamo combattendo insieme… andremo fino in fondo. Ve lo prometto.
Hold on, girls!!
(click su ogni foto per ingrandire)

SARA

ELENA
ROBY (Foto cancellata su richiesta della protagonista della foto stessa)

JONNY

VEGGIE
E ne approfitto per ringraziare tutte le meravigliose ragazze che hanno aderito a quest’iniziativa: GRAZIE!!! ^__^
Ricordatevi sempre che percorrere la strada del ricovero non è impossibile: niente è impossibile, se si è convinte di poterlo fare. Perciò scegliamo la strada del ricovero ogni giorno, e facciamolo perché lo vogliamo, che mi sembra la miglior ragione possibile per fare una cosa.
Stiamo combattendo insieme… andremo fino in fondo. Ve lo prometto.
Hold on, girls!!
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SARA

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ROBY (Foto cancellata su richiesta della protagonista della foto stessa)

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martedì 16 giugno 2009
Un messaggio positivo / 2
Ho trovato un’altra frase positiva che voglio condividere con voi:
“Termina ogni giornata col sorriso sulle labbra. Hai fatto tutto quello che potevi. Gli errori si possono commettere, ma non dobbiamo condannarci per questo: dobbiamo cercare di trarre da essi un insegnamento positivo. Domani è un altro giorno; inizialo con serenità e affronta tutte le sfide che la vita ti porrà davanti”.
Mi piace molto anche questa. Riecheggia una frase positiva che ho scritto in un Post-It attaccato al mio armadio, che dice:
“Today is what you make it. And tomorrow is ALWAYS a new day”.
Ecco, secondo me questa è una mentalità che a poco a poco dovremo cercare di acquisire. Anziché dannarci e punirci per gli errori che abbiamo commesso, arrabbiarci con noi stesse per le ricadute nel DCA, o rimpiangere le opportunità perse, o preoccuparci e farci venire ansia per quello che potrà succedere – “terminiamo ogni giornata col sorriso sulle labbra”. E non c’è nessun consiglio migliore di questo. Perché, ragazze, davvero abbiamo fatto tutto quel che potevamo.
Certo, possono essere accadute cose che non desideravamo, in alcuni momenti l'anoressia può aver ripreso il sopravvento, ma a questo punto l’unica cosa che possiamo fare è cercare di trarne i dovuti insegnamenti e poi dimenticarci di ciò che ci ha fatto stare male, anziché arrovellarci su queste cose, permettendogli di rovinarci l’umore e compromettere anche la buona riuscita del giorno successivo.
Perciò, ogni mattina, quando vi svegliate, non concentratevi su ciò che è successo il giorno prima, ma cominciamo il nuovo giorno “con serenità”, pronte ad affrontare l'anoressia e “tutte le sfide che la vita ci porrà davanti”.
Ogni giorno che inizia è come un foglio nuovo e completamente bianco: non facciamoci scivolare subito sopra il nero del giorno precedente, non riempiamolo subito di sentimenti negativi, ma prendiamo la nostra penna e proviamo a rendere questo nuovo giorno quello che vogliamo che sia.
“Termina ogni giornata col sorriso sulle labbra. Hai fatto tutto quello che potevi. Gli errori si possono commettere, ma non dobbiamo condannarci per questo: dobbiamo cercare di trarre da essi un insegnamento positivo. Domani è un altro giorno; inizialo con serenità e affronta tutte le sfide che la vita ti porrà davanti”.
Mi piace molto anche questa. Riecheggia una frase positiva che ho scritto in un Post-It attaccato al mio armadio, che dice:
“Today is what you make it. And tomorrow is ALWAYS a new day”.
Ecco, secondo me questa è una mentalità che a poco a poco dovremo cercare di acquisire. Anziché dannarci e punirci per gli errori che abbiamo commesso, arrabbiarci con noi stesse per le ricadute nel DCA, o rimpiangere le opportunità perse, o preoccuparci e farci venire ansia per quello che potrà succedere – “terminiamo ogni giornata col sorriso sulle labbra”. E non c’è nessun consiglio migliore di questo. Perché, ragazze, davvero abbiamo fatto tutto quel che potevamo.
Certo, possono essere accadute cose che non desideravamo, in alcuni momenti l'anoressia può aver ripreso il sopravvento, ma a questo punto l’unica cosa che possiamo fare è cercare di trarne i dovuti insegnamenti e poi dimenticarci di ciò che ci ha fatto stare male, anziché arrovellarci su queste cose, permettendogli di rovinarci l’umore e compromettere anche la buona riuscita del giorno successivo.
Perciò, ogni mattina, quando vi svegliate, non concentratevi su ciò che è successo il giorno prima, ma cominciamo il nuovo giorno “con serenità”, pronte ad affrontare l'anoressia e “tutte le sfide che la vita ci porrà davanti”.
Ogni giorno che inizia è come un foglio nuovo e completamente bianco: non facciamoci scivolare subito sopra il nero del giorno precedente, non riempiamolo subito di sentimenti negativi, ma prendiamo la nostra penna e proviamo a rendere questo nuovo giorno quello che vogliamo che sia.
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sabato 13 giugno 2009
Un messaggio positivo
Oggi voglio condividere con voi una frase positiva. Quando l’ho letta mi ha davvero illuminato la giornata, e spero perciò che possa fare questo effetto anche a voi. Inoltre, è un’ottima frase da tenere a mente e da ripetersi quando capita una di quelle “giornate-NO” in cui sembra che tutto vada a rotoli.
Eccola:
“Non essere schiava del tuo passato. Tuffati nel mare, immergiti in profondità, nuota fino ad arrivare lontana. Così potrai tornare indietro con il rispetto per te stessa, con una nuova forza, con una maggiore esperienza che dominerà quella precedente dandoti una prospettiva e t’indirizzerà nella strada del futuro”.
Innanzitutto, ogni parola suona veramente rinfrescante, rinforzante, rinnovante.
La prima parte è la più importante – “Non essere schiava del tuo passato”. Quante di noi, in questo momento, sono ancora schiave del proprio passato? Quante di noi sono ancora schiave dell'anoressia? Cosa serve per rompere il circolo vizioso, per cambiare questa forma mentis, per andare avanti?
È semplice e difficile allo stesso tempo: tuffarsi nella vita. Vivere. Mettercela tutta. Perseverare. Aprire gli occhi su tutto ciò che di bello ci circonda. E così, come dice questa frase, ci sentiremo rinnovate – avremo rispetto per noi stesse e una nuova forza. Chi non desidererebbe questo? Non vi sembra bellissimo?
E, ragazze, sì: possiamo ottenerlo. Tutte quante. E quando avremo acquisito questa nuova prospettiva, potremo guardare al passato senza che questo abbia la meglio su di noi e saremo capaci – e pronte – di andare avanti.
Senza che l'anoressia abbia più la meglio su di noi.
Eccola:
“Non essere schiava del tuo passato. Tuffati nel mare, immergiti in profondità, nuota fino ad arrivare lontana. Così potrai tornare indietro con il rispetto per te stessa, con una nuova forza, con una maggiore esperienza che dominerà quella precedente dandoti una prospettiva e t’indirizzerà nella strada del futuro”.
Innanzitutto, ogni parola suona veramente rinfrescante, rinforzante, rinnovante.
La prima parte è la più importante – “Non essere schiava del tuo passato”. Quante di noi, in questo momento, sono ancora schiave del proprio passato? Quante di noi sono ancora schiave dell'anoressia? Cosa serve per rompere il circolo vizioso, per cambiare questa forma mentis, per andare avanti?
È semplice e difficile allo stesso tempo: tuffarsi nella vita. Vivere. Mettercela tutta. Perseverare. Aprire gli occhi su tutto ciò che di bello ci circonda. E così, come dice questa frase, ci sentiremo rinnovate – avremo rispetto per noi stesse e una nuova forza. Chi non desidererebbe questo? Non vi sembra bellissimo?
E, ragazze, sì: possiamo ottenerlo. Tutte quante. E quando avremo acquisito questa nuova prospettiva, potremo guardare al passato senza che questo abbia la meglio su di noi e saremo capaci – e pronte – di andare avanti.
Senza che l'anoressia abbia più la meglio su di noi.
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venerdì 29 maggio 2009
Condiziona la tua intuizione
Sicuramente molte di voi avranno sentito parlare dell’ “intuitive eating”, il cibarsi in maniera intuitiva. Sembra una buona cosa. Sembra una cosa difficile. Sembra una cosa… interessante. Di che si tratta?
Bè, innanzitutto, per praticare l’alimentazione intuitiva in maniera propria, bisogna avere un buon intuito. Lavorare sull’intuizione.
Premetto: io non sono capace di seguire questo tipo di regime alimentare, anche se mi piacerebbe. Però questo non significa niente, magari qualcuna di voi riesce a farlo, poichè siamo tutte persone differenti, ed ogni persona è una storia a sè.
E per farlo, dunque, dovete innanzitutto avere la piena consapevolezza di ciò che è meglio per il vostro corpo e per la vostra salute, e farlo ad ogni costo. E, come certo saprete, questo è estremamente difficile. Se non riuscite a farlo, o comunque se il vostro corpo non è in grado di fornirvi i giusti segnali perché ancora troppo influenzato dalla vostra mente, non è ancora arrivato il vostro momento di praticare l’alimentazione intuitiva. Non vi porterebbe a conseguenze salutari.
Personalmente, per quello che è il mio carattere, attualmente mangiare seguendo l’ “equilibrio alimentare” che mi ha prescritto la dietista che mi segue e pesando tutto al grammo mi fa sentire più sicura. Però so che c’è chi viene stimolata ancor più a restringere da un’alimentazione così rigidamente programmata. Allora, potreste provare a mediare tra “equilibrio alimentare” ed alimentazione intuitiva. In questo modo, potrete avere comunque una certa libertà d’azione: potete concedervi qualcosa che desiderate, e allo stesso tempo seguire delle linee-giuda per essere sicure di non finire col restringere o coll’abbuffarvi per poi vomitare.
Integrando a poco a poco l’alimentazione intuitiva con l’ “equilibrio alimentare”, potreste imparare a capire il vostro corpo, ad ascoltare i suoi bisogni, ad ascoltare voi stesse senza preoccuparvi di uscire matte o di avere ricadute.
Potreste iniziare dapprima a svincolare alcuni alimenti dall’ “equilibrio alimentare”, per esempio quelli che vi danno meno ansia, evitando così di pesarli. Per esempio, potreste iniziare col pesare tutto meno che la frutta. E poi, a poco a poco, quando vi sentirete più sicure, allargare il raggio d’azione ad altri cibi.
Certo, non tutte siamo uguali. Ci sono persone che riescono ad applicare l’alimentazione intuitiva con successo fin dai primi tentativi, ed altre che invece fanno difficoltà. È perfettamente normale. Ed è giusto che ognuna segua la strada che la fa sentire più a proprio agio. Probabilmente l’alimentazione intuitiva non è per tutte. Sicuramente non è per me. Ma sono certa che per alcune possa funzionare più che bene, e dare un contributo fondamentale per svincolarsi dall’ “equilibrio alimentare”. Ovvio, ci vuole comunque pazienza. E ci vuole pratica. Iniziare l’alimentazione intuitiva di botto e su tutti i pasti del giorno non la definirei una buona idea… Magari potreste provare a farla per un paio di giorni, e guardare come reagisce il vostro corpo e il vostro peso, o discuterne con la vostra dietista/nutrizionista e vedere cosa può fare per darvi una mano.
Potrebbe essere un buon traguardo.
Certo, come ho già detto, l’alimentazione intuitiva richiede intuizione! ^___^
Consigli? Parlatene con la vostra dietista/nutrizionista e soprattutto con i vostri familiari. Spiegategli che state cercando di riconoscere i segnali del vostro corpo riguardo a fame/sazietà e tutto ciò che le riguarda, E guardate se questo modo di alimentarvi può esservi d’aiuto oppure vi riporta ad adottare condotte disfunzionali. Non arrabbiatevi, non rattristatevi, non sentitevi frustrate se non va al primo tentativo. Ci vuole tanto tempo per imparare ad ascoltare di nuovo il proprio corpo. Siate pazienti con voi stesse. Siate gentili. Lo meritate.
Bè, innanzitutto, per praticare l’alimentazione intuitiva in maniera propria, bisogna avere un buon intuito. Lavorare sull’intuizione.
Premetto: io non sono capace di seguire questo tipo di regime alimentare, anche se mi piacerebbe. Però questo non significa niente, magari qualcuna di voi riesce a farlo, poichè siamo tutte persone differenti, ed ogni persona è una storia a sè.
E per farlo, dunque, dovete innanzitutto avere la piena consapevolezza di ciò che è meglio per il vostro corpo e per la vostra salute, e farlo ad ogni costo. E, come certo saprete, questo è estremamente difficile. Se non riuscite a farlo, o comunque se il vostro corpo non è in grado di fornirvi i giusti segnali perché ancora troppo influenzato dalla vostra mente, non è ancora arrivato il vostro momento di praticare l’alimentazione intuitiva. Non vi porterebbe a conseguenze salutari.
Personalmente, per quello che è il mio carattere, attualmente mangiare seguendo l’ “equilibrio alimentare” che mi ha prescritto la dietista che mi segue e pesando tutto al grammo mi fa sentire più sicura. Però so che c’è chi viene stimolata ancor più a restringere da un’alimentazione così rigidamente programmata. Allora, potreste provare a mediare tra “equilibrio alimentare” ed alimentazione intuitiva. In questo modo, potrete avere comunque una certa libertà d’azione: potete concedervi qualcosa che desiderate, e allo stesso tempo seguire delle linee-giuda per essere sicure di non finire col restringere o coll’abbuffarvi per poi vomitare.
Integrando a poco a poco l’alimentazione intuitiva con l’ “equilibrio alimentare”, potreste imparare a capire il vostro corpo, ad ascoltare i suoi bisogni, ad ascoltare voi stesse senza preoccuparvi di uscire matte o di avere ricadute.
Potreste iniziare dapprima a svincolare alcuni alimenti dall’ “equilibrio alimentare”, per esempio quelli che vi danno meno ansia, evitando così di pesarli. Per esempio, potreste iniziare col pesare tutto meno che la frutta. E poi, a poco a poco, quando vi sentirete più sicure, allargare il raggio d’azione ad altri cibi.
Certo, non tutte siamo uguali. Ci sono persone che riescono ad applicare l’alimentazione intuitiva con successo fin dai primi tentativi, ed altre che invece fanno difficoltà. È perfettamente normale. Ed è giusto che ognuna segua la strada che la fa sentire più a proprio agio. Probabilmente l’alimentazione intuitiva non è per tutte. Sicuramente non è per me. Ma sono certa che per alcune possa funzionare più che bene, e dare un contributo fondamentale per svincolarsi dall’ “equilibrio alimentare”. Ovvio, ci vuole comunque pazienza. E ci vuole pratica. Iniziare l’alimentazione intuitiva di botto e su tutti i pasti del giorno non la definirei una buona idea… Magari potreste provare a farla per un paio di giorni, e guardare come reagisce il vostro corpo e il vostro peso, o discuterne con la vostra dietista/nutrizionista e vedere cosa può fare per darvi una mano.
Potrebbe essere un buon traguardo.
Certo, come ho già detto, l’alimentazione intuitiva richiede intuizione! ^___^
Consigli? Parlatene con la vostra dietista/nutrizionista e soprattutto con i vostri familiari. Spiegategli che state cercando di riconoscere i segnali del vostro corpo riguardo a fame/sazietà e tutto ciò che le riguarda, E guardate se questo modo di alimentarvi può esservi d’aiuto oppure vi riporta ad adottare condotte disfunzionali. Non arrabbiatevi, non rattristatevi, non sentitevi frustrate se non va al primo tentativo. Ci vuole tanto tempo per imparare ad ascoltare di nuovo il proprio corpo. Siate pazienti con voi stesse. Siate gentili. Lo meritate.
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giovedì 23 aprile 2009
Tenere duro
Più continuerete a tenere duro, più il percorso del ricoverò diventerà una strada meno in salita. Cose che oggi vi riescono difficili, le troverete un domani spontanee e naturali. Man mano che procederete per la vostra strada, scoprirete parti di voi che non avevate ancora visto. Imparerete su voi stesse da voi stesse. E arriverete come desiderate, anche se questo avrò richiesto un sacco di tempo e di sforzi.
E sicuramente di sforzi adesso ne state facendo un sacco. E probabilmente state pure pensando: “Quando potrò fare un po’ meno fatica?” o “Quando sarò libera da tutto questo?”. Bè, ricordatevi sempre che la strada del ricovero è una strada che dura per tutta la vita, ma che il meglio deve ancora venire. Che voi potete farcela. Perché avete tutte le carte in regola. E che le cose in futuro saranno davvero più semplici.
Le ricadute accadranno inevitabilmente. Ma tenete duro. Non lasciate che interrompano del tutto il vostro percorso.
Non lasciatevi condizionare dai pareri e dagli sguardi altrui. Non lasciate che qualcuno vi dica come dovete essere e cosa dovete provare. Appartenete solo a voi stesse. Non pensate neanche per un attimo che i vostri insuccessi passati pregiudichino i vostri successi futuri. Avete un mondo davanti, e tutte le armi per affrontarlo, se solo vi decidete a tirarle fuori. Se solo lo volete veramente. Perciò, tenete duro e scegliete il ricovero. Ripeto, qualsiasi significato abbia per voi questa parola, che si tratti di ricoverarvi in una clinica, di farvi seguire settimanalmente da uno psicoterapeuta, di consultare un dietista/nutrizionista o di lottare da sole. Se avete la determinazione di scegliere il ricovero in piena convinzione, siete già a metà strada. Se invece sentite che la vostra motivazione al ricovero vacilla, fate di tutto per rinforzarla. Se sentite che ci sono un sacco di cose che non vanno bene nella vostra vita, provate a cambiarne una. Cambiare una cosa può servire a cambiarne molte altre, in una sorta di reazione a catena senza fine.
Certo, scegliere il ricovero non significa andare su una strada in dicesa dove tutto andrà a meraviglia. Ma significa che voi cercherete di fare di tutto affinché le cose vadano più a meraviglia possibile. Non preoccupatevi di quanti contro l’anoressia può farvi venire in mente per impedirvi d’iniziare un processo di ricovero: i pro saranno sempre più numerosi e, soprattutto, più importanti. Starete meglio, vi sentirete meglio, imparerete a vivere di nuovo. Se avete un perché per vivere, sopporterete qualsiasi come.
Tenete duro. Vi voglio bene.
E sicuramente di sforzi adesso ne state facendo un sacco. E probabilmente state pure pensando: “Quando potrò fare un po’ meno fatica?” o “Quando sarò libera da tutto questo?”. Bè, ricordatevi sempre che la strada del ricovero è una strada che dura per tutta la vita, ma che il meglio deve ancora venire. Che voi potete farcela. Perché avete tutte le carte in regola. E che le cose in futuro saranno davvero più semplici.
Le ricadute accadranno inevitabilmente. Ma tenete duro. Non lasciate che interrompano del tutto il vostro percorso.
Non lasciatevi condizionare dai pareri e dagli sguardi altrui. Non lasciate che qualcuno vi dica come dovete essere e cosa dovete provare. Appartenete solo a voi stesse. Non pensate neanche per un attimo che i vostri insuccessi passati pregiudichino i vostri successi futuri. Avete un mondo davanti, e tutte le armi per affrontarlo, se solo vi decidete a tirarle fuori. Se solo lo volete veramente. Perciò, tenete duro e scegliete il ricovero. Ripeto, qualsiasi significato abbia per voi questa parola, che si tratti di ricoverarvi in una clinica, di farvi seguire settimanalmente da uno psicoterapeuta, di consultare un dietista/nutrizionista o di lottare da sole. Se avete la determinazione di scegliere il ricovero in piena convinzione, siete già a metà strada. Se invece sentite che la vostra motivazione al ricovero vacilla, fate di tutto per rinforzarla. Se sentite che ci sono un sacco di cose che non vanno bene nella vostra vita, provate a cambiarne una. Cambiare una cosa può servire a cambiarne molte altre, in una sorta di reazione a catena senza fine.
Certo, scegliere il ricovero non significa andare su una strada in dicesa dove tutto andrà a meraviglia. Ma significa che voi cercherete di fare di tutto affinché le cose vadano più a meraviglia possibile. Non preoccupatevi di quanti contro l’anoressia può farvi venire in mente per impedirvi d’iniziare un processo di ricovero: i pro saranno sempre più numerosi e, soprattutto, più importanti. Starete meglio, vi sentirete meglio, imparerete a vivere di nuovo. Se avete un perché per vivere, sopporterete qualsiasi come.
Tenete duro. Vi voglio bene.
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lunedì 20 aprile 2009
Scoprire "pensieri da ricovero"
Una delle cose più importanti, quando s’intraprende la strada del ricovero, è essere sincere con se stesse. Parlarsi in onestà significa anche mettersi di fronte a verità spiacevoli. Ma è necessario, se si vuole che veramente ciò che si sta facendo abbia un senso e possa portare da qualche parte.
E una delle cose su cui bisogna imparare sin da subito a dirsi la verità, riguarda i sentimenti provati nei confronti del proprio corpo e del proprio peso.
In tal senso, il ricovero può apparire un po’ come una battaglia tra due parti di noi stesse. Quella che vuole guarire, e quella che rimane nonostante tutto aggrappata al DCA. Una sorta di infinita partita a ping-pong.
Una cosa del tipo:
Vedete che il vostro peso aumenta. Vedete che i numeri sulla bilancia salgono. Fremete. Vi si spezza il respiro. Venite assalite dall’ansia. Provate a dirvi che va tutto bene perché state raggiungendo un peso che vi permetterà di essere in salute. Ma non vi sentite bene. Sebbene con la razionalità lo sappiate, con i sentimenti non riuscite ad arrivarci. Così, pensate di restringere. O di mettervi a fare esercizio fisico in maniera compulsiva. O di vomitare. Ma sapete che non potete farlo perché volete proseguire sulla strada del ricovero. E cercate di mantenere tutti i questi pensieri fuori dalla vostra mente perché vi fanno impazzire.
Ora, il punto è: se cedete alla restrizione, se provate di nuovo a vomitare, riprenderete quella spirale discendente che vi riporterà dritte dritte nelle braccia di ciò da cui state cercando di fuggire. Ricordatevelo. È molto, molto semplice dire “Ma no, restringo solo per una volta, poi ritorno a mangiare seguendo il mio equilibrio alimentare!”… solo che non succede mai così. Perché la restrizione fa sentire bene. E così “Solo per una volta” diventerà “solo per 2 volte” e poi “solo per 3 volte” e così via. E continuerete a restringere convinte di potervi fermare da un momento all’altro, senza rendervi conto che invece siete già riprecipitate nella logica perversa dell’anoressia che vi domina di nuovo. Lo sapete. È semplice dire che si restringerà solo un po’, solo per una volta, ma farlo è molto pericoloso. Un passo in avanti quando si è sull’orlo dell’abisso.
Ve lo dico per esperienza.
Una volta, dopo uno dei miei ricoveri, quando avevo raggiunto un peso “normale”, iniziai ad essere presa dall’ansia anche se ero comunque determinata a proseguire il mio persorso di ricovero, così mi dissi che avrei ristretto solo un pochino, solo per sentirmi un po’ meglio, solo per sentirmi un po’ più me stessa. E poi basta. Perciò lo feci. Brutta mossa, sì. Prima ancora che me ne rendessi conto, ero già tornata a XX Kg. E davvero volevo stare bene, volevo lasciarmi alle spalle l’anoressia. Ma c’ero di nuovo dentro. Dentro fino al collo. Tutto da rifare.
Non voglio che questo succeda a qualcuna di voi. So che ci sono mementi difficili, in cui sembra che restringere sia l’unica soluzione ma, davvero, restringere non è la soluzione. È il problema. Perciò, cercate di essere forti e di non cedere alla tentazione di restringere anche quando vedrete la lancetta della bilancia spostarsi verso destra. In fin dei conti, se ben ci pensate, la bilancia è un oggetto. Un oggetto esattamente come un tostapane o un frullatore. Lascereste che il vostro umore venga influenzato da un tostapane o da un frullatore? Lascereste che un tostapane vi dica quanto valete? Lascereste che un frullatore vi faccia piangere o gioire? Non credo proprio… E lo stesso vale per una bilancia. La bilancia ha potere solo perché siete voi a darglielo. Ricordatevelo, quando vi sentirete giù perché la lancetta si muove verso destra. Quel numero non misura quanto valete.
Tra l’altro, vi accorgerete che più siete capaci di resistere alla tentazione di restringere e agli altri comportamenti disfunzionali, meno sarà importante per voi quello che dice la bilancia.
Andrà più o meno così:
Vedete il numero sulla bilancia. Non vi piace per niente. Ma non cedete al forte desiderio di restringere.
Passano i giorni.
Vedete il numero sulla bilancia. Non vi piace un granché. Ma non avete più quel forte desiderio di restringere.
Passano i giorni.
Vedete il numero sulla bilancia. Non è che vi piaccia molto. Ma dopo un po’ non ci pensate più, e ve lo dimenticate per il resto della giornata.
Passano i giorni.
Vedete il numero sulla bilancia. Vi sentite piuttosto indifferenti. Non vi piace né vi dispiace. Perché sapete che è la cosa giusta per stare bene. E perché cominciate a sentirvi bene.
Passano i giorni.
Vedete il numero sulla bilancia. Vi sentite indifferenti. Sapete che avete fatto un altro passo avanti nella strada della vostra vera vita. E vi sentite un po’ più forti.
Passano i giorni.
Vedete il numero sulla bilancia. Vi sentite decisamente indifferenti. Cominciate a sentirvi bene. Perché un numero non influenza più il vostro umore.
Passano i giorni.
Vedete il numero sulla bilancia. Vi piace. E sapete perché? Perché significa che siete libere dal potere della bilancia e dei numeri. Che siete voi a decidere come vi sentite.
Può richiedere mesi, anni, decenni, ma potete farcela. Ricordate che ogni volta che salite sulla bilancia e provate a fare in modo che il numero che segna non vi influenzi, state facendo un passo avanti. Un grande passo verso la meta. Che potete davvero raggiungere.
E una delle cose su cui bisogna imparare sin da subito a dirsi la verità, riguarda i sentimenti provati nei confronti del proprio corpo e del proprio peso.
In tal senso, il ricovero può apparire un po’ come una battaglia tra due parti di noi stesse. Quella che vuole guarire, e quella che rimane nonostante tutto aggrappata al DCA. Una sorta di infinita partita a ping-pong.
Una cosa del tipo:
Vedete che il vostro peso aumenta. Vedete che i numeri sulla bilancia salgono. Fremete. Vi si spezza il respiro. Venite assalite dall’ansia. Provate a dirvi che va tutto bene perché state raggiungendo un peso che vi permetterà di essere in salute. Ma non vi sentite bene. Sebbene con la razionalità lo sappiate, con i sentimenti non riuscite ad arrivarci. Così, pensate di restringere. O di mettervi a fare esercizio fisico in maniera compulsiva. O di vomitare. Ma sapete che non potete farlo perché volete proseguire sulla strada del ricovero. E cercate di mantenere tutti i questi pensieri fuori dalla vostra mente perché vi fanno impazzire.
Ora, il punto è: se cedete alla restrizione, se provate di nuovo a vomitare, riprenderete quella spirale discendente che vi riporterà dritte dritte nelle braccia di ciò da cui state cercando di fuggire. Ricordatevelo. È molto, molto semplice dire “Ma no, restringo solo per una volta, poi ritorno a mangiare seguendo il mio equilibrio alimentare!”… solo che non succede mai così. Perché la restrizione fa sentire bene. E così “Solo per una volta” diventerà “solo per 2 volte” e poi “solo per 3 volte” e così via. E continuerete a restringere convinte di potervi fermare da un momento all’altro, senza rendervi conto che invece siete già riprecipitate nella logica perversa dell’anoressia che vi domina di nuovo. Lo sapete. È semplice dire che si restringerà solo un po’, solo per una volta, ma farlo è molto pericoloso. Un passo in avanti quando si è sull’orlo dell’abisso.
Ve lo dico per esperienza.
Una volta, dopo uno dei miei ricoveri, quando avevo raggiunto un peso “normale”, iniziai ad essere presa dall’ansia anche se ero comunque determinata a proseguire il mio persorso di ricovero, così mi dissi che avrei ristretto solo un pochino, solo per sentirmi un po’ meglio, solo per sentirmi un po’ più me stessa. E poi basta. Perciò lo feci. Brutta mossa, sì. Prima ancora che me ne rendessi conto, ero già tornata a XX Kg. E davvero volevo stare bene, volevo lasciarmi alle spalle l’anoressia. Ma c’ero di nuovo dentro. Dentro fino al collo. Tutto da rifare.
Non voglio che questo succeda a qualcuna di voi. So che ci sono mementi difficili, in cui sembra che restringere sia l’unica soluzione ma, davvero, restringere non è la soluzione. È il problema. Perciò, cercate di essere forti e di non cedere alla tentazione di restringere anche quando vedrete la lancetta della bilancia spostarsi verso destra. In fin dei conti, se ben ci pensate, la bilancia è un oggetto. Un oggetto esattamente come un tostapane o un frullatore. Lascereste che il vostro umore venga influenzato da un tostapane o da un frullatore? Lascereste che un tostapane vi dica quanto valete? Lascereste che un frullatore vi faccia piangere o gioire? Non credo proprio… E lo stesso vale per una bilancia. La bilancia ha potere solo perché siete voi a darglielo. Ricordatevelo, quando vi sentirete giù perché la lancetta si muove verso destra. Quel numero non misura quanto valete.
Tra l’altro, vi accorgerete che più siete capaci di resistere alla tentazione di restringere e agli altri comportamenti disfunzionali, meno sarà importante per voi quello che dice la bilancia.
Andrà più o meno così:
Vedete il numero sulla bilancia. Non vi piace per niente. Ma non cedete al forte desiderio di restringere.
Passano i giorni.
Vedete il numero sulla bilancia. Non vi piace un granché. Ma non avete più quel forte desiderio di restringere.
Passano i giorni.
Vedete il numero sulla bilancia. Non è che vi piaccia molto. Ma dopo un po’ non ci pensate più, e ve lo dimenticate per il resto della giornata.
Passano i giorni.
Vedete il numero sulla bilancia. Vi sentite piuttosto indifferenti. Non vi piace né vi dispiace. Perché sapete che è la cosa giusta per stare bene. E perché cominciate a sentirvi bene.
Passano i giorni.
Vedete il numero sulla bilancia. Vi sentite indifferenti. Sapete che avete fatto un altro passo avanti nella strada della vostra vera vita. E vi sentite un po’ più forti.
Passano i giorni.
Vedete il numero sulla bilancia. Vi sentite decisamente indifferenti. Cominciate a sentirvi bene. Perché un numero non influenza più il vostro umore.
Passano i giorni.
Vedete il numero sulla bilancia. Vi piace. E sapete perché? Perché significa che siete libere dal potere della bilancia e dei numeri. Che siete voi a decidere come vi sentite.
Può richiedere mesi, anni, decenni, ma potete farcela. Ricordate che ogni volta che salite sulla bilancia e provate a fare in modo che il numero che segna non vi influenzi, state facendo un passo avanti. Un grande passo verso la meta. Che potete davvero raggiungere.
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lunedì 30 marzo 2009
La perfezione - anche nel ricovero - non esiste
DCAmocelo apertamente: il percorso del ricovero è uno dei più difficili che si possano intraprendere. E chi pretende di proiettare il perfezionismo applicato nella restrizione al processo di ricovero, bè, è completamente fuori strada.
Anche quando mente e corpo ricominciano ad essere più o meno okay, e quando il percorso inizia a sembrare un po’ meno duro, ci sono sempre momenti in cui i DCA rifanno capolino, e allora bisogna cercare a tutti i costi di mantenere la concentrazione su quello che è giusto fare, senza dare retta alla loro voce. Pensare positivo non viene sempre naturale, soprattutto nei primi periodi. E, a volte, in certi momenti, è difficile anche dopo. Sono la prima a dire che, sebbene adesso le cose mi stiano andando molto meglio di, per esempio, un anno fa, non ho certo raggiunto la completa remissione né tanto meno la perfezione. Anche se cerco di stringere i denti nei momenti difficili, anche se cerco di lavorare duro e di fare del mio meglio, ci sono sempre momenti in cui finisco per abbassare la testa. Momenti in cui faccio qualcosa di sbagliato, e allora devo ricordare a me stessa tutto il lavoro che ho fatto, per cercare di riportarmi subito in carreggiata. Per usare un’analogia: sono uscita dalla foresta, ma abito in una casa che è a chilometri dalla strada.
Cosa sto cercando di dire?
Esempio tratto dalla vita reale: Sabato mattina
mi sono svegliata,
mi sono alzata,
ho fatto colazione,
sono andata in bagno,
ho fatto 10 minuti di cyclette,
ho studiato,
ho ascoltato qualche canzone dell'ultimo album delle t.A.T.u.,
ho fatto un po’ di (odiate) pulizie casalinghe,
sono uscita per andare dal fruttivendolo,
sono tornata a casa e ho fatto una doccia…
… poi, guardandomi riflessa nello specchio del gabinetto, ho notato anche l’orologio a parete che segnava le 12.45, e mi sono resa conto che avevo dimenticato di mangiare lo spuntino di metà mattina!!
Cose del genere non mi succedono molto di frequente, a dire il vero, ma ogni tanto possono capitare… omissioni inconsce che mi riportano a quando restringevo. Perché la strada vecchia è talmente usuale che si finisce per ripercorrerla anche senza rendercene conto. Dato che sono, nonostante tutto, una persona pignola e perfezionista, di solito seguo il mio “equilibrio alimentare” senza sgarrare, perciò una cosa del genere non mi era accaduta da tempo, e molto probabilmente passeranno mesi e mesi prima che succeda di nuovo, se risuccederà. Ma ci sono momenti, come questo di cui ho appena scritto, in cui mi rendo conto che l’anoressia è ancora presente in me. Che è parte di me, e devo combatterla costantemente per impedirle di rialzare la testa. Tuttavia, non mi metto in croce: le defaillances possono benissimo starci. L’importante è accorgersene subito, e non permettergli di ripetersi di nuovo.
DCAmocelo apertamente: nessuna è perfetta. Possiamo solo cercare di fare del nostro meglio. Perciò anche il ricovero, non rappresenta la perfezione… ma solo una realtà che tutte possiamo viver giorno dopo giorno. Basta solo volerlo veramente.
Un abbraccio forte a tutte quante…
Anche quando mente e corpo ricominciano ad essere più o meno okay, e quando il percorso inizia a sembrare un po’ meno duro, ci sono sempre momenti in cui i DCA rifanno capolino, e allora bisogna cercare a tutti i costi di mantenere la concentrazione su quello che è giusto fare, senza dare retta alla loro voce. Pensare positivo non viene sempre naturale, soprattutto nei primi periodi. E, a volte, in certi momenti, è difficile anche dopo. Sono la prima a dire che, sebbene adesso le cose mi stiano andando molto meglio di, per esempio, un anno fa, non ho certo raggiunto la completa remissione né tanto meno la perfezione. Anche se cerco di stringere i denti nei momenti difficili, anche se cerco di lavorare duro e di fare del mio meglio, ci sono sempre momenti in cui finisco per abbassare la testa. Momenti in cui faccio qualcosa di sbagliato, e allora devo ricordare a me stessa tutto il lavoro che ho fatto, per cercare di riportarmi subito in carreggiata. Per usare un’analogia: sono uscita dalla foresta, ma abito in una casa che è a chilometri dalla strada.
Cosa sto cercando di dire?
Esempio tratto dalla vita reale: Sabato mattina
mi sono svegliata,
mi sono alzata,
ho fatto colazione,
sono andata in bagno,
ho fatto 10 minuti di cyclette,
ho studiato,
ho ascoltato qualche canzone dell'ultimo album delle t.A.T.u.,
ho fatto un po’ di (odiate) pulizie casalinghe,
sono uscita per andare dal fruttivendolo,
sono tornata a casa e ho fatto una doccia…
… poi, guardandomi riflessa nello specchio del gabinetto, ho notato anche l’orologio a parete che segnava le 12.45, e mi sono resa conto che avevo dimenticato di mangiare lo spuntino di metà mattina!!
Cose del genere non mi succedono molto di frequente, a dire il vero, ma ogni tanto possono capitare… omissioni inconsce che mi riportano a quando restringevo. Perché la strada vecchia è talmente usuale che si finisce per ripercorrerla anche senza rendercene conto. Dato che sono, nonostante tutto, una persona pignola e perfezionista, di solito seguo il mio “equilibrio alimentare” senza sgarrare, perciò una cosa del genere non mi era accaduta da tempo, e molto probabilmente passeranno mesi e mesi prima che succeda di nuovo, se risuccederà. Ma ci sono momenti, come questo di cui ho appena scritto, in cui mi rendo conto che l’anoressia è ancora presente in me. Che è parte di me, e devo combatterla costantemente per impedirle di rialzare la testa. Tuttavia, non mi metto in croce: le defaillances possono benissimo starci. L’importante è accorgersene subito, e non permettergli di ripetersi di nuovo.
DCAmocelo apertamente: nessuna è perfetta. Possiamo solo cercare di fare del nostro meglio. Perciò anche il ricovero, non rappresenta la perfezione… ma solo una realtà che tutte possiamo viver giorno dopo giorno. Basta solo volerlo veramente.
Un abbraccio forte a tutte quante…
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giovedì 19 febbraio 2009
Ricordando l'obiettivo...
Questo blog ha uno scopo e un proposito. Non solo, ha un messaggio. Ha un obiettivo. È qui soprattutto per dare una mano alle ragazze con disturbi alimentari. Il mio obiettivo è quello di far capire che è possibile convivere con l’anoressia senza farsene sopraffare, perché è ciò che sto facendo. Perciò voglio che le persone che leggono qui possano dire: “Ehi, se ce la fa lei, allora posso benissimo farcela anch’io!”.
Tutto qui.
Fin dal mio primo ricovero, fin dai miei primi colloqui con psichiatre e psicologhe, ho sempre avuto la sensazione di trovarmi al cospetto di persone estremamente competenti… da un punto di vista teorico. E si sa che il gap tra teoria e pratica è sempre enorme. Sapevo che loro mi comprendevano, ma contemporaneamente mi rendevo pure conto che non potevano capirmi. Semplicemente perché non l’avevano vissuto, solo studiato sui libri. Ed invece avrei tanto voluto una persona che sapesse veramente cosa fosse il mio inferno-paradiso. Perciò, poiché non ho avuto quello che desideravo, sto cercando di trasformarmi in questo per qualcun’altra.
Quando facevo le scuole medie e vedevo ragazze anoressiche in TV o leggevo articoli di giornale in proposito, pensavo che non avrei mai avuto niente a che fare con questo mondo. Ma improvvisamente, prima che me ne rendessi conto, c’ero già dentro. La realtà era diventata TV, e la finzione si era tramutata in realtà.
Quando sono arrivata a pesare XX Kg, sono stata ricoverata per la prima volta. E, l’ho già scritto, non è stato che il primo dei miei ricoveri. Ho fatto passi avanti e poi sono tornata indietro, ho visto la luce e sono sprofondata ancora nelle tenebre, sono stata peggio prima di stare meglio e poi ancora peggio. Talvolta stavo peggio solo perché questo mi faceva sentire meglio.
Per tanto tempo non c’era niente che scattasse dentro la mia testa, per questo finivo inevitabilmente per ricadere negli stessi errori. Non volevo guarire sul serio, anche se era quello che dicevo. La restrizione e l’anoressia erano diventate tali costanti nella mia vita che avevo finito per considerarle normali e, a loro modo, confortanti. Rassicuranti. Restringere, tenere sotto controllo il cibo, mi faceva sentire in grado di tenere sotto controllo molti altri aspetti della mia vita. E, soprattutto, mi faceva sentire speciale. Anche se sapevo che era distorto, non volevo smettere perché non c’era mai stato nient’altro nella mia vita in grado di farmi sentire così speciale. Perciò mi arrabbiavo ogni qualvolta la dietista mi diceva che sarei dovuta arrivare a pesare almeno XX Kg, era un qualcosa di estremamente ansiogeno per me, perché continuavo a pensare a quale sarebbe stato il mio aspetto se avessi raggiunto quel peso, pur sapendo, in qualche recondito angolo della mia mente che mi ostinavo a mettere a tacere, che una donna avrebbe dovuto pesare pure di più di quanto pronosticava per me la dietista… e, ovviamente, anche avere molte più curve. Sembrare una donna. Non una ragazzina.
Anche quando ho cominciato a migliorare e a mangiare abbastanza da poter essere considerata “okay”, ho continuato sempre e comunque a combattere con gli aspetti mentali dell’anoressia: le fondamenta dell’ice-berg. Quello che mi ha sempre dato più noia è che nel momento in cui riacquisti un peso “normale” tutti pensano che stai di nuovo bene e che è finito tutto e che non hai più niente. Non è assolutamente vero, ovviamente, ma gli altri non lo capiscono. È una delle cose più lontane che ci siano dalla verità. L’anoressia è tutta una questione di testa, e si può essere anoressiche a qualsiasi peso. Ma è difficile spiegare a chi non l’ha vissuto sulla propria pelle.
Io sono sempre stata una di quelle persone capaci di fare buon viso a cattivo gioco – di sorridere quando avrei voluto piangere, di parlare sottovoce quando avrei voluto gridare, di dire che andava tutto bene quando stavo da cani – e se questo da una parte può avermi aiutata a fare in modo che nessuno sapesse esplicitamente della mia anoressia, dall’altra sicuramente è stato un fattore di mantenimento del sintomo. Un po’ come se, poiché nessuno conosceva i miei problemi, allora i miei problemi non esistevano, e potevo far finta di essere “normale” e di vivere una vita “normale” almeno per un po’. Ma era un po’ triste. Perché dentro di me mi sentivo continuamente andare in pezzi. Volevo essere felice con gli altri, ma non potevo essere me stessa. Quindi solo la mia maschera era felice. Ma io? Dov’ero finita io?
Mi sentivo come confinata in un angolo a guardare una ragazza che faceva finta di essere me che faceva finta che fosse tutto a posto, di essere felice e di divertirsi.
Mi ero costruita il mio mondo perfetto, avevo fatto in modo di non destare sospetti in nessuno, ed io credevo di essere appagata. Però, ogni tanto, mi sembrava di sentire una voce. “Va davvero tutto bene, Veggie?”. Era come se dentro di me ci fosse stato un blocco di ghiaccio che non si scioglieva mai. Ero lontana anni-luce da tutti, anche quando ero circondata dalla gente. Anche se non volevo ammetterlo, questo mi metteva a disagio, perché mi faceva pensare di essere incapace di provare ogni qualsiasi sentimento. Qualsiasi cosa succedesse, avevo come l’impressione che niente potesse realmente toccarmi. A parte l’anoressia, l’inebriante senso di potere derivato dalla restrizione, tutto mi sembrava indifferente. Ma dentro di me ero tormentata da un grande dubbio. “La realtà è che io non esisto più? Anche se sono tecnicamente viva, la vera me stessa è già morta da un pezzo…”. Se l’era portata via l’anoressia. E io ero rimasta sola. Incastrata da qualche parte nella mia mente, e sola.
Anche se cercavo di mentire a me stessa, sapevo che non mi piaceva affatto l’idea di poter vivere tutta la mia vita in questo modo. Del resto, a chi piacerebbe?
Sapevo, del resto, che se non fossi cambiata io, se non avessi deciso di fare qualcosa, la situazione non sarebbe cambiata. Sapevo che se non avessi deciso di cominciare ad arrampicarmi, dentro quel buco ci sarei rimasta. Che se non avessi cercato di salvare me stessa, nessuno mi avrebbe salvata. E che se non fossi riuscita a salvare me stessa, non sarei stata mai in grado di salvare nessuno.
Soltanto durante l’ultimo periodo del mio 2° anno di università sono riuscita a capirlo fino in fondo. E a reagire. Dopo anni ed anni in cui ero rimasta sul fondo. Dopo anni ed anni di ricoveri. Dopo anni e anni di “equilibri alimentari” prescritti dalla dietista e mai seguiti fino in fondo. Dopo anni ed anni di bugie. Dopo anni ed anni di scorno con la mia famiglia. Dopo anni ed anni di psicoterapia a singhiozzo, assolutamente inconcludente. Dopo anni e anni di una vita che non era vita. Dopo anni ed anni, ho cominciato ad insegnare a me stessa come spezzare il circolo vizioso che stavo ostinandomi a percorrere.
Capendo finalmente che.
Non. Ho. Bisogno. Dell’. Anoressia. Per. Essere. Speciale.
Perché, è vero, non sono speciale. Sono normale. E va bene così. Perché non c’è niente di più speciale del riuscire ad affrontare la vita giorno dopo giorno essendo una persona normale.
E questo vale per tutte voi.
E questo può cominciare con tutte voi.
Ma, soprattutto, questo può cominciare.
Tutto qui.
Fin dal mio primo ricovero, fin dai miei primi colloqui con psichiatre e psicologhe, ho sempre avuto la sensazione di trovarmi al cospetto di persone estremamente competenti… da un punto di vista teorico. E si sa che il gap tra teoria e pratica è sempre enorme. Sapevo che loro mi comprendevano, ma contemporaneamente mi rendevo pure conto che non potevano capirmi. Semplicemente perché non l’avevano vissuto, solo studiato sui libri. Ed invece avrei tanto voluto una persona che sapesse veramente cosa fosse il mio inferno-paradiso. Perciò, poiché non ho avuto quello che desideravo, sto cercando di trasformarmi in questo per qualcun’altra.
Quando facevo le scuole medie e vedevo ragazze anoressiche in TV o leggevo articoli di giornale in proposito, pensavo che non avrei mai avuto niente a che fare con questo mondo. Ma improvvisamente, prima che me ne rendessi conto, c’ero già dentro. La realtà era diventata TV, e la finzione si era tramutata in realtà.
Quando sono arrivata a pesare XX Kg, sono stata ricoverata per la prima volta. E, l’ho già scritto, non è stato che il primo dei miei ricoveri. Ho fatto passi avanti e poi sono tornata indietro, ho visto la luce e sono sprofondata ancora nelle tenebre, sono stata peggio prima di stare meglio e poi ancora peggio. Talvolta stavo peggio solo perché questo mi faceva sentire meglio.
Per tanto tempo non c’era niente che scattasse dentro la mia testa, per questo finivo inevitabilmente per ricadere negli stessi errori. Non volevo guarire sul serio, anche se era quello che dicevo. La restrizione e l’anoressia erano diventate tali costanti nella mia vita che avevo finito per considerarle normali e, a loro modo, confortanti. Rassicuranti. Restringere, tenere sotto controllo il cibo, mi faceva sentire in grado di tenere sotto controllo molti altri aspetti della mia vita. E, soprattutto, mi faceva sentire speciale. Anche se sapevo che era distorto, non volevo smettere perché non c’era mai stato nient’altro nella mia vita in grado di farmi sentire così speciale. Perciò mi arrabbiavo ogni qualvolta la dietista mi diceva che sarei dovuta arrivare a pesare almeno XX Kg, era un qualcosa di estremamente ansiogeno per me, perché continuavo a pensare a quale sarebbe stato il mio aspetto se avessi raggiunto quel peso, pur sapendo, in qualche recondito angolo della mia mente che mi ostinavo a mettere a tacere, che una donna avrebbe dovuto pesare pure di più di quanto pronosticava per me la dietista… e, ovviamente, anche avere molte più curve. Sembrare una donna. Non una ragazzina.
Anche quando ho cominciato a migliorare e a mangiare abbastanza da poter essere considerata “okay”, ho continuato sempre e comunque a combattere con gli aspetti mentali dell’anoressia: le fondamenta dell’ice-berg. Quello che mi ha sempre dato più noia è che nel momento in cui riacquisti un peso “normale” tutti pensano che stai di nuovo bene e che è finito tutto e che non hai più niente. Non è assolutamente vero, ovviamente, ma gli altri non lo capiscono. È una delle cose più lontane che ci siano dalla verità. L’anoressia è tutta una questione di testa, e si può essere anoressiche a qualsiasi peso. Ma è difficile spiegare a chi non l’ha vissuto sulla propria pelle.
Io sono sempre stata una di quelle persone capaci di fare buon viso a cattivo gioco – di sorridere quando avrei voluto piangere, di parlare sottovoce quando avrei voluto gridare, di dire che andava tutto bene quando stavo da cani – e se questo da una parte può avermi aiutata a fare in modo che nessuno sapesse esplicitamente della mia anoressia, dall’altra sicuramente è stato un fattore di mantenimento del sintomo. Un po’ come se, poiché nessuno conosceva i miei problemi, allora i miei problemi non esistevano, e potevo far finta di essere “normale” e di vivere una vita “normale” almeno per un po’. Ma era un po’ triste. Perché dentro di me mi sentivo continuamente andare in pezzi. Volevo essere felice con gli altri, ma non potevo essere me stessa. Quindi solo la mia maschera era felice. Ma io? Dov’ero finita io?
Mi sentivo come confinata in un angolo a guardare una ragazza che faceva finta di essere me che faceva finta che fosse tutto a posto, di essere felice e di divertirsi.
Mi ero costruita il mio mondo perfetto, avevo fatto in modo di non destare sospetti in nessuno, ed io credevo di essere appagata. Però, ogni tanto, mi sembrava di sentire una voce. “Va davvero tutto bene, Veggie?”. Era come se dentro di me ci fosse stato un blocco di ghiaccio che non si scioglieva mai. Ero lontana anni-luce da tutti, anche quando ero circondata dalla gente. Anche se non volevo ammetterlo, questo mi metteva a disagio, perché mi faceva pensare di essere incapace di provare ogni qualsiasi sentimento. Qualsiasi cosa succedesse, avevo come l’impressione che niente potesse realmente toccarmi. A parte l’anoressia, l’inebriante senso di potere derivato dalla restrizione, tutto mi sembrava indifferente. Ma dentro di me ero tormentata da un grande dubbio. “La realtà è che io non esisto più? Anche se sono tecnicamente viva, la vera me stessa è già morta da un pezzo…”. Se l’era portata via l’anoressia. E io ero rimasta sola. Incastrata da qualche parte nella mia mente, e sola.
Anche se cercavo di mentire a me stessa, sapevo che non mi piaceva affatto l’idea di poter vivere tutta la mia vita in questo modo. Del resto, a chi piacerebbe?
Sapevo, del resto, che se non fossi cambiata io, se non avessi deciso di fare qualcosa, la situazione non sarebbe cambiata. Sapevo che se non avessi deciso di cominciare ad arrampicarmi, dentro quel buco ci sarei rimasta. Che se non avessi cercato di salvare me stessa, nessuno mi avrebbe salvata. E che se non fossi riuscita a salvare me stessa, non sarei stata mai in grado di salvare nessuno.
Soltanto durante l’ultimo periodo del mio 2° anno di università sono riuscita a capirlo fino in fondo. E a reagire. Dopo anni ed anni in cui ero rimasta sul fondo. Dopo anni ed anni di ricoveri. Dopo anni e anni di “equilibri alimentari” prescritti dalla dietista e mai seguiti fino in fondo. Dopo anni ed anni di bugie. Dopo anni ed anni di scorno con la mia famiglia. Dopo anni ed anni di psicoterapia a singhiozzo, assolutamente inconcludente. Dopo anni e anni di una vita che non era vita. Dopo anni ed anni, ho cominciato ad insegnare a me stessa come spezzare il circolo vizioso che stavo ostinandomi a percorrere.
Capendo finalmente che.
Non. Ho. Bisogno. Dell’. Anoressia. Per. Essere. Speciale.
Perché, è vero, non sono speciale. Sono normale. E va bene così. Perché non c’è niente di più speciale del riuscire ad affrontare la vita giorno dopo giorno essendo una persona normale.
E questo vale per tutte voi.
E questo può cominciare con tutte voi.
Ma, soprattutto, questo può cominciare.
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sabato 7 febbraio 2009
Le tre "H"
Il problema: Come rapportarsi con persone che parlano costantemente di cibo/peso/dieta/forme corporee, considerando che questi anche per noi rappresentano dei grossi problemi.
Questo può suscitare:
- Ansia
- Tristezza
- Spirito di emulazione
- Richiamo ai disturbi alimentari
- Rabbia
- Senso di ricaduta
- Impotenza
- Dolore
- Panico
- Etc…
- Tutte le cose sopraelencate
Tanto più che, molto spesso, la persona in questione è una persona a cui tenete ma che non sa del vostro disturbo alimentare, del quale non volete comunque parlare. E allora può diventare veramente complesso relazionarsi a questa persona.
Possibile soluzione: Personalmente, tendo a suggerire la strategia delle 3 “H”.
Le 3 “H”:
- Humor
- Honesty
- Heart to heart
Adesso vi spiego.
Supponiamo che la persona in questione vi dica: “Oddio, non ci posso credere, ho preso 3 chili!”.
Voi potreste ridere e ribattere: “Oh, bè, probabilmente hai solo bisogno di un gabinetto!”, e risollevare la situazione con un po’ di humor, dopodiché dire alla persona di stare tranquilla perché non è decisamente niente d’irreparabile, in maniera tale da non metterla di cattivo umore ma, contemporaneamente, di non mettervici voi.
Oppure, supponiamo che la persona in questione vi dica: “Accidenti, quanto sono grassa!”.
Voi potreste rispondere dicendole: “Ma figurati! Sei meravigliosa per quello che sei. Ed è questa la ragione per cui ti voglio bene”. Questa è honesty, onestà. E le persone talvolta temono la sincerità perché li mette a fronte di cose che non vogliono veramente sentire perché gli fanno paura, specie se sono belle, perché temono di poterle perdere. E poi, e qui parlo anche per esperienza personale, le persone che si fanno problemi col loro peso, molto spesso non sono affatto abituate a sentirsi dire cose del genere in piena serietà e sincerità. Ma se avete a cuore quella persona, dovete combattere i suoi pensieri negativi con qualcosa di REALE.
Un altro esempio. Supponiamo che la persona in questione vi dica: “Ho bisogno di fare una dieta drastica!!”.
La vostra risposta potrebbe essere: “No, non ne hai bisogno. Una dieta non ti farà sentire meglio, se non ti piaci. Perché il dimagrimento non è la risposta ai problemi. È solo un altro problema”. Nient’altro che pura honesty. La gente non è abituata a sentirsi sbattere in faccia con tanta onestà la realtà da qualcun altro. Ma talvolta è la cosa migliore da fare. Talvolta la persona con cui state parlando – anche se lo negherebbe – ha bisogno di sentirsi dire una cosa del genere. Un commento di questo tipo può portare la conversazione in un’altra direzione – in una buona direzione, in una giusta direzione, in una direzione utile.
E, per quanto riguarda l’ultima H.
Supponiamo che la persona in questione vi dica: “Sto provando a dimagrire. Oggi ho mangiato solo un’insalata, una mela, ed ho bevuto un lattina di Coca Cola light…” continuando poi a fornirvi un dettagliato resoconto delle sue abitudini alimentari dell’ultimo periodo. Dato che la cosa finisce per diventare inevitabilmente ansiogena, fatevi un favore parlandole heart to heart, cuore a cuore, e dicendole: “Non voglio dire che quello di cui mi stai parlando non sia importante, e ti sto ascoltando. E non voglio che tu pensi che io sia una persona con cui non si può parlare liberamente. Ma in questo momento per me è particolarmente difficile parlare di cibo, peso e diete. Ciò non significa che non voglio starti a sentire e che tu non sei importante per me, ma semplicemente che io ho un problema al riguardo sul quale devo ancora lavorare. Spero tu possa capirmi”.
Dicendo questo, non vi state giustificando. State dicendo la verità. Vi state preoccupando innanzitutto per voi stesse, ed è giusto che lo facciate. Ciò non significa che non siete delle buone amiche.
Certo, il mio è solo un esempio, poi potrete essere più o meno aperte a seconda della persona con cui state parlando e del rapporto che vi lega a lei. È chiaro che parlarne sarà più facile se la persona è al corrente del vostro disturbo alimentare, ma anche se non lo fosse, ci sono milioni di modi per comunicare in maniera più o meno soft quello che ho scritto qui sopra. E se poi la persona in questione dovesse iniziare a farvi domande alle quali non vi sentite di rispondere, basta che le diciate semplicemente: “Spero che non la consideri un’offesa o un segni di sfiducia, ma non me la sento di parlarne adesso. Però, se ce la farò, spero di poterne parlare con te in futuro”.
Tutte queste cose, lo so, sono difficili, ma quando le avrete fatte vedrete che vi sentirete meglio… e molto più equipaggiate di fronte a situazioni potenzialmente destabilizzanti.
Dopotutto, nella peggiore delle ipotesi, usare le 3 H è comunque meglio che rimanere in silenzio e con un falso sorriso incollato in faccia ad ascoltare cose che vi fanno stare male e vi spingono ad adottare di nuovo comportamenti disfunzionali… non è vero?!
Resterete sorprese di quanto la vostra voce, le vostre parole, possano fare una differenza. Resterete sorprese anche di quanto sia facile dire le cose una volta iniziato a farlo. Queste discussioni su peso/corpo/forme corporee/diete, capitano molto più spesso di quanto si desidererebbe, perciò sapere come destreggiarcisi è inevitabilmente un must.
Per stare meglio.
Tutte.
Questo può suscitare:
- Ansia
- Tristezza
- Spirito di emulazione
- Richiamo ai disturbi alimentari
- Rabbia
- Senso di ricaduta
- Impotenza
- Dolore
- Panico
- Etc…
- Tutte le cose sopraelencate
Tanto più che, molto spesso, la persona in questione è una persona a cui tenete ma che non sa del vostro disturbo alimentare, del quale non volete comunque parlare. E allora può diventare veramente complesso relazionarsi a questa persona.
Possibile soluzione: Personalmente, tendo a suggerire la strategia delle 3 “H”.
Le 3 “H”:
- Humor
- Honesty
- Heart to heart
Adesso vi spiego.
Supponiamo che la persona in questione vi dica: “Oddio, non ci posso credere, ho preso 3 chili!”.
Voi potreste ridere e ribattere: “Oh, bè, probabilmente hai solo bisogno di un gabinetto!”, e risollevare la situazione con un po’ di humor, dopodiché dire alla persona di stare tranquilla perché non è decisamente niente d’irreparabile, in maniera tale da non metterla di cattivo umore ma, contemporaneamente, di non mettervici voi.
Oppure, supponiamo che la persona in questione vi dica: “Accidenti, quanto sono grassa!”.
Voi potreste rispondere dicendole: “Ma figurati! Sei meravigliosa per quello che sei. Ed è questa la ragione per cui ti voglio bene”. Questa è honesty, onestà. E le persone talvolta temono la sincerità perché li mette a fronte di cose che non vogliono veramente sentire perché gli fanno paura, specie se sono belle, perché temono di poterle perdere. E poi, e qui parlo anche per esperienza personale, le persone che si fanno problemi col loro peso, molto spesso non sono affatto abituate a sentirsi dire cose del genere in piena serietà e sincerità. Ma se avete a cuore quella persona, dovete combattere i suoi pensieri negativi con qualcosa di REALE.
Un altro esempio. Supponiamo che la persona in questione vi dica: “Ho bisogno di fare una dieta drastica!!”.
La vostra risposta potrebbe essere: “No, non ne hai bisogno. Una dieta non ti farà sentire meglio, se non ti piaci. Perché il dimagrimento non è la risposta ai problemi. È solo un altro problema”. Nient’altro che pura honesty. La gente non è abituata a sentirsi sbattere in faccia con tanta onestà la realtà da qualcun altro. Ma talvolta è la cosa migliore da fare. Talvolta la persona con cui state parlando – anche se lo negherebbe – ha bisogno di sentirsi dire una cosa del genere. Un commento di questo tipo può portare la conversazione in un’altra direzione – in una buona direzione, in una giusta direzione, in una direzione utile.
E, per quanto riguarda l’ultima H.
Supponiamo che la persona in questione vi dica: “Sto provando a dimagrire. Oggi ho mangiato solo un’insalata, una mela, ed ho bevuto un lattina di Coca Cola light…” continuando poi a fornirvi un dettagliato resoconto delle sue abitudini alimentari dell’ultimo periodo. Dato che la cosa finisce per diventare inevitabilmente ansiogena, fatevi un favore parlandole heart to heart, cuore a cuore, e dicendole: “Non voglio dire che quello di cui mi stai parlando non sia importante, e ti sto ascoltando. E non voglio che tu pensi che io sia una persona con cui non si può parlare liberamente. Ma in questo momento per me è particolarmente difficile parlare di cibo, peso e diete. Ciò non significa che non voglio starti a sentire e che tu non sei importante per me, ma semplicemente che io ho un problema al riguardo sul quale devo ancora lavorare. Spero tu possa capirmi”.
Dicendo questo, non vi state giustificando. State dicendo la verità. Vi state preoccupando innanzitutto per voi stesse, ed è giusto che lo facciate. Ciò non significa che non siete delle buone amiche.
Certo, il mio è solo un esempio, poi potrete essere più o meno aperte a seconda della persona con cui state parlando e del rapporto che vi lega a lei. È chiaro che parlarne sarà più facile se la persona è al corrente del vostro disturbo alimentare, ma anche se non lo fosse, ci sono milioni di modi per comunicare in maniera più o meno soft quello che ho scritto qui sopra. E se poi la persona in questione dovesse iniziare a farvi domande alle quali non vi sentite di rispondere, basta che le diciate semplicemente: “Spero che non la consideri un’offesa o un segni di sfiducia, ma non me la sento di parlarne adesso. Però, se ce la farò, spero di poterne parlare con te in futuro”.
Tutte queste cose, lo so, sono difficili, ma quando le avrete fatte vedrete che vi sentirete meglio… e molto più equipaggiate di fronte a situazioni potenzialmente destabilizzanti.
Dopotutto, nella peggiore delle ipotesi, usare le 3 H è comunque meglio che rimanere in silenzio e con un falso sorriso incollato in faccia ad ascoltare cose che vi fanno stare male e vi spingono ad adottare di nuovo comportamenti disfunzionali… non è vero?!
Resterete sorprese di quanto la vostra voce, le vostre parole, possano fare una differenza. Resterete sorprese anche di quanto sia facile dire le cose una volta iniziato a farlo. Queste discussioni su peso/corpo/forme corporee/diete, capitano molto più spesso di quanto si desidererebbe, perciò sapere come destreggiarcisi è inevitabilmente un must.
Per stare meglio.
Tutte.
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mercoledì 21 gennaio 2009
Anatomia "pro-ana" - Parte 7
PRO-RICOVERO
(Come si suol dire... "Call me pasionate"... ma questo è l'ultimo... ^_^")
Anoressiche, bulimiche, persone con DCA ed in ricovero per DCA… Sentite un po’ qua.
Voglio dirvi un segreto sul ricovero.
È un qualcosa che coloro che si autodefiniscono “pro-ana” e “pro-mia” non vogliono che voi sappiate.
L’anoressia è una malattia. La bulimia è una malattia. Malattie mentali. Questo sono. Malattie subdole perché riescono a far sentire bene, ma non per questo meno devastanti. Malattie che conducono su strade senza uscita, che portano prima o poi ad un inevitabile scontro con un muro. Ma è proprio perché si tratta di malattie subdole, malattie che rappresentano un placebo, un qualcosa che viene visto come un bene rispetto ad un male maggiore – poiché è ovvio che nessuno sceglie un male nella consapevolezza che è un male – e che sembrano la temporanea soluzione a tutti i problemi, che liberarsene è estremamente difficile. Perché è più facile, dà più sicurezza essere malate che decidere di ricoverarsi. E perciò ci vuole molta più forza di volontà, autocontrollo, decisione e determinazione a decidere d’intraprendere e proseguire giorno dopo giorno un percorso di ricovero, che non portare avanti un disturbo alimentare.
Ma la vera forza è resistere quando tutti si aspettano che tu cada.
Il ricovero è un processo, non un evento. Un processo che dura tutta la vita. Ma coloro che si autodefiniscono “pro-ana” e “pro-mia” distorcono il tutto.
“[…] Questo non è posto per le deboli, le mediocri, le isteriche, coloro che vogliono tornare indietro. Questo è posto per l’elite che persegue l’ideale di perfezione ad ogni costo, dimostrando giorno dopo giorno la loro forza, i loro sacrifici, e il risultato dell’applicazione di tutte quelle regole che fanno raggiungere il tanto desiderato corpo perfetto […]”
(tratto da un blog “pro-ana”)
Cioè, ci credete veramente?? Ragazze, sono tutte bugie!!
Se avete un disturbo alimentare, un vero disturbo alimentare, intendo – non una serie di atteggiamenti posti in essere per ostentazione e per coprire altri problemi – non è difficile restringere. Non è difficile digiunare. Non è difficile vomitare. Non è difficile fare attività fisica fino allo stremo delle forze. Niente di tutto questo è un sacrificio, niente è difficile.
Volete sapere cos’è veramente difficile? Scegliere di ricoverarsi. Iniziare e portare avanti un ricovero. Combattere la voglia di restringere. Mangiare 5 pasti al giorno – colazione, spuntino, pranzo, merenda e cena – anche se questo non fa sentire né felice né realizzata né soddisfatta.
Le ragazze “pro-ana” e “pro-mia” cercando di convincervi che perseguire la restrizione e/o vomitare dopo i pasti vi darà forza, controllo, sicurezza e onnipotenza, mentre chi sceglie il ricovero è debole ed incapace di raggiungere la perfezione… sono tutte bugie!
È questo che bisogna combattere. La menzogna camuffata da verità solo perché pronunciata a voce alta e sicura. Chi sceglie di ricoverarsi non è debole, anzi, è molto più forte di quanto le “pro-ana” e le “pro-mia” potranno mai immaginare. È chi sceglie di ricoverarsi che veramente ha forza, controllo, volontà, determinazione. Chi sceglie di ricoverarsi è una vera guerriera della luce.
Scegliere di essere “pro-ana” o “pro-mia” è essere deboli.
Scegliere di ricoverarsi e di portare avanti il ricovero giorno dopo giorno è essere forti.
Perciò, se siete imprigionate nelle spire di un DCA, non esitate. Scegliete il ricovero.
(Come si suol dire... "Call me pasionate"... ma questo è l'ultimo... ^_^")
Anoressiche, bulimiche, persone con DCA ed in ricovero per DCA… Sentite un po’ qua.
Voglio dirvi un segreto sul ricovero.
È un qualcosa che coloro che si autodefiniscono “pro-ana” e “pro-mia” non vogliono che voi sappiate.
L’anoressia è una malattia. La bulimia è una malattia. Malattie mentali. Questo sono. Malattie subdole perché riescono a far sentire bene, ma non per questo meno devastanti. Malattie che conducono su strade senza uscita, che portano prima o poi ad un inevitabile scontro con un muro. Ma è proprio perché si tratta di malattie subdole, malattie che rappresentano un placebo, un qualcosa che viene visto come un bene rispetto ad un male maggiore – poiché è ovvio che nessuno sceglie un male nella consapevolezza che è un male – e che sembrano la temporanea soluzione a tutti i problemi, che liberarsene è estremamente difficile. Perché è più facile, dà più sicurezza essere malate che decidere di ricoverarsi. E perciò ci vuole molta più forza di volontà, autocontrollo, decisione e determinazione a decidere d’intraprendere e proseguire giorno dopo giorno un percorso di ricovero, che non portare avanti un disturbo alimentare.
Ma la vera forza è resistere quando tutti si aspettano che tu cada.
Il ricovero è un processo, non un evento. Un processo che dura tutta la vita. Ma coloro che si autodefiniscono “pro-ana” e “pro-mia” distorcono il tutto.
“[…] Questo non è posto per le deboli, le mediocri, le isteriche, coloro che vogliono tornare indietro. Questo è posto per l’elite che persegue l’ideale di perfezione ad ogni costo, dimostrando giorno dopo giorno la loro forza, i loro sacrifici, e il risultato dell’applicazione di tutte quelle regole che fanno raggiungere il tanto desiderato corpo perfetto […]”
(tratto da un blog “pro-ana”)
Cioè, ci credete veramente?? Ragazze, sono tutte bugie!!
Se avete un disturbo alimentare, un vero disturbo alimentare, intendo – non una serie di atteggiamenti posti in essere per ostentazione e per coprire altri problemi – non è difficile restringere. Non è difficile digiunare. Non è difficile vomitare. Non è difficile fare attività fisica fino allo stremo delle forze. Niente di tutto questo è un sacrificio, niente è difficile.
Volete sapere cos’è veramente difficile? Scegliere di ricoverarsi. Iniziare e portare avanti un ricovero. Combattere la voglia di restringere. Mangiare 5 pasti al giorno – colazione, spuntino, pranzo, merenda e cena – anche se questo non fa sentire né felice né realizzata né soddisfatta.
Le ragazze “pro-ana” e “pro-mia” cercando di convincervi che perseguire la restrizione e/o vomitare dopo i pasti vi darà forza, controllo, sicurezza e onnipotenza, mentre chi sceglie il ricovero è debole ed incapace di raggiungere la perfezione… sono tutte bugie!
È questo che bisogna combattere. La menzogna camuffata da verità solo perché pronunciata a voce alta e sicura. Chi sceglie di ricoverarsi non è debole, anzi, è molto più forte di quanto le “pro-ana” e le “pro-mia” potranno mai immaginare. È chi sceglie di ricoverarsi che veramente ha forza, controllo, volontà, determinazione. Chi sceglie di ricoverarsi è una vera guerriera della luce.
Scegliere di essere “pro-ana” o “pro-mia” è essere deboli.
Scegliere di ricoverarsi e di portare avanti il ricovero giorno dopo giorno è essere forti.
Perciò, se siete imprigionate nelle spire di un DCA, non esitate. Scegliete il ricovero.
mercoledì 24 dicembre 2008
Buon Natale!!
Ecco, è praticamente arrivato uno di quei giorni che la maggior parte di noi odia a morte: il Natale.
Un giorno in cui tipicamente ci si focalizza sul cibo, sulla famiglia, sui regali. Già con questo è detto abbastanza.
Ecco quello che scrissi diversi anni fa il giorno della vigilia:
"È il peggior giorno di questo dannato mese. La vigilia di Natale. E sono ancora qui.
Lo so che per la gente il Natale è un giorno pieno di gioia, amore, felicità e compagnia bella… ma io lo odio. È un giorno terribile e maledettamente ansiogeno. Tutti intorno alla tavola, con quel dannato panettone che non ho alcuna intenzione di mangiare. E loro che mi guarderanno come se fossi semplicemente… sbagliata. Non voglio celebrare questo Natale. Non ho un cazzo da celebrare. Non voglio ricevere regali, non li merito. Non voglio mangiare il panettone solo per renderli felici… perché questo non rende felice me. Non voglio mettere su la mia maschera con quello stupido sorriso appiccicato sopra come faccio ogni dannato giorno. Come sto facendo oggi. Vorrei solo chiudermi a chiave in camera ed alzare la musica a tutto volume cosicché nessuno possa sentirmi quando mi metterò a gridare. E mi fa rabbia sapere che non farò niente del genere. Che riindosserò la mia maschera, l’unica che può aiutarmi a trascinarmi per un’altra giornata, e fingerò di essere felice, così loro non si preoccuperanno. Chi se ne frega di come mi sento davvero. Ma mi urta, ‘sta maledetta festa. Mi urta un casino."
Questo solo per farvi capire che so benissimo cosa si prova e come ci si sente in situazioni del genere. Tuttora ammetto di non essermi completamente staccata da questa visione.
Ma proviamo a vedere quali sono gli aspetti positivi della giornata, senza concentrarci su quelli negativi. Innanzitutto pensate che il Natale è un giorno in cui tipicamente ci si scambiano doni: potrebbe essere dunque l’occasione per fare un regalo a voi stesse. Qualsiasi cosa desideriate, lasciando almeno per oggi da parte quel martellante pensiero che vi dice che ne siete indegne, che non meritate regali… perché in realtà nessuno li merita più di voi. Anche solo per la forza che dimostrate cercando di affrontare questa giornata con positività.
Se temete di mangiare troppo o troppo poco in questa giornata, se vi dà fastidio l’idea che possiate essere osservate o monitorate, provate a fare un piccolo piano alimentare equilibrato prima ancora che il pasto sia iniziato, e tentate poi di attenervici. E se non ci riuscite, non siate severe con voi stesse, non odiatevi e non punitevi: in una vita, un giorno, cosa volete che sia? Lasciate che passi, metteteci una pietra sopra cercando di non angosciarvi, e da domani riprenderete a mangiare regolarmente. Non cambia niente.
Perciò adesso respirate profondamente, chiudete gli occhi, e ripetete a voi stesse che siete forti abbastanza per affrontare anche questa giornata, e che in fin dei conti non è altro che un giorno. E, quando sederete a tavola, ignorate gli sguardi altrui e mangiate per nutrirvi. Semplicemente. Non abbuffatevi. Non restringete. Non temete che la situazione possa sfuggirvi di mano. Provate a stare tranquille. E ricordate: non siete sole.
Ci sono un sacco di ragazze, una marea di donne, un mucchio di persone che oggi stanno provando esattamente ciò che state provando voi. Tante persone che stanno provando ansia, paura, che hanno voglia di piangere, di nascondersi, di rifugiarsi sotto le coperte. Ma pure tante persone che stanno lottando per affrontare questa difficile giornata nel migliore ei modi: e voi potete essere tra queste. Basta solo che lo vogliate.
So che il Natale può essere veramente ansiogeno. Ma se provate a guardare il bicchiere mezzo pieno anziché quello mezzo vuoto, vi accorgerete che è possibile anche trovare del bello in questo giorno e riuscire a fare anche solo un piccolo sorriso. Certo, lo so che è più facile a dirsi che a farsi. Perciò incoraggiatevi ad avere cura di voi stesse. Cercate di essere felici per voi stesse, e non per la gente che vi circonda. Semplicemente, cercate di estrapolare da questa giornata il meglio che può darvi.
Individuate quelle piccole cose che possono rendere il Natale una giornata degna d’essere vissuta. In fin dei conti, il Natale è una festa che vuol richiamare gioia, non tristezza. Provate anche a fare questo: scrivete qualche frase positiva su dei Post-It e poi infilateli nelle tasche dei pantaloni. Scrivete qualcosa che possa darvi un rinforzo positivo. E poi tirateli fuori e leggeteli quando sentite che si fa particolarmente dura, che proprio non ce la fate più, che state per avere comportamenti alimentari errati o semplicemente state per scoppiare a piangere. Leggete quelle frasi se vi capiterà d’inciampare. E non dimenticate che questo è un giorno particolarmente impegnativo, e che quindi dovrete avere una grande pazienza ed essere particolarmente gentili con voi stesse. Perché voi meritate davvero il Natale più felice che possa esserci.
Domani vi penserò per tutto il giorno, cercherò di mandarvi vibrazioni positive, e spero che questo Natale riuscirà a strapparvi almeno un sorriso.
Buon Natale a tutte!!
Un giorno in cui tipicamente ci si focalizza sul cibo, sulla famiglia, sui regali. Già con questo è detto abbastanza.
Ecco quello che scrissi diversi anni fa il giorno della vigilia:
"È il peggior giorno di questo dannato mese. La vigilia di Natale. E sono ancora qui.
Lo so che per la gente il Natale è un giorno pieno di gioia, amore, felicità e compagnia bella… ma io lo odio. È un giorno terribile e maledettamente ansiogeno. Tutti intorno alla tavola, con quel dannato panettone che non ho alcuna intenzione di mangiare. E loro che mi guarderanno come se fossi semplicemente… sbagliata. Non voglio celebrare questo Natale. Non ho un cazzo da celebrare. Non voglio ricevere regali, non li merito. Non voglio mangiare il panettone solo per renderli felici… perché questo non rende felice me. Non voglio mettere su la mia maschera con quello stupido sorriso appiccicato sopra come faccio ogni dannato giorno. Come sto facendo oggi. Vorrei solo chiudermi a chiave in camera ed alzare la musica a tutto volume cosicché nessuno possa sentirmi quando mi metterò a gridare. E mi fa rabbia sapere che non farò niente del genere. Che riindosserò la mia maschera, l’unica che può aiutarmi a trascinarmi per un’altra giornata, e fingerò di essere felice, così loro non si preoccuperanno. Chi se ne frega di come mi sento davvero. Ma mi urta, ‘sta maledetta festa. Mi urta un casino."
Questo solo per farvi capire che so benissimo cosa si prova e come ci si sente in situazioni del genere. Tuttora ammetto di non essermi completamente staccata da questa visione.
Ma proviamo a vedere quali sono gli aspetti positivi della giornata, senza concentrarci su quelli negativi. Innanzitutto pensate che il Natale è un giorno in cui tipicamente ci si scambiano doni: potrebbe essere dunque l’occasione per fare un regalo a voi stesse. Qualsiasi cosa desideriate, lasciando almeno per oggi da parte quel martellante pensiero che vi dice che ne siete indegne, che non meritate regali… perché in realtà nessuno li merita più di voi. Anche solo per la forza che dimostrate cercando di affrontare questa giornata con positività.
Se temete di mangiare troppo o troppo poco in questa giornata, se vi dà fastidio l’idea che possiate essere osservate o monitorate, provate a fare un piccolo piano alimentare equilibrato prima ancora che il pasto sia iniziato, e tentate poi di attenervici. E se non ci riuscite, non siate severe con voi stesse, non odiatevi e non punitevi: in una vita, un giorno, cosa volete che sia? Lasciate che passi, metteteci una pietra sopra cercando di non angosciarvi, e da domani riprenderete a mangiare regolarmente. Non cambia niente.
Perciò adesso respirate profondamente, chiudete gli occhi, e ripetete a voi stesse che siete forti abbastanza per affrontare anche questa giornata, e che in fin dei conti non è altro che un giorno. E, quando sederete a tavola, ignorate gli sguardi altrui e mangiate per nutrirvi. Semplicemente. Non abbuffatevi. Non restringete. Non temete che la situazione possa sfuggirvi di mano. Provate a stare tranquille. E ricordate: non siete sole.
Ci sono un sacco di ragazze, una marea di donne, un mucchio di persone che oggi stanno provando esattamente ciò che state provando voi. Tante persone che stanno provando ansia, paura, che hanno voglia di piangere, di nascondersi, di rifugiarsi sotto le coperte. Ma pure tante persone che stanno lottando per affrontare questa difficile giornata nel migliore ei modi: e voi potete essere tra queste. Basta solo che lo vogliate.
So che il Natale può essere veramente ansiogeno. Ma se provate a guardare il bicchiere mezzo pieno anziché quello mezzo vuoto, vi accorgerete che è possibile anche trovare del bello in questo giorno e riuscire a fare anche solo un piccolo sorriso. Certo, lo so che è più facile a dirsi che a farsi. Perciò incoraggiatevi ad avere cura di voi stesse. Cercate di essere felici per voi stesse, e non per la gente che vi circonda. Semplicemente, cercate di estrapolare da questa giornata il meglio che può darvi.
Individuate quelle piccole cose che possono rendere il Natale una giornata degna d’essere vissuta. In fin dei conti, il Natale è una festa che vuol richiamare gioia, non tristezza. Provate anche a fare questo: scrivete qualche frase positiva su dei Post-It e poi infilateli nelle tasche dei pantaloni. Scrivete qualcosa che possa darvi un rinforzo positivo. E poi tirateli fuori e leggeteli quando sentite che si fa particolarmente dura, che proprio non ce la fate più, che state per avere comportamenti alimentari errati o semplicemente state per scoppiare a piangere. Leggete quelle frasi se vi capiterà d’inciampare. E non dimenticate che questo è un giorno particolarmente impegnativo, e che quindi dovrete avere una grande pazienza ed essere particolarmente gentili con voi stesse. Perché voi meritate davvero il Natale più felice che possa esserci.
Domani vi penserò per tutto il giorno, cercherò di mandarvi vibrazioni positive, e spero che questo Natale riuscirà a strapparvi almeno un sorriso.
Buon Natale a tutte!!
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venerdì 12 dicembre 2008
Guadagnare peso... e prospettiva
Quando decidete d’iniziare il ricovero – ripeto, qualsiasi cosa questa parola significhi per voi – soprattutto se siete molto sbilanciate per quanto riguarda il peso, è importante cercare di dimenticare i numeri e mangiare ciò che sta scritto sul proprio “equilibrio alimentare”, fare attività fisica ma senza esagerare, ed evitare in tutti i modi di compararsi ad altre ragazze o anche di paragonare il proprio ricovero a quello di altre ragazze.
Al di là di quello che vi dicono i dietisti, non esiste veramente un “peso-forma” da raggiungere per essere di nuovo in salute. Perché focalizzarsi ancora sui numeri quando è proprio questo che vi ha traviato in passato? Dunque, provate a focalizzarvi sui sentimenti – soprattutto su quelli positivi.
Ognuna di noi ha il suo proprio “peso-forma”. È un qualcosa di biologico e fisiologico che non può essere stabilito a priori tramite calcolo del BMI o speculazioni teoriche. È nella memoria genetica di ogni vostra cellula. Quando avrete raggiunto quel peso, continuerete ad oscillarci intorno. Non ingrasserete né dimagrirete. Manterrete più o meno sempre quel peso. Ovvio, potranno esserci piccole variazioni stagionali o legate al ciclo mestruale, ma rimarrete sempre all’interno di un range piuttosto stretto che rappresenta il vostro peso biologico. E ogni corpo è diverso dagli altri. Perciò, è inutile che stiate a fare confronti con le altre ragazze… provate semplicemente a stare bene per voi stesse… e lasciate che sia il vostro corpo a dire qual è il peso che vi consente di essere in salute.
Ci sono tanti differenti tipologie corporee (longilinea…aggiungere), tanti diversi stili di vita (atletico, attivo, sedentario…), e soprattutto tanti differenti fattori genetici che determinano le forme e il peso di ciascuna di noi. Perciò quello che è il peso biologico di una persona può non esserlo per un’altra. Anche se quelle due persone hanno la stessa altezza. Focalizzatevi perciò su voi stesse, non su qualcun altro o su ciò che qualcun altro dice.
Ci sono persone che, fin dalla nascita, sono particolarmente magre. È naturale, quindi il loro peso biologico anche da adulte sarà magari inferiore rispetto a quello che può essere generalmente considerato un peso normale per la loro altezza. Tanto più che, crescendo, il corpo si modifica. Si prepara ad espletare tutte le funzioni adeguate ad un corpo di donna. Ad un corpo adulto. Quindi non pensate a quanto pesavate prima, e non pensate che sia okay raggiungere quel peso. Ogni momento della vita presenta un suo specifico peso biologico. Vivete per quello che è il presente, non per quello che è stato il passato.
So che il mio peso attuale sarà destinato ad aumentare. Questo mi genera ansia, ma cerco di sopportarlo e di non trasgredire a quanto scritto sul mio “equilibrio alimentare”. Cerco di fare attività fisica in maniera equilibrata e di non preoccuparmi di quello che succederà. Magari potrò stare bene e sentirmi bene anche con qualche chilo in più. Inutile fasciarsi la testa prima di averla sbattuta.
Perdere peso, guadagnare peso… dipende tutto da voi. Se non vi piacete per quello che siete, non vi piacerete mai – qualsiasi sarà il vostro peso. Oltre che guadagnare peso, perciò, provate a guadagnare prospettiva. Senza di essa il peso – alto o basso che sia – non cambierà niente. Continuate a credere in voi stesse. Perché ce la potete fare.
P.S.= Per chi ci sta pensando, voglio precisare che, no, quello che ho scritto non è merda psicofisiologica raccattata su qualche libro. È esperienza diretta. Come persona… e, naturalmente, come “protomedico”… ^_^
Al di là di quello che vi dicono i dietisti, non esiste veramente un “peso-forma” da raggiungere per essere di nuovo in salute. Perché focalizzarsi ancora sui numeri quando è proprio questo che vi ha traviato in passato? Dunque, provate a focalizzarvi sui sentimenti – soprattutto su quelli positivi.
Ognuna di noi ha il suo proprio “peso-forma”. È un qualcosa di biologico e fisiologico che non può essere stabilito a priori tramite calcolo del BMI o speculazioni teoriche. È nella memoria genetica di ogni vostra cellula. Quando avrete raggiunto quel peso, continuerete ad oscillarci intorno. Non ingrasserete né dimagrirete. Manterrete più o meno sempre quel peso. Ovvio, potranno esserci piccole variazioni stagionali o legate al ciclo mestruale, ma rimarrete sempre all’interno di un range piuttosto stretto che rappresenta il vostro peso biologico. E ogni corpo è diverso dagli altri. Perciò, è inutile che stiate a fare confronti con le altre ragazze… provate semplicemente a stare bene per voi stesse… e lasciate che sia il vostro corpo a dire qual è il peso che vi consente di essere in salute.
Ci sono tanti differenti tipologie corporee (longilinea…aggiungere), tanti diversi stili di vita (atletico, attivo, sedentario…), e soprattutto tanti differenti fattori genetici che determinano le forme e il peso di ciascuna di noi. Perciò quello che è il peso biologico di una persona può non esserlo per un’altra. Anche se quelle due persone hanno la stessa altezza. Focalizzatevi perciò su voi stesse, non su qualcun altro o su ciò che qualcun altro dice.
Ci sono persone che, fin dalla nascita, sono particolarmente magre. È naturale, quindi il loro peso biologico anche da adulte sarà magari inferiore rispetto a quello che può essere generalmente considerato un peso normale per la loro altezza. Tanto più che, crescendo, il corpo si modifica. Si prepara ad espletare tutte le funzioni adeguate ad un corpo di donna. Ad un corpo adulto. Quindi non pensate a quanto pesavate prima, e non pensate che sia okay raggiungere quel peso. Ogni momento della vita presenta un suo specifico peso biologico. Vivete per quello che è il presente, non per quello che è stato il passato.
So che il mio peso attuale sarà destinato ad aumentare. Questo mi genera ansia, ma cerco di sopportarlo e di non trasgredire a quanto scritto sul mio “equilibrio alimentare”. Cerco di fare attività fisica in maniera equilibrata e di non preoccuparmi di quello che succederà. Magari potrò stare bene e sentirmi bene anche con qualche chilo in più. Inutile fasciarsi la testa prima di averla sbattuta.
Perdere peso, guadagnare peso… dipende tutto da voi. Se non vi piacete per quello che siete, non vi piacerete mai – qualsiasi sarà il vostro peso. Oltre che guadagnare peso, perciò, provate a guadagnare prospettiva. Senza di essa il peso – alto o basso che sia – non cambierà niente. Continuate a credere in voi stesse. Perché ce la potete fare.
P.S.= Per chi ci sta pensando, voglio precisare che, no, quello che ho scritto non è merda psicofisiologica raccattata su qualche libro. È esperienza diretta. Come persona… e, naturalmente, come “protomedico”… ^_^
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domenica 30 novembre 2008
Paura di fallire
Penso sia semplicemente naturale, dopo aver passato l'anoressia, temere di ricaderci… ma la cosa importante è che, se ciò dovesse accedere, adesso sappiamo di avere le armi per combatterla. Quel che è stato parte di noi non cesserà mai completamente di esistere, ma si può essere più forti e riuscire a sopravvivere. Riuscire a conviverci senza che l'anoressia abbia la meglio.
Lo so, a volte pensare di intraprendere un processo di ricovero fa paura. Ma la paura è solo una scusa per non affrontare le cose. Ci vuole molto tempo per liberarsi dei fantasmi del proprio passato, specie se questi ci hanno infestato a lungo. Ma le ricadute sono normali, e bisogna cercare di non scoraggiarsi. È una lotta difficile, lo so, ma possiamo farcela, tutte quante. Ci saranno giorni buoni e giorni cattivi. Bisogna solo non perdere mai di vista il traguardo, ciò che ci vuole veramente dalla vita. Se si riesce a tenere la testa alta, a rialzarsi dopo ogni caduta, siamo già ad un buon punto della strada.
I giorni cattivi sono inevitabili, giorni in cui tutto si tinge di nero e viene voglia di mollare perché sembra che la vita si chiuda e allora si teme di non essere più capaci di affrontare ciò che ci aspetta. La paura che arriva, allora, può far venire voglia di riadottare quei comportamenti sbagliati del passato. Rituffarsi in quelle dinamiche che, per quanto negative e distruttive, davano comunque sicurezza. Bè, anche se è doppiamente difficile, è proprio in momenti come questi che bisogna continuare a combattere.
La paura lega al passato. Al non lasciar la strada vecchia per la nuova. Talvolta andare incontro ad un futuro sconosciuto fa così paura che sembra essere preferibile quello che è stato in passato, per quanto distruttivo potesse essere. Per questo lasciare il passato è così difficile. Perciò bisogna cercare semplicemente di muovere un passo dopo l’altro, piccoli passi, giorno dopo giorno. Ma siamo tutte umane, perciò, si sa, le ricadute ci sono. Il fatto che ci siano non significa che tutto il duro lavoro che si è fatto per arrivare fino a quel punto è stato inutile o è andato distrutto. Non significa che bisogna ricominciare tutto di nuovo da capo, perché quello che è stato fatto, in qualche modo, resta. Può essere usato come “rampa di lancio” per ripartire. Partendo da un’esperienza come l'anoressia è maledettamente difficile raggiungere un traguardo positivo, perciò è naturale avere delle ricadute. Dunque bisogna semplicemente riconoscerle come tali e non demoralizzasi ma cercare di superarle. Se si capisce quel che si è fatto di sbagliato, si potrà evitare di rifarlo in futuro. Ci si potrà rialzare e dire “ricomincio da qui”.
Pensatela un po’ così: se volete andare da Milano a Napoli e, dopo aver percorso 300 Km, la vostra auto ha un guasto e si ferma, non è che dovete ritornare a Milano e ripartire di nuovo da capo per Napoli! Siete e rimanete a 300 Km dal punto di partenza. Ed è da lì che ripartirete non appena la vostra auto sarà stata riparata. Poi, può darsi che durante il viaggio si guasti nuovamente e dobbiate fermarvi ancora, oppure è probabile che abbiate sete o dobbiate andare in bagno e decidiate di fermarvi ad un Autogrill, e più volte vi dovrete fermare, più lungo sarà il viaggio, ma non dovrete mai ricominciarlo da capo! Si tratta solo di risalire in macchina e ripartire. Prima o poi arriverete sicuramente. E lasciate che vi dica una cosa: non c’è niente di male nel fermarsi quante volte lo vogliate.
Credete più in voi stesse che nei fantasmi del vostro passato. E non abbiate paura di fallire ancora. Rialzarsi è sempre possibile, qualora lo vogliate.
Lo so, a volte pensare di intraprendere un processo di ricovero fa paura. Ma la paura è solo una scusa per non affrontare le cose. Ci vuole molto tempo per liberarsi dei fantasmi del proprio passato, specie se questi ci hanno infestato a lungo. Ma le ricadute sono normali, e bisogna cercare di non scoraggiarsi. È una lotta difficile, lo so, ma possiamo farcela, tutte quante. Ci saranno giorni buoni e giorni cattivi. Bisogna solo non perdere mai di vista il traguardo, ciò che ci vuole veramente dalla vita. Se si riesce a tenere la testa alta, a rialzarsi dopo ogni caduta, siamo già ad un buon punto della strada.
I giorni cattivi sono inevitabili, giorni in cui tutto si tinge di nero e viene voglia di mollare perché sembra che la vita si chiuda e allora si teme di non essere più capaci di affrontare ciò che ci aspetta. La paura che arriva, allora, può far venire voglia di riadottare quei comportamenti sbagliati del passato. Rituffarsi in quelle dinamiche che, per quanto negative e distruttive, davano comunque sicurezza. Bè, anche se è doppiamente difficile, è proprio in momenti come questi che bisogna continuare a combattere.
La paura lega al passato. Al non lasciar la strada vecchia per la nuova. Talvolta andare incontro ad un futuro sconosciuto fa così paura che sembra essere preferibile quello che è stato in passato, per quanto distruttivo potesse essere. Per questo lasciare il passato è così difficile. Perciò bisogna cercare semplicemente di muovere un passo dopo l’altro, piccoli passi, giorno dopo giorno. Ma siamo tutte umane, perciò, si sa, le ricadute ci sono. Il fatto che ci siano non significa che tutto il duro lavoro che si è fatto per arrivare fino a quel punto è stato inutile o è andato distrutto. Non significa che bisogna ricominciare tutto di nuovo da capo, perché quello che è stato fatto, in qualche modo, resta. Può essere usato come “rampa di lancio” per ripartire. Partendo da un’esperienza come l'anoressia è maledettamente difficile raggiungere un traguardo positivo, perciò è naturale avere delle ricadute. Dunque bisogna semplicemente riconoscerle come tali e non demoralizzasi ma cercare di superarle. Se si capisce quel che si è fatto di sbagliato, si potrà evitare di rifarlo in futuro. Ci si potrà rialzare e dire “ricomincio da qui”.
Pensatela un po’ così: se volete andare da Milano a Napoli e, dopo aver percorso 300 Km, la vostra auto ha un guasto e si ferma, non è che dovete ritornare a Milano e ripartire di nuovo da capo per Napoli! Siete e rimanete a 300 Km dal punto di partenza. Ed è da lì che ripartirete non appena la vostra auto sarà stata riparata. Poi, può darsi che durante il viaggio si guasti nuovamente e dobbiate fermarvi ancora, oppure è probabile che abbiate sete o dobbiate andare in bagno e decidiate di fermarvi ad un Autogrill, e più volte vi dovrete fermare, più lungo sarà il viaggio, ma non dovrete mai ricominciarlo da capo! Si tratta solo di risalire in macchina e ripartire. Prima o poi arriverete sicuramente. E lasciate che vi dica una cosa: non c’è niente di male nel fermarsi quante volte lo vogliate.
Credete più in voi stesse che nei fantasmi del vostro passato. E non abbiate paura di fallire ancora. Rialzarsi è sempre possibile, qualora lo vogliate.
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sabato 22 novembre 2008
Tempo per riflettere
Penso che sia importante trovare il tempo per riflettere. Riflettere su dove siamo arrivate, su quello che vogliamo dalla vita in futuro, su come fare per ottenerlo. Perciò non importa quanto potete essere impegnate, quanto caotica può essere la vostra vita, quanta pressione vi sentite addosso… è sempre importante prendersi del tempo per riflettere. Non dev’essere necessariamente un’ora. Non dev’essere necessariamente mezz’ora. Dev’essere semplicemente “del tempo”. Per pensare. Per riflettere su VOI STESSE. Per ricordare. Per capire.
Talvolta fa paura e mette ansia ricordare quello che si preferirebbe dimenticare. A volte fa rabbia. A volte sembra surreale, come se certe cose appartenessero ad una persona diversa da quella che siete oggi. Non importa ciò che la riflessione provoca, visto che non è altro che una proiezione dei vostri sentimenti: lasciateli fluire. Non negateli, per quanto possano essere intensi, e quindi ansiogeni. Se li provate, c’è sicuramente una ragione per cui si sono presentati, ed è quella che dovete cercare di scoprire per analizzarvi, per comprenderne le cause e poterci lavorare sopra in maniera tale da progredire, da crescere, da imparare. Così, a riflessione conclusa, potrete sentirvi un po’ meglio, un po’ più leggere, come se aveste fatto un altro passo avanti.
E più lo farete, più vi risulterà facile. Nascondere il passato, raccontarsi bugie di comodo, sorridere pur avendo voglia di piangere, rimuovere le cose sgradite, non cancellerà i problemi. Tutt’al più, li rimanderà. Ma rimarranno sempre lì. E prima o poi torneranno a presentare il loro conto. Si può pure sbarrare una porta contro il passato, ma i ricordi hanno mani. E bussano. E bussano. E bussano. E quel suono finisce per far impazzire.
Ehi, ovvio, con questo non voglio dire che una deve sguazzare nel passato! Voglio solo dire che non dovete coprirlo come se le cose che sono accadute non fossero mai successe. È un po’ come se vi fosse morto un figlio: soffrireste, certo, ma non vorreste che quel bambino non fosse mai esistito solo per sentirvi meglio. Anzi, dovrete ricordarlo, rielaborare la brutta esperienza, e ricominciare a vivere di nuovo il più serenamente possibile. Anche perchè, pure nell’ipotesi che riusciste a convincervi che quel bambino non è mai esistito, sarebbe solo una soluzione temporanea, poiché inevitabilmente qualcosa, ad un certo punto, vi ricorderebbe quello che è successo veramente.
Perciò, c'è da lavorare sull’ansia che certe memorie possono provocare. È un po’ come lavorare un duro pezzo d’argilla. Dovete impastare, plasmare, ed avere tanta pazienza. Ma potrete ricavarne un capolavoro.
È un lungo sentiero disseminato di sassi aguzzi e di buche, ma conduce all’autostrada.
Anche se non è affatto facile, spesso provo a riflettere sul mio passato. E mi sono accorta di una cosa: se non l’avessi fatto, non sarei mai potuta arrivare dove sto adesso. Se tuttora non lo facessi, non potrei mai andare avanti. Prendersi il tempo adeguato per riflettere è necessario come continuare a stringere i denti anche quando è difficile…
Talvolta fa paura e mette ansia ricordare quello che si preferirebbe dimenticare. A volte fa rabbia. A volte sembra surreale, come se certe cose appartenessero ad una persona diversa da quella che siete oggi. Non importa ciò che la riflessione provoca, visto che non è altro che una proiezione dei vostri sentimenti: lasciateli fluire. Non negateli, per quanto possano essere intensi, e quindi ansiogeni. Se li provate, c’è sicuramente una ragione per cui si sono presentati, ed è quella che dovete cercare di scoprire per analizzarvi, per comprenderne le cause e poterci lavorare sopra in maniera tale da progredire, da crescere, da imparare. Così, a riflessione conclusa, potrete sentirvi un po’ meglio, un po’ più leggere, come se aveste fatto un altro passo avanti.
E più lo farete, più vi risulterà facile. Nascondere il passato, raccontarsi bugie di comodo, sorridere pur avendo voglia di piangere, rimuovere le cose sgradite, non cancellerà i problemi. Tutt’al più, li rimanderà. Ma rimarranno sempre lì. E prima o poi torneranno a presentare il loro conto. Si può pure sbarrare una porta contro il passato, ma i ricordi hanno mani. E bussano. E bussano. E bussano. E quel suono finisce per far impazzire.
Ehi, ovvio, con questo non voglio dire che una deve sguazzare nel passato! Voglio solo dire che non dovete coprirlo come se le cose che sono accadute non fossero mai successe. È un po’ come se vi fosse morto un figlio: soffrireste, certo, ma non vorreste che quel bambino non fosse mai esistito solo per sentirvi meglio. Anzi, dovrete ricordarlo, rielaborare la brutta esperienza, e ricominciare a vivere di nuovo il più serenamente possibile. Anche perchè, pure nell’ipotesi che riusciste a convincervi che quel bambino non è mai esistito, sarebbe solo una soluzione temporanea, poiché inevitabilmente qualcosa, ad un certo punto, vi ricorderebbe quello che è successo veramente.
Perciò, c'è da lavorare sull’ansia che certe memorie possono provocare. È un po’ come lavorare un duro pezzo d’argilla. Dovete impastare, plasmare, ed avere tanta pazienza. Ma potrete ricavarne un capolavoro.
È un lungo sentiero disseminato di sassi aguzzi e di buche, ma conduce all’autostrada.
Anche se non è affatto facile, spesso provo a riflettere sul mio passato. E mi sono accorta di una cosa: se non l’avessi fatto, non sarei mai potuta arrivare dove sto adesso. Se tuttora non lo facessi, non potrei mai andare avanti. Prendersi il tempo adeguato per riflettere è necessario come continuare a stringere i denti anche quando è difficile…
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martedì 18 novembre 2008
Tenere a bada
Forse una delle cose più difficili da fare è proprio tenere a bada i disturbi alimentari. Anche quando non state adottando comportamenti disfunzionali, sembra sempre che i DCA stiano in agguato, non è vero?! È come se stessero aspettando… guardando… chiedendosi quando commetterete il primo passo falso, in maniera tale da poter di nuovo avere la meglio su di voi. E non è affatto facile continuare a perseguire la strada del ricovero quando si ha la sensazione che anche una sola mossa sbagliata potrebbe far ricominciare tutto da capo. Non aiuta affatto. Il problema è che le cose stanno davvero così.
Ma ciò non significa che poiché le cose adesso sono così, allora dovranno esserlo per sempre. Voi potete cambiarle. Voi potete tenere a bada i DCA. Certo, non è una cosa immediata. Occorrerà un po’ di tempo – forse un sacco di tempo – ma potrete farcela.
La prima cosa che dovete ricordare è che (per quanto possa sembrarvi vero o meno) voi avete il controllo. Voi. Non i DCA. Voi.
Certo, i disturbi alimentari sono un qualcosa di estremamente potente. Richiede una marea di forza di volontà rompere il circolo vizioso. Ma una volta che l’avrete fatto, sarà tutto nelle vostre mani. E potrete schiacciarlo.
Ricordate che, quando eravate bambine, coglievate i soffioni, li avvicinavate alle labbra, e soffiavate? Tutti i “pelini” bianchi fluttuavano via nella brezza. E tutto quello che rimaneva nelle vostre mani non era che lo stelo.

Bene, adesso immaginate il vostro disturbo alimentare come se fosse un soffione. Grande, complesso, intricato, ricco di migliaia di “pelini” bianchi. Voi lo tenete in mano. Voi avete la forza di volontà. Voi avete il controllo. Potete soffiare. Soffiate più forte che potete. E guardate come i “pelini” bianchi si disperdono nel vento. Il passato è andato. Quel che è rimasto è il futuro. E uno stelo. Uno stelo – ciò che ha originato il disturbo alimentare – che rimarrà sempre, perché nessuna può fuggire da se stessa, ma che potrà essere a questo punto utilizzato come memoria, per ricordarci di ciò che è stato e che non dovrà essere nuovamente.
Il trucco per tenere a bada i disturbi alimentari – oltre ovviamente a ricordare che VOI e solo voi avete il controllo – consiste anche nel cercare qualcuno che possa aiutarvi a combattere. Nessuno ha mai vinto una guerra da solo. Può trattarsi di un terapeuta, di un genitore, di un’amica… chiunque. Un punto di riferimento, una spalla su cui piangere. Perché davvero non c’è niente di male nel farlo. Non è debole chi chiede aiuto, perché non c’è niente che richieda più coraggio del domandare aiuto. Per ammettere di essere in difficoltà ed accettare una mano, ci vuole tanto, tanto coraggio. E anche per combattere l’idea che ci trattiene dal domandare aiuto, ovvero: e se chiedo e mi viene detto di no? – perché abbiamo in realtà l’implicita convinzione di non meritare questo supporto, che a nessuno interessi abbastanza o comunque abbastanza a lungo di noi per darci veramente una mano. Ma non è vero. Qualcuno c’è. Perciò, se avete bisogno d’aiuto, chiedete sempre. Potreste trovarlo.
E, oltre a trovare qualcuno, può essere importante anche trovare qualcosa. Pensate a una cosa che vi piace. Una cosa che vi piace veramente e profondamente, voglio dire, di qualsiasi genere essa sia. Potrebbe essere disegnare. Andare in bici. Suonare il pianoforte. Fare un giro in auto con lo stereo a tutto volume. Di qualsiasi cosa si tratti, usatela come un’arma in vostro favore. Usatela come se fosse una parte di voi. E quando sentite che la vita si fa difficile, che state per cedere, concedetevi quella cosa.
Non succederà niente di male.
Presto starete meglio.
E più volte lo farete, più facile sarà combattere il vostro disturbo alimentare. Può sembrare un obiettivo distante e irraggiungibile… ma se cominciate a camminare, la meta sarà più vicina ad ogni passo. Certo, dovete volerlo veramente. E metterci tutte voi stesse, quando le cose vanno bene e soprattutto quando le cose vanno male. È l’unico modo per sopraffare i disturbi alimentari. È l’unico modo per sopravvivere.
Avete già tutte le armi che vi sono necessarie. Usatele.
Ma ciò non significa che poiché le cose adesso sono così, allora dovranno esserlo per sempre. Voi potete cambiarle. Voi potete tenere a bada i DCA. Certo, non è una cosa immediata. Occorrerà un po’ di tempo – forse un sacco di tempo – ma potrete farcela.
La prima cosa che dovete ricordare è che (per quanto possa sembrarvi vero o meno) voi avete il controllo. Voi. Non i DCA. Voi.
Certo, i disturbi alimentari sono un qualcosa di estremamente potente. Richiede una marea di forza di volontà rompere il circolo vizioso. Ma una volta che l’avrete fatto, sarà tutto nelle vostre mani. E potrete schiacciarlo.
Ricordate che, quando eravate bambine, coglievate i soffioni, li avvicinavate alle labbra, e soffiavate? Tutti i “pelini” bianchi fluttuavano via nella brezza. E tutto quello che rimaneva nelle vostre mani non era che lo stelo.

Bene, adesso immaginate il vostro disturbo alimentare come se fosse un soffione. Grande, complesso, intricato, ricco di migliaia di “pelini” bianchi. Voi lo tenete in mano. Voi avete la forza di volontà. Voi avete il controllo. Potete soffiare. Soffiate più forte che potete. E guardate come i “pelini” bianchi si disperdono nel vento. Il passato è andato. Quel che è rimasto è il futuro. E uno stelo. Uno stelo – ciò che ha originato il disturbo alimentare – che rimarrà sempre, perché nessuna può fuggire da se stessa, ma che potrà essere a questo punto utilizzato come memoria, per ricordarci di ciò che è stato e che non dovrà essere nuovamente.
Il trucco per tenere a bada i disturbi alimentari – oltre ovviamente a ricordare che VOI e solo voi avete il controllo – consiste anche nel cercare qualcuno che possa aiutarvi a combattere. Nessuno ha mai vinto una guerra da solo. Può trattarsi di un terapeuta, di un genitore, di un’amica… chiunque. Un punto di riferimento, una spalla su cui piangere. Perché davvero non c’è niente di male nel farlo. Non è debole chi chiede aiuto, perché non c’è niente che richieda più coraggio del domandare aiuto. Per ammettere di essere in difficoltà ed accettare una mano, ci vuole tanto, tanto coraggio. E anche per combattere l’idea che ci trattiene dal domandare aiuto, ovvero: e se chiedo e mi viene detto di no? – perché abbiamo in realtà l’implicita convinzione di non meritare questo supporto, che a nessuno interessi abbastanza o comunque abbastanza a lungo di noi per darci veramente una mano. Ma non è vero. Qualcuno c’è. Perciò, se avete bisogno d’aiuto, chiedete sempre. Potreste trovarlo.
E, oltre a trovare qualcuno, può essere importante anche trovare qualcosa. Pensate a una cosa che vi piace. Una cosa che vi piace veramente e profondamente, voglio dire, di qualsiasi genere essa sia. Potrebbe essere disegnare. Andare in bici. Suonare il pianoforte. Fare un giro in auto con lo stereo a tutto volume. Di qualsiasi cosa si tratti, usatela come un’arma in vostro favore. Usatela come se fosse una parte di voi. E quando sentite che la vita si fa difficile, che state per cedere, concedetevi quella cosa.
Non succederà niente di male.
Presto starete meglio.
E più volte lo farete, più facile sarà combattere il vostro disturbo alimentare. Può sembrare un obiettivo distante e irraggiungibile… ma se cominciate a camminare, la meta sarà più vicina ad ogni passo. Certo, dovete volerlo veramente. E metterci tutte voi stesse, quando le cose vanno bene e soprattutto quando le cose vanno male. È l’unico modo per sopraffare i disturbi alimentari. È l’unico modo per sopravvivere.
Avete già tutte le armi che vi sono necessarie. Usatele.
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domenica 16 novembre 2008
Siamo tutte speciali
Lo so che può sembrare una frase tratta da un libro di favole per bambini, ma è assolutamente vero. Perciò, ascoltatemi un attimo.
Molto spesso all’anoressia è associata la sensazione di “essere speciale”. Potrei scriverci un libro, credo. Quando si restringe ci si sente “speciali”. E questa è una delle principali ragioni per cui scegliere di ricoverarsi fa così tanta paura. Anch’io ho avuto a lungo questo timore. Anche se mi rendevo conto che, alla fin fine, l’anoressia non mi avrebbe portata da nessuna parte, restringere continuava a farmi stare bene sul momento, mi faceva sentire forte, in controllo, soddisfatta, più sicura di me stessa… sì, mi faceva sentire “speciale”. Perciò avevo paura di perdere questo mio sentirmi “speciale”, questo qualcosa che mi faceva sentire di essere davvero qualcuno, questo sentimento di onnipotenza così profondamente radicato in me.
Il punto è, ragazze, che siamo tutte speciali. Siamo sempre speciali. Siamo speciali comunque. Il nostro essere “speciali” non muore insieme al DCA, deve solo essere riapplicato, riassegnato a qualcosa che vale veramente questo sentimento.
Perchè le ossa che sporgono sono speciali? Perché la restrizione è speciale? Perché l’attività fisica compulsava è speciale? Perché sentirsi in controllo e privarci del cibo giorno dopo giorno è speciale? Perché l’auto-sabotaggio è speciale? Ma davvero distruggere noi stesse, farci del male, odiarci così, ci rende speciali?? È un inganno. Credetemi. Lo è.
Depressione. Morte. Stanchezza. Dolore. Disperazione. Confusione. Ansia. Senso di colpa. Vuoto. Tutti i tipici sentimenti legati ai DCA. Da quando queste cose sono diventate speciali? Intendo, davvero speciali? Davvero sono queste le cose che vi fanno sentire speciali?
La vostra missione, se scegliete di accettarla (così come la mia, del resto, visto che sono qui che giorno dopo giorno combatto insieme a voi) è: SCOPRIRE quello che REALMENTE ci rende speciali. Provate a scrivere, magari cominciando proprio dal commento che, se vi va, potete lasciare a questo post: “Sono speciale perché…” … e guardate cosa ne viene fuori.
Perchè, ve lo assicuro – ci sono mille e mille cose per cui potete a ragione considerarvi speciali. Ma, ragazze, non siamo speciali perchè abbiamo un disturbo alimentare.
Molto spesso all’anoressia è associata la sensazione di “essere speciale”. Potrei scriverci un libro, credo. Quando si restringe ci si sente “speciali”. E questa è una delle principali ragioni per cui scegliere di ricoverarsi fa così tanta paura. Anch’io ho avuto a lungo questo timore. Anche se mi rendevo conto che, alla fin fine, l’anoressia non mi avrebbe portata da nessuna parte, restringere continuava a farmi stare bene sul momento, mi faceva sentire forte, in controllo, soddisfatta, più sicura di me stessa… sì, mi faceva sentire “speciale”. Perciò avevo paura di perdere questo mio sentirmi “speciale”, questo qualcosa che mi faceva sentire di essere davvero qualcuno, questo sentimento di onnipotenza così profondamente radicato in me.
Il punto è, ragazze, che siamo tutte speciali. Siamo sempre speciali. Siamo speciali comunque. Il nostro essere “speciali” non muore insieme al DCA, deve solo essere riapplicato, riassegnato a qualcosa che vale veramente questo sentimento.
Perchè le ossa che sporgono sono speciali? Perché la restrizione è speciale? Perché l’attività fisica compulsava è speciale? Perché sentirsi in controllo e privarci del cibo giorno dopo giorno è speciale? Perché l’auto-sabotaggio è speciale? Ma davvero distruggere noi stesse, farci del male, odiarci così, ci rende speciali?? È un inganno. Credetemi. Lo è.
Depressione. Morte. Stanchezza. Dolore. Disperazione. Confusione. Ansia. Senso di colpa. Vuoto. Tutti i tipici sentimenti legati ai DCA. Da quando queste cose sono diventate speciali? Intendo, davvero speciali? Davvero sono queste le cose che vi fanno sentire speciali?
La vostra missione, se scegliete di accettarla (così come la mia, del resto, visto che sono qui che giorno dopo giorno combatto insieme a voi) è: SCOPRIRE quello che REALMENTE ci rende speciali. Provate a scrivere, magari cominciando proprio dal commento che, se vi va, potete lasciare a questo post: “Sono speciale perché…” … e guardate cosa ne viene fuori.
Perchè, ve lo assicuro – ci sono mille e mille cose per cui potete a ragione considerarvi speciali. Ma, ragazze, non siamo speciali perchè abbiamo un disturbo alimentare.
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domenica 9 novembre 2008
Titti e Silvestro
Riguardando vecchie fotografie, oggi mi sono capitate tra le mani anche quelle scattate durante il mio terzo ricovero. Così ho notato che sulla faccia interna della porta della mia camera della clinica in cui stavo, c’era appeso un poster. Un poster di Titti e Silvestro, il canarino giallo e il gatto che progetta sempre di mangiarlo senza riuscirci mai, avete presente?! Sul momento non gli dedicai molta attenzione, ma riguardando quelle fotografie adesso, mi fa un po’ strano quel poster allegro e variopinto che raffigura gatto ed uccellino in quella stanza spenta. Non era un poster che avevo appeso io. L’avevo trovato quando ero arrivata, e l’avevo lasciato lì. Era un periodo in cui ero abbastanza indifferente a ciò che mi circondava. Eppure, oggi, mi sono sorpresa a ritornare più volte con lo sguardo sulla foto di quel poster. Quel poster raffigura Titti che, dentro la sua gabbietta dorata, si dondola sulla sua piccola altalena e ride di Silvestro che, accucciato sul pavimento e con aria arrabbiata, non riesce evidentemente a raggiungere la voliera. I colori sono sgargianti, è l’unica cosa che dà un tocco di vita alla stanza, e sebbene stoni, all’improvviso mi rendo conto del perché oggi quella fotografia abbia attirato tanto la mia attenzione.
Io, in quel momento, ero come Titti. Forse è proprio per questo che, durante quel ricovero, non ho tolto quel poster dalla porta: perché, a suo modo, parlava di me. E, ragazze, pensateci un momento: non è forse vero che, in fin dei conti, quel poster parla di tutte noi? Noi siamo come Titti che, inseguita da Silvestro, si rinchiude velocemente nella sua gabbietta dorata per cercare il rifugio e la protezione che non saprebbe trovare altrove. Da lassù ride e guarda con sufficienza ciò che dal basso la minaccia. Da lassù è sicura di avere un controllo totale, a trecentosessanta gradi del mondo sottostante. Però, nonostante Titti se la rida, sta dentro una gabbia. Una gabbia dorata, ma pur sempre una gabbia. E non può uscirne, ovviamente, perché questo potrebbe esserle fatale, dato Silvestro in agguato. Infatti, se uscisse dovrebbe proprio fare i conti con ciò da cui si era messa al riparo. Ecco, forse è così anche per noi. Forse è così anche per l’anoressia: rifugiarsi in questa malattia può consentire di sfuggire ai pericoli, alle minacce, ai dolori che rendono intollerabile la vita, in nome di un ideale di distacco e di autonomia assoluta. Forse noi ci siamo rinchiuse nelle nostre gabbie dorate illudendoci di essere al sicuro dalle difficoltà che non riuscivamo ad affrontare, ma siamo costrette a guardare dalle sbarre – come quelle che c’erano alla finestra della clinica – il mondo circostante, la vita che continua a scorrere, un mondo e una vita da cui ci siamo escluse per non soccombere. E forse non è un caso neanche se il nemico di Titti è Silvestro. Se il nemico di Titti è qualcuno che vuole mangiarla.
Ma, ragazze, quella gabbietta non è la vita. È solo un simulacro di vita. Lì dentro possiamo sopravvivere, ma non vivere davvero. Quello di cui non ci rendiamo conto è che, come Titti, noi abbiamo delle ali. E che, perciò, aprire la porta di quella gabbietta non significa necessariamente precipitare nelle fauci spalancate di Silvestro: significa anche spiegare le ali e volare via da quello che oggi ci fa paura. Ciò non significa che dobbiamo immediatamente aprire la porta e slanciarci nel vuoto: bisogna prima avere la ragionevole sicurezza che le ali ci sorreggano. Perciò, ragazze, prendiamoci pure tutto il tempo necessario per guarire le nostre ferite e calmare le nostre paure. Non è un processo immediato ed uguale per tutte. Ma poi apriamo quella porta e voliamo.
Volare è possibile. Lo è per tutte voi. Se soltanto lo volete, le vostre ali possono diventare forti abbastanza per farlo.
Volevo solo che lo sapeste…
Io, in quel momento, ero come Titti. Forse è proprio per questo che, durante quel ricovero, non ho tolto quel poster dalla porta: perché, a suo modo, parlava di me. E, ragazze, pensateci un momento: non è forse vero che, in fin dei conti, quel poster parla di tutte noi? Noi siamo come Titti che, inseguita da Silvestro, si rinchiude velocemente nella sua gabbietta dorata per cercare il rifugio e la protezione che non saprebbe trovare altrove. Da lassù ride e guarda con sufficienza ciò che dal basso la minaccia. Da lassù è sicura di avere un controllo totale, a trecentosessanta gradi del mondo sottostante. Però, nonostante Titti se la rida, sta dentro una gabbia. Una gabbia dorata, ma pur sempre una gabbia. E non può uscirne, ovviamente, perché questo potrebbe esserle fatale, dato Silvestro in agguato. Infatti, se uscisse dovrebbe proprio fare i conti con ciò da cui si era messa al riparo. Ecco, forse è così anche per noi. Forse è così anche per l’anoressia: rifugiarsi in questa malattia può consentire di sfuggire ai pericoli, alle minacce, ai dolori che rendono intollerabile la vita, in nome di un ideale di distacco e di autonomia assoluta. Forse noi ci siamo rinchiuse nelle nostre gabbie dorate illudendoci di essere al sicuro dalle difficoltà che non riuscivamo ad affrontare, ma siamo costrette a guardare dalle sbarre – come quelle che c’erano alla finestra della clinica – il mondo circostante, la vita che continua a scorrere, un mondo e una vita da cui ci siamo escluse per non soccombere. E forse non è un caso neanche se il nemico di Titti è Silvestro. Se il nemico di Titti è qualcuno che vuole mangiarla.
Ma, ragazze, quella gabbietta non è la vita. È solo un simulacro di vita. Lì dentro possiamo sopravvivere, ma non vivere davvero. Quello di cui non ci rendiamo conto è che, come Titti, noi abbiamo delle ali. E che, perciò, aprire la porta di quella gabbietta non significa necessariamente precipitare nelle fauci spalancate di Silvestro: significa anche spiegare le ali e volare via da quello che oggi ci fa paura. Ciò non significa che dobbiamo immediatamente aprire la porta e slanciarci nel vuoto: bisogna prima avere la ragionevole sicurezza che le ali ci sorreggano. Perciò, ragazze, prendiamoci pure tutto il tempo necessario per guarire le nostre ferite e calmare le nostre paure. Non è un processo immediato ed uguale per tutte. Ma poi apriamo quella porta e voliamo.
Volare è possibile. Lo è per tutte voi. Se soltanto lo volete, le vostre ali possono diventare forti abbastanza per farlo.
Volevo solo che lo sapeste…
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venerdì 7 novembre 2008
Emozioni contraddittorie
“Ma quanto stai bene! Adesso sì che sei carina!”.
Se, come me, siete state anoressiche restrittive, se siete arrivate a sfiorare XX Kg e poi avete iniziato a risalire grazie al vostro percorso di ricovero, scommetto che almeno una volta qualcuno vi ha detto una cosa del genere. E scommetto anche che, ancora una volta come me, avete odiato profondamente questa persona per le sue parole. E avete sentito la mancanza di quando vi diceva come sembravate sciupate, malate e terribilmente magre. Così, di fronte a questo dualismo incomprensibile da un punto di vista prettamente razionale, vi siete sentite confuse. Avete provato emozioni contraddittorie. Vi siete chieste come mai, nonostante sapeste oggettivamente di stare meglio e di essere effettivamente più carine, avete provato quel moto di rabbia di fronte a quelle parole, e avete desiderato ricevere ancora i commenti che vi venivano riservati quando il vostro peso era estremamente basso.
Okay, proviamo a rispondere a questa domanda.
Innanzitutto, pensate che è normale, soprattutto in una prima fase di recupero del peso, essere circondate da persone che fanno commenti di questo tipo. Il problema è che queste frasi risvegliano nella parte ancora anoressica della nostra mente un solo pensiero: siamo grasse! Il punto è che, in realtà, non lo siamo davvero. È solo l’anoressia che ci ha fatto credere a lungo che avere un peso nella norma fosse sinonimo di essere grasse. E si sa quanto questi pensieri così profondamente radicati possano essere duri a morire. Il fatto è che, a prescindere da quello che è il contenuto del commento che riceviamo, l’anoressia ci porta a darne una traduzione estremamente parziale. Quando qualcuno, infatti, ci dice: “Sei troppo magra!”, magari sorridiamo e diciamo che non è vero, persino con aria un po’ imbarazzata, ma dentro di noi sentimenti contrastanti iniziano a stridere: da una parte, ci sentiamo soddisfatte perché siamo riuscite a raggiungere l’obiettivo della magrezza palesemente riconosciuta, e dall’altra, sappiamo comunque di non stare bene, di essere sottopeso, che la gente che ci sta guardando lo fa perché è preoccupata, e non perché ammira la nostra silhouette… perché quando si arriva a pesare XX Kg non si possiede una silhouette! Siamo malate, siamo fragili e deboli, ed è questo che le persone vedono quando ci guardano. Vedono la morte, e ne rimangono scioccati. E come potrebbero non esserlo? È come se la morte stesse camminando tra di loro. Perciò, se adesso qualcuno vi dice: “Ma quanto stai bene! Adesso sì che sei carina!”… bè, credeteci o meno, ma questo E’ un complimento. Perché adesso guardandovi queste persone provano genuino affetto e (sebbene quando siamo nel bel mezzo del DCA non ci pensiamo) sollievo. Loro si sentono sollevati nel vedere che stiamo meglio, che il nostro corpo comincia a trasformarsi in un qualcosa che può essere guardato con ammirazione e non con preoccupazione. Questo solleva la loro mente e il loro cuore. Questo li fa sentire più tranquilli… perché adesso non hanno più paura di perdervi. Non hanno più paura di perdere una persona che amano. Perciò, quando la prossima volta vi sentite ripetere una frase del genere, provate a vedere la cosa dal loro punto di vista. Lo so che è difficile, credetemi, lo so. Sono stata male per tanto tempo di fronte a commenti di questo tipo. Ma, ragazze, ricoveratevi che loro vogliono semplicemente che voi viviate… e vivere non include rimanere chiuse nella prigione dei DCA.
Adesso, ne sono sicura, state pensando che queste non sono le parole che avreste voluto leggere. Ma, per favore, ricordate una cosa: con i DCA noi lottiamo contro tutto quello che desideriamo… amore, attenzione, comprensione, accettazione, rassicurazione, sentirci a nostro agio con noi stesse… Desideriamo tutto questo, eppure ci combattiamo contro. E ci sentiamo diverse da tutti colore che riescono semplicemente a concedersele. Ma, ragazze, noi non siamo veramente differenti dalle altre. Noi non siamo errori. Noi non siamo la mela marcia. Noi non siamo immeritevoli di tutto ciò. Noi siamo adorabili. Talentuose, spiritose… siamo persone meravigliose. Esattamente come ogni qualsiasi altra persona.
Perciò, quando qualcuno la prossima volta vi dirà qualcosa su come siete diventate carine e su come state bene, provate, soltanto PROVATE a vedere la cosa nella loro prospettiva. E sicuramente guadagnerete qualcosa di positivo da questo. D’altronde, pensateci: noi direste forse voi la stessa cosa ad un’amica di cui vi preoccupate e a cui volete bene? Per un’amica del genere, desiderate solo il meglio, desiderate solo che abbia la miglior vita possibile, vero?! E la miglior vita possibile non contempla i disturbi alimentari.
I sentimenti negativi che adesso provate quando qualcuno commenta positivamente il vostro aspetto fisico, col tempo si diluiranno. Ve lo assicuro. Anch’io ho odiato questi commenti e ho desiderato rimanere magrissima. A volte mi capita tuttora. Ci vuole tempo per imparare a gestirli, tempo che dovete darvi. Perciò, quando qualcuno vi dice una cosa del genere, non ricominciate a restringere, non vomitate, non vi ammazzate di palestra, non prendete lassativi… cercate semplicemente di fare qualcos’altro per distrarvi e per non concentrare la vostra attenzione ossessivamente su quelle parole. Andate a fare una passeggiata, ascoltate musica, guardate un DVD, giocate al game boy, studiate, disegnate, telefonate ad un’amica, leggete questo blog… scrivetemi. Tutto il tempo che impiegherete per fare una di queste cose sarà tempo che sottrarrete al DCA. Fossero anche solo 10 minuti, ma saranno 10 minuti pieni di vita. Di quella vera, intendo.
Okay, forse tutto questo non è esattamente quello che avreste voluto leggere… ma una cosa è sicura: questa è la verità. Io non vi dico bugie. Non riguardo la vita e il modo in cui meritate di viverla. Ricordate: mentire è il lavoro dei DCA. Non il mio.
Continuate a lottare e scrivetemi quando volete, se avete bisogno. Io sono sempre qui per voi.
Se, come me, siete state anoressiche restrittive, se siete arrivate a sfiorare XX Kg e poi avete iniziato a risalire grazie al vostro percorso di ricovero, scommetto che almeno una volta qualcuno vi ha detto una cosa del genere. E scommetto anche che, ancora una volta come me, avete odiato profondamente questa persona per le sue parole. E avete sentito la mancanza di quando vi diceva come sembravate sciupate, malate e terribilmente magre. Così, di fronte a questo dualismo incomprensibile da un punto di vista prettamente razionale, vi siete sentite confuse. Avete provato emozioni contraddittorie. Vi siete chieste come mai, nonostante sapeste oggettivamente di stare meglio e di essere effettivamente più carine, avete provato quel moto di rabbia di fronte a quelle parole, e avete desiderato ricevere ancora i commenti che vi venivano riservati quando il vostro peso era estremamente basso.
Okay, proviamo a rispondere a questa domanda.
Innanzitutto, pensate che è normale, soprattutto in una prima fase di recupero del peso, essere circondate da persone che fanno commenti di questo tipo. Il problema è che queste frasi risvegliano nella parte ancora anoressica della nostra mente un solo pensiero: siamo grasse! Il punto è che, in realtà, non lo siamo davvero. È solo l’anoressia che ci ha fatto credere a lungo che avere un peso nella norma fosse sinonimo di essere grasse. E si sa quanto questi pensieri così profondamente radicati possano essere duri a morire. Il fatto è che, a prescindere da quello che è il contenuto del commento che riceviamo, l’anoressia ci porta a darne una traduzione estremamente parziale. Quando qualcuno, infatti, ci dice: “Sei troppo magra!”, magari sorridiamo e diciamo che non è vero, persino con aria un po’ imbarazzata, ma dentro di noi sentimenti contrastanti iniziano a stridere: da una parte, ci sentiamo soddisfatte perché siamo riuscite a raggiungere l’obiettivo della magrezza palesemente riconosciuta, e dall’altra, sappiamo comunque di non stare bene, di essere sottopeso, che la gente che ci sta guardando lo fa perché è preoccupata, e non perché ammira la nostra silhouette… perché quando si arriva a pesare XX Kg non si possiede una silhouette! Siamo malate, siamo fragili e deboli, ed è questo che le persone vedono quando ci guardano. Vedono la morte, e ne rimangono scioccati. E come potrebbero non esserlo? È come se la morte stesse camminando tra di loro. Perciò, se adesso qualcuno vi dice: “Ma quanto stai bene! Adesso sì che sei carina!”… bè, credeteci o meno, ma questo E’ un complimento. Perché adesso guardandovi queste persone provano genuino affetto e (sebbene quando siamo nel bel mezzo del DCA non ci pensiamo) sollievo. Loro si sentono sollevati nel vedere che stiamo meglio, che il nostro corpo comincia a trasformarsi in un qualcosa che può essere guardato con ammirazione e non con preoccupazione. Questo solleva la loro mente e il loro cuore. Questo li fa sentire più tranquilli… perché adesso non hanno più paura di perdervi. Non hanno più paura di perdere una persona che amano. Perciò, quando la prossima volta vi sentite ripetere una frase del genere, provate a vedere la cosa dal loro punto di vista. Lo so che è difficile, credetemi, lo so. Sono stata male per tanto tempo di fronte a commenti di questo tipo. Ma, ragazze, ricoveratevi che loro vogliono semplicemente che voi viviate… e vivere non include rimanere chiuse nella prigione dei DCA.
Adesso, ne sono sicura, state pensando che queste non sono le parole che avreste voluto leggere. Ma, per favore, ricordate una cosa: con i DCA noi lottiamo contro tutto quello che desideriamo… amore, attenzione, comprensione, accettazione, rassicurazione, sentirci a nostro agio con noi stesse… Desideriamo tutto questo, eppure ci combattiamo contro. E ci sentiamo diverse da tutti colore che riescono semplicemente a concedersele. Ma, ragazze, noi non siamo veramente differenti dalle altre. Noi non siamo errori. Noi non siamo la mela marcia. Noi non siamo immeritevoli di tutto ciò. Noi siamo adorabili. Talentuose, spiritose… siamo persone meravigliose. Esattamente come ogni qualsiasi altra persona.
Perciò, quando qualcuno la prossima volta vi dirà qualcosa su come siete diventate carine e su come state bene, provate, soltanto PROVATE a vedere la cosa nella loro prospettiva. E sicuramente guadagnerete qualcosa di positivo da questo. D’altronde, pensateci: noi direste forse voi la stessa cosa ad un’amica di cui vi preoccupate e a cui volete bene? Per un’amica del genere, desiderate solo il meglio, desiderate solo che abbia la miglior vita possibile, vero?! E la miglior vita possibile non contempla i disturbi alimentari.
I sentimenti negativi che adesso provate quando qualcuno commenta positivamente il vostro aspetto fisico, col tempo si diluiranno. Ve lo assicuro. Anch’io ho odiato questi commenti e ho desiderato rimanere magrissima. A volte mi capita tuttora. Ci vuole tempo per imparare a gestirli, tempo che dovete darvi. Perciò, quando qualcuno vi dice una cosa del genere, non ricominciate a restringere, non vomitate, non vi ammazzate di palestra, non prendete lassativi… cercate semplicemente di fare qualcos’altro per distrarvi e per non concentrare la vostra attenzione ossessivamente su quelle parole. Andate a fare una passeggiata, ascoltate musica, guardate un DVD, giocate al game boy, studiate, disegnate, telefonate ad un’amica, leggete questo blog… scrivetemi. Tutto il tempo che impiegherete per fare una di queste cose sarà tempo che sottrarrete al DCA. Fossero anche solo 10 minuti, ma saranno 10 minuti pieni di vita. Di quella vera, intendo.
Okay, forse tutto questo non è esattamente quello che avreste voluto leggere… ma una cosa è sicura: questa è la verità. Io non vi dico bugie. Non riguardo la vita e il modo in cui meritate di viverla. Ricordate: mentire è il lavoro dei DCA. Non il mio.
Continuate a lottare e scrivetemi quando volete, se avete bisogno. Io sono sempre qui per voi.
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